venerdì 16 dicembre 2022

Cinque dita di violenza (1972): cinquant'anni di mani che menano

Nel paesello di provincia dove sono cresciuto, uno dei centri nevralgici dell’intrattenimento (se così possiamo definirlo) è ancora un ippodromo, immutato dalla sua costruzione, sembra un monolite arrivato per direttissima dagli anni ’70, per l’architettura esterna e per l’arredo al suo interno.

Anche perché ancora oggi è tappezzato di locandine (alcune gigantesche) di tutti i classici del cinema più popolare nel momento in cui l’ippodromo è stato costruito, mettere un piede al suo interno vuol dire ritrovarsi proiettati di colpo in uno strambo Paese a forma di scarpa, anno di grazia più o meno 1973, ovvero l’anno zero in cui l’Italia ha scoperto il cinema di menare cinese, una febbre che ha contagiato la penisola e che Lucius ci ha raccontato nel migliore dei modi possibili sulle pagine de Il Zinefilo.

Locandine di un certo livello.

Nessuno ad esclusione di Lucius ha mai voluto trattare davvero la questione, perché nessuna ha vero interesse a ricordare come l’Italia sia impazzita per i film di arti marziali provenienti dall’oriente, un allineamento di pianeti tra la fine dei Peplum e del dominio degli Spaghetti-Western e poco prima della dipartita del piccolo drago, i cui film sarebbero arrivati tutti insieme in uno strambo Paese a forma di scarpa, purtroppo tutti postumi, ma senza che questo impedisse al Maestro Bruce Lee di assorgere allo stato di leggenda.

“Cinque dita di violenza” è sbarcato qui da noi sul finire del 1973, diventando un vero fenomeno di costume, a dirla tutta non è stato il primo film di “Cinesi di menare” sbarcato qui da noi, quel primato è sulle spalle di “Il drago si scatena” (1972), malamente ignorato dal pubblico, perché non baciato da quell'allineamento di pianeti che ha reso il film diretto da Chang-hwa Jeong non solo un vero culto, ma letteralmente un modo di dire di uso comune nella nostra lingua. Per mia esperienza quando un titolo colpisce così forte la cultura popolare, quel film è un Classido!

Gli Shaw Brothers Studio in Cina sfornavano film a catena di montaggio, registi, attori, comparse e cascatori erano carne da macello tra gli ingranaggi di questa macchina da cinema, che stipavano le masse in capannoni direttamente sul set, per poterli far lavorare il più possibile, strizzandoli come limoni (storia vera). Non è dato sapere come mai gli americani della Warner Bros abbiano deciso di gemellarsi con i “fratelli” della Shaw Bros, le ipotesi si sprecano, forse la più allettante era quella di poter pescare da un bacino infinito di titoli a basso costo. Sta di fatto che quando il vice-presidente della Warner si presentò agli studi della Shaw Bros tutti credevano che avrebbe scelto tra i loro titoli di punta, prontamente ignorati in favore di “Tian xia di yi quan” ossia “Il pugno numero uno nel mondo", uscito negli Stati Uniti come “King Boxer” e diventato un mito e un modo di dire in Italia con il titolo di “Cinque dita di violenza”.

Sono convinto che l’influenza americana abbia avuto il suo peso sull’esplosione di popolarità qui da noi, infatti negli Stati Uniti “Cinque dita di violenza” gode quasi della stessa popolarità che dal 1973 ha anche in Italia, tra i suoi estimatori vabbè facilissimo, Quentin Tarantino, anche se mi sta più a cuore citare le parole del Maestro John Carpenter: «Ho amato i film di kung fu sin dal primo che ho visto: Cinque dita di violenza. Oh mio Dio, era gioia pura»

Anche oggi un po' di Giovanni Carpentiere su questa Bara l'abbiamo portato, missione compiuta.

Un paio d’anni fa ho visto il documentario “Pugni d'acciaio e calci Kung-Fu”, deve essere sbarcato anche su Netflix, magari lo trovate ancora, un punto di vista abbastanza fresco su come i film di arti marziali abbiano influenzato oltre alla produzione cinematografica americana, anche il costume e la società, nel corso della panoramica vengono fatti svariati nomi e titoli, ma alla domanda su quale sia il primo film di arti marziali che ricordi di aver visto e che ti è piaciuto, una serie di nomi notevoli come Scott Adkins, Michael Jai White, Cynthia Rothrock, Amy Johnston, Richard Norton, Billy Blanks, l’infiltrata Jessica Henwick e Don "The Dragon" Wilson rispondono tutti gaudenti con un solo titolo: “Cinque dita di violenza” (storia vera).

Che poi a ben guardarlo, con il famigerato senno del poi che regala a tutti dieci decimi di vista, “Cinque dita di violenza” non è nemmeno il miglior film tra quelli prodotti dalla catena di montaggio Shaw Brothers, a voler essere totalmente onesti non è nemmeno questo trionfo di originalità. Il film di Chang-hwa Jeong riprende elementi canonici e stra abusati dai Wuxia e li applica al filone appena nato del gongfu, ovvero i combattimenti a mani nude, molto più rudi, ruspanti e popolari rispetto ai cavalieri erranti svolazzanti armati di lame e spade a cui il Wuxia ci ha abituati. Che comunque sarebbero diventati popolarissimi, anche se qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa, dove tutto è stato etichettato come Kung-Fu e sparato nelle sale, dato in pasto al pubblico, questa differenza non l’ha colta nessuno, perché tanto chi li aveva mai visti i Wuxia pieni di faide tra scuole di arti marziali, anziani maestri pronti a tramandare tecniche di menare antiche o anche passaggi classici, come l’eroe ferito e menomano (sorta di maestro sciancato) che si vendica raddrizzando tutti i torti.

I'm a lumberjack and I'm OK, I sleep all night and I work all day (cit.)

Secondo la leggenda, “Cinque dita di violenza” uscì nelle nostre sale con un doppiaggio quasi normale, quasi umano oserei dire, andato purtroppo perduto e soppiantato dal secondo doppiaggio, quello che ha proliferato in VHS prima e poi travasato malamente in DVD e arrivano fino a noi, una roba che ricorda a tutti gli effetti quando il rumorista di “Scuola di polizia”, faceva l’imitazione dei film di Kung-Fu con tanto di labiale palesemente fuori sincrono, una roba imbarazzante che però a suo modo fa parte della mistica di questo film.

La trama è un classico, lo era già prima perché come detto è una spremuta di topoi narrativi pescati dai Wuxia, che voi la conosciate per i film con gli spadaccini cinesi volanti e perché l’avete vista nella sua versione riassunta e farcita di pugni mortali di “Cinque dita di violenza” non importa, perché tanto è sempre quella.

Facce che avete visto in TUTTI i film di menare: il mitico Bolo Yeung!

Sung Wu-yang, un anziano maestro di arti marziali, capisce che per sopraggiunti limiti di età, di non poter più insegnare molto al suo allievo prediletto, Chao Chih-Hao (l’imbalsamato Lo Lieh), quindi lo spedisce non a Bel-Air ma nella palestra dell'esperto Chen-Hsin-Pei, dove potrà imparare tutto e tempo un anno, essere pronto per il grande torneo.

In mezzo metteteci, una sotto trama amorosa con Ying Ying, la figlia dell’anziano maestro, una serie di sgherri che avrebbero fatto la gioia di Cesare Lombroso e una tecnica mortale, quella del “Palmo d’acciaio”, su cui Kevin Smith avrebbe sicuramente tirato fuori una battutaccia zozza ma che nel film è segreta, così segreta che non si vede nemmeno come faccia il nuovo Shifu di Chao Chih-Hao ad insegnargliela. Ad un certo punto il nostro protagonista ha i pugni nelle mani come Maccio Capatonda e per di più, i palpi sono fluorescenti tipo filamento della lampadina, insomma una tecnica utilissima per leggere a letto senza bisogno di accendere la luce.

Mani da lettura ma anche mani di menare!

Se Chao Chih-Hao inizialmente è vessato solo da un bullo locale, Chen Lang (l’attore coreano Kim Ki Ju) con la sua capigliatura che lo rende allo stesso tempo capellone e calvo in parti uguali, forse prematuramente stempiato dalla sua tecnica delle testate (che rovinano il capello), molto presto si ritroverà nel centro del mirino del diabolico Boss con i baffetti da cattivo Meng Tung-Shun, interpretato da un mito come Tien Feng, lo avete visto in TUTTI i film di arti marziali, proprio tutti.

La lezione di Cesare Lombroso applicata al cinema.

Temendo la concorrenza di ‘sta mano che po esse fero e po esse piuma, il Boss manda i suoi uomini ad aggredire Chao Chih-Hao spezzandogli le mani e mettendo fine alla sua carriera prematuramente. Mi viene da chiedermi se questo fosse il Kung-Fu movie preferito anche di Tonya Harding.

«Le mani! Mi hanno distrutto le mani!» (cit.)

Con un’usanza tipica del cinema orientale (anche il Maestro Morricone ne era stato vittima), “Cinque dita di violenza” usa quelle sue ditine per pescare musica popolare in occidente da utilizzare a sbuffo nella colonna sonora, nella fattispecie l’aggressione a Chao Chih-Hao qui viene sottolineata dal motivetto della sigla di “Ironside”, che se avete un’età oppure siete veri appassionati di film di menare, vi farà subito pensare alla serie con Raymond Burr, a Quincy Jones che lo ha composto oppure a questo film. In alternativa se siete schifosamente giovani e proseliti di Tarantino, vi ricorderà subito “Kill Bill” perché il regista di Knoxville lo utilizzava senza motivazione alcuna (se non quella citazionistica) nel suo film, quello che ha trasformato TUTTI in esperti di film di arti marziali, profondi conoscitori di tutta la produzione orientale sulla base di un film visto. Quello di Tarantino. Fine dell’angolo del lamentone polemico.

Ma dove “Cinque dita di violenza” mena il suo colpo più duro è sicuramente nella scena quasi Horror (anche quella scippata da Tarantino per la sua bionda sposa), ovvero l’accecamento a colpi di bulbi oculari strappati, scena madre che colpì così tanto l’immaginario italico che la seconda locandina del film, venne creata ad arte per sbattere quei due occhi asportati dritti sul poster (storia vera).

A me gli occhi!

Che voi siate esperti di film di menare, che vi sentiate tali perché ve lo ha detto Tarantino, oppure perché siete cresciuti in sala (e all'ippodromo) non importa, “Cinque dita di violenza” pur non essendo il miglior film degli Shaw Brothers Studio, il più originale o quello recitato meglio (Lo Lieh il protagonista, non sapeva tirare un pugno che fosse uno, storia vera), questo film ha davvero tutto per aprire ancora oggi al pubblico le porte di un mondo cinematografico vastissimo che è stato fondamentale in oriente tanto quanto qui da noi.

Ricordatevi di fare testamento prima di scambiare un cinque alto con lui.

Ci sono film che si ritagliano il loro posto nella storia del cinema con la loro forza, non potevo proprio concludere il 2022 senza celebrare i primi cinquant'anni di un titolo che quel posto se lo è preso usando beh, cinque dita di violenza… auguri di buon compleanno!

10 commenti:

  1. Anch'io collego un paio di queste "locandine artistiche" ad un luogo dell'infanzia, lontana quasi come l'uscita di questo film nelle nostre lande.
    Essendo figlio di due mondi agli antipodi, avevo la possibilità di passare un saaaaaacco di tempo,tipo 6 mesi di riffa &raffa, in un luogo del tutto privo di Padanietà e Dittonghi su ogni sillaba.
    Qui imparai già frugolo l'infinito spasso e caleidoscopio di un FILM ridoppiato,commentato,inframmezzato, sottolineato,musicato e MIGLIORATO dal vernacolo locale.

    Nel cinema piú cittadino e centrale di quell'isola paradisiaca, proprio in questo periodo festivaliero,ero solito bearmi a crepapelle di queste produzioni inguardabili,mentre TUTTA LA SALA contributiva ad insegnarmi nella maniera piú spassosa possibile ,tutti i limiti i buchi e le poveracciate di sceneggiatura e cast. Ma non mi sono mai piú divertito tanto.
    oggi se ne rivedo alcuni di quelli ridotti meglio ne soffro.
    Nella prima fase del TuTubo,anni fa, le varie scuole regionali di ridoppiaggio vernacolare erano tornate di moda,ma non c'erano piú intelletti bastevoli ad apprezzare.

    Fu anche Il Grande Avvento dei Titolisti Italiani,purtroppo...Campiamo ancora nei lasciti di melma di quell'epoca,puLtLoppo

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    1. La grande arte del ridoppiaggio comico, per me cugina economica della parodia ufficiale, ha resto grandi tanti titoli, ma proprio tanti, grazie per il racconto di vita vissuta, sono sempre storia che gradisco ;-) Cheers

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  2. Cinquant'anni di pura gloria per un film che in realtà non ne meritava molta, per quanto è rozzo in confronto ai grandi capolavori wuxiapian dell'epoca, infatti persino i suoi autori sono rimasti stupiti del suo successo, a riprova di quanto spesso i produttori non capiscano la propria epoca e ci azzecchino per puro caso.
    Siamo nella Hong Kong del maestro Chang Cheh, è come se nell'Italia di Sergio Leone e Fellini d'un tratto l'unico filone venduto nel mondo fosse quello delle barzellette sui Carabinieri: quale produttore l'avrebbe potuto prevedere???

    Grazie per le citazioni e tanti auguri a un filmaccio assurdo ma che strappa il cuore... con le sue dita di violenza!!!

    P.S.
    Temo che quel documentario abbia un po' "dirottato" le interviste. Nel ben più rozzo e semi-amatoriale "Art of Action", ogni volta che Adkins chiede a un professionista del settore (attore, stuntman, regista, ecc.) la sua prima esperienza la risposta è una, unica e una soltanto, "Enter the Dragon" con Bruce Lee, non si sbaglia. Non importa l'età dell'interessato, perché nei Paesi anglofoni quel film è replicato ininterrottamente dal '73 ad oggi, in leggera controtendenza con il nostro Paese, dove (essendo targato Warner Bros) è noto solo a una cerchia ristrettissima di fan.

    P.P.S.
    Chao allegro boscaiòl è un'idea che mi ha illuminato la giornata ^_^

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    1. Grazie a te, non potevo esimermi dal fare gli auguri ad un film che è così famoso da essere famosissimo ;-) Si può essere, anche perché alcuni degli intervistati erano o troppo giovani o troppo datati, invece “Enter the Dragon” in quanto proprietà Warner negli Stati Uniti è un caposaldo, più che da noi, qui era roba da ricchi! Cheers!

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  3. L'avevo trovato in dvd in un mercatino dell'usato, ma oltre al doppiaggio pessimo era anche tremendo come immagine perché pareva un riversamento in digitale di una VHS scrausa.
    Così me ne sono liberato al più presto rivendendolo.
    Comunque la scena degli occhi era rimasta in mente davvero come simbolo di tutto il film.

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    1. Essendo un prodotto Warner Bros privo di Mel Gibson o Clint Eastwood, gli unici due attori della casa trattati bene in Italia, anche questo film è stato trattato malino nella distribuzione nostrana. E con "malino" intendo "da schifo assurdo".
      MAGARI quel DVD che citi fosse il riversamento di una VHS: conservo ancora l'unica VHS esistente del film, una Warner "Scudi" del 1996, e si vede benissimo: l'unica spiegazione per quel cesso di DVD che gira in Italia è che come proiettore abbiano usato lo sfintere del presidente della Warner Italia :-D

      Essendo la pellicola italiana del film scomparsa nel nulla, in possesso solo di pochissimi collezionisti carbonari, la Warner non ha più l'edizione italiana del film quindi nel '96 l'ha interamente ridoppiato, usando sempre lo stesso sfintere per fare tutte le voci.
      E tocca pure ringraziare, visto che la maggior parte dei film marziali usciti quel 1973 (intorno alla cinquantina, almeno quelli sicuramente identificati), sono perduti nella loro edizione italiana.

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  4. Piccola nota biografica, purtroppo dalle tue didascalie mi accorgo di assomigliare sempre di più a Chen Lang, sarà che ho la stessa pettinatura, purtroppo non posseggo le medesime competenze marziali!!
    Detto ciò, ricordo un periodo tra la fine degli anni '80 e i primi '90 dove su Telemontecarlo i sabati sera venivano trasmessi molti film di arti marziali cinesi (forse il fratello Lucius se lo ricorderà per una questione anagrafica) e proprio grazie a questi cicli di pellicole mi sono appassionato al genere, per quanto, effettivamente, le trame fossero abbastanza identiche.
    Molti poi erano anche parecchio comici e ricordo anche di aver visto per la prima volta Jackie Chan proprio in una di queste produzioni.
    Combinazione anche io ho un ippodromo vicino a casa, ora scopriamo che abitiamo a pochi passi di distanza!!
    Nǐ hǎo

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    1. Purtroppo non seguivo TMC all'epoca, se non distrattamente. Però ricordo benissimo che per tutti gli Ottanta nei canali locali era facile imbattersi in un film di Hong Kong, tanto che l'intero filone sembrava talmente facile da recuperare che mai avrei pensato un giorno sarebbe tutto scomparso nel nulla.
      Per il mio ciclo su Jackie Chan ho scoperto in effetti che TMC all'epoca che indichi si è comprata diversi suoi primi film, alcuni poi riesumati in VHS un decennio dopo e ristampati più volte, altri (come "Fearless Hyena") scomparsi nel nulla: quella trasmissione TMC rimane l'unica prova di una loro edizione italiana!

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  5. Io mi chiedo se Buronson e Tetsuo Hara abbiano mai citato questo gongfu fra le fonti d'ispirazione per Hokuto No Ken: quei palmi lassù si illuminano più o meno quanto l'aura del Qi che avvolge i guerrieri/maestri delle rispettive scuole di Hokuto, Nanto e Gento... ;-)

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    1. Non so se lo abbiano fatto, ma di sicuro lo hanno visto e in qualche modo assimilato ;-) Cheers

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