venerdì 9 dicembre 2022

Vittime di guerra (1989): la guerra a cosa serve (assolutamente a nulla)

Lo abbiamo affrontato in tutte le rubriche monografiche dedicate ad ogni regista qui alla Bara Volante, ora anche per De Palma arriva il momento del film della vita, il primo dopo la totale consacrazione, quindi bentornati al nuovo capitolo della rubrica… Life of Brian!

Sul finire degli anni ’80 Brian De Palma è considerato non solo un Autore con la “A” maiuscola, ma uno che manda a segno film spacca botteghini come Gli Intoccabili, insomma è il momento di riscuotere, l’andamento della filmografia di Brian da Newark da qui in poi sarà tutta così, un film “sicuro” (virgolette obbligatorie) alternato ad uno personale e più sentito. Con tutta Hollywood che pende dalle sue labbra, De Palma tira fuori dal cassetto un’idea che inseguiva dagli anni ’70 che gli stava più che a cuore, citando le immortali parole dei Temptations cantate da un altro ragazzo piuttosto famoso del New Jersey potremmo riassumerla così: war, what is it good for? Absolutely nothing.

Ciao America! Iniziava con un servizio televisivo, la cronaca quotidiana dei combattimenti americani in Vietnam e le dichiarazioni del presidente Johnson che ribadisce l’importanza della presenza Yankee laggiù. Ma in quel film la critica all’intervento degli Stati Uniti nel Viet “fottuto” Nam prende una deriva volutamente grottesca, in linea con il momento della carriera di De Palma, etichettato come il Godard americano. Allo stesso modo, bisogna cercare un altro segno di continuità nei precedenti titoli firmati da Brian di Newark che fece storcere più di un nasino quando si svincolò dal caldo abbraccio del suo Maestro Alfred Hitchcock, per dirigere un film di Gangster come Scarface, legittimato per davvero all’interno della filmografia di cui fa parte, proprio da un secondo titolo a tema come Gli Intoccabili.

Tutto questo per dire che ad Hollywood, forse, nessuno si aspettava un film di guerra da De Palma in quel momento della sua carriera, ma “Casualties of War” è Depalmiano al 100% molto più di quanto il pubblico alla sua uscita non riuscì a comprendere, visto che sarà stato anche un progetto molto sentito da De Palma, ma è stato ignorato al botteghino, arrivando ad incassare poco più di diciotto milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, al netto di una spesa di circa ventidue milioni dello stesso conio.

Dimmi che sei un film di Brian De Palma, senza dirmi che sei un film di Brian De Palma.

Di sicuro il pubblico non ha amato “Vittime di guerra” perché è un film che non si guarda a cuor leggero, inoltre è uno di quelli che punta chiaramente il dito contro le violenze perpetuate dai soldati americani in Vietnam, senza che ci sia la minima possibilità di ambiguità sulla posizione di De Palma in merito, totalmente critica, aggiungo giustamente come nota personale. Mettiamoci, poi, anche il fatto che Brian da Newark sarà stato al “sicuro” a guardare indietro al Vietnam dall’anno 1989, se avesse avuto la possibilità di dirigere “Vittime di guerra” negli anni ’70 come avrebbe voluto lui, sarebbe stato un modo di infilare il dito in una ferita ancora aperta, anche se a De Palma il film politico e di critica sociale interessa fino ad un certo punto. Il regista nelle varie interviste non ha mai nascosto il fatto di considerare questo tipo di titoli quasi dei film istantanei, il più delle volte poco artistici, un peccato grave per uno come lui da sempre grande studente del mezzo cinematografico, una sfumatura di “Casualties of War” non è stata colta, anche per via della concorrenza.

Il film che ha permesso alle storie sul Vietnam di popolare il cinema americano degli anni ’80 è stato Fratelli nella notte, da cui sono nati poi le sue versioni più spudoratamente action come Rambo II e i vari “Missin in action” con Chuck Norris. Inoltre, lo sceneggiatore di Scarface, ovvero Oliver Stone, nel frattempo era riuscito finalmente a portare al cinema la sua storia sul Vietnam estremamente sentita, con il grande successo di “Platoon” (1986), seguito a ruota da "Full Metal Jacket" (1987) e "Good Morning, Vietnam" (1987), insomma la diga si era spaccata e l’idea all’avanguardia di De Palma al pubblico del 1989 deve essere sembrata solo un modo per seguire il filone caldo del momento.

Andavamo sempre in giro a cercare un certo Charlie (cit.)

La storia è tratta da fatti realmente accaduti nel 1966, raccontati da Daniel Lang prima in un articolo inchiesta e poi in un romanzo che David Rabe ha trasformato in una sceneggiatura. La storia è raccontata dal punto di vista del soldato Sven Eriksson (un Michael J. Fox in cerca di ruoli drammatici, per scrollarsi di dosso il giubbotto smanicato di Marty McFly), durante il suo turno in Vietnam il suo plotone, comandato dall'esaltato sergente Tony Meserve (un Sean Penn già abbondantemente in rampa di lancio) decide per ritorsione nei confronti dei nemici e di una mancata licenza presso il locale bordello, di rapire una ragazza ritenuta erroneamente una Vietcong di un villaggio locale, per abusare di lei sessualmente. Insomma, io ve l’ho detto che non è un film che si guarda a cuor leggero, anche perché il METAFORONE sulla politica americana colpevole di andare a stuprare gli altri Paesi del mondo con la scusa di “portar loro la democrazia” è solo la prima e più superficiale delle chiavi di lettura del film, anche se è quella che ti colpisce sui denti come spettatore.

«Ehi tu porco, levale le mani di dosso» (cit.)

Proprio come Ciao America! Anche “Vittime di guerra” comincia con un altro presidente americano intento a parlare in tv del conflitto, questa volta si tratta di Nixon prossimo allo scandalo Watergate, giusto per rimarcare uno dei sottotesti del film, ovvero l’assenza di un’autorità in grado di vegliare in modo attento e responsabile sugli orrori commessi in guerra, s'inizia con Nixon alla tv e si arriva fino al monologo del tenente Reilly (Ving Rhames) quando cerca di convincere Eriksson che "tanto le cose vanno (male) così e tu ragazzo, non ci puoi fare niente". Disillusione nei confronti dell’autorità totale.

Ad un’occhiata veloce e distratta “Vittime di guerra” è tutto qui, un film talmente dritto nel suo messaggio anti-bellico da essere chiarissimo, verrebbe voglia quasi di archiviarlo così o magari di aggiungere qualcosa sugli attori, come, ad esempio, due giovanissimi (e magrissimi) John C. Reilly e John Leguizamo. Il primo è perfetto nel caratterizzare uno il cui intelletto sembra un gradino sotto la media, tanto da diventare il classico personaggio tonto, ma pericolosissimo, quello che crede nella politica dell’uomo forte, tanto da paragonare il personaggio di Sean Penn a Gengis Khan e pronto a seguirlo nel cuore di tenebra della sua follia, insomma uno di quelli che da anziano ti aspetteresti di vedere con un berretto rosso in testa con su scritto “Make America great again”.

«Grande? Quanto grande? L'america è già un posto grandissimo»

Il soldato Diaz di John Leguizamo è ancora più sfaccettato, perché capisce la portata del crimine di cui non vorrebbe macchiarsi, ma per non restare fuori dal branco e discriminato (dopo le minacce di accusarlo di omosessualità o di collaborazionismo con i Vietcong) cede e diventa a sua volta colpevole della doppia violenza sulla ragazza rapita (Thuy Thu Le) che prima viene distrutta come donna dallo stupro di gruppo e poi come essere umano quando viene uccisa. Ve l’ho già detto che non è un film che si guarda a cuor leggero, vero? Ok, andiamo avanti.

Ultimamente non posso fare un post sulla Bara senza che spunti John Leguizamo.

Menzione speciale per Sean Penn che qui incarna il tipo di americano che lui stesso molto probabilmente odia, visto il suo impegno civile e il suo arcinoto impegno contro tutte le guerre in giro per il pianeta. Penn s’inventa un accentone di Brooklyn perfetto per la faccia da pazzo che si ritrova, hanno aiutato le storie appena un po’ tese sul set con Michael J. Fox. Pare che i due grandi amici non lo siano stati mai, Penn accentuava ogni contatto fisico richiesto dal copione sollevando il gomito come un giocatore di basket non visto dall’arbitro, nel duello verbale finale tra i due personaggi nella tenda, quando il suo sergente minaccia qualcosa all’orecchio di Eriksson, pare che a Penn sia partito un non proprio lusinghiero “Television actor” rivolto a Fox che, dopo aver incassato (anche fisicamente) per tutto il tempo della riprese, si è scagliato per davvero contro Penn, quindi, quando lo vedete sinceramente furioso in quella scena, diciamo che era una buona parte di recitazione, ma non proprio tutta, ecco (storia vera).

«Cosa sei McFly, un fifone?» (cit.)

In realtà, “Vittime di guerra” non è solo un film diretto da un regista a cui premeva per davvero prendere una posizione politica, è soprattutto un titolo diretto da uno che stava all’apice dalla fama, certo, ma anche della sua forma artistica, le musiche del Maestro Ennio Morricone (ascoltate la sua colonna sonora per intero, perché è davvero bella) ci ricordano quanto cinema ci sia in questo film, perché De Palma lascia da parte il suo amato Thriller in favore di un film di guerra, ma non tradisce minimamente la continuità interna del suo cinema.

Come inizia “Vittime di guerra”? Con Eriksson in metropolitana (cosa dico sempre delle scene in metro nei film? Ecco, appunto) che vede una ragazza orientale qualche posto più in là. L’atto di vedere, fa cominciare ancora una volta la storia per De Palma, anzi, fa iniziare un lungo flashback/sogno che è una mossa che De Palma riprenderà in “Femme fatale” (prossimamente su queste Bare). Da qui inizia un film di guerra drittissimo anche nella sua posizione politica che, però, ha dentro tutte le ossessioni tipiche del cinema di Depalmiano.

L'atto di guardare è sempre il motore delle storie di De Palma.

Lo sguardo e il doppio sono ovunque in “Vittime di guerra”, De Palma sembra dividere costantemente lo schermo tra destra e sinistra, ma anche tra sopra e sotto, come a voler ribadire attraverso l’uso dell’immagine le posizioni opposte dei suoi personaggi, qualche esempio? Quando i soldati si fanno la barba dopo la libera uscita revocata, a sinistra dello schermo troviamo Fox e il resto del plotone, a destra, in una sorta di “Split dopier” molto Depalmiano, ci sta Sean Penn che dallo sguardo capiamo stia già macchinando qualcosa di orribile.

Ma allo stesso modo, la prima scena in Vietnam, non solo mette in chiaro il fatto che De Palma sappia girare anche scene di guerra senza problemi, ma racconta per immagini il tormento di Eriksson a cui, comunque, il suo folle sergente ha salvato la vita, nella scena in cui De palma divide ancora lo schermo e i personaggi, sopra Fox con le gambe incastrate e sotto, la minaccia del tunnel con dentro i soldati Vietcong.

Una cosa così, il film è pieno di questi momenti.

“Vittime di guerra” è tutto così, caratterizzato da un modo sottilissimo (ed estremamente cinematografico) di suggerire concetti chiave al pubblico, dentro un film che ad una prima occhiata sembra “solo” una drittissima critica alla guerra. Anche nel momento chiave, quello più doloroso da guardare per noi spettatori, ovvero lo stupro di gruppo alla ragazza, De Palma sottolinea le differenze, tiene noi spettatori a distanza dalla violenza che possiamo sbirciare (giusto perché il voyeurismo e i rischi che comporta, non manca mai nel cinema di De Palma), ma allo stesso tempo mette una distanza ideale tra i soldati che seguono fedelmente il loro sergente e Diaz che, invece, è il più recalcitrante, inquadrato più in primo piano e illuminato da una luce più calda rispetto a quella che illumina il branco, almeno fino al momento in cui lo stesso Diaz non si unisce alla violenza.

Eriksson, poi, è l’ennesimo maschietto del cinema di De Palma consumato da un’ossessione, quando si mette in testa di denunciare i suoi camerati all’autorità militare, la scena del suo attentato, con la granata lanciata dai suoi commilitoni nel bagno per farlo fuori è il classico momento barocco e un po’ esagerato che De Palma utilizza sempre così bene per sottolineare i concetti, portando anche un po’ di sana suspence nella sua storia, perché quella scena è davvero un oggettino ad orologeria in grado di inchiodarvi alla poltrona.

"La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire" (Albert Einstein)

Lo sguardo e la distanza tornano un argomento narrativo fondamentale nel finale, De Palma nel documentario omonimo del 2015 si lamenta del fatto che la produzione per motivi di minutaggio, gli abbia fatto tagliare la scena in cui l’avvocato incalza Eriksson (storia vera), ma il nostro Brian da Newark si è rifatto con il processo ai colpevoli, inquadrati singolarmente, con un primo piano impietoso su ognuno di loro, mentre gli accusatori parlano come voci fuori campo, un po’ come se fossimo noi spettatori ad incalzare Meserve e i suoi uomini per farli confessare. Insomma, non solo De Palma è pienamente in controllo del mezzo cinematografico, ma ribadisce la sua distanza etica dagli orrori della guerra, mostrandoceli usando nel modo migliore la settima arte, perché, citando la celebre massima Depalmiana, "la macchina da presa mente in continuazione, mente ventiquattro volte al secondo". Lo fa anche qui, per raccontare una storia finta utilizzando al meglio il cinema, ma per far arrivare al pubblico un messaggio chiaro e tristemente reale, un tema che diventa palese nella scena conclusiva.

Il finale di “Vittime di guerra” è una sorta di risveglio per il protagonista, sprofondato per anni nell'esatto opposto di un sogno, un incubo americano che ancora lo tormenta. Quando la ragazza orientale sulla metropolitana si avvicina ad Eriksson è una sorta di Donna che visse due volte, visto che non è la stessa ragazza del Vietnam, ma è interpretata dalla stessa attrice che chiede al protagonista frasi che con il realismo non hanno nulla a che spartire, prima gli chiede se le ricorda qualcuna che conosceva, poi lo consola sul fatto che il brutto sogno ora è finito, insomma un finale volutamente fintissimo, perché De Palma utilizza la finzione cinematografica per assolvere e dare pace all'ossessione del suo protagonista, l’unico davvero non colpevole in quel plotone.

Puoi togliere Hitchcock a De Palma, ma non togliergli l'Hitchcock che si porta dentro.

Con un umorismo beffardo e nerissimo, però, dopo aver usato il cinema per inchiodare i colpevoli e assolvere il protagonista, De palma conclude il film con una scritta che ci ricorda che nella realtà, invece, i colpevoli sono stati assolti per i loro crimini, un modo di muoversi su due binari, tra finzione e realtà, con la prima utilizzata per raccontare la seconda che risulta ancora più drammatica e violenta di un film che ve l’ho detto che non si guarda a cuor leggero, vero?

A voler essere precisi, il concetto di doppio è talmente un’ossessione per De Palma che a suo modo anche “Vittime di guerra” nella filmografia di Brian da Newark ha un suo doppio, visto che “Redacted” è una specie di gemello di questo film, ma avremo modo di parlarne nel corso della rubrica che per oggi termina qui, ma che tornerà all'inizio di gennaio, sempre di venerdì, dopo la pausa per le feste. Anche perché inizieremo a trattare gli anni '90 di Brian De Palma, insomma trattenete il fiato, perché questa non è una rubrica, ma una maratona!

10 commenti:

  1. Proprio l'altro giorno stavo pensando a questo film, sarà che avevano appena consegnato l'Oscar onorario a Michael J Fox e quindi passavo in rassegna le pellicole che avevo visto del nostro piccolo grande eroe, ovviamente non ricordavo che fosse di Brian di Newark.
    Che dire: un pugno nello stomaco fortissimo per chi come me all'epoca era "imbevuto" di suggestioni filomilitari, soprattutto mutuate dai film e dai cartoni animani (G.I. Joe anyone?).
    Insomma uno spaccato degli orrori e degli errori della guerra che era anche una scontro topo contro gatti, che da Brothers in Arms diventavano sempre più una minaccia mortale oltre che dei nemici più infidi dei Vietcong.
    La scena che ricordo meglio è proprio quella della metro, sarà perché quella dello stupro e dell'uccisione della ragazza sono così crude che rendono difficile ripescarle dalla memoria senza provare un misto di vergogna, repulsione e riflessione su cosa uno avrebbe fatto in simili circostanze, la risposta pare ovvia ma a volte non è così scontata...
    Per una volta il titolo italiano è la traduzione di quello originale senza aggiungere inutili orpelli.
    Buon venerdì.

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    1. Ehi! Non mi toccare i G.I.Joe ok? Ho passato l’infanzia a giocarci ma sono venuto su anti-militarista lo stesso, quindi no, esempio sbagliato ;-) Per fortuna non si sono inventati nulla, un titolo talmente dritto che per una volta, bastava tradurlo. Buon venerdì anche a te! Cheers

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    2. Lo stesso vale per me, anche io ci ho giocato, mi piacevano molto più dei Masters of The Universe, e sono diventato anche io un anti-militarista convinto (avendo anche svolto il servizio civile)!
      Infatti l'ho scritto sapendolo già ;)
      Scusa se mi permetto ancora, sarà che la fotografia dei film mi rimane impressa, ma quella di questo è "moderna" nell'accezione che risulta più vivida e attuale di quella dei film precedenti...

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    3. Lo so, infatti ci tenevo a ribadirlo ;-) Stephen H. Burum è diventato il direttore della fotografia di fiducia di De Palma, da "Body Double" e poi per tutti i titoli più ad alto budget della sua filmografia, braccio destro. Cheers!

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  2. Proprio in questi giorni da Sam Simon stavo cercando di raccontare i tempi passati, quando Michael J. Fox era famoso per altro e non per Ritorno al futuro, anche se oggi non lo sa nessuno. E che quel fatale 1990 con l'uscita del 2 e la promessa del 3 ha distrutto completamente la sua carriera, perché tutto il buono che aveva fatto in un attimo è stato cancellato dalla storia.
    Per fortuna io Fox lo conoscevo sin da ragazzo, perché "Casa Keaton" era il culto della nostra famiglia, e quando Michael è passato alla commedia cinematografica è stata pura gioia. Ma si sa, arriva il momento in cui si deve fare i seri, e all'uscita di questo "Vittime di guerra" ero contento non solo che Fox si impegnasse in robe serie (e lasciasse da parte moscerie alla "Le mille luci di New YOrk"), ma anche che la stampa impazzisse per questo "Vittime di guerra": non appena in TV o su riviste si citava Michael, erano le foto di questo film che usavano, come a dire "sì, è stato un giovane attore brillante ma ora è un vero attore serio". Ho adorato il film, durissimo e spietato - con uno Sean Penn che mette paura anche solo da lontano - e mi è dispiaciuto che un attimo dopo tutto sia scomparso, con l'arrivo di DIo RItorno al Futuro, l'unico prodotto oggi noto di Fox: perché gli hanno dato l'Oscar alla carriera se ha fatto solo tre film???

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    1. Il pubblico è una creatura molto strana, ti può amare o odiare tantissimo per un solo ruolo. “Casa Keaton" nessuno lo ricorda più, così come tutti i titoli nel mezzo, non tutti grandi o a fuoco come questo “Vittime di guerra”, però tutti spazzati via. Persino la sua gran prova in “Scrubs” non sembra bastare, esiste solo Marty McFly, notevole, un’icona, ma il pubblico è una creatura strana anche per questo. Cheers!

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    2. Io adoro Michael anche per Sospesi nel tempo di Peter Jackson, così come per le sue commedie dei primi anni 90.

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    3. Prima o poi dovrò portare il film di PJ su queata Bara, uno dei pochi che manca qui sopra. Cheers!

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  3. Era senz'altro una bella sfida venire dopo Stone, Kubrick e Levinson proponendo una propria visione di certo non meno dura e antimilitarista di quella dei colleghi ma che, comunque, non si muoveva esattamente sulle loro stesse coordinate. Il pubblico, ai tempi, riteneva probabilmente di aver già trovato i suoi modelli ideali di riferimento riguardo alla nuova onda di (anti) war-movies e l'approccio di De Palma non doveva essere stato capito fino in fondo, pur essendoci ben poco da fraintendere: la guerra rimane orribile SEMPRE, sia quando è in atto sia quando, in tempo di pace e a maggior ragione, i suoi crimini (e chi di questi s'è reso responsabile) rimangono impuniti...
    Ottime prove quelle di Keaton e di Penn, a loro volta entrambi in bilico fra finzione (recitando i rispettivi ruoli in scena) e realtà (mettendosi realmente le mani addosso al di là di quello che la finzione scenica richiedeva) ;-)

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    1. Cosa che è successa pure a me: vedi cosa succede ad aver guardato "Casa Keaton" per anni? Alla fine ho scambiato Michael J. Fox per il suo personaggio ;-)

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