venerdì 9 giugno 2023

Just heroes (1989): l’opera di beneficenza di John Woo tra un capolavoro e l’altro


Non ve lo aspettavate questo eh? Non perdiamo tempo, il film di oggi ha una storia che merita di essere raccontata, quindi benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Who's better, Woo's best!

Ormai siamo alla fine degli anni ’80, il cinema di Hong Kong è definitivamente esploso, facendo del porto dei fiori l’ombelico del mondo per gli amanti dell’action. Quando il mitico Wu Ma suona idealmente alla porta di casa di John Woo, parliamo di un vero mito, attore, scrittore, produttore e regista, che porta con sé una novella non tanto lieta.
 
Il Maestro Chang Cheh non se la passa benissimo, ormai è in bolletta e senza più il becco di un quattrino, ovviamente John Woo cambia posizione sulla sedia. Stiamo parlando dell’uomo che lo ha tenuto sotto la sua ala protettiva, assegnandoli molte seconde unità e a dirla tutta, il primo seme dell’Heroic bloodshed, era proprio un film diretto da Woo omaggiando i Wuxia del suo Maestro.

L'asso nella manica di Chang Cheh? Il suo pupillo John Woo.
 
Il piano è semplice, mettere su un film “istantaneo” con cui monetizzare al volo, per poi devolvere tutto il ricavato a Chang Cheh, in modo che il vecchio Maestro possa ritirarsi e godersi una meritata, ed economicamente sicura pensione. Un obbiettivo nobilissimo, a cui uno così legato ai cavallereschi valori di lealtà, rispetto e amicizia come John Woo secondo voi, avrebbe mai potuto tirarsi indietro? Giammai!
 
Parliamoci chiaro, “Yee dam kwan ying” o meglio “Just heroes”, come è più noto sui mercati occidentali, non è affatto un brutto film, anzi, ha il problema di essere una spremuta del “crime drama” di Hong Kong, insomma uno di quei film a cui l’attore Danny Lee prendeva parte sei volte l’anno, visto che in carriera in titoli così ha recitato parecchie volte.

«Ma perché capitano tutte a me!»
 
A questo poi aggiungiamo che Woo, impegnato come un uomo con una gamba sola durante una gara di calci in culo, non sapevo più dove girarsi per dare i resti. Parliamo di un regista che arrivava da un capolavoro, il suo film più personale ovvero The Killer, ed era già impegnato nella pre produzione del suo capolavoro successivo (tra sette giorni su questa Bara, non vedo l’ora!), senza contare il mezzo divorzio artistico da Tsui Hark, visto che Woo era coinvolto anche nella pre-produzione di A better tomorrow III, prima che si consumasse lo strappo tra il regista nato Wu Yu-sen e il suo ex compare.
 
Ecco perché “Just heroes” è un film di John Woo più o meno al 60%, il resto è farina del sacco di Wu Ma, accreditato come co-regista oltre che attore, posso dirlo? Per essere un film girato con la mano non dominante – per motivi di troppi impegni, non di sicuro per mancanza di professionalità di Woo – perché comunque le sparatorie, come quella iniziale al porto, sono chiaramente farina del sacco del nostro, per un film che riassume tutte le dinamiche e gli stilemi classici del poliziesco di Hong Kong.

Dimmi che sei un film diretto da John Woo senza dirmi che sei un film diretto da John Woo. 
 
Un film che potrebbe essere propedeutico per spiegare a chi non ne avesse mai visto uno, più o meno come erano fatti i titoli sfornati dalla produzione cinematografica del porto dei fiori di quel periodo, ovvio, dovessi trovarmi nell’infausta condizione di dover “spiegare” il cinema di Hong Kong ad un marziano, non è “Just heroes” il film che gli farei vedere, anche perché mi prenderebbe un colpo, cioè un marziano appassionato di John Woo! Forse è meglio se dentro un po’ di tabacco lo metto e ci do un taglio con queste metafore, eh?
 
Però va detto, ad esclusione dell’esperienza di Wa Ma e del comprovato carisma di Danny Lee, il resto del cast non è proprio all’altezza, sembrano attrici e attori piuttosto televisivi e questo azzoppa tutte le parti “melodrammatiche” che comunque ci sono, visto che la storia riassumete tutte, ma proprio tutte le dinamiche e le situazioni tipiche dei polizieschi di Hong Kong.

Questo ad Hong Kong lo chiamano Martedì sera. 
 
Tutto comincia con la morte di un potente boss, ucciso durante un attentato, che avviene subito, pronti via, forse perché Wu Ma temeva di perdere l’indaffarato Woo, quindi ha pensato bene di farlo esibire in una delle sue celebri sparatorie subito, in apertura di film, in modo da essere sicuro di accaparrarsene almeno una nella sua storia. Infatti la sparatoria al porto è subito articolata, non mancano sgherri in moto che arrivano sparando e il protagonista che si esibisce subito nella mossa marchio di fabbrica degli anti-eroi di John Woo, ovvero la scivolata indietro sulla schiena, eseguita come al solito sparando con una 45 automatica in ogni mano. Se ve lo state chiedendo invece, il gangster ben vestito con il farfallino è proprio Wu Ma che si ritaglia un piccolo ma sostanziale ruolo nella vicenda.
 
Dopo l’attentato, comincia la corsa alla successione al trono del boss rimasto vacante, questo mette in moto una disputa tra i suoi tre figli. Prima di venire sforacchiato, il boss aveva espresso apertamente la sua preferenza, ovvero il figlio Cheung Pak Wai (interpretato da David Chiang) che come avrete già intuito se avete familiarità con la produzione hongkonghese è anche il mandante dell’omicidio, fino qui tutto molto classico no? Bene, aggiungiamo altri strati di classicissimo.

Ma anche altri strati di proiettili.
 
Con Cheung Pak Wai nuovo capo sembra filare tutto liscio, ma il fratello di mezzo, scopre del tradimento del maggiore ed entra in azione per vendicare il padre, sperando che a cose fatte, la corona dell’impero criminale finirà sulla capoccia del fratello minore Tai (Chen Kuan Tai. No, non si sono sbattuti molto con i nomi dei personaggi), insomma intrighi di palazzo in salsa hongkonghese. Cosa manca ancora seguendo il menù? La ricetta classica prevede ancora un poliziotto sotto copertura, e qualcuno che si sacrifica e finisce in prigione, il tutto servito con dosi abbondanti di melodramma.
 
Infatti l’ultimo genito, finisce per investire involontariamente con l’auto la moglie di Wai, per di più in dolce attesa, il tutto mentre alla ricerca di un responsabile, finisce per farne le spese un poliziotto sotto copertura infiltrato, insomma drammi su drammi, conditi da altri drammi, fino all’arrivo del DRAMMONE.

Fammi una faccia da DRAMMONE? Ok perfetto, fermo così.
 
Per evitare le indagini della polizia, la triade costringe il fratello minore ad assumersi la colpa, quindi il malcapitato finisce dietro le sbarre prima e vittima di una ritorsione subito dopo, la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso della faida tra i fratelli rimasti, insomma la tavola apparecchiata per lo scontro finale.
 
Una sparatoria violentissima, tutta diretta e combattuta consumandosi su spazi brevi in interni, un massacro che è l’ennesimo balletto di sangue diretto (al 60%) da John Woo, che ovviamente non pareggia con quello glorioso ed epico nel suo spargere emoglobina e pallottole di A better tomorrow II, ma resta comunque piuttosto violento, perché raccontato tutto enfatizzando ogni colpo subito o mandato a segno, insomma in pieno stile John Woo. Da questo punto di vista basta fare il paragone diretto con le sparatorie dirette da Tsui Hark in A better tomorrow III, perché la differenza balzi agli occhi.

Il bello di una rubrica su Woo, tanti nella posa degli eroi della Bara.
 
Un dettaglio che riassume bene tutta questa operazione? Nel cast, nei panni di “Jacky” Yuen Kei-hao compare Stephen Chow, anche lui attore e regista, popolarissimo anche qui da noi in occidente per i suoi “Shaolin Soccer” (2001) e “Kung Fusion” (2004). Stephen Chow nei panni di uno sgherro, in un dialogo del film, quando la situazione diventa parecchio incasinata e sanguinolenta afferma: «Sembra di essere in A better tomorrow!», mentre come Mark Gor, nasconde pistole automatiche nei vasi nel corridoio, per prepararsi all’imminente sparatoria, peccato che prima si sia dimenticato di caricarle! Tutto questo non solo mette ben in quadro tutta l’operazione, ma anche lo stato di culto istantaneo di John Woo e dei suoi film, assorti a pietre miliari nel giro di una manciata di anni.

«Queste le nascondi ok, ma prima devi ricordarti di caricarle!»
 
Ma sapete qual è la vera curiosità legata a “Just heroes”? Il film ha incassato poco meno di otto milioni in valuta locale, piazzandosi 48esimo nell’affollatissima classifica dei film di Hong Kong usciti nel 1989, un risultato più che dignitoso per la pensione del Maestro Chang Cheh no? Ecco no.

«Dove vai con il malloppo? Sono i soldi per il Maestro!»
 
Già perché Chang Cheh ha pensato bene di ringraziare, fare inchini, stringere mani ma soprattutto incassare l’assegnone, ma invece di usarlo per comprarsi una sedia a dondolo, ha pensato bene di usare i soldi per produrre un altro film da regista, non ci credete? Storia vera!
 
Insomma per John Woo è stato un omaggio al suo Maestro, ma anche un esercizio defaticante tra un capolavoro e l’altro, perché se il regista di Hong Kong nel 1989 non fosse stato un tale genietto, con cavoletto che “Just heroes” sarebbe andato così forte al botteghino, ma al netto del risultato finale, girare un film così, tenendo conto di tutti gli impegni del regista è qualcosa di notevole, anche per l’operosità orientale. Tutto questo, senza contare che il suo titolo successivo è stato “solo” uno dei suoi più riusciti ed intensi della sua produzione, arriverà qui tra sette giorni, non osate mancare perché voleranno proiettili. Anche in testa.

8 commenti:

  1. Si però pure te.. Non é che puoi scrivere alla leggera "porto dei fuori l’ombelico" che é subito BEIJING BIKINIIIIIH 🤣🤣🤣🤣🤣
    https://radii.co/article/the-death-of-the-beijing-bikini

    ... Gli effetti dei film di Woo sulla Gggente 🤣🤣🤣🤣🤣

    Per la serie"Troviamo da far riposare quell'esaurito del vecchio Chen" e quello invece appena incassato si rimette al lavoro.. Da quelle parti l`hanno INVENTATO il concetto di Workhalcoolich 😎

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    1. Io ho bisogno di vacanza, ma il mio correttore di bozze anche di più, prenoto un bolo per Beijing, ho corretto grazie ;-) Decisamente si, sono i massimi campioni del mondo nella specialità. Cheers!

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  2. Ecco, una bella sotto rubrichetta su stephen chow, mica sarebbe male. o almeno una bara sul bellerrimo "God of Cookery"...

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  3. Stephen Chow anche quando fa il semplice attore non resiste ad essere citazionista :-D
    La Shaw Bros non ha saputo affrontare gli anni Ottanta e grandi maestri come Cheh si sono trovati d'un tratto fuori tempo, anche perché lo stile e le tematiche erano così tanto cambiate che sembravano autori di un secolo prima, invece che solo del decennio precedente. Ma per fortuna Woo è uno che non dimentica i debiti d'onore.
    Questa operazione mi ricorda quando Jackie Chan ha accettato di girare un film di Wang Yu, anche quest'ultimo star di epoche precedenti, proprio per un debito d'onore. (Yu l'aveva aiutato quando Jackie era finito nel mirino della mafia) Il risultato non è stato un gran film, Jackie ne ha un pessimo ricordo nella sua biografia, diciamo che sono operazioni che fanno bene al karma ma meno al portafoglio :-P

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    1. Ti avevo promesso un po’ di Stephen Chow, eccolo ;-)
      Woo deve avere un senso dell’onore incredibile, si ricorda di chi lo a messo artisticamente al mondo. Esatto, hai riassunto bene, anche se questo è un buon film, solo che arriva in mezzo a due titoli che avrebbero fatto sfigurare chiunque. Cheers!

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  4. Come riesce a far beneficenza John Woo, vero uomo d'onore, non ci riesce nessun altro (e, giustamente, non fa della beneficenza anonima: vuole che il suo stile venga riconosciuto, laddove ce ne fosse pure "solo" al 60%)... quanto alla metafora aliena a me sta benissimo, visto che il talento di Woo è fuori dal mondo ;-)

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    1. Alla fine si hai ragione, l'inconscio parla ed è a favore del talento di John Woo ;-) Cheers

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