martedì 6 dicembre 2022

The Raid 2 - Berandal (2014): chi picchia per secondo picchia più forte

Al fin giungemmo a riveder le botte. L'ultimo capitolo della Trilogia del Silat, quella con cui il gallese Gareth Evans e l’indonesiano Iko Uwais hanno portato questa arte marziale ad esprimersi al massimo livello possibile, anche perché The Raid è letteralmente esploso in faccia al pianeta.

Diventato un classico istantaneo fin dalla sua uscita, The Raid non è solo assorto a nuovo standard di altissima qualità per i film di arti marziali contemporanei, ma è anche diventato il titolo citato a pappagallo da tutti quelli che i film di menare non li guarderebbero nemmeno con gli occhi di un altro, ma che comunque non voglio restare tagliati fuori dalle discussioni, insomma gli studenti del DAMS e coloro che hanno nel Sundance il loro festival cinematografico di riferimento, che non a caso è stato uno dei primi ad occidente a presentare “The Raid 2 - Berandal”.

Piccolo passo indietro: dopo essersi scaldati i muscoli con Merantau (per gli amici “Menantau”), Gareth Evans aveva già in testa “Berandal”, che in indonesiano vuol dire teppisti, proprio quelli che uscivano di prigione nella sua storia e abbracciavano in pieno la vita criminale. Non trovando i fondi per questo suo ambizioso progetto, ha pensato ben di vabbè, robetta, dirigere il nuovo classico del cinema di arti marziali contemporaneo e di intitolarlo "The Raid". Poi non pago, giusto per tenersi in allenamento, aiutato da Timo Tjahjanto ha diretto la porzione più riuscita di “V/H/S/2” (2013), quella intitolato “Safe Haven”, che ancora oggi è a mani basse, il migliore segmento tra tutti quelli visti in questa nutrita saga che ormai sforna un nuovo capitolo all’anno. Capite da voi che quando “Berandal” è rinato come seguito ufficiale di "The Raid", l’attesa era leggerissimamente spasmodica.

Il contributo del gallese a V/H/S/2 (solo il miglior episodio)

Ufficialmente “Berandal” come dicevo lassù vuol dire teppisti, anche se suona come un farmaco per il mal di gola, che poi è francamente quello che serve arrivati alla fine dei 150 minuti di questo terzo film, anche perché lungo il percorso, ci sono momenti talmente esaltanti che il mal di gola vi verrà a forza di esultare per la gioia. Rispetto al primo capitolo è per certi versi un passo indietro, ma per contenuto, maturità registica e qualità delle scene d’azione, “The Raid 2 - Berandal” conferma il dominio indonesiano sul genere, sarei più matto di quello che sono davvero a non accoglierlo tra i Classidy.

Differenze rispetto al monumentale predecessore? Una, sostanziale, se “The Raid” era facilmente riassumibile in una frase sintetica ovvero un poliziotto entra in un palazzo e mena tutti, “The Raid 2 - Berandal” invece, essendo basato su quello che gli Yankee chiamano “High concept” ha una trama. Niente di spaventoso eh? Anche perché Gareth Evans è riuscito in maniera molto intelligente a coniugare la sua esigenza di sequel alla precedente incarnazione di “Berandal”, pescando a piene mani dal cinema di Hong Kong, quindi ci trovate dentro un po’ di “Infernal Affairs”, un po’ di Ringo Lam e soprattutto un po’ di John Woo, brutto? No dai, tutto potete dirmi ma non che sia stata una brutta pensata quella del gallese.

“The Raid 2 - Berandal” è talmente onesto nei suoi intenti da fare una cosa che come spettatore, personalmente mi fa impazzire: Rama (Iko Uwais) è sopravvissuto alla più violenta riunione di condominio mai vista al cinema, ed è uscito con in mano le prove per far crollare l’impero criminale, di cui il boss in canotta Tama era solo uno dei tasselli di un mosaico più grande. Avete presente quando a fine film i buoni hanno con fatica raccolto la prova schiacciante con cui inchiodare i cattivi e come spettatori, possiamo andare a dormire felici e contenti? Ecco è una bella balla cinematografica, perché spesso nella realtà, nemmeno prove inoppugnabili servono a rallentare i cattivi. “The Raid 2” parte da questa premessa.

«Lui me lo fai a tocchetti sottili ok? Al massimo spessi un dito»

Rama avrà pure sgominato una gang ma ha attirato le attenzioni dell’organizzazione criminale di cui quella gang era solo una delle tante teste dell’Idra, un corpo di polizia corrotto fino al midollo, della sua prova schiacciante non sa che farsene, l’unico modo per arrivare al cuore dell’organizzazione guidata da Bangun e tenere al sicuro la sua famiglia dalle possibili ritorsioni è andare in galera sotto falsa identità, guadagnarsi la fiducia di Uco, il figlio del boss e poi infiltrarsi nell'organizzazione, una missione sotto copertura che altro non è che la regola aurea dei seguiti (uguale al primo ma di più!), ma che questa volta non si può riassumere solo con la stringata frase: Rama mena un palazzo.

Ecco perché il minutaggio lievita a dismisura, dai 101 minuti di The Raid si passa ai 150 di “The Raid 2”, tutti molto scorrevoli perché Gareth Evans bontà sua (e nostra!) non ha nulla da dimostrare a nessuno, il suo soffermarsi sui dialoghi, la costruzione dei personaggi e le loro dinamiche, insomma quell'orpello noto come “trama” che spesso affossa i film di arti marziali e su cui si schiantano le ambizioni “alte” dei loro registi, qui fila senza farci mai sentire come parcheggiati in sala d’attesa dal dentista, in attesa della prossima gloriosa scena di menare. Anche perché il cuore e la testa di Evans stanno proprio lì, sui momenti d’azione che sono gli stessi del primo film, ma possono contare anche sugli odiati giapponesi nel ruolo dei cattivi e permettono al regista di esibirsi anche in un altro classico, ovvero gli inseguimenti in auto, che sono il sale del cinema.

Tecniche di ripresa (l'uomo vestito da sedile è il mio grande mito)

L’unica differenza rispetto a The Raid è che per passare da una scena grandiosa all’altra, bisogna passare (tutto sommato indenni) attraverso dinamiche che già conosciamo: il poliziotto infiltrato che deve guadagnarsi la fiducia, il figlio del boss pazzo e ambizioso con cui l’eroe crea comunque un legame e la presentazione dei vari “mostri di fine livello” che qui diventano più coloriti che mai, ma come avrebbe detto Anders Celsius, andiamo per gradi.

Digerita la delusione per Rama, legata al fatto che aver menato un palazzo non è bastato, il nostro finisce sotto copertura in galera, dopo circa quindici minuti arriva la prima scena causa del vostro mal di gola sui titoli di coda, ovvero il primo combattimento uno, anzi Iko contro tanti del film, l’unico che era già stato girato per la versione 1.0 di “Berandal” e che Evans ha voluto rifare forte dell’esperienza accumulata con “The Raid”. Siamo di fonte ad un classico, ovvero il tipo in prigione, senza amici, che attira subito le attenzioni degli altri carcerati, solo che più che una normale rissa nel cesso, con Evans e Uwais diventa la battaglia delle Termopili combattuta in interni, con la porta del bagno che è lo spartiacque contro cui si infrangono le orde di Re Serse Benni, mentre i 300 pugni e calci di Rama fanno la parte degli Spartani di Leonida. E siamo solo all'inizio del film.

Spartani Indonesiani! AH-UH! AH-UH! AH-UH!

Fatti due occhi neri a Benni e attirata l’attenzione del figlio del boss Uco, ora tocca sopravvivere alla ritorsione armata, che arriva attorno alla prima mezz'ora di film. Una scena quella della rissa nel cortile reso fangoso dalla pioggia, che per qualunque altro film di menare sarebbe la scena madre, ma per “The Raid 2” è solo il secondo, clamoroso combattimento. Benni manda il suo sgherro più grosso armato di coltello, Rama risponde svitando il bastone dello scopettone e mettendo su una rissa nel fango che per crescendo Wagneriano del menare è già una roba che scatena l’esultanza. Le prese, i calci, le rotule frantumate sono ancora solo l’inizio per questo film.

Non proprio i vostri rilassanti fanghi termali.

L’ambizione di “The Raid 2” sta nell'ampliare il mondo tracciato dal primo film, un luogo dove il caro vecchio Mad Dog è assorto allo stato di profeta. Lui che odiava le armi considerandole la via d’uscita facile, qui sembra che abbia idealmente fondato una scuola di pensiero che tutti i personaggi seguono, ecco perché quando Rama viene mandato a riscuotere sul set del film porno clandestino, dove spunta anche Epy Kusnandar, direttamente da “Safe Haven”. I colpi del Benelli inchiodato sotto il tavolo terminano presto e tutti si inseguono a piedi e si picchiano con gli stessi, perché se The Raid toglieva le armi dall'equazione dopo circa mezz’ora di film, “The Raid 2” non le considera proprio, in un mondo dove tutti sono figli di Mad Dog, ecco, parliamo un po’ di Yayan Ruhian.

Forse l’unico vero problema di ritmo di questo secondo capitolo è rappresentato proprio da Yayan Ruhian, che ad una prima occhiata pare Mad Dog redivivo e ritornato nella sua nuova condizione, barbuto e capellone come il barbone pazzo che urla alla stazione, in realtà ci si mette proprio poco a comprendere che se l’attore è lo stesso, il personaggio è un altro, chiamato Prakoso, che pare un nome scelto frettolosamente (Pracoso!) ma in realtà ha un ruolo chiave nella trama, anche se monopolizza il secondo atto di “The Raid 2”, però davvero io non me la sento di criticare Gareth Evans per aver trovato il modo di far tornare Non-Mad-Dog in questo seguito, anche perché il risultato finale parla da solo.

Anche Jason Voorhees avrebbe paura ad incontrarlo per strada.

Lo sgherro di Yayan Ruhian deve uccidere uno a colpi di machete, ed esegue il compito alla lettera, addosso gli arrivano qualcosa come ventordici uomini, ma lui li stende tutti spezzando loro le ginocchia a calci, spaccandogli il naso contro i tavolini e colpendoli con le sedie di legno, il tutto con una mano occupata dal machete riservato esclusivamente al suo bersaglio, io ve lo dico. Il tutto con una coreografia di combattimento lunga e intricatissima, eseguita con una precisione chirurgica da Yayan Ruhian, mentre la macchina da presa di Evans gli gira intorno trovando scientificamente sempre l’angolo migliore per mostrarci i colpi e farci sentire lì, ad un metro da Mad-Dog-Che-Non-È-Mad-Dog, testimoni oculari del suo massacro.

Un altro dettaglio che mi fa impazzire di “The Raid 2” e che denota un ulteriore miglioramento da parte di Evans come regista è l’uso della musica, se il primo film nella sua versione definitiva si giocava un’ossessiva e onnipresente colonna sonora proto-Carpenteriana in salsa Linkin Park (sovrapposta e sovrapponibile a quella usata nella prima proiezione in sala del film al Torino Film Festival nel 2011), qui la musica ha un valore assolutamente cinematografico e anche cinefilo, visto che per l’estremo saluto al personaggio di Yayan Ruhian, il regista gallese si prende la Sarabande di Handel direttamente da “Barry Lyndon” (1975), ricordando a tutti che gli appassionati di cinema veri possono amare i film di menare e Kubrick con lo stesso ardore. Tutti gli altri sono snob con la puzza sotto il naso.

«I'm baseball BAT-MAN» (cit.)

Nel suo immergersi nel canone di Hong Kong facendolo proprio, Gareth Evans introduce i due letali mostri di fine livello noti come “Hammer Girl” (Julie Estelle) e “Baseball Bat Man” (Very Tri Yulisman), un po’ Baseball Furies di Hill e un po’ personaggi a cui Tarantino avrebbe dedicato uno spin-off a tema. Se il ragazzo del Baseball mi fa impazzire con il suo gonfiare tutti a colpi di mazza e poi chiedere loro indietro la palla da usare a sua volta per colpirli ancora, la mia preferita è Hammer Girl, eroina di tutti quelli come me, che gli occhiali da sole li terrebbero anche di notte. Oltre ad insegnarci un utilizzo alternativo di entrambi i lati del martello. La sua spettacolare entrata in scena dove avviene? In metropolitana, giusto per darmi altro materiale sulla mia bizzarra teoria per cui ogni grande film si merita almeno una scena in metro.

Stacchi: di gambe, di montaggio e di teste (dal collo)

Ma il vero momento spartiacque arriva quando Gareth Evans dimostra di avere davvero tutto del regista d’azione, gli inseguimenti in auto sono il sale del cinema, se dimostri di saper fare un inseguimento, nella settima arte puoi fare tutto. Evans non solo dimostra di avere le carte in regola, ma adatta il vostro normale inseguimento in auto al suo canone, quindi Iko Uwais può esibirsi in un’altra coreografia di lotta in spazi strettissimi, anche più stretti dell’ascensore di Merantau, visto che gonfia di mazzate tutti dentro l’abitacolo di un'automobile in corsa, mentre si consumano ciocchi fortissimi di lamiere, sgherri schiacciati contro i “New Jersey” lungo l’autostrada e salti da un finestrino all’alto. Ogni singola scena d’azione di “The Raid 2” è lunga, articolata, ultra frenetica, una vetrina per il talento di uno come Iko Iko, che come Michael Jordan, lascia che la partita (o in questo caso il film) venga a sé. Nessuno ha mai capito cosa volesse dire per davvero questa frase, ma MJ lo faceva alla grande e Iko Iko pure, quindi la parola ai fuoriclasse sul rispettivo campo.

Una scena resa possibile dal mio mito, l'uomo sedile.

Rama capisce che difendersi non basta più, l’unico modo per essere di nuovo libero e poter tornare dalla sua famiglia è colpire l’organizzazione al cuore, passando così all'attacco nell'ultimo atto del film, che qui si, diventa un The Raid in piccolo, perché siamo di nuovo di fronte ad una scalata verso il boss finale.

Si parte dal magazzino dove Iko Uwais lascia a terra una trentina di sgherri, per poi fare fuori i due “mosti di fine livello” insieme. Infatti affronta Hammer Girl e Baseball Bat Man nello stesso corridoio, perché tanto dopo essersi fatto le ossa in un palazzo di Jakarta, loro per quanto iper violenti, sono quasi una passeggiata.

«Condotti Corridoi, perché sono sempre condotti corridoi?» (quasi-cit.)

Esattamente come The Raid poi, il momento emotivo più alto non coincide con la lotta contro il Boss finale, ma con lo sgherro più pericoloso appena prima, se nel primo film era Mad Dog, qui tocca all’assassino con i baffetti interpretato da Cecep Arif Rahman, un piccoletto tutto nervi e cazzimma, con lo sguardo di chi ha sempre ragione anche se vi taglia la strada con il semaforo rosso.

Quando lui e Iko Uwais si manifestano insieme nella stessa cucina, tutti quelli ai fornelli fanno come gli umani durante un combattimento tra Goku e Vegeta, spariscono, anche perché i due mettono su delle pacche in questa cucina da incubo che Antonino Cannavacciuolo lèvati, ma lèvati proprio.

«Sei fuori dalla cucina di Master Chef, nel senso che ti faccio fuori io»

Se la prima parte del loro combattimento è da urlo, con una varietà di colpi paragonabile solo al dinamismo della regia, la seconda, quella che inizia dopo il mezzo defenestramento di Cecep Arif Rahman, lanciato attraverso la vetrata dei vini (e non provate e dirgli che sa di tappo), la seconda è ancora più spettacolare perché sul palcoscenico del Pencak Silat, con tutti quei suoi movimenti a bacino, fa il suo esordio l’arma ufficiale di questa disciplina, quella che si sposa alla perfezione con i suoi colpi fulminei, ovvero il Karambit una sorta di coltello a mezzaluna con un anello all’estremità, che qui viene utilizzato senza cura per la vita dell’avversario, con fendenti diretti, relative lirate di sangue e spesso estratto a strappo dalle carni. Altro che cucine da incubo!

Tutto questo con le Converse ai piedi, devi proprio voler male a uno per prenderlo a calci con quelle scarpe.

Sul combattimento non ho altro da aggiungere è l’apice emotivo del film anche grazie al sapiente utilizzo della colonna sonora (la notevole Showdown), quasi sette minuti di violenza in crescendo, di poesia in movimento con una coordinazione perfetta tra tutte le parti. Quando la musica cresce aumenta anche l’incedere dei colpi, quando termina sei senza fiato tu, seduto comodo sul divano, al massimo con il mal di gola per l’esultanza.

Il finale di “The Raid 2 - Berandal” è emotivo, siamo all’intimismo del menare. Padre e fratello (a suo modo anche del pazzo Uco), poliziotto e criminale, Rama deve fare i conti con tutto questo, dopo quel massacro in cucina con Cecep Arif Rahman manca davvero solo la “coda strumentale” al film di Gareth Evans. Infatti il fuoco più che sugli ultimi avversari da abbattere, sta tutto sul nostro Iko-Iko, che si aggira come uno spettro, anzi come uno dei tredici spettri dell’azzeccatissimo pezzo dei Nine Inch Nails scelto per concludere il film. Si aggira come uno con l’acufene da post concerto, o come gli ultimi tre sopravvissuti del Distretto 13, tanto che la musica è come il fumo della battaglia per Carpenter, copre tutto, anche i dialoghi e quando cala, ci lascia con un solo protagonista, ancora in piedi, ancora vivo, con una sola frase di commiato conclusiva: «No, ho finito». Ora potete risvegliarvi dalla trance agonistica del menare di questo film e realizzare che avete mal di gola da eccessiva esultanza.

«Hai da fumare?» (cit.)

Ogni tanto balenano notizie di un “The Raid 3”, annunciato da Gareth Evans e Iko Uwais che già così, avrebbero alzato l’asticella piuttosto in alto, visto che in questi anni tanti hanno parlato della "Trilogia del Silat", ma ancora nessuno è riuscito a scalzare l’asse Galles/Indonesia dalle mappe geografiche del menare cinematografico. Se mai la trilogia dovesse diventare una tetralogia, saremo qui pronti a braccia aperte per accoglierla, ma anche così direi che è andata benino, quindi per ora come Rama, ho finito.

20 commenti:

  1. Secondo me di questo film andrebbe sconsigliata la visione ai deboli di cuore. Il crescendo di scene d'azione dal minutaggio importante, lascia il malcapitato spettatore occasionale nello status di Forrest Gump quando termina la corsa: si sente un pò stanchino! Ovviamente a noi scafati fruitori di tale prelibatezze che invece ne vogliamo sempre di più, non può che aumentare la quota testosteronica già galvanizzata dal fatto di avere l'accoppiata Uwais - Evans!
    Anche io ho letto in giro di un fantomatico The Raid 3, ma al momento attuale mi sembra molto difficile.
    Fighissimo il tizio vestito da sedile, per Carnevale voglio conciarmi così anche io!!
    Alla fine ho trovato il tuo pezzo sull'altro blog per Una notte violenta e silenziosa, ho lasciato anche un commento... Ciao

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    1. Ottima citazione ;-) Concordo su tutto, domani lo pubblicherò anche qui. Cheers!

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    2. Grazie Capo, però devo segnalare che è sparito il mio commento su Malastrana VHS... Che giornata strana...

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    3. Infatti non l'ho trovato, non so come siano gestiti i commenti su Malastrana, alle brutte avrei un'altra occasione domani. Ho cambiato programmazione all'ultimo per non lasciare un buco, poco male, ci consoliamo con "The Raid 2" ;-) Cheers

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  2. "Arif Rahman, un piccoletto tutto nervi e cazzimma, con lo sguardo di chi ha sempre ragione anche se vi taglia la strada con il semaforo rosso" la sua faccia riassume perfettamente il concetto.
    Lo scontro finale è reso più epico dal fatto che l'assassino sia l'unico a pestare Rama e lasciarlo mezzo morto, cliché che funziona sempre bene: l'eroe che prima viene steso dal cattivo e nella furia finale riesce a batterlo.
    Rahman fenomenale che parte baldanzoso poi ferito e furioso. Alla fine sono entrambi stravolti, con gli occhi iniettati di sangue.

    L'ho appena rivisto ma per quanto lo adori continuo a preferire il primo coi suoi 90 minuti asciutti e brutali. La figata del 2 è che unisce il gangster movie in salsa orientale ai calci sui denti, tutto col giusto equilibrio.

    p.s. mitico uomo sedile

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    1. Dei Transformers se ne occupa Michael Bay, dei Transformers da interni invece, li arruola Gareth Evans ;-) Infatti lo scontro finale è Gara 2 tra di loro, come Rocky contro Clubber Lang, ma la seconda volta, solo con dieci litri in più di sangue. Questo è molto bello, mentre lo rivedevo per scriverne, pensavo che dovrei riguardarlo di più, ma poi mi sono dato anche la risposata, più facile trovare 90 minuti per “The Raid”. Cheers!

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    2. Tanti calci da vedere e così poco tempo.
      Questo me lo ricordavo più "lento". Ah ah. Lento, come no. Se The Raid 1 sono i 100 metri, questa è una staffetta 4x100. Continui cambi di scenario, quindi di colori e situazioni.
      E' di quei film che al 2 del titolo meritano il punto esclamativo.
      The Raid 2!
      Terminator 2!
      Spiderman 2!

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    3. Amen fratello, i numeri due che contano, ben più che solo fino a due ;-) Cheers

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  3. Film spettacolare, scene di menare ben oltre i limiti dell'umano, eppure secondo me "The Raid" è ancora sopra, grazie probabilmente alla disarmante semplicità della trama che permette di concentrarsi totalmente sulle mazzate.

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    1. Lo è senza ombra di dubbio, non si discute, ma secondo me è stato giusto l'approccio, per non rischiare la ripetizione che sarebbe stata davvero troppo per la credibilità, quindi l'idea di aggiungere della trama la comprendo, anche perché poi, davanti ad azione così, cosa vuoi criticargli per davvero? ;-) Cheers

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    2. Tanto per Uwais non è un problema: se ci metti dentro della trama, lui mena pure quella ;-)

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    3. Ahahah si molto probabile ;-) Cheers

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  4. Concordo, fare un altro Raid uguale avrebbe rovinato tutto, invece ha cambiato completamente stile. Questo film ha diverse parti che adoro ma tutto insieme non sono riuscito ad amarlo, sia perché è mostruosamente lungo rispetto alla sua trama, sia perché i cattivi pittoreschi mi hanno solo urtato i nervi. Però i virtuosismi tecnici sono roba da girar la testa, per di più tutta roba "vecchia scuola" (cioè senza computer). Diciamo che amo tecnicamente il film ma non mi ha fatto innamorare (anzi, semmai tanto sbadigliare nelle infinitamente lunghe scene di mala).

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    1. Anche per questo motivo finisco sempre a rivedere più spesso "The Raid" piuttosto che "The Raid 2", il primo lo si ama di testa e di cuore, il secondo più di testa perché la parte di combattimento è roba da applausi, anche se Evans è molto migliorato proprio nell'utilizzo del mezzo cinematografico con questo film. Cheers!

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    2. alcune parti mi hanno ricordato il mitico Superjail! ..chemerita là vostra attenzione..

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    3. Mi fido sulla parola e segno ;-) Cheers

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  5. Un terzo film? Nah... Dubito sia possibile superare l'epicità del menare segnata da questo capitolo. Segna un prima e un dopo nella visione di chiunque.

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    1. Lo penso anche io, per quello temporeggiano, lo sanno di essere arrivati all'apice ;-) Cheers

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  6. Indubbiamente, è "Infernal Affairs" (direi pure The Departed, ma sono la stessa cosa tolta la variante Scorsese in cabina di regia) unito a John Woo e allo standard (ormai passato, ma sempre cruciale per le scene di combattimento moderne) dettato da Bruce Lee. Di sicuro in Cina hanno una teatralità metaforica tutta loro, lo stesso dicasi per il Giappone, si perché anche il buon Miike ha messo mano in questo e pure il cinema Coreano di Chan-wook. Evans è proprio una bella bestia, è come tutte cinque quelle cose serrate in pugno e dirette sullo spettatore. Due ore e passa mantenute qualitativamente sempre con ritmo martellante e incalzante non sono da tutti.

    Mad Dog (in altra veste) fa strano sì, ma non stona ed è una partecipazione dovuta.

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    1. Sono perfettamente d'accordo, sia per Mad Dog che non è Mad Dog sia per paragonare Evans ad un bel pugno, tirato da uno che ha studiato tutti i Maestri. Cheers!

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