lunedì 10 ottobre 2022

Il Triello - speciale infanzia: Sotto Scacco - Radio Flyer - The Wizard

I bambini! Qualcuno pensi ai bambini! I film d’infanzia sono sempre stati un pallino del nostro Quinto Moro, perciò non poteva mancare un triello a tema. C’è chi gioca a scacchi, chi tira un carretto e chi sta in fissa coi videogiochi, ma la partita più grossa va giocata sempre contro gli adulti.

Sotto scacco – Alla ricerca di Bobby Fischer (1993): dagli scacchi ai calci in culo

IL BUONO

“Alla ricerca di Bobby Fischer” racconta la storia (quasi) vera di un piccolo prodigio degli scacchi che si ritrova ad affrontare le pressioni del suo talento, e pur indorando la pillola di tanto in tanto, rivederlo da adulto mi ha fatto capire perché l’avessi apprezzato tanto da ragazzino, quando non sapevo nemmeno cosa fosse un alfiere.

Alla sua età, anch’io giocavo a scacchi come lui, ma solo in questa scena.

Josh Waitzkin è un ragazzino newyorkese che, incuriosito dagli scacchi, riesce ad apprenderne le basi osservando i giocatori. La Regina degli Scacchi ha usato un po’ la stessa formula, ma bisogna lasciare da parte la sospensione dell’incredulità perché i bambini hanno un approccio tutto loro a questo gioco, che ne rende alcuni molto simili ad armi di distruzione di massa. Il genio precoce di Waitzkin non è fantascienza, era uno di quelli veri, salvo poi tirare un calcio alla scacchiera (letteralmente) per darsi alle arti marziali.

La sceneggiatura è tratta dal romanzo scritto da Waitzkin-padre, figura ambigua all’interno del film, in bilico tra la causa dei malumori del piccolo Josh, e la figura salvifica. Il fatto che venga fuori un personaggio così controverso dalla SUA versione dei fatti, fa un tantino pensare.

Papà Waitzkin è interpretato dal sempre carismatico Joe Mantegna che ve lo dico, a me stava sulle balle sin dalla prima visione, ma Joe sa muoversi benissimo fra il babbo stronzo e il comprensivo. La figura più positiva è ovviamente la-mamma-che-è-sempre-la-mamma Joan Allen, mentre lo spigoloso e severissimo maestro è Ben Kingsley. Ben, con quegli occhi penetranti e il volto impassibile funziona bene, mentre è più all’acqua di rose il secondo maestro di Josh, il giocatore di strada: Lawrence Fishburne. Cast mica da ridere, nevvero?

Ho lasciato il protagonista per ultimo, lo sconosciuto esordiente Max Pomerac, semplicemente perfetto nel ruolo. Non avrà fatto tanta strada, ma la sua naturalezza davanti alla macchina da presa, con quel suo piglio malinconico e taciturno, sono perfetti per un piccolo genio che cerca di sbocciare.

“Tu sei l’eletto…” – “Come scusa?” – “No niente, facevo una profezia”

Il talento di Josh diventa il suo tormento. Il gioco diventa pressione: quella del padre, del maestro, dell’America intera. Si perché Bobby Fischer, primo e finora unico campione del mondo AMMERICANO, da personaggio un pelino eccentrico (“Un genio! O un autentico pazzo…” Cit.) sparì dalle scene proprio dopo aver conquistato il titolo mondiale. Da qui la “ricerca” di Bobby Fischer, un’ossessione negli ambienti scacchistici, a metà tra la smania di veder riapparire il campione e quella di trovare un successore da glorificare sull’altare a stelle e strisce.

Il film offre uno sguardo sulla venerazione di Fischer, divenuto negli anni un’ombra sulle spalle dei talenti americani, come accaduto al piccolo Josh Waitzkin. Ma sostituendo agli scacchi un’altra disciplina avremmo il tipico racconto di genitori che vivono le proprie speranze attraverso i figli, con ambienti-tritacarne che trasformano il divertimento in obbligo, depressione e isolamento sociale. Bastano due scene: il piccolo Josh sotto la pioggia cazziato dal babbo dopo una sconfitta, e l’arbitro del torneo che va a chiudere i “genitori elicottero” nei sotterranei, coi bambini che si abbandonano ad un applauso.


Gli scacchi sono per gente calma e pazien… ma anche no.

Non sembra mai che dietro la macchina da presa ci sia un esordiente, almeno in quel ruolo. Steven Zaillian aveva la mano calda, reduce com’era dagli script di “Risvegli” e “Schindler’s list” (robetta proprio) qui si è buttato pure sulla regia, senza sbavature. Certo aiuta la solidità del cast e della crew, come il maestro Conrad Hall alla fotografia, che tira fuori scene con luci e chiaro scuri fantastiche, specie nelle scene alla scacchiera.

Il film è ben confezionato, l’unica pecca è vedere l’ottimo script trasformarsi nella tipica “ascesa del protagonista perché sì”. Il montaggio e tutto il pathos nel finale ci restituiscono il senso di sfida, ma l’avversario è solo messo lì solo per glorificare il protagonista. Solito schema visto mille volte: il rivale è freddo e all’apparenza imbattibile, l’eroe dev’essere tormentato, il talento naturale/proletario che ha superato e sconfitto le brutture dell’ambiente tossico degli scacchi. E certo. La storia del vero Waitzkin insegna proprio questo. O no?


“Il mio maestro di scacchi me le dava più forte!” (il vero Josh Waitzkin, versione 2.0 è quello che sta vincendo)

Arrivando al finale le carte migliori sono già spese, resta l’aspetto più zuccheroso con la bontà del protagonista – che offre il pareggio pur con la vittoria in tasca, mentre negli scacchi l’offerta del pareggio è pura constatazione e non gesto d’onore. Il finale sembra negare lo spirito stesso del film, che dovrebbe essere di liberazione dalle pressioni e dalle aspettative, mentre lascia intendere che forse s’è davvero trovato il nuovo Bobby Fischer. E invece…

Invece il VERO Josh Waitzkin si ritirò dagli scacchi professionistici a soli 23 anni, e non fece mistero d’aver perso interesse a causa dell’eccesso di aspettative (cresciute anche a causa del film). Se dopo gli scacchi si diede alle arti marziali, menando tanto forte da levarsi più soddisfazioni sul ring che alla scacchiera, due domandine sulla rabbia repressa me le farei. 

P.S. per quanto sia un film un po’ dimenticato, Il Zinefilo ne ha parlato QUI, e vi consiglio di leggerlo per completezza. 

Radio Flyer (1992): quand’ero bambino io, gli aeroplanini di carta volavano più lontano

IL BRUTTO
(diciamo “diversamente bello”)

Partiamo dall’elefante, anzi il bufalo, nella stanza

Rivedere i film d’infanzia è un’esperienza. Non sempre positiva. Mi chiedevo come mai "Radio Flyer" non fosse così gettonato nella filmografia di Richard Donner, uno che non ha bisogno di presentazioni. La risposta è nel film, strutturato (male) come un flashback (che forse non è un flashback), in cui il buon Tom Hanks si mette a raccontare una storia sulla sua infanzia, in cui lui è Elija Wood (sì, Frodo) e il suo fratellino Joseph Mazzello (il Tim di Jurassic Park). Cast buono, buonissimo, con Lorraine Bracco mamma single e “il Re” – ma non “quel” Re – Adam Baldwin.

Film che raccontano la violenza sui bambini non ce ne sono tanti là fuori, o almeno non la raccontano dal punto di vista dei bambini, il che fa rientrare “Radio Flyer” in una categoria molto ristretta, anche se il modo in cui lo fa è decisamente all’acqua di rose.


Su con la vita bambini, un patrigno orco non è nulla in confronto a velociraptor affamati e l’Oscuro Signore di Mordor.

“Radio Flyer” è il nome commerciale di quei tipici carretti giocattolo, rosso fiammante, famosi tra i bimbi americani, e qui elevato a una specie di metaforone sull’infanzia. La formula è la solita del “new kid in town”, i fratelli Mike e Bobby si trasferiscono in una nuova città con la mamma divorziata. Per ritrovare serenità la mamma si risposa con un autentico maschio americano che ama la sua canna da pesca, la sua birra, e menare i “suoi” bambini. Ma in questo caso mena solo il più piccolo, perché così fanno i veri uomini.

Nonostante il tema tosto, i momenti drammatici sono “smontati” e ammorbiditi da un continuo idealizzare l’infanzia, perché va bene restituire l’aura sognante, ma certi toni da favoletta me l’hanno fatto rivalutare al ribasso. Sembra mancare la mano ferma di un regista, clamoroso trattandosi di Richard Donner. La verità è che il buon Richard era stato chiamato rimettere il progetto sui binari dopo un avvio disastroso. Il primo girato (ad opera dello sceneggiatore David Evans, improvvisato alla regia) buttato nel cesso insieme al cast, alla sceneggiatura e a qualche milione di dollari.

Tabula rasa, più o meno, perché insieme al nuovo script preteso da Donner – ma sempre scritto da Evans – venne fatto il re-casting dei protagonisti. Tra l’altro uno dei fratellini rispedito a casa era Luke Edwards, che ritroveremo più avanti nel triello.

“Mamma, quello è Superman?” - “Quasi tesoro, è Richard Donner” - “E ci salverà?” - “Di sicuro ce la metterà tutta” [Ciao Richard, ci manchi vecchio]

Donner manda a segno almeno un colpo, quello che al netto dei difetti mi ha reso “Radio Flyer” indimenticabile: la scelta registica per cui il patrigno orco, il Re, non veniva mai inquadrato bene. Mi colpì già da bambino. Del Re vediamo il corpo, le sue mani, la sua sagoma in ombra, il volto si scorge appena in una o due scene. Proprio com’è lo sguardo basso di un bambino che cerca di tenersi alla larga dal mostro, non osa guardarlo e teme di attirarne l’attenzione. Il Re è un’ombra, un mostro che incombe e non si sa quando colpirà.

Purtroppo le parti drammatiche soffrono della struttura episodica del racconto, la voce narrante tiene insieme il racconto, ma sembra fare più danni che altro. Tom Hanks venne tirato sul carretto in post-produzione per aggiungere un narratore e una morale sulla solidarietà fraterna (che c’entra pure poco), e sono quelle scene a dare il colpo di grazia, perché alla fine ci viene detto che non dobbiamo credere proprio a tutto quello che ci viene raccontato. Sul serio Tom? Non hai chiuso quella bocca per quasi due ore e te ne esci così?

Insomma, idee buone e potenziale sprecato, ma dategli una chance perché non è certo brutto. Solo che a me brucia quella magia scorta in uno sguardo d’infanzia, svanita nella delusione di un film molto meno bello rispetto al ricordo.


The Wizard - Il piccolo grande mago dei videogames (1989): ti sogno California, e un giorno io verrò
IL DISCRETO
(nonostante la marchetta sfacciata)

Non scrivo sulla Bara perché sono sponsorizzato, ci scrivo perché me nintendo.

Di sicuro il più noto di questo triello, sia grazie ai passaggi tv che all’affermazione dei videogiochi nella cultura pop, oltre che per essere una spaventosa marchettata alla Nintendo – all’epoca massima potenza dei videogiochi. Se non fosse per le scene “pubblicitarie”, saremmo di fronte a un buon film sull’elaborazione del lutto e del trauma, e su come i videogiochi possano diventare un modo per incanalare le energie, affrontare le angosce e i traumi, come può fare ogni altra passione. 

Non so cosa sia più imbarazzante: la pubblicità al “Guanto Magico” o il fatto che Lucas sia il tipico testimonial da videogame anni ’80. La parola CRINGE non era ancora nata, ma qui potete sentirla.

Il piccolo Jimmy è un bambino taciturno, incapace di relazionarsi con l’ambiente esterno e con gli altri. A questo aggiunge continui tentativi di fuga da casa per raggiungere la mitica California, che poi è una delle poche parole che Jimmy pronuncia. Dopo l’ennesima fuga, divenuto ingestibile per una famiglia spaccata, Jimmy sta per essere spedito in un istituto ma uno dei suoi fratelli non ci sta, così lo rapisce per evitargli una possibile sorte alla Randle Murphy. Inizia così un viaggio on the road, i fratellini in fuga da una parte, papà e fratello maggiore che cercano di riprenderli, e lo scagnozzo stronzo pagato dalla mamma (un po’ stronza pure lei).

È una specie di “Rain Man” 2.0, riprende la formula con un tempismo sospetto, visto che il film di Levinson sbancava botteghini e premi solo un anno prima.

Dove l’ho già vista questa scena? (p.s. lo skateboard è strumento di datazione anni ’80 più sicuro del Carbonio 14)

I fratellini in fuga conoscono una ragazzina sbandata – pure lei non tanto a posto con la famiglia – che li trascina verso un torneo di videogiochi. Ve lo dico, mi ha sempre dato un po’ fastidio quest’idea che non appena i ragazzini si accorgono del talento di Jimmy pensano subito di sfruttarlo per vincere il malloppo di un maxi-torneo di videogiochi. A renderlo più sopportabile c’è il fatto che il torneo si svolge in California, perciò Jimmy finalmente potrà andarci, il fratello e la nuova pseudo-fidanzatina forse incasseranno un mucchio di soldi e sono tutti contenti. Senza vergogna ‘sti ragazzini.

Il cast conta una sfilza di nomi e volti d’epoca, dal giovane Fred Savage, alias quello che si faceva raccontare La Storia Fantastica dal Tenente Colombo (e poi da Deadpool), alla frizzantina Jenny Lewis, passando per Christian Slater e Beau Bridges.

Il piccolo Luke Edwards nei panni di Jimmy l’ho sempre trovato strepitoso, chiuso nei suoi modi da bimbo autistico, ma con gli occhi della tigre non appena vede uno schermo.

Quella roba nera sulla sinistra si chiamava “cabinato”. Quella roba al centro si chiamava “occhi della tigre da ultimo gettone”

A tenere alto il ritmo e l’affezione verso i personaggi ci pensano i due “villain”. Il primo è un adulto, il “cacciatore di bambini” da cui scappare. Il secondo è l’insopportabile Lucas, il fighetto bravissimo ai videogiochi per cui vale il discorso fatto prima con “Sotto scacco”: l’eroe = talento naturale/problematico/umile, antagonista = campione studiato/freddo/arrogante.

Al netto dello script lineare, le dinamiche tra i personaggi sono funzionano, e in un prodotto del genere tanto basta. Demolito dalla critica dell’epoca – che non fatico a immaginare popolata da vecchiacci infastiditi da queste diavolerie tecnologiche che corrompono i nostri bambini, qualcuno pensi ai bambini! – “The Wizard” fu un buon successo commerciale, guadagnandosi i giusti passaggi tv per farsi conoscere.

Condannato dal suo essere datato e relegato a una nicchia di appassionati, è stato come un primo sguardo alla frontiera, in un’epoca in cui era impensabile l’esplosione planetaria dei videogiochi, ma aveva anche il cuore dal lato giusto. “The Wizard” è una commedia per famiglie, con inseguimenti e gag più o meno riuscite. La storia del piccolo Jimmy con la sua inseparabile valigetta di metallo, il suo trauma e la “sua” California svelata nel finale, bastano a dare spirito a un film altrimenti grottesco nella smania pubblicitaria. Se invece volete sapere tutto su dove trovare i flauti per saltare nella Warp Zone in "Super Mario Bros. 3", chiedete a Cassidy.

16 commenti:

  1. Mi mancano tutti e tre, grazie a Quinto per i consigli. Mi pare che al netto di qualche ingenuità ognuno di loro abbia qualcosa da dire, anche solo per i cast.

    L'ultimo film con mocciosi protagonisti che ho visto è stato Papà ho trovato un amico, è un genere che ogni tanto non mi dispiace affatto.
    Cosa ne pensi di Navigator?

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    1. sai che Navigator era in lizza tra i titoli? lo devo recuperare perchè non sono sicuro di averlo mai visto tutto, poi ho ripiegato su film che conoscevo meglio

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  2. Pure io non ne conosco nessuno (suppongo per mancato target anagrafico) però confesso che i primi due mi incuriosiscono!

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    1. "Sotto scacco" merita anche solo per il cast, ed è un film che non invecchia

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  3. Forse l'ultimo sì, ma stranamente non mi ricordo d'aver visto gli altri, comunque bel viaggetto nostalgico ;)

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    1. Radio Flyer penso sia apparso pochissimo in tv, mentre The Wizard veniva sparato con una certa frequenza

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  4. Non so com'è, ma non ne ho visto nessuno, "Il piccolo grande mago dei videogame" lo davano a raffica ma probabilmente mi cambiavano canale perché mi è sempre sfuggito...
    "Radio Flyer" non lo conoscevo, mentre "Sotto scacco" l'avevo sentito ma non l'ho mai visto. Non mi è chiara una cosa: perché il film si intitola "Alla ricerca di Bobby Fischer" se poi parla di Waitzkin? si parte per vedere che fine ha fatto Fischer e per strada trovano Waitzkin?
    Comunque a quanto ho capito questo Waitzkin è stato un anticipatore, anche se poi lui gli scacchi li ha abbandonati. Esiste uno sport: scacchipugilato, con tanto di campionati europei e mondiali, nato sulla scia di un fumetto e probabilmente funzionale allo sfogo della rabbia repressa che si accumula durante il round dedicato agli scacchi.
    L'inventore di questa cosa per me è il "vero genio, o un autentico pazzo", altro che Ivo Shandor 😉 (dio quanto mi manca un film come Ghostbusters...)

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    1. Il titolo "Alla ricerca di Bobby Fischer" ho cercato di spiegarlo nel commento, ma si capisce meglio vedendo il film. Ogni tanto partono delle digressioni su Fischer, su come sia stato una figura mitologica, e non appena in un parco si vede parecchio rumore intorno a una scacchiera tutti pensano che lo scomparso Fischer si sia fatto vivo.

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    2. Sì, probabilmente avevo letto un po' troppo frettolosamente e mi era sfuggito 😅 come titolo però è un po' fuorviante, dai...

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  5. Sotto scacco mi manca, peccato perché era quello buono, mentre gli altri due li ho visti, soprattutto il marchettone, almeno un paio di volte ciascuno.
    Del carretto mi viene da pensare alla canzone di Lucio Battisti, solo che al posto di gelati, quell'uomo tirava pedate... Per il resto un film che emana una grande tristezza, forse per il tema difficile, forse perché Donner non è riuscito a contribuire con il suo tocco a qualcosa che era già nato male...
    Il piccolo grande mago dei videogame è un film strano. Sicuramente è uno spot incredibile per la Nintendo, ma alla fine resta comunque un film godibile, anche se gli adulti non ci fanno una grande figura. Avendo purtroppo sperimentato lo spettro autistico in famiglia, posso però dire che Jimmy è caratterizzato molto meglio dei personaggi di altri film o telefilm che negli anni hanno parlato di tale argomento (mi viene da pensare a The good doctor, per fare un esempio recente). Ogni volta che lo vedo mi viene un pò di nostalgia per quei tempi dove i videogiocatori erano visti come qualcosa di strano e (per le generazioni più grandi) pericoloso, come esseri provenienti da un mondo lontano e inaccessibile (almeno ai più).
    Però si sentivano parte di una comunità e facevano gruppo, cosa che non accade più ora che sono stati "sdoganati".
    Ora che leggo questo tuo post mi viene in mente un anime molto carino che tratta il tema dei videogiochi negli anni '90, Hi score girl, e anche il film Natale a 8 bit...

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    1. "Del carretto mi viene da pensare alla canzone di Lucio Battisti, solo che al posto di gelati, quell'uomo tirava pedate..." GENIO!
      avrei voluto pensarci io e metterla nel commento

      Vero, Jimmy rende benissimo, ti resta impresso, Luke Edwards è stato fenomenale.

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  6. Posso parlare solo per l'ultimo, ovvero "Il piccolo grande mago dei Videogames" (solito titolo chilometrico quanto inutile, come da tradizione italica).
    Allora, sorvolando che e' un marchettone spudorato alla grande N dei videogiochi, visto che in quel mondo giocano tutti al Nintendo e basta, ovunque...non mi e' dispiaciuto, tutto sommato.
    Di fondo e' una bella storia di formazione, classica ma non poi cosi' scontata, a base di una perdita con relativo lutto da elaborare.
    Comunque, "Doppio Drago" non si puo' sentire.
    E il brutto e' che dopo questo film in sala giochi sentivi i bambini dire "Giochiamo al Doppio Drago!!"
    E io, da fanatico di "Double Dragon", sentivo salire il nervoso...

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    1. doppio sanguinamento d'orecchi per il doppio drago.
      il film è stato ridoppiato nel 2007 e mi pare abbiano lasciato i nomi dei giochi in originale, come per il "guanto magico/power glove"

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    2. Ah, ok.
      Io ero rimasto alla primissima versione, quella poi trasmessa in tv.
      Come dicevo...visto solo perche' ero nintendaro incallito, e perche' a quell'epoca tutto faceva brodo dato che i Videogames non erano stati ancora sdoganati.
      Figurati la sorpresa quando ho scoperto che era pure bellino, come film!

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  7. Dei film citati ho visto solo il primo (grazie per la citazione), il secondo ce l'ho da parte sin dalla sua uscita e il terzo lo conosco solo di nome. Magari questo tuo triello mii spingerà a colmare le due lacune ;-)

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    1. Quando Quinto Moro mi ha sparato i titoli, ero gasato perché sono famosi ma non famosissimi, giusto ricordare anche i film così ;-) Cheers

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