Dopo la pausa Natalizia, possiamo riprendere il filo del discorso, quindi ben ritrovati e bentornati al nuovo capitolo della rubrica… Life of Brian!
Quando distribuivano la caparbietà, il nostro Brian da Newark era il primo della fila. Incassato il clamoroso insuccesso di Vittime di guerra, la sua strategia di scegliere un nuovo soggetto “sicuro” (virgolette obbligatorie) si delinea in maniera netta, in questo caso la scelta ricadde su un titolo su cui anche Hollywood aveva messo gli occhi da tempo.
Tom Wolfe, dopo una carriera intera come noto saggista, giornalista e critico d’arte, sfornò la sua prima opera di narrativa solo nel 1987, quando ormai il livello di stima nei suoi confronti da parte di chiunque stava già alle stesse. “Il falò delle vanità” divenne un successo editoriale nel tempo di uno schioccare di dita, premiato, amatissimo e vendutissimo, sembrava già pronto per Hollywood, a patto di trovare qualcuno di in grado di affrontare l’impresa. De Palma non aspettava altro.
Il compito di adattare il romanzo in una sceneggiatura venne
affidato a Michael Cristofer, autore vincitore di un Pulitzer nel 1977 e futuro
regista, il progetto aveva tutto il supporto da parte della Warner Brothers che
inizialmente aveva approvato a De Palma tutto il supporto necessario per la
scelta degli attori, ma soprattutto la durata del film. Cristofer e il nostro
Brian erano al lavoro per un titolo che sarebbe durato tre ore, almeno fino a
quando a quelli della Warner non è presa la strizza: troppo lungo, scendete a
due ore. Come si dice in questi casi: quando piove grandina.
De Palma, tornato a New York per dirigere un grande film con la Warner, decide che se lo vogliono fuori dal progetto, dovranno cacciarlo, ma la casa di produzione sa bene che così facendo dovrebbe comunque pagare per intero il suo compenso, quindi inizia un testa a testa che De Palma nel documentario del 2015 che porta il suo cognome, ha paragonato al bagno di sangue legato alla produzione de “L'orgoglio degli Amberson” (1942), paragonandosi ad Orson Welles più che altro per la sfiga.
Coltello tra i denti, De Palma riesce spuntarla su alcuni nomi del cast, ad esempio un’attrice che lui stesso aveva contribuito a lanciare come Melanie Griffith torna ad essere diretta da lui nel ruolo di Maria Ruskin, così come F. Murray Abraham già visto in Scarface. Tom Hanks, fortemente voluto dalla Warner per il ruolo del protagonista Sherman McCoy è uno dei pochi nomi che mette d’accordo tutti, tanto che De Palma, le poche volte in cui rilascia interviste su questo film, spende parole buone sulla cortesia e professionalità di Hanks, poi, se può, passa ad altri titoli della sua filmografia e di sicuro non parla di Bruce Willis.
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Viviamo nell'universo parallelo in cui questi tre grandi nomi, sono stati considerati pessime scelte di cast. |
Per lui Bruno proprio non era quello giusto per il ruolo di Peter
Fallow che, poi, è anche una delle maggiori critiche che sono state mosse al
film da chi ha letto e amato molto il romanzo, non sono tra quelli, quindi non
posso fare i paragoni diretti, ma è chiaro che con un film dalla durata quasi
dimezzata molte parti del romanzo siano rimaste fuori dalle porte dei cinema,
in particolare perché De Palma in accordo con Michael Cristofer ha deciso di
eliminare la parte più drammatica della storia, quella ispirata a “Il processo”
di Kafka, giocandosi le sue carte in un modo differente, ma decisamente satirico.
La storia è quella di Sherman McCoy (Tommaso Matasse) che è molto più di un operatore di Wall Street, lui si considera uno degli Dèi dell’universo, normale quando guadagna milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati al giorno sulle commissioni e vive nel lusso più sfrenato. Il nostro ha una moglie fatta a forma di Kim Cattrall (scusate se è poco), un bassotto e sei linee telefoniche nel suo maniero, ma esce sotto la pioggia battente trascinandosi dietro il ben poco volenteroso cane come scusa per chiamare la sua amante Maria Ruskin (Melanie Griffith), moglie del magnate Arthur Ruskin, da un telefono pubblico.
Ma i guai veri cominciano quando a bordo della sua Mercedes
insieme all'amante, Sherman sbaglia strada e finisce nel Bronx, presi dal
panico per l’assenza di facce bianche intorno a loro e da un mezzo tentativo di
rapina, combinano un gran casino e investendo con l’auto uno dei due aggressori,
lo mandano dritto in coma. Solo per i titoli dei giornali il giorno dopo, la
stampa ci va a nozze con questo incidente, dando il via ad una gogna mediatica
in cui dalle mie parti si direbbe che il più pulito c’ha la rogna, visto che
mentono tutti, senza differenza di colore della pelle, ceto sociale, sesso o
religione.
Il reverendo Bacon (John Hancock) ne approfitta per dare addosso ai bianchi ricchi, visto che l’avvocato gli ha consigliato di fare causa all'ospedale in cambio di un risarcimento milionario per la famiglia dell’uomo in coma, ma una volta lanciato il sacco giù dalla collina, si trasforma presto in una valanga inarrestabile.
Il procuratore Weiss (F. Murray Abraham) è pronto a sfruttare la storia per fini elettorali, mentre il giornalista molto avanti lungo la via del suo alcolismo Peter Fallow (Bruce Willis), intravede l’occasione per dare una svolta alla sua carriera prossima al fallimento.
Costato quarantasette milioni di fogli verdi con sopra altrettanti primi piani di ex presidenti, “Il falò delle vanità” nei botteghini ne porta a casa poco più di quindici ed è qui che De Palma capisce davvero cos'ha passato il suo protagonista Sherman. La Warner che ha tagliato il minutaggio e voluto Willis addossò la colpa al regista, trattandosi di un film appena un filino satirico, il nostro Brian da Newark riuscì nell'impresa di far incazzare tutti: ricchi bianchi, poveri di colore, la chiesa e le associazioni femministe che già non lo hanno mai guardato di buon occhio per le rasoiate rifilate alle protagoniste nei suoi film. Poi chiedetevi perché De Palma non parla volentieri di questo film.
Nel già citato documentario del 2015 diretto da Noah Baumbach
c’è un passaggio chiave, De Palma afferma: «Dissero che non avevo capito il
libro», pausa scenica, «lo avevo capito benissimo», con un certo malcelato
grado di rancore nella voce e nello sguardo (storia vera). La verità è che il
pubblico non voleva premiare al botteghino un film che spiattellava davanti agli
occhi di tutti, le ipocrisie della società occidentale così bene. “Il falò
delle vanità” brucia e si alimenta dell’edonismo dell’era Reaganiana, non è un
caso che sia uscito proprio nel 1990, come a voler fare il punto e chiudere il
decennio dei Jeans a vita alta appena concluso, ma anche con la capacità di anticipare
quello appena iniziato, in cui la stabilità del pianeta sarebbe stata messa a
dura prova dalle tensioni razziali e le rivolte di Los Angeles, da un
presidente troppo espansivo con le sue altrettanto espansive stagiste e che è
terminato con una bella guerra santa contro l’Afghanistan, ma va bene anche l’Iraq,
anzi meglio perché ha più petrolio.
Tutta roba presente nel romanzo di Tom Wolfe che De Palma fa esplodere in faccia al pubblico, epurando il dramma che era parte del libro e giocando tutto su irridenti toni da commedia, pochi film hanno saputo con così largo anticipo mostrare l’atteggiamento alticcio e strafatto degli “psichedelici” anni ’90, che sono stati la frenetica rincorsa prima di inciampare (di faccia) nel burrone.
In tal senso, i cinque minuti iniziali sono davvero quelli che ne determinano tutto l’andamento, Brian De Palma tiene pienamente fede a questa regola non scritta, infatti fa iniziare il suo “The Bonfire of the Vanities” con un lungo e bellissimo piano sequenza, dove la macchina da presa segue un Bruce Willis ubriaco e molesto, tra salmone, donnine e mal di testa da sbronza in corso chissà da quanto. Un’unica lunga sequenza che inizia dietro le quinte dove si può dire tutto e finisce in un bagno di folla, tra applausi e fotografia, un trionfo per il più biasimevole dei personaggi, il film di De Palma sta davvero tutto qui. Poi, sarà anche vero che al nostro Brian, Bruno non andava bene, ma tra un dopo sbronza e la faccia di “tolla”, il giornalista di Bruce sembra stare a metà tra Joe Hallenbeck e il chirurgo di La morte ti fa bella, a mio modesto parere, davvero prefetto. Scusa Brian!
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Ditemi quello che volete, ma Bruno sarà sempre uno degli eroi della Bara anche per prove come questa. |
Una volta capito il gioco, tutto ha un suo satirico senso, anche la battuta di Melanie Griffith prima della rapina nel Bronx pre-gentrificazione («Sherman, dove sono finiti i bianchi?») o il fatto che il giudice al processo (che qui si esibisce nella parodia delle arringhe da Legal-Thriller), sarà anche interpretato da Morgan Freeman, ma il suo personaggio si chiama comunque White.
Se mi è concessa una piccola parentesi personale, preferisco
di gran lunga il De Palma che affronta i generi, anche quelli apparentemente
distanti dai suoi thriller come i film di
guerra o di gangster, ma forse
per mia naturale preferenza per il cinema di genere. Eppure, la commedia è una
parte fondamentale del film Depalmiano, commedia per altro quasi sempre
fortemente satirica, quindi, per certi versi, “Il falò delle vanità” non sarà mai
il mio De Palma del cuore e forse il pubblico si aspettava qualcosa con più
battute in senso classico, un titolo con tante facce note con cui farsi quattro
sane risate.
In realtà, tutto è un'enorme presa per i fondelli alla società, proprio come nelle prime commedia di stampo Godardiano di De Palma, per altro molto in linea con il cinema del regista del New Jersey, perché anche qui la sua celebre massima è pienamente rispettata: «La macchina da presa mente in continuazione, mente ventiquattro volte al secondo» anche perché in questo caso, sono tutti i personaggi del film a mentire per interesse.
Tra vizi privati e pubbliche virtù, ognuno mente per un suo
tornaconto personale, il procuratore per la carriera, Marie per salvarsi visto
che a guidare la Mercedes in retro senza guardare era lei, Peter Fallow per
salvarsi la carriera e guadagnarsi la fama, la moglie di Sherman consapevole
dell’amante del marito, non parla perché sa che il divorzio sarà milionario.
Proprio come la macchina da presa (e quindi il cinema stesso) tutti i
personaggi coinvolti in questa farsa mentono, tanto che uno dei dialoghi chiave
lo ribadisce: «Se la verità non ti rende libero, menti.»
Tutto questo viene raccontato da De Palma con le trovate barocche tipiche del suo cinema che qui risultano ideali per una storia in cui tutti difendono con le unghie e con i denti la propria virtuosa apparenza, infatti dopo il piano sequenza iniziale di cinque minuti, non mancano inquadrature ricercate dal basso (come quella sul reverendo che tuona il suo sermone) oppure lo “Split screen” durante la scena all'opera, quella dove Sherman ha un attacco di coscienza (colpevole) mentre il tenore canta «Pentiti! Pentiti!»
Rispetto al romanzo, l’uso dei nastri forse risulta semplificato,
ma proprio per questo risulta ancora più satirico, forse il problema di “Il falò
delle vanità” è tutto di aspettative, chi da nomi come Hanks, Willis e lo
stesso De Palma si aspettava altro (un po’ uno dei grandi crucchi della
carriera del regista del New Jersey), ma anche chi ha amato molto il libro e
voleva trovare qualcosa di più aderente, perché di sicuro con il suo approccio
De Palma ha dimostrato di averlo capito il libro, alla faccia delle critiche.
Forse il modo migliore per apprezzare “Il falò delle vanità” è avere in chiaro come sia riuscito a sfottere gli anni ’80 appena conclusi, ma allo stesso tempo anche i ’90 appena iniziati, sicuramente non è il film orribile costato quarantasette milioni di dollari da cui la Warner ha cercato di prendere le distanze e poi ha un merito, sicuramente non voluto e non ricercato da nessuno: quello di aver tracciato la rotta del resto della filmografia di De Palma che da qui in poi alternerà un progetto magari più piccolo e sentito, ad un altro più grande e sicuro al botteghino. Senza questa tranvata in faccia, forse, non avremmo mai avuto quello che, pistola alla tempia, potrebbe essere uno dei miei due o tre film del vecchio Brian del cuore, ma di questo ve ne parlerà una delle mie personalità la prossima settimana, non mancate!
ANCHE SE SI TRATTA DI UN FILM MINORE DI DE PALMA, HA AVUTO MENO DI QUEL CHE MERITAVA. FORSE BRIAN AVREBBE POTUTO GRAFFIARE DI PIU', SPECIE NELLA PARTE FINALE. COMUNQUE NONOSTANTE TUTTO RESTA UN FILM GODIBILE CHE SI METTE IN TASCA MOLTE PSEUDOCOMMEDIE INGUARDABILI DI OGGI. E POI LA GRIFFITH NEI SUOI ANNI MIGLIORI, CON OMICIDIO A LUCI ROSSE E UNA DONNA IN CARRIERA.BUONA SETTIMANA
RispondiEliminaForse viene considerato tale per via del bagno di sangue al botteghino, di sicuro non era stato pensato per esserlo, anche se preferisco di gran lunga De Palma alle prese con il thriller, questo film è ancora pungente ;-) Cheers
EliminaCirca 8h fa, condivido questa notizia commentando garrulo: "TOH: ECCO QUEL CHE UN TEMPO CHIAMAVANO IL FALÒ DELLE VANITÀ"
RispondiEliminahttps://marineindustrynews.co.uk/it/luxury-boats-destroyed-marbella-fire/
é pazzesco...O_o
Sarà che il libro era un dichiarato saccheggio/spin off de Il Grande Gatsby aggiornato al Yuppismo ma non arrivava a spazzolargli nemmeno le suole delle church non oxford.
Sarà che Tom Hanks già allora coltivava quel suo particolarissimo talento nel riuscire a sterminarmi ogni scampolo di interesse da un film con il solo accenno di utilizzo del suo sguardo idiota.
C'é poi il fatto che il povero Bruce da questo personaggio non é quasi piú uscito per tanti versi e aggiungici che Melania rappresentava la summa di quello che mi terrorizza in una donna: biondaggine,ritardo mentale,mascellone,fatuità e occhio lesso.
Non ricordo mai volentieri che questo caposaldo del costume d'epoca sia di Brian, fu una grossa delusione per me.
Ma fece anche storia per l'ennesima volta,a giudicare da quanto poi ne hanno rubato pure da qui tutti,dopo..
Per una volta che vado a letto presto, perdiamo Marbella e la figlia del Re, che brutto risveglio e che azzeccato esempio di falò delle vanità. Eh in effetti Bruce forse non stava completamente recitando, mettiamola così, in ogni caso si, sarà anche stato un disastro ma ancora in tanti allungano le mani dal buffet di De Palma. Cheers!
EliminaVedi?Vedi? Un'altra famiglia devastata da Tom Hanks.Tutta colpa del suo ascendente su Elvis. ;-P
EliminaTom Hanks, uno degli Occulti Supersovrani dell'Universo ;-) Cheers
EliminaRicordo che all'epoca questo film è stato leggermente pubblicizzato, fra riviste e TV era impossibile non conoscerlo, e visti i tanti grandi nomi coinvolti all'epoca lo aspettavo con discreto interesse. Non ricordo se l'ho noleggiato in videoteca ho aspettato il passaggio TV, so solo che alla fine in famiglia non ci siamo esaltati più di tanto. L'abbiamo visto con piacere ma niente di più, anche perché era il 1990 ed eravamo circondati da capolavori, potevamo permetterci di arricciare il nasino :-P
RispondiEliminaRicordo il bel piano sequenza, non vorrei sbagliare ma potrebbe essere il primo che ho visto (quelli di Hitch li avrei apprezzati solo anni dopo, nei recuperi su Tele+1) anche perché all'epoca non lo facevano TUTTI, come oggi, quindi era un vezzo registico che si notava.
Onestamente non lo rivedo da allora e non ho alcuna curiosità di farlo: essermi gustato la tua recensione vale come "ri-visione"? :-P
Appena appena pubblicizzato, giusto un po’! Chiediamo al giudice di gara? Il signor De Palma approva, anche perché è il primo che ti direbbe di rivederti altri suoi film, tipo quello che arriverà la prossima settimana qui sopra. Esatto, niente digitale, solo talento, quello che a Brian da Newark non è mai mancato ;-) Cheers
EliminaHe si la prossima settimana Brian torna a giocare sul terreno di casa. Quindi è quasi imbattibile
RispondiEliminaPost già in rampa di lancio. Cheers!
EliminaCome per Lucius-bro, ricordo anche io la campagna mediatica "prepotente" riservata a questa pellicola. Che poi molto era legato al fatto che Bruno era uno dei divi più caldi del momento, secondo forse solo al Kevinone nazionale, quindi ogni film dove era presente veniva pompato oltre l'inverosimile per allargare il più possibile la platea del pubblico pagante.
RispondiEliminaSinceramente pur essendo un suo grande fan, ho sempre avuto un approccio tiepidino, forse anche dovuto alla recensioni non così entusiastiche dell'epoca...
O forse perché Bruno alla fine era co-protagonista ma con molto meno spazio di un Hanks che non era ancora diventato Mr. Forrest Gump, quindi all'epoca era sì un buon attore, ma per commedie per famiglie e poco più (ricordo un Big visto al cinema un paio d'anni prima)...
In ogni caso ricordo che lo vidi una sola volta in TV molti anni dopo e non mi lasciò molto...
Ciao
In quella porzione della sua carriera, Tommaso Matasse era nella terra di mezzo tra le commedie giovanili dove faceva lo scemone e il suo futuro ruolo di Jimmy Stewart 2.0 vincitore di Oscar a go go.
EliminaGuarda caso in quel momento di “indecisione” arrivarono tre dei suoi film che preferisco: L'erba del vicino, Turner e il casinaro e “Joe contro il vulcano”. Cheers
"Joe contro il vulcano " é all'origine del mio cataclismatico rapporto con Hanks: un capolavoro di sceneggiatura,comprimari e situazioni rovinate da un cialtrone di PROTAGONISTA.L"ODIO ><
EliminaSu "Joe contro il vulcano" la penso come Giocher: molto bello film per idea e personaggi, però Matasse era proprio fuori parte. L'erba del vicino è effettivamente un piccolo Classydo (chiedo scusa per la citazione), se non altro per la direzione del maestro Dante, di cui ho rivisto da poco Gremlins, ancora dà tanti punti a molti film di mostriciattoli (rimanga tra noi), mentre a Turner e il casinaro ho sempre preferito Un poliziotto a 4 zampe. Anche se, effettivamente, la vera svolta per Matasse è con Philadelphia del 1993...
EliminaForse ho avuto la fortuna di scoprire quel film da un passaggio tv, senza avere nessuna aspettativa. Cheers!
Elimina"Un poliziotto a 4 zampe" simpatico, ma sono #TeamHooch tutta la vita, spiegavo il perché nel post, ti risparmio la noiosa replica ;-) Cheers
EliminaUn'ottima occasione per leggere un tuo post che mi mancava! Ti scrivo dalla Bara di là!
EliminaCi vediamo di là ;-) Cheers
Elimina"Fantastici quegli anni" capita spesso di sentir dire riguardo alle operazioni nostalgiche, dove "quegli anni" poi vengono in genere filtrati, ripuliti e idealizzati ad hoc per darne l'immagine spendibile presso un pubblico che raramente li ha vissuti davvero. Cosa di certo ben diversa da quella fatta qui da Brian, con il suo sbatterti in faccia "quegli anni" in tempo REALE quando erano ancora in corso e, evidentemente, a nessuno piaceva conoscere davvero cosa si nascondeva sotto il tappeto di tutto quello scintillante edonismo ormai arrivato al capolinea: questo, alla fine, è stato il vero "problema" del film, non l'assai pretestuosa accusa di mancata comprensione del libro né tantomeno il presunto miscasting...
RispondiEliminaAllora alla settimana prossima, con tutte le personalità al loro posto (io penso di portarle, le mie cinque) ;-)
Stai per caso parlando di Stranger Things? :-P Scherzi a parte hai ragione, mentre leggevo mi sono venuti in mente un paio di titoli che hanno floppato male proprio per quello, costringevano il pubblico a fare i conti con loro stessi, alcuni li ha anche diretti De Palma, questo è uno di quelli ;-) Cheers
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