venerdì 26 maggio 2023

A better tomorrow III (1989): amore, morte (e prequel) a Saigon


Lo so che il venerdì ormai è il giorno dedicato a John Woo qui sulla Bara, ma visto che la rubrica sul genietto del cinema di Hong Kong sarà una maratona, mi sembra doveroso fare una piccola deviazione lungo il percorso, non potevo certo lasciare incompleta la trilogia di A better tomorrow. 

Che forse è anche quello che ha pensato Tsui Hark, malgrado tutto, malgrado anche l’evidente strappo con il suo socio e compare John Woo, quello che ha reso A better tomorrow II, un seguito dalle due anime, affetto da personalità multipla proprio perché figlio del compromesso tra due personalità che lèvati, ma lèvati proprio. In realtà John Woo e Tsui Hark hanno provato ancora una volta a collaborare anche per il terzo capitolo della saga che ha rivoluzionato il cinema di Hong Kong prima e quello mondiale dopo. Se avete familiarità con la produzione di Woo, non è difficile immaginarlo come uno dei suoi anti-eroi, incapace di lasciare indietro un amico, ma niente, ormai lui e Tsui Hark si trovavano su posizioni inconciliabili.
 
Pomo della discordia? Una donna o meglio, il triangolo amoroso che Tsui Hark voleva inserire nel film, facendo storcere il naso a Woo che lo riteneva fuori luogo, visto che i due precedenti capitoli (e molta della sua produzione) erano basati sull’amicizia virile e anche a quel senso di colpa e responsabilità molto cattolico, che stava a cuore al regista nato Wu Yu-sen, tutta roba che in linea di massima sarebbe tornata, prepotentemente aggiungerei, nel film che Woo ha diretto per “ripicca”: «Ah quindi tu farai un film ambientato in Vietnam? Io ne farò uno migliore con black jack e squillo di lusso!», ok magari John Woo non ha citato il robot Bender andando via, ma sicuramente ha sbattuto la porta.

Si vede che è arrivato Tsui Hark vero?
 
Senza più il vecchio compare di mezzo, Tsui Hark ha campo libero e marchia a fuoco “A better tomorrow III” con il suo stile, concedendosi molti lussi (anche quello di mettere parecchia carne al fuoco) tra cui emanciparsi dalla città di Hong Kong, non più sfondo di un capitolo che arriva terzo ma è a tutti gli effetti un prequel, dove Chow Yun-Fat torna a vestire i panni del personaggio che lo ha reso celebre, ma anche idolo di molti ragazzi che nel porto dei fiori, indossavano occhiali da sole e pastrano lungo fino alle caviglie, per imitare lo stile del suo Mark Gor.
 
Un personaggio riportato indietro di dodici anni rispetto al primo capitolo, anche se Chow Yun-Fat (più vecchio di tre anni) risulta comunque credibile per la parte del giovane Mark, che in questo melodramma ci viene raccontato cedendo alla tentazione (tipica di molto cinema occidentale più che di quello orientale) di narrare la storia di origini dei grandi miti cinematografici. “A better tomorrow III” è ambientato nella Saigon dell’anno 1974, con i Vietnamiti ormai prossimi a vincere la guerra e a scacciare tutti gli stranieri dal loro Paese, compresi i protagonisti, il giovane Mark Gor interpretato nuovamente da Chow Yun-Fat e il suo amico Cheung Chi Mun, che ha il volto di Tony Leung Ka-Fai anche lui, sulla cresta dell’onda e popolarissimo in patria, di lì a poco avrebbe consolidato la sua fama recitando per Jean-Jacques Annaud in “L'amante” (1992).

Questa bara vuole sempre bene ai Tony.
 
Avete presente il racconto a base di bottiglie da scolare e revolver puntati alla tempia che Mark Gor ci descrive – con enorme trasporto – in A better tomorrow? Bene, era una scena fortemente voluta da Tsui Hark che qui ha l’occasione per dimostrare al mondo cosa aveva in testa per il personaggio, e lo fa con quel suo stile barocco e roccoccò che ha sempre caratterizzato il suo cinema, dove il più delle volte un evento storico ben noto al pubblico orientale, fa da sfondo alla sua trama, insomma un’abitudine che verrà consolidata dal regista.

La Storia, sullo sfondo della storia.
 
In “A better tomorrow III” i due amici e protagonisti, sono impegnati ad utilizzare tutti i metodi, legati ed illegali per lasciare Saigon portandosi dietro il vecchio e malato padre di Cheung Chi Mun, in mezzo a tutto il corollario di situazioni e personaggi ormai tipici del cinema di Hong Kong, abbiamo quindi criminali che tutto sanno e tutti tengono in pugno con cui fare i conti, oltre a parti uguali di melò e scene d’azione, che hanno tutte lo stile della regia di Tsui Hark. Quindi dimenticatevi il gran lavoro di montaggio applicato ad una trama tutto sommato lineare alla quale ci ha abituati John Woo nei primi due capitoli, lo stile di Tsui Hark punto tutto su un tipo d’azione ben più concitata, esplosioni di violenza in cui il rallenti è utilizzato quasi in modo opposto al suo ex compare, John Woo lo ha sempre utilizzato per enfatizzare l’epica ricordandoci che anche nel duello eleganza c'è (cit.), Tsui Hark invece utilizza il rallenty per far emergere la brutalità, lavorando parecchio sullo scontro tra campi lunghi e primi piani strettissimi, una regia con una mano sulla macchina da presa e l’altra sul cuore, più o meno all’altezza dove chiunque si reputi uno dei giusti, porta con se Sergio Leone.

Chow Yun-Fat & M-16 (hanno entrambi un trattino a testa, gran coppia!)
 
Citato apertamente, perché in alcune sequenze ci sono rimandi espliciti a Il buono, il brutto, il cattivo, ma anche idealmente, d’altra parte siamo davanti ad una storia che riporta le lancette del tempo indietro, quasi un modo per applicare la lezione imparata con la “trilogia del tempo” del Maestro Leone, per una storia che è un lungo flashback (quindi puro Leone) che guarda caso, ha in un personaggio femminile uno dei suoi elementi chiave, niente Claudia Cardinale però, qui si è scomodato il meglio del meglio che il porto dei fiori potesse regalare al mondo, se Chow Yun-Fat e Tony Leung Ka-Fai erano popolarissimi, a confronto di Anita Mui erano due bambini dell’asilo: attrice, cantante, amatissima dal pubblico del grande e del piccolo schermo, immaginatevi Bruce Springsteen nel New Jersey e una cantante neomelodica a Napoli mescolati insieme e avrete una mezza idea dello status di icona di Anita Mui ad Hong Kong.
 
Tsui Hark infatti le regala un’entrata in scena epica, la sua Chow Ying-kit, che diventerà il centro del triangolo amoroso che muove il film, entra in scena vestita di bianco, automatica in una mano, M16 nell’altra, con quella chioma di capelli corvini sempre Elektra Natchios se Frank Miller l’avesse disegnata orientale e non greca, ovvio che i due protagonisti se ne innamorino, per quella che è una storia Leoniana nello spirito.

Elektra Anita: Assassin
 
Con quel suo tocco melò Tsui Hark ci mostra come, dove e da chi un mito come Mark Gor ha imparato a sparare, educazione di una canaglia citando uno dei miei scrittori preferiti, per un film che ha il coraggio e la faccia tosta di far saltare il banco. Se non lo avete mai visto e vi aspettate il grande cinema a cui ci ha abituati John Woo, “A better tomorrow III” potrebbe essere un salto dello squalo, anche se partite già mentalmente preparati all’idea che malgrado le tre barre verticali al fondo del titolo, vedrete comunque un prequel, quindi una storia dove si sa già chi non potrà mai morire. Per questo motivo, o forse perché in occidente abbiamo concentrato giustamente le nostre attenzioni più su un autore come Woo, questo capitolo è spesso trascurato, considerato quasi non canonico rispetto alla saghe di cui fa parte.
 
Personalmente dubbi nella mia vita non ne ho mai avuto, se mi chiedete se preferisco lo stile autoriale, melodrammatico quanto volete ma rigoroso nei temi e nel montaggio di John Woo, al melò cuore in mano di Tsui Hark, il fatto che io abbia in corso una rubrica sul primo e non sul secondo dovrebbe bastarvi come risposta, ma se amate il cinema di Hong Kong, “A better tomorrow III” è una tappa obbligata, un bellissimo e coinvolgente canto del cigno.

Ed Bunker avrebbe approvato.
 
L’azione è ok, i personaggi sono interessanti, la cresciuta di Mark Gor motivo di interesse, così come le prove del cast, ma passa tutto in secondo piano rispetto al finale del film, dove Tsui Hark lascia indietro tutto in favore della pura narrazione per immagini. Il cinema del regista e produttore è sempre stato più viscerale che davvero logico, votato alla ricercatezza dell’effetto finale, d’altra parte parliamo di quello che ha fatto esplodere il Colosseo con aiuto di JCVD e Dennis Rodman in “Double Team - Gioco di squadra” (1997), eppure qui sembra uno posseduto dal desiderio di raccontare questi personaggi.
 
In quella corsa finale verso l’elicottero, insieme ai protagonisti se ne va un intero modo di fare cinema, tra i personaggi principali qualcuno morirà e qualcuno è destinato a salvarsi, ma il cinema di Hong Kong, quello che sarà eternamente ricordato per commedie, Wuxia e soprattutto noir e film d’azione, qui vola letteralmente verso il suo tramonto, su un elicottero su cui sono stati caricati a forza tutti i suoi eroi ed eroine.
 
Siamo agli sgoccioli degli anni ’80, Tsui Hark che insieme a John Woo è stato autore e responsabile di quella incredibile rivoluzione cinematografica che dal porto dei fiori ha sconvolto tutto il mondo, chiude il suo film, il suo melodramma su morte, amore e amicizia con una trionfale cavalcata verso il tramonto, ovvero come dovrebbero finire TUTTI i film.

Altroché l'arancione di Wes Anderson, tzè!
 
In “A better tomorrow III” nessuno ha difficoltà a sparare ma tutti hanno difficoltà emotive, nessuno vuole tradire (anche se stesso) ed è tutto così dannatamente immerso nel melò da far risultare davvero troppo troppi ogni personaggio e situazione, eppure quel finale si fa perdonare parecchio, perché con quell’elicottero verso il tramonto vola via una pagina di cinema nata ed esplosa in un luogo come Hong Kong, che in quel periodo storico era il contesto perfetto per generare un fermento creativo a ben guardare brevissimo ma abbagliante.
 
Scegliere di accompagnare quella cavalcata verso il tramonto, con le note di Song of Sunset cantata proprio da Anita Mui è in linea con le dosi abbondanti di melò tanto care a Tsui Hark, ma anche il modo più spettacolare per render omaggio ad una breve epoca di creatività che aveva Hong Kong come ombelico del mondo e il 1989 come un anno chiave, non è un caso se proprio andando via sbattendo la porta, l’ex amico e compare John Woo, anche un po’ in risposta a questo film con il Vietnam sullo sfondo e il melodramma nel cuore, firmerà i suoi due film più intensi e riusciti, d’altra parte il noir d’azione di Tsui Hark e John Woo ci hanno insegnato anche questo no? Dalla competizione maschile può nascere di tutto, anche un altro paio di capolavori di cui non vedo l’ora di scrivere.

Alla fine di questo film, Chow Yun-Fat assorge completamente a modello di anti-eroe di Hong Kong. O forse all'inizio? Si tratta di un prequel.
 
Molto presto per altro, perché tra sette giorni questa rubrica tornerà sui binari prestabiliti per affrontare un titolo monumentale della filmografia di John Woo, ma capite da soli che questa doverosa deviazione era una tappa obbligata, bisognava rendere omaggio a dovere alla conclusione della saga di “A better tomorrow”, che poi è quello che chiunque spera di avere, un domani migliore.

10 commenti:

  1. Se devo essere sincero questa pellicola mi manca proprio, ne conoscevo l'esistenza ma non mi sembra di averla mai incrociata (almeno sul piccolo schermo). Però se garantisce ulteriori dosi di Chow Yun-Fat, anche se non coreografate dal Maestro Woo, allora me l'hai venduta comunque.
    Non ho molto da aggiungere, sicuramente l'ambientazione vietnamita può risultare interessante e anche l'innesto di un interesse amoroso può avere un perché, d'altronde il potere della "faiga" tira più di un carro di buồi vietnamiti... Buon venner

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Un po’ il destino di questo film, specialmente qui da noi in occidente, ragionando per autori e non essendo diretto da John Woo è stato ingiustamente ignorato. Gli preferisco i suoi due fratellini, ma è un bel film, gli echi Leoniani ci sono tutti e mi colpiscono sempre, capisci perché ho voluto scriverne no? Buon venerdì anche a te. Cheers!

      Elimina
  2. Rivedendo questi giorni i primi film del Jet Li produttore mi pare chiaro che le diverse scuole di Tsui Hark e John Woo hanno creato "fedeli": per quanto sia un maestro indiscusso, Yuen Woo-ping seguiva palesemente lo stile di Hark (anche se per fortuna non è matto col botto come lui), mentre Corey Yuen è palesemente per la scuola di John Woo, e tutti e due sono figli di Chang Cheh (amicizia virile, l'epica del combattimento uno contro mille, ecc.). Per quanto siano tutti grandi cineasti da togliersi il cappello, personalmente sono per il filone Woo, forse perché si rifà ad un'epica e a uno stile che noi occidentali possiamo capire molto meglio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Riassunto perfetto, per noi occidentale è più facile apprezzare Woo perché è davvero l'unico regista orientale che ragiona in termini di film da queata parte del mondo, ai suoi collaboratori non parla di film orientali, usa come esempi Mel ville, Hitch, a volte Antonioni (ne parleremo), per questo è diventato un ponte umanoide tra i due mondi. Cheers!

      Elimina
  3. John Woo spacca sempre e di brutto, mi piacerebbe vederlo, in seguito lo recupero, questo e altri film di John Woo, comunque, insieme a Michael Mann sono due assi del cinema action dobbiamo dirlo ^_^

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Senza ombra di dubbio, questo te lo consiglio anche solo per concludere la trilogia, anche perché è un ottimo film. Cheers!

      Elimina
  4. Essendo parte della trilogia non si poteva non includerlo, ovviamente. Un prequel che, a posteriori, ci mostra quale avrebbe potuto essere lo stile anche dei precedenti capitoli se solo fosse stato Hark ad avere la meglio: non ne sarebbero venuti fuori cattivi film, certo, ma personalmente rimango ancora oggi dell'idea che la scelta "Wooviana" sia stata la migliore ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Concordo in pieno, da qui il motivo della rubrica dedicata solo ad uno dei due, con tutti il rispetto per l'altro ;-) Cheers

      Elimina
  5. Metti insieme un gioello di John Woo e lo stile iperbolico di Tsui Hark e il risultato è lo stesso sorprendente, un melò quasi trattenuto dove l'action diventa ancora più spettacolare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Per quanto io propenda per lo stile di Woo, questo resta un filmone ;-) Cheers

      Elimina