Gli zombi. L’umorismo macabro. Anna Falchi. Suore
ammazzate à go go. Il sesso. L’amore. La morte. Anna Falchi. Teste zombi
volanti. Stragi di bambini. Motociclette. Tombe. Anna Falchi.
La Bara Volante fa scalo al cimitero di Buffalora e
a scavarvi la fossa ci pensa il nostro becchino di riserva:
Quinto Moro, a te
la pala!
Doverosa premessa per chi non avesse mai visto il film: è una roba. Una roba bizzarra, che si riassume bene in quel verso di Thom Yorke “I’m a creep, I’m a weirdo” eccetera. Non è un vero horror, anche se ci sono gli zombi ma non fanno paura, fanno parte della commedia. Ma non è una commedia, anche se c’è dell’umorismo scemo che fa concorrenza alle trovate di Ortolani. È un film tutto smandrappato, come il suo protagonista. Ma cominciamo dall’elefante nella stanza: Dylan Dog. Così vendevano “Dellamorte Dellamore” nel 1994: il film su Dylan Dog, giocandosi al massimo l’ingaggio di Rupert Everett, le cui fattezze avevano ispirato l’Indagatore dell’Incubo su carta.
Prima del detective londinese romantico e malinconico, l’autore di Dylan Dog, Tiziano Sclavi, aveva concepito la storia di un ugualmente romantico (ma decisamente più nichilista e bastardo) guardiano del cimitero, tale Francesco Dellamorte impegnato a rimandare sottoterra i “ritornanti”, defunti che non si sa bene perché vogliano ritornare in questa valle di lacrime. Scritto nei primi anni ’80, “Dellamorte Dellamore” non era proprio un romanzo, più un insieme di racconti in forma di sceneggiatura per un film o un fumetto. Il libro vide le stampe solo nel 1991, forte del successo esplosivo di Dylan che aveva reso spendibile il nome del suo autore.
Nel frattempo il personaggio originale – Francesco – e la sua forma definitiva – Dylan – s’erano incrociati nel 1989 sulle pagine dello Speciale n. 3 “Orrore Nero”, in una storia che omaggiava pure lo Scarface di De Palma.
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Tre volti di un personaggio tra fumetto, libro e film. |
Dato il buon successo del libro e col fumetto all’apice della fama, i tempi erano maturi per un film, ovviamente non sul fumetto, eh. Se c’è una cosa che nel nostro stivale bucato non abbiamo mai imparato, è dare al nostro patrimonio fumettistico la giustizia che meriterebbe in film e serie. Certo sempre meglio che buttarlo in mano a produzioni che piscino in testa a un soggetto senza nemmeno la cortesia di chiamarla pioggia (ogni riferimento a quello scempio che fu “Dylan Dog – Il film” di Munroe è assolutamente voluto).
Va detto che prendendo spunto dal libro di Sclavi, Gianni Romoli e Michele Soavi hanno avuto lo spazio di manovra per una sceneggiatura sgangherata e fumettistica nello spirito, con le immancabili filastrocche strappate agli albi (e agli anni) d’oro di Dylan Dog. Una sceneggiatura capace di dire qualcosa col suo folle mondo e i suoi personaggi, a cui lo stesso Sclavi diede il suo pieno apprezzamento.
Il Francesco Dellamorte del film è un Dylan che non ci ha creduto abbastanza ma con le stesse manie, la stessa pistola, il maggiolino Volkswagen, e come passatempo un rompicapo a forma di teschio anziché un galeone. C’è poi la spalla comica che si esprime a grugniti (antitesi del logorroico Groucho) e un ispettore di polizia che tiene il protagonista in simpatia, anche se non si sa bene perché. C’è il romanticismo e l’erotismo tutt'altro che velato perché Eros e Thanatos, si sa, vanno a braccetto.
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«Godimi ora, sub-creatura» (Cit.) |
Quando nel 1994 uscì il film, il regista Michele Soavi sembrava lanciatissimo nel panorama horror, già spuntavano i paragoni con Dario Argento che gli aveva pure ceduto la regia de “La setta”. Soavi, cresciuto a pane e horror, s’era fatto la gavetta come assistente di Lamberto Bava, dello stesso Argento e persino di
Terry Gilliam. “Dellamorte Dellamore” poteva essere la consacrazione, salvo poi rivelarsi il film con cui Soavi si congedò definitivamente dall’horror e dal cinema per un decennio, dedicandosi alle fiction tv in salsa poliziesca. Il film non raccolse i giusti dividendi presso il pubblico. Aficionados bonelliani a parte, era un prodotto difficile da inquadrare, non per le masse, e si portava addosso – con tanto orgoglio quanta avventatezza – un gusto del grottesco esagerato e una dose di malinconia ed esistenzialismo mica da ridere.
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Trentenni sull'orlo di una crisi omicida |
La regola cassidiana dei primi cinque minuti che determinano tutto l’andamento del film è rispettata: la farsa è servita dalla prima scena, col geometra che torna dalla tomba e si presenta alla porta del becchino con tanto di valigetta ventiquattro ore prima di beccarsi una pallottola in testa. Ciccio, sei morto, fattene una ragione. E perché vorresti tornare in vita poi? Per fare ancora il geometra? Torna sotto terra che qua fuori è un brutto mondo.
Per il becchino di Buffalora gli zombi sono ordinaria amministrazione, anzi lavoro extra, una gran seccatura. Francesco Dellamorte non è l’eroe che tiene al sicuro la cittadina dagli zombi, è un trentenne disadattato incapace di avere una vita al di fuori del lavoro che è tutto fosse e cadaveri. Niente di così orribile. Niente di speciale. Routine.
Dell’epidemia zombesca nessuno sa niente e Francesco tace per paura che gli chiudano il cimitero, tra indagini e moduli da compilare, certificati di ri-morte e Dio solo sa cos’altro. Visto l’oblio del genere zombesco nel cinema anni ’90, demitizzare e smontare a tal punto gli zombi l’ho trovato geniale, specie ripensando alla rinascita (e ri-morte) del genere nel nuovo millennio. Anche perché superato lo shock iniziale, se i morti tornassero in vita sul serio, cosa dovremmo farne? È già difficile trovare un buon posto di lavoro, ci manca solo che qualcuno torni a prenderselo dall’oltretomba, o che una vecchietta macilenta torni a reclamare la pensione da qui all’eternità. Il sistema pensionistico mi pare già abbastanza fottuto senza i ritornanti.
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La risposta definitiva alla burocrazia. |
Rupert Everett centra il personaggio in tutte le sue sfaccettature, dal lato comico a quello patetico, sino a quello più dolente e oscuro che emerge nel finale (nota di merito al fantastico doppiaggio di Roberto Pedicini). François Hadji-Lazaro che nella vita fa il musicista, dà al goffo Gnaghi una personalità irresistibile con una prova tutta fisica, ci restituisce tutta l’anima del bambino in un corpo adulto. La bromance tra becchino e assistente sopravvive alle turbolenze della morte e dell’amore, regalandoci un finale bello e malinconico (su questo ci torniamo). Ma il vero motore della trama, quello che spariglia le carte nella vita grigia dei personaggi è l’arrivo dell’amore, che ha la prorompenza sensuale della donna senza nome, archetipo ben incarnato da una Anna Falchi poco più che ventenne, femminilità strabordante una e trina. Sono infatti tre i personaggi che interpreta, tutti senza nome e contrastanti per carattere ed estetica, diverse incarnazioni dell’amore da quello più etereo e sognante a quello più vuoto.
Solo due anni prima, la Falchi era stata lanciata da Fellini in uno spot tv in cui interpretava, pensate un po’, la donna dei sogni dell’italiano medio grigio e sovrappeso che fu Paolo Villaggio. Fellini era un dritto, uno che vedeva lontano e molto chiaro. Per Anna Falchi, Dellamorte Dellamore era il primo ruolo da protagonista e ci ha messo tutta la convinzione possibile, mostrando (oltre alle prorompenti grazie) uno scorcio dell’attrice che non sarebbe mai diventata.
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Lei sarà pure vedova, ma noi siamo orfani dell’attrice che poteva essere. |
Michele Soavi, al netto di un budget modesto porta a casa il risultato, tra scenografie curatissime ed effetti artigianali, alcuni visibilmente posticci. Coi pochi soldi a disposizione Sergio Stivaletti – truccatore ed effettista di fiducia di Argento e Lamberto Bava – non poteva fare miracoli. Non mancano belle trovate visive e scene ben costruite, dal tetro ossario sgocciolante di teschi alle apparizioni della Morte.
Si nota chiaramente lo stacco tra quelle scene dirette con calma (nel cimitero) alla fretta da “buona la prima” delle scene nel paesello, con inquadrature ballerine e montaggio un po’ così. Eppure il tono farsesco rende il tutto accettabile, vedi la mattanza dei motociclisti che sa di parodia, come uno sketch alla Benny Hill versione splatter, che diventa delirio nella scena del funerale. Si va tanto sopra le righe che un effetto speciale brutto o una scena poco riuscita rientrano nella farsa e caspita, per me funziona.
Trovate sceme come la moto incidentata al posto della bara o la suora zombi presa a padellate sono impagabili. Dalla malinconia si passa alla messa in ridicolo del lutto, sino a momenti più tetri, col becchino che “si porta avanti col lavoro”, o il finale che fa emergere il lato più oscuro del protagonista.
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Soavi che cita Freghieri che cita Magritte. Nel film c’è pure un’altra citazione pittorica, a voi scovarla. |
Se vi addentrate per i gironi dell’infernet troverete tante altre pagine che parlano del film, anche meglio di quanto mi sarei aspettato, perché nonostante i modesti incassi è riuscito a costruirsi un discreto seguito, anche grazie al mercato home video. C’è qualcosa di viscerale in questa storia che va al di là della messa in opera. Si scherza e si ride della morte, si scherza e si piange dell’amore. La morte è una farsa, l’amore una tragedia e la vita il grottesco nulla tra i due estremi, sempre in sospeso tra poesie e barzellette.
Anche le parti più deliranti, con Francesco che pur di stare con la segretaria casta e sessuofoba è disposto ad evirarsi, raccontano le distorsioni mentali di noi maschietti, di un finto romanticismo malsano e distruttivo.
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Il fumo nuoce gravemente alla salute. Pure l’amore non scherza. |
Tra una sciocchezza e un dramma, la farsa di amore e morte arriva al finale quasi per caso. La palla di vetro vista sui titoli di testa torna sui titoli di coda, con Francesco e Gnaghi chiusi in una bolla che non è solo una rottura della quarta parete, ma dà un ulteriore senso al mondo che vuole raccontare. Buffalora non è che la piccola provincia (italiana e non) da cui sembra impossibile scappare. Il mitologico “resto del mondo”, un miraggio lontano impossibile da raggiungere perché, come diceva il buon Freccia in
un altro film, la voglia di scappare da un paesino con qualche migliaio di abitanti è la voglia di scappare da te stesso, e da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddy Merckx. Tanto le ossessioni sono sempre le stesse, i centri di gravità permanente sono quei tre: l’amore e il vino nero, e infine il cimitero.
«Non si è mai
abbastanza diversi, beh tu certo sei un caso a parte»
(il parere
estemporaneo non richiesto e rafforzativo di uno stramboide di nome Cassidy)
“Dellamorte
Dellamore” è un film strambo che piace agli strambi, infatti l’ho amato dal
primo minuto.
Certo un po’ hanno
contribuito la coppia di “ali” di Anna Falchi (sempre sia lodata!), ci ho messo quattro visioni
per rendermi conto che le spuntano proprio in prossimità delle spalle in quella scena lì, quella che ricordate tutti. Alle prime tre visioni ero distratto dalle bocce.
No, “Dellamorte Dellamore” parla proprio al
disallineato dentro di noi, quello che spera di risultare figo come Francesco
Dellamorte, ma molto più probabilmente somiglia a Gnaghi a cui dedichiamo il
post, non solo perché chiaramente uno di noi, ma anche perché l’attore e cantante
François Hadji-Lazaro, ci ha lasciati proprio quando
Quinto Moro ha consegnato
il post (storia vera). Chissà se dovremo attendere anche il suo ritorno?
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Come ci si riduce
dopo tanti anni a custodire la Bara, impari a trovare la poesia dove meno te l'aspetti. |
Francesco che
sognava di cambiare nome, perché Andrea Dellamorte suona meglio, è un
Eric Draven meno fan dei Kiss o un Patrick Bateman più proletario, non ci sono dubbi
su chi sia l’assassino, ma lui viene considerato troppo strano anche per essere
indiziato, anche se urla la sua confessione. La società attorno a lui è
troppo impegnata a ragionare per luoghi comuni, restando aggrappata alla vita,
al ruolo, a vecchi amori o alla poltrona, continuando ad ignorare uno
stramboide come lui.
Buffalora è la
provincia, ma anche uno strambo Paese a forma di scarpa, infatti trovo significativo
che il primo nome che balza agli occhi durante i titoli di testa, prima del
bell’inizio descritto da Quinto Moro sia quello di uno che ha segnato il calcio, la
televisione, sicuramente la politica e di conseguenza il cinema italiano. Un
politico come il sindaco Scanarotti interpretato da Stefano Masciarelli, con un
titolo che però non è quello di ragioniere. Non si sa cosa fa tornare in vita i
morti a Buffalora, allo stesso modo non possiamo dire con certezza che sia colpa di quel signore nei titoli di testa la morte di tutto quel cinema di genere nostrano, che piace a questa Bara, che è finito in una fossa, perché il gusto del pubblico è cambiato. Una volta
ci piacevano “sandaloni”, spaghetti western e guarda un po’, horror, ora
preferiamo il varietà, il bunga bunga e quei film che fanno tanto ridere e tanti soldi sotto Natale.
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Gli ultimi boy scout - Missione: morire |
“Dellamorte Dellamore” per me, resta l’ultimo
grande, piccolo culto del nostro cinema di genere, prima della fine della
filmografie dei nostri registi horror e prima di restare come Francesco e Gnaghi,
gli ultimi due stramboidi a cui piacciono ancora quelle storie piene di amore e morte.
Non si scappa da Buffalora, infatti siamo rimasti nel nostro cimitero a vegliare sui
cadaveri, su tutte quelle storie a cui Michele Soavi qui ha reso omaggio,
aspettando. Magari ritorneranno chissà, fino a quel momento vegliamo sulla Bara, in attesa del ritorno… GNA!
Bellissimo post, caro Quinto, per un film molto sottovalutato ma che ha un certo spessore (e non mi riferisco solo alle grazie della Falchi, che ricordo anche in una particina in Puerto Escondido, di un paio d'anni prima).
RispondiEliminaInutile dire che Dylan Dog in quegli anni era popolarissimo, dopo Topolino, quando si entrava nell'adolescenza e non potevi più dire di leggere le storie Disney, la tappa obbligata erano i fumetti amerigani, che però già costavano tanto ed era complicato stare dietro alle uscite, oppure quelli Bonelliani. Personalmente, però, sono sempre stato un Nathaneveriano, però di storie dell'indagatore dell'incubo ne ho lette molte. Quindi un film horror in cui il protagonista era "parente" del tizio che abita al numero 7 di Craven Road, con l'attore che lo ha ispirato e in più la "bonazza" della Falchi, non si poteva proprio mancare, in quegli anni...
Poi uno scopriva come hai scritto giustamente, delle sfacettature che non si aspettava: una certa nostalgia per la piccola provincia (quantomai apprezzata dal sottoscritto), una rappresentazione di un disagio psicologico al limite della misoginia non stereotipata (anche in questo caso con una valenza rilevante per chi scrive), dei personaggi "di sostanza" (non mi riferisco a Gnaghi!) e una storia che, per quanto semplice e anche un pò "ingenua" ti prendeva, merito anche di Everett, un attore a mio avviso molto sottovalutato...
Insomma una piccola "perla" che si distingueva dalla produzione italiana del periodo, che era comunque ancora piuttosto valida, se penso che il 1994 era l'anno de Il postino e di Una pura formalità, tra gli altri...
In ogni caso un film che rivedrei volentieri, peccato che non lo passino facilmente in Tv, onestamente non so sulle piattaforme in giro... Ciao
Diciamo che è rimasto nell'immaginario di una fetta di pubblico che l'ha preso bene, e dimenticato da un altro pubblico che l'ha archiviato come boiata.
EliminaUscisse oggi verebbe trucidato per le "sfortune in amore" di Dellamorte, che però raccontano molto bene molti aspetti dell'inadeguatezza maschile, fragilità e ipocrisie. L'ironia e il senso del grottesco fanno di ogni relazione di Dellamorte un'iperbole, un esempio di devianza folle che da romantica diventa antiromantica.
Everett ha fatto l'impossibile, ha centrato ogni sfaccettatura del personaggio.
Mi sembra che sia un film piuttosto divisivo, come si dice oggi: lo si ama o lo si odia. Probabilmente però è necessaria una seconda visione per apprezzare le sfumature che magari, a una visione distratta, possono sembrare dei grandi difetti.
EliminaPersonalmente non sono mai stato particolarmente prevenuto sul cinema in generale, su quello italiano nello specifico, per cui mi è piaciuto fin da subito... Semmai la mia avversione per il cinema italiano è arrivata negli ultimi anni, complice il fatto che sono meno tollerante, essendo più vecchio e più scaltro (almeno spero)!
Forse proprio la rappresentazione dell'aspetto della fragilità maschile, unita a una certa forma di immaturità, soprattutto a quei tempi, mi hanno colpito, più della storia in sé. Ajò!
Mah, il discorso sul cinema italiano per me è sempre lo stesso: la qualità è affidata ai singoli. Come industria in sè produce principalmente roba mediocre, commediole con personaggi tv trasformati in attori.
EliminaIn anni recenti ci sono stati anche ottimi film, in ordine sparso Il primo Re, Lo chiamavano Jeeg Robot, Il nido, Il traditore, Favolacce, ecc.
Però si tratta appunto del lavoro di singoli autori, non di un filone prolifico o una casa di produzione che investe stabilmente sulla qualità.
Mi sa che la tua teoria è corretta e anzi, ne approfitto per aggiungere al tuo elenco L'ultima notte di Amore, con un bravo Favino e un regista italiano di caratura internazionale.
EliminaLo hai già visto Daniele? Mi pare sia nei cinema da oggi. Cheers
EliminaEra in anteprima ieri al Cinema Ambrosio di Torino! ;)
EliminaIo ci abito davvero in un luogo che vanta tra le sue zone residenziali la frazione di Buffalora.C'era pure il capolinea degli autobus.
RispondiEliminaDetto ciò ,se questo commento al film fosse uscito all'epoca, FORSE avrei potuto comprendere il tentativo vanaglorioso di cercare il salvabile in questo disastro ferroviario plurimo in una galleria buia e stretta.
Senonché, considerando che i responsabili furono graziati della propria incolumità fisica dall'assenza di internet,e che in trent'anni si é potuto dimostrare cosa si potesse effettivamente fare con quelle proprietà intellettuali (vedi il lavoro dei The Pills) non trovo assolutamente modo di comprendere cosa si possa salvare di questa schifezza che non é "strana" bensí "NNÀMMERDA".
I dialoghi rivaleggiano con quelli di Alex l'Ariete, la "recitazione" é ridicola,la messa in scena pezzente oltre il tollerabile. E lo scrivo da NON fan di DD..La sola cosa utile che abbia costituito nel panorama cinematografico é diventare un paradigma di come vengono gestite le cose in Bonelli. E se qualcuno da poco ha visto il trailer della serie di Dragonero, sa di cosa parlo.
Un'altra cosa che parla da sola é la carriera di tutti i coinvolti in stò scempio da allora.
Eddaisú
.
Dove si firma perché tutti i film "di merda" fossero come questo qui? Ho già la penna pronta. Cheers
EliminaTu quoque,Cass
Elimina-____-'"
Esiste una nutrita fetta di persone che la pensa come te. E una altrettanto nutrita fetta di persone che ha percepito il film diversamente.
EliminaPunti di vista.
Io Kaley Cuoco perché quelli che hai elencato sono innegabili difetti, sono talmente lampanti che altrove li criticherei, ma in “Dellamorte Dellamore” diventano tutti suoi pregi, per non dire che sono motivi aggiuntivi validissimi a favore del film.
EliminaI dialoghi sono scarsi? Certo, di che possono parlare gli abitanti di Buffalora che sono dei vuoti penumatici identici ai miei colleghi che parlano solo di calcio (e pure per stereotipi). La recitazione scarsa? In qualche caso adatta ai personaggi portati in scena (tipo la macchietta di sindaco) in altri allineata al fatto che sono già tutti morti in attesa di ritornare.
Per non parlare del fatto che Soavi qui si rifà in tutto alla tradizione di quegli horror italiani che sono stati spazzati via dal progresso (… progresso?) e dal cambio di italici gusti. Sono innegabilmente dei difetti quelli che hai elencato, ma su questo film quei difetti calzano a pennello, tipo lo smoking ad un cadavere. Sul serio è bellissimo così, sghembo strano, storto e con alcuni attori che ridoppiano loro stessi, ho qui la penna pronta giuro! ;-) Cheers
SpiaZe ragaZ, ma "é bello perché é brutto" e "fa schifo & imbarazzo ma nel frattempo é uscita una montagna di merda peggio e allora guardiamolo con affetto",non sono esattamente argomenti convincenti.
EliminaNon lo sono anche perchè non sono affatto quelli che ho portato io come argomenti, ma proprio zero, perché il paragone con il peggio io non lo faccio MAI. Che non ti piaccia il film è sacrosanto, ma la frittata rivoltata no. Cheers!
Elimina"perché quelli che hai elencato sono innegabili difetti, sono talmente lampanti che altrove li criticherei, ma in “Dellamorte Dellamore” diventano tutti suoi pregi, per non dire che sono motivi aggiuntivi validissimi a favore del film. [...] rifà in tutto alla tradizione di quegli horror italiani che sono stati spazzati via dal progresso (… progresso?) e dal cambio di italici gusti. Sono innegabilmente dei difetti quelli che hai elencato, ma su questo film quei difetti calzano a pennello,"
EliminaHai ragione tu Cass, chissà dove mai ho potuto prendere certe idee...Scemo io
....(e ce l'avevo anche con Quinto,+ che altro)
Appunto, non è quello che ho detto, i difetti di questo film se li porta bene e diventano dei pregi, una frase ben diversa dal "So bad is good", bello perché brutto, l'ho anche argomentato, quindi ribadisco che non faccio paragoni con il peggio, penso di essere stato molto chiaro in quello che volevo dire, quindi ribadisco: zero frittatone! ;-) Cheers
EliminaA me piace nella sua bruttezza, ed è ciò che ho tentato di spiegare senza osannarlo o negarne i difetti. Ho portato un punto di vista, non intendo convincere i lettori che il mio sia il migliore. Si può discutere anche dell'opera più brutta del mondo osservandone gli elementi.
EliminaTante volte vedo un film che mi piace, e poi non lo guardo mai più. Questo invece l'ho rivisto tante volte, cercando di capire cosa mi affascinasse, più degli oggettivi difetti della confezione.
Se per te è nammerda, legittimo, non sei l'unico a pensarla così. Io non ti dirò che non capisci niente mentre io ho capito tutto. Non è quello lo scopo. Non parliamo di film per essere tutti d'accordo, o per imporre un solo punto di vista.
Allora, premetto che non lo riguardo dal primo passaggio a Notte Horror, quindi direi dal 1995/1996? Avevo 14/15 anni, adoravo Dylan Dog, la Falchi mi stava sulle palle a livelli stratosferici e vedere Masciarelli in un film, per di più horror, era per me l'apice del trash. Non ci avevo capito una favazza e l'unica cosa che ricordo bene, oltre alla convinzione di aver guardato una pu**anata incredibile che col mio amato Dylan non aveva nulla a che spartire e i GNA! del povero Gnaghi, sono le bestemmie tirate all'ingresso di mia madre in camera, che ha giustamente pensato stessi guardando un porno. Ciò nonostante ho acquistato il DVD qualche anno fa. E' lì, ancora incartato, che mi guarda, in virtù di tutte le recensioni come questa, che ritengono Dellamorte Dellamore un cult ingiustamente sottovalutato. Credo proprio gli ridarò una chance per la Notte Horror di quest'anno.
RispondiEliminaHo evitato accuratamente sia di definirlo cult che di definirlo sottovalutato.
EliminaI limiti sono evidenti, ma rientra in una categoria di film in cui i difetti fanno farte del suo stesso fascino.
Quando lo vidi la prima volta probabilmente non piacque neanche a me, ma non somigliava a niente che avessi mai visto, certe cose mi avevano affascinato e lo rividi più volte, trovandogli una personalità che manca a molti altri film.
Quando si dice "so bad it's good"
Sarebbe una grande scelta per la Notte Horror ed è puro materiale da Bollalmanacco. I difetti che ricordi sono ancora tutti lì ma come scrivevo lassù, per me sono addirittura dei suoi pregi, dovessi scommettere l'ideale dollaro, penso che se deciderai di rivederlo, finiresti per apprezzarlo unendoti alle schiere di chi non ha mai lasciato il cimitero di Boffalora, vediamo se azzecco una previsione ;-) Cheers
EliminaMai visto se non per qualche frame, ma il pezzo del Quinto Moro mi ha convinto a recuperarlo in qualche modo. Ho letto Orrore Nero e penso che Gio Freghieri si sia ritratto nel Dellamorte del fumetto. Avrebbe potuto usare la maschera marcata di Antonio Gades (il proto Dyd disegnato da Claudio Villa sostituito con Everett dopo che Tiz Sclavi aveva visto Another Country al cinema), personalmente avrei gradito un Trintignant o un Capolicchio che fa tanto Avati prima maniera. Non ho mai letto il romanzo e credo sia esaurito. Pazienza. Sono ottimista e credo che la recente campagna per sdoganare un cinema di genere e di generi con budget adeguato ed ambizioni di conseguenza che ha in Favino il suo portavoce ci porterà da qualche parte. Spero un giorno di leggere uno spillato a 64 tavole massimo formato Morgan Lost novels in b/n con le storie di Dellamorte disegnate da Piccioni, Fubi, Rincione, Officina Infernale etc. Ciao ciao
RispondiEliminaIl romanzo non è proprio un romanzo, sembra un insieme di bozze di sceneggiature per Dylan Dog con un protagonista molto più oscuro, e il film si ispira solo a certi brani. Lo si trova in pdf online perchè nelle librerie non c'è mai passato se non in quei primi anni '90.
EliminaI limiti del budget sono evidenti, anche se non sono riuscito a trovare le cifre ufficiali. Il mestiere della crew ci ha messo una pezza dove possibile, Everett ha tenuto in piedi il tutto dandogli una profondità e un'ironia che salvano il tutto. Con qualunque altro attore sarebbe stato una boiata.
Il pezzo è molto bello. Il problema del film secondo me è tutto nelle aspettative. Se ti aspetti Dylan Dog, questo non è Dylan Dog, anche se di sicuro gli si avvicina di più di quella schifezza di film che porta il suo nome.
RispondiEliminaIl libro, 169 pagine scritte larghe come scrivevamo noi quando dovevi far vedere alla prof che avevi fatto un tema lungo, lo pagai 22 mila lire nel 1991. Un vero furto, ma almeno è cucito e con la copertina rigida, edito dalla defunta Camunia, e mi sa che nessun'altra casa editrice lo ha mai ristampato.
Avendo letto il libro, sapevo cosa aspettarmi, anche se non credevo mai che avrebbero messo in scena l'evirazione del protagonista, che poi va a prostitute! E come fa? Fa come le donne, dice Sclavi (per bocca del suo protagonista) che "hanno quest'arma che vale più della mia Bodeo, che possono fingere di far l'amore. Ma poi ho scoperto che posso fingere anch'io".
Il film per me si conclude meglio del libro, e anche se non arrivo a definirlo sottovalutato, non ho mai capito tutto l'astio che si porta dietro. Le battute di un delizioso umorismo che più nero non si può, sono una via l'altra, gli effetti speciali forse non stupiscono per i colori ultravivaci ma di sicuro sono migliori di tanta CG di adesso, e invecchiati pure meglio, e non peggiori di tanti film dell'epoca. È un film grottesco e surreale, con un protagonista scazzato, ma romantico, stufo della gente (quella maledetta vecchia con le stampelle!) ma sentimentale, indifferente ma non troppo, con un comprimario perfetto (ciao François).
Quando si parla di questo film, si parla sempre delle tette della Anna, a ragione per carità, del resto ho sempre pensato che fosse perfetta per il film, che con quei lineamenti sembrava proprio disegnata da Freghieri, che fa le donne tutte uguali, ma tutte bellissime. Ma non si parla mai del bellissimo fisico di Rupert Everett, muscoloso e definito senza essere pompato. Scusate ma mi sembrava doveroso. E poi sarà anche vero che il suo viso ha ispirato Dyd, ma io il Dylan Dog disegnato più somigliante a Rupert l'ho trovato solo nel n. 408 "Scrutanto nell'abisso" dove Marco Soldi fa un lavoro davvero impressionante, e la storia non è neanche male.
Ovviamente conservo la registrazione in prima Tv del 3 settembre 1996 su Italia 1 del film, e ogni tanto me lo rivedo. Ma non saprei indicare l'altro quadro segnalato da Quinto Moro, del resto non ci sapevo neanche il primo 😅
Ho letto il libro nel 2020, messo online per far passare il tempo alle persone, ottima iniziativa che in quel periodo andava forte, sono d'accordo con la tua descrizione e quella di Quinto Moro, devo dire però che lo stile di Sclavi è subito riconoscibile, trovate surreali riesce a farle funzionare, lo sa solo lui come. Cheers!
EliminaEh, accidenti, nessuno ha colto la sfida del quadro numero due, ma difficile se non lo si è visto di recente.
EliminaE' "L'isola dei morti" (che altro poteva essere?), che diventa un elemento di scenografia, una specie di fontana proprio all'inizio della scena "angelica" dei due amanti.
Io ci sono arrivato solo di recente.
Ah allora sono stramba... Grazie, per me è un onore esserlo, anche perché ho amato moltissimo questo film, visto con calma da sola a casa mia. E un film particolare 3 deve essere visto in un certo modo.
RispondiEliminaCi starebbe una citazione a Lawrence d'Arabia sulle persone "normali", quindi benvenuta stranezza ;-) Cheers
EliminaBellissimo pezzo per un bellissimo film. Poi io penso che Soavi sia davvero un fuoriclasse, quindi magari sono di parte... Ma questo film se a tratti sembra strampalato è perché ti immerge nelle sensazioni incoerenti del sogno (o dell'incubo) e i rimandi di similitudini tra provoncia e sogno ha una tradizione illustre in Italia. Non so se ha senso quello che ho scritto ma il film è bellissimo, Soavi numero uno e Anna Falchi numero due(abbondanti) .
RispondiEliminaLo penso anche io, sarà che sono cresciuto in provincia ma anche secondo me Soavi è davvero bravo e qui si è mosso in un terreno difficile e in parte inesplorato per il nostro cinema, tra horror e commedia, ha trovato il giusto equilibrio. Anna Falchi direi anche quarta abbondante, anche il Maestro Russ Meyer avrebbe approvato. Cheers!
EliminaA Sclavi il film piacque molto, diceva che se avesse continuato con Dylan gli sarebbe piaciuto portarlo più sulla commedia e meno sullo splatter, e il film va in quella direzione.
EliminaUna volta un regista italiano (non ricordo chi) disse che un autore provinciale racconta sempre il suo essere provinciale, anche se non sono del tutto d'accordo. Poi c'è sempre modo e modo di raccontarla, la provincia. Dopotutto l'Italia è la provincia di se stessa.
Ne ho un ricordo a suo modo tenerissimo, anche perché ne parlavo con un amico che oramai non c'è più.
RispondiEliminaCerto... Fu strano spiegare ai miei perché stessi guardando un pornosoft con Anna Falchi...
In effetti quello potrebbe creare qualche imbarazzo ;-) Cheers
EliminaChe DYD abbia fatto da "traino" pubblicitario al film è innegabile, com'è però altrettanto innegabile (per me, almeno) quanto fosse chiaro sin dall'inizio che il protagonista di tutto sarebbe stato Francesco Dellamorte e NON l'indagatore dell'incubo, ragion per cui sono riuscito a gustarmi le (dis)avventure di Francesco senza "filtrarlo" con gli occhi di Dylan, come invece può essere successo ad altri. Di sicuro, ai tempi non potevo immaginare che “Dellamorte Dellamore” avrebbe praticamente rappresentato (senza colpe da parte sua, sia chiaro) il canto del cigno dell'horror cinematografico di casa nostra... :-(
RispondiEliminaEra talmente chiaro che mi stupisce che ancora oggi, i detrattori lamentino che non è DYD. Più o meno come andare a vedere l'ultimo Batman e lamentarsi perché il protagonista non è l'Uomo Ragno. Tutti questi anni e molti ancora devono farsene una ragione ;-) Cheers
EliminaRicordo le pubblicità in tv, dicevano "il personaggio/la storia che ha ispirato Dylan Dog". Mi ricordo anche commenti tipo "è il film su Dylan Dog ma nel film non si chiama così", cose così.
EliminaCominciai a leggere DYD prima o poco dopo aver visto il film (non al cinema purtroppo) quindi ho sempre visto il film come qualcosa a sè.
Però per l'ultimo Batman, effettivamente uno va a vederlo per l'"altro" Batman!! ;)
EliminaChe poi mi sono pure sbagliato, è The Flash... Però il succo è lo stesso, si va per Keaton!!
EliminaAppunto mentale, mai più fare esempi con Batman. Cheers!
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