«Se non vi piace Once Brothers non vi conosco e non vi voglio nemmeno conoscere» – Flavio Tranquillo
Ho già saltato parecchi 7 giugno, pensando al fatto che dovrei proprio scrivere qualcosa di questa meraviglia intitolata “Once Brothers”, anche se in parte esula da quello che è il normale palinsesto di questa Bara, ma a pensarci nemmeno poi tanto, perché questo 7 di giugno, proprio non lo potevo perdere.
“Once Brothers” non è nemmeno un film, ma un documentario
scritto e diretto da Michael Tolajian, andato in onda per la prima volta nel
2010 su ESPN per la sua serie di mini film a tema sportivo intitolata “30 for
30”, perché ancora oggi è considerato un gioiello, anche se la produzione di
documentari cestistici offre parecchio materiale? Perché tratta una storia che
sembra già pronta per il cinema. Vi è piaciuto The Last Dance con tutte le sue
dinamiche di gruppo e Rodman che sparisce per un fine settimana selvaggio a Las
Vegas? Bene, non avete visto ancora niente se non conoscete la storia di due
fratelli di Basket, separati dalla guerra e dalla politica.
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Questi due eroi qui, Vlade e Drazen. |
«Non sono jugoslavo. Sono croato» – Drazen Petrovic
Drazen Petrovic nasce a Šibenik nel 1964, non ci provo
nemmeno a riassumerlo a parole, perché uno così non si riassume, si può solo
essere felici di essere stati testimoni del suo passaggio su questo gnocco
minerale che ruota attorno al sole, anche perché sono stati dattilografati
libri di testo sul "diavolo di Sebenico", sul "il Mozart dei
canestri" su un giocatore irreale che fin da bambino pensava
pallacanestro, studiava pallacanestro e soprattutto giocava a pallacanestro,
per altro divinamente. Avete presente in Hustle quando Coach Adam Sandler
dice al suo assistito, tu hai il talento, ma hai anche l’ossessione? Drazen le
aveva entrambe, condite da dosi di talento abbondanti.
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Rock me, Amadeus (cit.) |
Sul campo 40, 50, 60 punti a partita come ridere, leggendario il suo duello in finale di coppa delle coppe contro Oscar Schmidt, 44 punti a referto per la sua Caserta si, ma Drazen? 62 e coppa portata a casa per il Real Madrid, aveva solo 25 anni e ancora una marea di basket da spiegare al mondo.
Il più bell’aneddoto sul Mozart dei canestri? Lo dobbiamo a Sergio
Tavcar, che ricorda di quella volta durante un'amichevole tra Italia e Croazia a Trieste, in cui Drazen non c’era, senza
scoraggiarsi mai continuava a tirare, ma niente, quella sera non segnava. Durante
un time-out invece di ascoltare l’allenatore andò sotto il canestro per guardarlo
meglio, a quel punto si rivolse all’arbitro: «Il ferro è spostato di qualche
centimetro. Va messo a posto!» dai Drazen fai il bravo essù. Ma ci discutete
voi con uno così? Viene presa scala, livella e tutto il resto, il canestro
ovviamente era spostato di qualche centimetro come sostentava lui, una volta
sistemato alla ripresa della partita, al primo tiro Drazen segna e non la smette
più, vittoria Croazia, ma a questo punto è la parte meno interessante della
storiella.
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In the fear and alarm, you did not desert me, my brothers in arms (cit.) |
La bellezza di “Once Brothers” non sta solo nel raccontare, meglio di come potrebbe fare chiunque, il mito di Drazen Petrovic, sta nel farlo raccontare ad uno che lo conosceva meglio di tutti, ovvero uno dei miei grandi miti cestistici, Vlade Divac. I due si conoscevano da sempre, Drazen aveva 13 anni e Vlade 17 quando hanno iniziato a giocare insieme, il primo era smilzo e tutto ricci, il secondo un lungagnone tutto sorriso e modi da compagnone, nessuno riusciva a parlare con Drazen, solo Vlade, anche perché il primo parlava SOLO di pallacanestro, tutto il giorno e a volte, anche la notte.
Sono le punte di diamante di una generazione di talenti cresciuti
in Jugoslavia, Serbi, Croati, Montenegrici, poco importa, parliamo di alcuni
dei più straordinari interpreti del gioco di sempre, alcuni sono arrivati anche
in NBA come Dino Rada o Toni Kukoc. Avete mai sentito Kukoc parlare di Drazen
Petrovic? Nemmeno per Michael Jordan spendeva così tanti elogi, e lui ha giocato con entrambi.
“Once Brothers” è un film, anche se è un documentario, uno
di quelli molto belli perché mette subito in chiaro la posta in gioco, che non è
mai stata il basket per questi qua, perché che fossero forti si sapeva, la
posta in gioco era la loro amicizia, perché sul campo lèvati, ma lèvati proprio
contro di loro.
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Lo showtime di Belgrado, imprendibili. |
La nazionale jugoslava di quegli anni è stata la miglior compagine europea mai vista, durante gli Europei del 1989 hanno stravinto, totalmente imprendibili per gli avversari, giocavano lo “Showtime” dei Lakers, però in Jugoslavia, vincendo tute le partite con almeno venti punti di vantaggio. Drazen un martello a segnare senza sosta e a far correre tutti, Vlade con quelle mani da liutaio che si ritrovava, a fare dei passaggi che quando sei alto 2,17 non era proprio qualcosa di scontato. Nulla mi toglie dalla testa che Zio Vlade sia stato tra i precursori dei giocatori moderni, lunghi che giocano come guardie.
Non è un caso se di lì a poco per entrambi, arrivò la
chiamata dall’altra parte dell’oceano, per i due fratelli di basket si aprono
le porte dell’NBA in un periodo in cui non era normale avere gli Europei in squadra.
Va meglio a Vlade, che senza avere un completo per la sua altezza (se lo è fatto
prestare ma gli andava stretto) e senza sapere una parola di inglese, con
quelle mani e quel sorriso, passa dallo “Showtime” dei Balcani a quello di Los
Angeles, a giocare accanto a Magic Johnson che lo prese subito in simpatia. Se
siamo fortunati lo racconteranno in una delle prossime stagioni di Winning Time.
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I due amici tra i migliori, dove erano destinati a stare da sempre. |
Drazen Petrovic invece finisce a Portland, anzi meglio, a fare panchina ai Trail-Blazers, lui abituato a farne 40, 50 o 60, non si accontenta di pochi minuti giocati a 7 punti di media, quando gli illuminati di Portland lo cedono ai più modesti New Jersey Nets, Clyde "The Glide" Drexler, uno dei migliori della storia del giochino, di lui dirà: «Abbiamo appena lasciato andar via un futuro All-Star».
Con il passaggio ai Nets anche l’NBA comincia a capire con
chi ha davvero a che fare, Drazen si prende la squadra e inizia ad utilizzare
la sua mentalità di ferro contro tutti. Contro chi giochiamo stasera Jordan? E chi
sarà mai! Mitologica quella volta in cui un difensore tosto e fisico come Vernon
Maxwell degli Houston Rockets se ne uscì con: «Deve ancora nascere un bianco
europeo in grado di farmi il culo». 44 punti in faccia rifilati dal Mozart dei
canestri (storia vera).
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Quello dietro, in evidente difficoltà a tenerlo è solo John "Ninja" Stark, uno dei difensori più forti della NBA. |
Se oggi in NBA abbiamo potuto goderci Manu, Pau, Dirk, Luka e Nikola (i cognomi non servono) lo dobbiamo anche a Drazen che si chiudeva in palestra all’alba e si faceva menare – letteralmente – dal preparatore atletico, per imparare ad andare a canestro mentre “quei cristoni” (cit.) gli mettevano le mani addosso per fermarlo. La “Mamba mentality” prima che Kobe gli desse un nome. Kobe che per altro, non sarebbe mai sbarcato ai Lakers se guarda un po’, zio Vlade, non avesse accettato lo scambio con Charlotte, corsi e ricorsi cestistici e storici, e per inciso, non credo sia un caso se proprio Vlade Divac abbia brillato in tutte le squadre dove il suo ruolo di playmaker aggiunto a centro area, con quelle gran mani da passatore, erano un valore aggiunto, si, sto pensando a quella meraviglia che sono stati i suoi Sacramenti Kings, se siamo fortunati un giorno faranno una sorta di “The Last Dance” anche su di loro, ma torniamo a “Once Brothers” e al suo momento chiave, di cosa ha bisogno una storia per funzionare davvero? Del dramma, la guerra è la più drammatica svolta di tutte.
Ai mondiali di Buenos Aires del ’90, gli Stati Uniti senza
giocatori NBA schierati in squadra, vengono battuti come tappeti, la Jugoslavia domina anche la finale, anche se di fatto l’unità rimasta nella nazione è solo
in spogliatoio, visto che nel frattempo il Paese è sprofondato in una delle più
assurde e sanguinose guerre mai combattute in seno all’Europa, la più brutale
dopo la seconda guerra mondiale, un conflitto che mette i fratelli contro i
fratelli purtroppo anche sul campo. Durante le celebrazioni per la vittoria, un
tifoso entra in campo sventolando non la bandiera della Jugoslavia ma quella
della Croazia, Vlade Divac, Serbo, gliela strappa di mano, non per motivi di
schieramenti, ma per la consapevolezza di essere solo giocatori di basket, non
politici, chiamati a rappresentare sportivamente un Paese intero, non le sue
singole fazioni divise.
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Il momento esatto in cui si consuma il dramma. |
Un gesto fatto con senso di responsabilità, non di certo per mandare chissà quale messaggio, che ovviamente viene strumentalizzato, enfatizzato dai giornali e dalle tv locali, Vlade Divac assorge immediatamente allo stato di avversario della Croazia, ma se i Croati la prendono male, uno in particolare la prende peggio di tutti.
«Ci vuole una vita per costruire un’amicizia, e ci vuole un
attimo per distruggerla» – Vlade Divac
L’unica cosa che Drazen Petrovic amava di più della
pallacanestro era la sua Croazia, da quel momento si rifiuta di rivolgere la
parola all’amico di sempre Vlade Divac, e qui “Once Brothers” inizia a
picchiare più forte del preparatore atletico di Drazen, con zio Vlade che in
vista della finale tra i suoi Lakers e i Bulls di Michael Jordan dice: «Volevo
chiamare Drazen, ma non potevo.», roba per cui uno sceneggiatore, uno a caso,
darebbe via due dita di una mano per poter scrivere una trama così.
L’attaccamento alla maglia e alla bandiera per Petrovic è
una fede, quando gli americani si giocano i pezzi grossi, la squadra dei sogni
del Dream Team, che vinceva tutte le partite di 50 punti alle olimpiadi di Barcellona
nel 1992, gli unici a provare ad opporsi, senza successo, allo strapotere di MJ,
Larry “The Legend”, Magic e tutti gli altri, sono la neonata nazionale Croata
guidata da Petrovic, migliore in campo per i suoi colori ma medaglia d’argento
contro i marziani a stelle e strisce.
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La Bara Volante declina ogni responsabilità su eventuali rotture del vostro schermo, dovute ad eccesso di talento in questa foto. |
Nella sua stagione in NBA Petrovic mette in chiaro che non importa dove suoni se sai suonare, figuriamoci quando sei il Mozart dei canestri, ma il cuore di Drazen appartiene in parti uguali alla Pallacanestro e alla Croazia. Chiunque altro si sarebbe dedicato alla sua carriera tra i PRO, ma non lui, infatti quell’estate senza un solo dubbio, vola in Europa per prendere parte alle qualificazione agli Europei per la sua nazionale, dopo una partita – ovviamente vinta – in Polonia, la squadra è pronta a salire in aereo per tornare in Croazia, Drazen potrebbe sedersi a bordo ma preferisce tornare a casa in auto con sua moglie Klara Szalantzy e una loro amica, la giocatrice professionista di uno sport che non sto nemmeno a citarvi perché è implicito, Hilal Edebal.
Dino Rada, in volo, ricorda che la perturbazione attraversata
in aereo era così forte da mettere in difficoltà anche il pilota, sotto
intanto, su un’autostrada che attraversa la Baviera, nei pressi di Denkendorf,
il tempo non è certo migliore, anzi. In quel momento alla guida si trovava
Klara, Drazen dormiva sul sedile del passeggero e Hilal dietro di lui, sui
sedili posteriori. Alle 17.20 un tir proveniente dalla direzione opposta invade
la carreggiata della Golf guidata da Klara, e la musica per il Mozart dei canestri
finisce qui. Era il 7 giugno del 1993, ed ora capite perché il trentennale
della tragedia, non potevo proprio non onorarlo.
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Questa non necessita didascalia, perché tanto parla da sola. |
Dai rottami vengono estratte Klara e Hilal, vive ma in particolare la seconda, inizierà un calvario che la costringerà a lasciare la pallacanestro professionistica. La beffa sta nel fatto che i sanitari tedeschi accorsi sul luogo dell’incidente, non disponevano di una bara adatta al metro e novantasei di Drazen, quindi si sono dovuti arrangiare come potevano per disporre il corpo. Vrankovic, suo compagno di squadra, alla vista dello scempio fatto, cerco letteralmente di ucciderli, non mettere loro le mani addosso, intendo proprio ucciderli, ci vollero il resto dei compagni a fermare la furia di un uomo di 218 cm accecato dalla perdita di un’icona nazionale.
Fino a qui i fatti, quelli che ci racconta il vero
narratore di “Once Brothers”, ovvero zio Vlade Divac, che mette in chiaro come
mai il film di Michael Tolajian sia proprio questo, formalmente un
documentario, di fatto una storia che è già cinematografica, raccontata nel
modo più cinematografico possibile. Quante storia abbiamo visto sul grande
schermo, con il protagonista che affronta un viaggio in auto con un compito da
svolgere che per lui diventa un viaggio nel passato e nel suo senso di colpa?
Sotto con i titoli perché sono tantini.
“Once Brothers” si potrebbe riassumere così, la storia di Vlade
Divac, eroe in Serbia e nemico pubblico numero uno in Croazia, che intraprende
un viaggio emotivo attraverso un Paese dove non è gradito, per provare a ricucire uno strappo. Certo, l’incontro con la
madre di Petrovic, che accoglie il vecchio amico di suo figlio è molto intenso,
così come il racconto del bimbo che dice alla signora, tu lo avrai anche messo
al mondo, ma Drazen appartiene a tutti quanti noi. Bello eh? Edulcorato? Anche,
perché quello che non dice “Once Brothers” o meglio, che per pudore suggerisce
chiaramente a chi è in grado di leggere tra le righe, è che Drazen,
nazionalista convinto, l’amico non lo ha perdonato mai, il che rende “Once
Brothers” ancora più intenso e drammatico.
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Passano gli anni ma io da grande, continuo a sperare di diventare come zio Vlade. |
Perché si riduce tutto al viaggio, fisico, nei ricordi e nei sensi di colpa di Vlade Divac, per ricongiungersi idealmente con un amico, un fratello che non lo ha perdonato mai, perché “Once Brothers” celebra la vita e la pallacanestro del Mozart dei canestri, ma il vero eroe di tutta questa storia è proprio zio Vlade.
Il finale di questa storia di fratelli di basket, sullo
sfondo di una sanguinosa guerra? Un trionfo che mette in chiaro che le realtà
quando vuole, sa essere più cinematografica del cinema, ma soprattutto del
fatto che la pallacanestro è migliore della guerra e della politica, perché la
prima unisce, le altre due dividono, anche per sempre qualche volta.
Chiedetelo a chiunque scriva o diriga per il cinema se non
vorrebbe aver firmato un finale come quello di “Once Brothers”. Vlade Divac
inquadrato da lontano, che saluta l’amico e lascia sulla sua tomba una loro
foto insieme è roba alla John Woo, in termini di valori di amicizia fraterna messi in
campo. Se fosse il finale di un lavoro di fantasia, per comodità diciamo un
film, a “Once Brothers” avrebbero lanciato i premi Oscar come le freccette al
pub, quindi vale la citazione iniziale di Flavio Tranquillo.
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And the Oscar(s) goes to... |
“Once Brothers” lo trovate a rotazione sulle varie piattaforme, ogni tanto spunta su Disney+, fino a qualche tempo fa stava su Sky con doverosa introduzione dell’avvocato Federico Buffa, ma con nemmeno troppo impegno, potete scovarlo con una certa facilità. Ovviamente se vi piace il Basket è un monumento, ma anche se la vostra passione per il giochino con la palla a spicchi fosse limitata, resta l’audiovisivo più riuscito e intenso che io ricordi, tra i film che non sono film, ma hanno tutto per esserlo.
In occasione del trentennale dovevo consigliarvelo per forza, con una dedica speciale a quei due, una volta fratelli di basket, fratelli per sempre, malgrado tutto.
A basket ho giocato, ma ero una schiappa terrificante. Bello l'aneddoto del ferro spostato 😊
RispondiEliminaIl grande chitarrista che ti dice che la chitarra è scordata solo guardandola. Da nove metri di distanza. Di notte. Con la nebbia ;-) Cheers
EliminaEssendo di origine istriana (e poi croata, ma non ditelo a mia moglie che pensa sia montenegrino o almeno così riporta ai suoi colleghi...) la storia nella storia di questo documentario la conosco molto bene, per averla vissuta sulla pelle dei miei cugini che erano lì, in quei momenti difficili (sono tornato poi nel 2006 da quelle parti per vedere ancora gli scempi lasciati dalla guerra). Ovviamente, avendo anch'io giocato a basket da ragazzo, prima nella Berloni e poi nell'Auxilium, non potevo non conoscere la storia di questi due fenomeni europei, anche se ne ignoravo a dire il vero i risvolti che hai illustrato con grande dovizia... Sicuramente un documentario da vedere e una celebrazione da ricordare, però se mi vengono i lacrimoni solo a leggerne, non oso immaginare quanti scottex mi ci vorranno per poterlo completare.
RispondiEliminaP.s. alla foto dei due talenti, effettivamente, il mio schermo ha un pò vacillato... Buon Christina Ricci!
Per quello ho inserito la nota scarica responsabilità, non so bene come sia riuscito a scriverne, prova suprema per la mia incredibile durezza e bla bla bla, detto questo, era il giorno giorno e sono contento del risultato... Buon Christina Ricci anche a te ;-) Cheers!
EliminaCi speravo in questo racconto e hai realizzato un sogno. Anche quando giocava e segnava contro l' Olimpia potevi soltanto amarlo. Lo schermo dello smartphone mi appanna gli occhi. Grazie e buona giornata.
RispondiEliminaErano parecchi 7 giugno che lo meditavo, calendario alla mano questo era quello giusto, grazie a te ;-) Cheers!
EliminaNon sono un appassionato di pallacanestro, ma con questa recensione mi hai acceso la lampadina. Messo in lista.
RispondiEliminaBene, allora vuol dire che ho fatto il mio dovere, si trova, ogni tanto spunta sulle piattaforme, lo troverai abbastanza facilmente e buona visione ;-) Cheers
EliminaIo c'ero. Seguivo tutto.Ricordo perfettamente.
RispondiEliminaMeglio la tua rece che riguardarmi tutto montato alla ca##o, che ci stò ancora malissimo.
"La luce che brilla di doppio splendore, ne ha spesso la durata dimezzata"(cit)
I regaz de La Giornata Tipo se non ricordo male avevano prodotto cose egrege in merito
Aggiungo solo: My my, hey hey, per Drazen. Cheers
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