Allacciatevi i guantoni e continuate a ballare su quei piedi, tenete la guardia alta perché voleranno i pugni, benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Macho Mann!
Il pugilato è probabilmente lo sport che è stato raccontato più spesso al cinema, forse solo le “Biopic” sono più materiale per Hollywood dei film con ring e guantoni, per spiccare in una selva così affollata bisogna essere bravi per davvero, Michael Mann ha già dimostrato di essere fatto della pasta dei migliori tanto da non tirarsi indietro nemmeno davanti ad un soggetto ambito come un film sulla vita di Muhammad Alì, uno che affrontasse la storia non dal punto di vista che tutti già conoscono, oppure da quello documentaristico di titoli come “Quando eravamo re (1996)", titolo da cui Mann con il suo solito approccio ha studiato molto bene, facendosi passare sotto banco dal regista Leon Gast, tutte le ore di girato che non sono finite nel montaggio definitivo del suo film, anche solo per studiare le espressioni e i movimenti del grande pugile (storia vera).
Eppure, il soggetto faceva gola a molti registi, ad esempio
il più nero di tutti Spike Lee, ma anche il più politico di tutti, Oliver
Stone. Michael Mann sbaragliò la concorrenza forse perché qualcuno ad Hollywood
pensò che era più “sicuro” affidare questa storia e lui, dimenticando che in
quanto nato e cresciuto a Chicago, Michele Uommo un po’ della cultura nera ce l’ha
nel sangue, il problema era trovare l’attore giusto per interpretare “The
world's greatest".
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"Michael adesso giriamo la scena dove corro sulle scale?", "Capisco che sei di Philadelphia, ma questo è un altro tipo di film sulla boxe" |
Ai tempi, lo ammetto candidamente, ero tra quelli che non aveva capito come si potesse affidare il ruolo di Muhammad Alì a Will Smith, eh no Michael Denzel, qui ci voleva Denzel per quanto già troppo avanti con l’età per la parte, eppure quando andai a vedere il film (in una sala mezza vuota) sembravo uno dei giornalisti davanti all’ennesima vittoria di Alì, testimone del momento esatto in cui il ragazzino, principe di Bel-Air diplomato alla scuola dei ruoli cazzari e divertenti, era riuscito a prendere la laurea con il massimo dei voti all'Università Mann per attori, trasformandosi nel Re della Boxe.
Esiste un momento spartiacque nella carriera di Will Smith,
prima era uno che faceva il simpaticone figo nei film, poi è diventato un
attore vero grazie a Michael Mann, decidendo di gettare via tutto in scelte
personali discutibili, schiaffi in faccia Chris Rock e film con Mucchino che, evidentemente,
gli ha rubato l’anima. Penso che ora più che mai sia impossibile difendere Will
Smith, ma per fortuna il mio ruolo è diverso: dal 2001 sostengo che questa
sia la sua prova migliore (Chris Rock è stato fortunato a non aver presentato
la notte degli Oscar del 2002) e “Alì”, forse il più sottovalutato film del
regista di Chicago, per il suo approccio anti-biopic e per la sua capacità di
spiccare nell'affollato mondo dei film dedicati alla Boxe, questo film merita
di stare tra i Classidy!
La verità è che al primo incontro tra Mann e Smith, l’attore aveva una fifa blu (Manniano) all’idea di interpretare Muhammad Alì: come faceva un ragazzo nato nel 1968 a capire per davvero la vita dei neri nel 1964? Perché il piano di Mann era chiarissimo: «Le biografie mi annoiano. Bisognerebbe trovare un anno nella vita e dire tutto di quell’anno» ha dichiarato il regista intervistato, infatti dopo aver messo le mani sulla prima bozza di sceneggiatura firmata da Stephen J. Rivele e Christopher Wilkinson, il regista l’ha riscritta quasi da capo insieme al sodale Eric Roth, eliminando i flashback sull’infanzia del protagonista e concentrandosi su un arco di tempo che va dal 24 febbraio del 1964 (unica indicazione di tempo e luogo che vedremo in tutto il film) fino al 30 ottobre del 1974, data che non serve nemmeno indicare perché tutti sanno quando si è combattuto il più grande incontro della storia del pugilato, “The Rumble in The Jungle”, la rissa nella giungla a Kinshasa nello Zaire.
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Se questa è la vita che fanno a Kinshasa per me, poi tanto male non è (quasi-cit.) |
Michele Uommo non è interessato a raccontare gli eventi a chi non li conosce, la storia per il regista scorre intorno ai suoi protagonisti (sarà lo stesso in “Nemico Pubblico”), perché parliamoci chiaro: chi non conosce la storia dello sportivo più influente dello scorso secolo? Della sua amicizia con Malcolm X (qui interpretato da un Mario Van Peebles davvero intenso, papà sarà stato orgoglioso di te Marione), del suo cambio di nome e di religione, del titolo di campione del mondo ritirato per la sua protesta contro la guerra del Vietnam, tutto questo non è nemmeno storia dello sport, ma storia degli Stati Uniti, perché in quei dieci anni il Paese più influente nel mondo occidentale è stato scosso anche da un gigante nato Cassius Clay e diventato con tutte le sue forze Muhammad Alì ed è questo che a Mann interessa raccontare.
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"Keep my wife’s name out of your fucking mouth” (perdonatemi, non ho resistito) |
La storia di un personaggio che crea se stesso e il suo mondo, un altro professionista dalla disciplina inflessibile (qui applicata agli allenamenti), dedito al suo lavoro che mai come per Alì è stato una crociata. Come fanno gli eroi Manniani a trionfare, sempre allo stesso modo, con lo sguardo, quello con cui Will Graham inchiodava Dollarhyde, quello sul mondo in fase di cambiamento di Occhio di falco e via dicendo? Perché Mann facendo largo abuso della fratture sempre così popolari nel suo stile cinematografico, non si sofferma, ad esempio, sull’amicizia tra Malcolm X, Cassius Clay, il campione della NFL Jim Brown e il cantante Sam Cooke (i cui pezzi popolano la notevole colonna sonora), lascerà quella storia a film più recenti come Quella notte a Miami... Preferendo concentrare il suo sguardo sul film che quei quattro amici finiscono a guardare in televisione, un horror con una mummia che diventerà per Alì un modo per sfottere l’avversario George Foreman, questo giusto per sottolineare quanti quintali di cinema scivolano dalla dita di Mann, lasciati a terra per gli altri pronti a seguire il suo esempio, mentre lui con la stessa dedizione del suo protagonista, ci fa correre verso Kinshasa, in un’altra corsa contro il tempo (e la campanella degli incontri) per il suo protagonista.
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Mario Van Peebles in una prova che avrà di sicuro reso orgoglioso il suo papà. |
Con questo film Michael Mann trova per la prima volta nel cast un attore, con cui stringerà un sodalizio artistico notevole, per quello che mi riguarda, avrà anche vinto l’Oscar con una biografia canterina, ma è grazie alle rime e la buffa capigliatura del suo Drew "Bundini" Brown che si è davvero messo sulla mappa geografica del talento, lo strambo Mickey di questo Rocky che predica nell'angolo di Alì, al suo fianco nel bene e nel male, in quello che è il romanzo di formazione dell’eroe Manniano puro, un ragazzo che crea il suo nome, il suo mito, il suo mondo e le sue vittorie proprio perché è il più puro e il più duro di tutti e lo fa con la potenza dello sguardo che per un regista è tutto, per uno così votato alla forza delle immagini come Mann ancora di più.
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O bundì, bundì, Bundini / ‘ncura na volta, ‘ncura na volta (quasi-cit.) |
Il primo incontro contro Sonny Liston è già diretto così bene, da dover scomodare il paragone con “Toro Scatenato” (1980) di Martin Scorsese, unico altro regista a portare lo spettatore a bordo ring, solo che zio Martino amava utilizzare le corde del ring per mantenere noi al sicuro dal suo animale senza controllo, Mann fa di più: il regista di Chicago ci porta al centro del ring facendoci vedere quello che vede il suo protagonista, proprio come la prima rapina di Heat, questo primo incontro per qualsiasi altro regista sarebbe la scena madre, per Mann è l’inizio del film. Chi vede capisce il mondo che lo circonda, chi vede vince e quando Liston scosso dai pugni non riesce più a vedere il suo velocissimo avversario (come sottolineano le voci dei commentatori), la musica sale e il futuro titolare del titolo (del film e dei pesi massimi) trionfa senza parole, il cinema di Michael Mann è già tutto in questa scena.
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Mann ci porta dentro al ring, tanto che il film andrebbe visto con il paradenti. |
La prova di Will Smith è oggettivamente incredibile, sarà stato anche il Principe di Bel-Air con poster di Malcolm X nella cameretta, ma qui Smith quello delle canzoni su EMME Tivì scompare nel ruolo di Alì, la spavalderia che lo ha reso popolare sul piccolo schermo è perfetta per un personaggio che non si sta zitto un momento (se non quando conta per Mann che azzera i dialoghi), ma il resto del tempo si esibisce in rima («Se mi offende ed è convinto, io lo mando giù al quinto»), una prova incredibile ignorata dall’Accademy come tutti i film firmati da Mann, ma questa ormai dovreste aver capito, che è storia vecchia.
Non manca nulla in “Alì”, lo scontro con il padre Giancarlo
Esposito che per crescere il figlio dipinge Gesù biondo e con gli occhi
azzurri, ma nemmeno la sottotrama romantica che al ballo, Mann coadiuvato da
un nuovo direttore della fotografia (in linea di massima bravino, visto che si
tratta di Emmanuel Lubezki, scusate se è poco) mantiene il suo distintivo “Blu
Manniano” da sempre simbolo universale di romanticismo nei suoi film, quando
entra in scena Sonji (ovviamente Jada Pinkett Smith) l’unica a riuscire in
parte a tenere testa al protagonista («Non sono mai stato con una come te», «Può
darsi che non starsi più con nessuna altra»)
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"Se Cassidy non la smette di blaterare, giuro che lo stendo con questi pugni" |
Ma il momento chiave è probabilmente la scena dell’omicidio di Malcolm X, una lunga sequenza dove il campione in auto riceve la notizia da un uomo in strada e qui Mann lascia che a parlare sia il testo di “A change is gonna come” di Sam Cooke, in un cortocircuito cinematografico, lo stesso pezzo usato in maniera filologica da Spike Lee in “Malcolm X” (1992). Qui Mann sottolinea la maturazione nel cammino del suo eroe che perde la sua unica figura di riferimento, sfoga la rabbia contro il volante dell’auto (KO al primo round) e d'ora in poi capisce di dover essere lui quell'icona che prima anche per lui era stata Malcolm X.
Qui inizia la sua rivolta contro il governo, contro l’istituzione e contro il parrucchino di Howard Cosell (Jon Voight irriconoscibile, nominato all’Oscar come miglior attore non protagonista). Ci sono centinaia di sguardi lanciati in ogni direzione da Mann, ad esempio chi è il losco personaggio interpretato da Ted Levine ce segue il protagonista? Mann non è interessato ad una “Biopic” che spiega ogni singolo dettaglio della storia, ma ci cala nel mondo del suo personaggio, sappiamo per davvero solo quello che vede lui, anche quando tocca il fondo ed è costretto a muoversi per la città in metropolitana (Mann è il poeta delle metro al cinema), infatti il cambio di avversario avviene quasi fuori scena, noi spettatori scopriamo che Joe Frazier è andato giù contro George Foreman (Charles Shufford), soltanto perché Alì vede la fine del match alla televisione, la totale dedizione del regista di Chicago non è allo spettacolo puro e semplice, ma al mondo come Alì lo vede e lo costruisce solo con la forza della sua purezza.
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Vola come una farfalla, pungi come il cinema di Michael Mann. |
Ecco perché l’arrivo in Africa è qualcosa di quasi ultraterreno per Alì, accolto Kinshasa come l’eroe del popolo venuto a raddrizzare i torti e a vincere contro il campione americano, la popolazione locale nemmeno lo sapeva che Foreman era nero, per loro era solo il rappresentante degli oppressori, il colore della sua pelle è stato un breve momento di sollievo, quando il campione si presentò con il fedele pastore tedesco al guinzaglio, lo stesso tipo di cane che la polizia Belga per anni ha utilizzato per reprimere i locali (storia vera), poi chiedetevi perché i locali hanno accolto Muhammad Alì al grido di Ali boma ye! Alì uccidilo.
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Voi non sapete la fatica di non fare battute su Chris Rock, non potete capire. |
Una delle scene chiave del film, oltre che una delle
migliori mai dirette da Mann (a mio modesto avviso) è la corsa del campione tra
la sua gente per le strade di Kinshasa, ad Ovest di Rocky la più bella ed emozionante corsa di un pugile nel caldo
abbraccio del suo popolo mai vista al cinema. Ancora una volta Mann rinuncia
alle parole comunicando per immagini e musica, Alì corre sulle note della
trascinante “Tomorrow (Sadio)” di Salif Keita e vede, vede i graffiti sui muri
che la sua gente gli ha dedicato, disegni che raffigurano Alì con i suoi pugni
intento a fermare tutti, i carri armati della guerra, la fame, persino la
letale mosca tse tse, in quella corsa che per Mann è un grande momento di
cinema, il suo protagonista vede e quindi capisce la portata dell’icona in cui
si è trasformato, se servivano delle motivazione per affrontare un avversario
più giovane e più potente fisicamente di lui (dopo gli allenamento, il sacco da
Boxe di Foreman restava piegato in due dalla forza dei colpi, storia vera), ora
Alì ha tutte le motivazioni di cui ha bisogno e qui il film vola, quindi
bisognerebbe togliere l’accento al titolo.
Il campione del popolo, corre tra la sua gente. |
Le mani non colpiscono quello che gli occhi non vedono, vola come una farfalla pungi come un’ape. L’incontro finale “The Rumble in The Jungle” è la cronaca quasi perfetta dell’organizzazione di quel losco di Don King (Mykelti Williamson) e degli otto round con cui Alì ha scritto la storia, facendo sfiancare un avversario più potente, studiandolo, osservandolo, prima di piazzare la zampata. Ma Mann non si limita alla cronaca dei fatti che tutti conoscono, non lo ha fatto per i 159 minuti del film (165 nella director's cut, ma come sempre con il regista di Chicago, preferisco le sue versione “Theatrical”), non lo fa nemmeno per lo scontro finale che è tutto raccontato usando le armi proprie del cinema: le parole vengono ridotte al minimo sindacale, restano solo i pensieri del protagonista che proprio guardando e capendo, trova il modo per vincere, la stato di trance agonistica del più grande pugile della storia è reso meravigliosamente da Mann, la sua voce narrante diventa l’unica telecronaca sugli eventi, dal punto di vista privilegiato dal protagonista che vede le mosse del suo avversario prima di tutti e quindi può creare la sua vittoria e con quella, il suo mito, il tutto mentre tornano le note di “Tomorrow (Sadio)”, in un crescendo carico di trasporto, ma ben poco Hollywoodiano, non stando alle nostre abitudini di spettatori.
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Il classico "comeback" alla Rocky, raccontato in un modo tutt'altro che classico. |
Cosa mancherebbe in questo film che rappresenta in pieno la
poetica Manniana? Il mare come portatore di serenità e pace per i suoi eroi, ma
in qualche modo Mann come il suo protagonista, piega la storia alle sue
esigenze. La popolazione di Kinshasa festeggiò la vittoria del campione al
grido di «Ali! Ali! Bomaye!» in strada malgrado la pioggia africana che allagò
gli spogliatoi in un attimo (storia vera), infatti il climax del suo film Mann
lo sottolinea proprio con il cielo che si rompe e l’arrivo della pioggia, torrenziale,
liberatoria, Manniana al 100%, il battesimo di un personaggio che ha creato il
suo nome, il suo mondo e che Mann ci racconta all’apice del suo trionfo.
Pensare che qualcuno ancora considera questo film una cosetta con Will Smith.
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Quando era re (Alì bomaye) |
“Alì” uscì nelle sale americane il 25 dicembre del 2001 (qui da noi primo marzo del 2002), sfavorito nello scontro con uno dei cento Harry Potter e Jurassic Park III, fu un flop immeritato, ennesima conferma di occasione sprecata anche da parte dell’Accademy Awards, ma tutto questo non toglie niente alla potenza di un film incredibile, in un mare di produzioni dedicate alla Boxe e alle biografie, “Alì” è ancora un esempio di narrazione, montaggio e rispetto dell’intelligenza del pubblico che vola come una farfalla e punge come un’ape, Michael Mann che mette le ali alla settima arte e no, non ho dimenticato l’accento.
Prossima settimana, un nuovo capitolo della rubrica, ci faremo un giro a Los Angeles, considerate questa Bara il vostro taxi, qui, tra sette giorni, non mancate.
Eh ma ogni tanto una battuta su Chris Rock falla dai...
RispondiEliminaI pugili si muovono al contrario, invece di fuggire dal dolore gli vanno incontro, quindi l’unica era giocare d’anticipo sulle battute ;-) Tutta la vita che aspetto di scrivere come merita di questo film e quando posso farlo? Quando “Infernet” è tutta dedicata alla “Will Slam”. Cheers
EliminaBellissimo,per quanto non sopporti Will Smith,ha offerto un ritratto molto veritiero del personaggio
RispondiEliminaAnche secondo me, non solo Smith è diventato un attore (prima faceva il simpaticone) ma quella spavalderia alla fine era l'energia giusta per uno come Alì, penso sia un grande film e una gran prova da attore. Cheers
EliminaZio Portillo
RispondiEliminaVado? Mi sbilancio? Massì, dai. Questa è una delle tue recensioni più belle. Scritta da Dio su di un film “minore” (con mille virgolette! Ad avercene film minori come questo…) di un grandioso regista.
Personalmente lo vidi in sala e rimasi folgorato. Tutti conoscono anche a grandi linee la storia di Alì e del suo leggendario scontro con Foreman. Ma non si può che restare ammirati dalla cura e dalle immagini che Mann regala al pubblico. Uno step ulteriore che alza ancora l’asticella delle capacità registiche dell’uomo di Chicago. Filmone. Probabilmente come “film” nella sua interezza non è il migliore ma come regia se non è il numero uno è al secondo posto.
Ora devo per forza rivedermelo a stretto giro di posta.
Mann mi sta alzando palloni belli alti, ci tenevo particolarmente a rendere giustizia a questo film fin troppo ignorato, pensa che ne ho approfittato anche per rivedermi “Quando eravamo re” (storia vera) e mille grazie davvero capo ;-) Cheers
EliminaMalgrado io sia nato un paio di settimane prima dell'incontro, quell'ottobre 1974, sono cresciuto ignorando tutto di Ali, a parte che fosse un pugile famoso, quindi per fortuna prima di vedere questo film beccai - non ricordo più dove - il documentario "Quando eravamo re", che ho adorato e che mi ha spiegato un sacco di particolari scontati che per me scontati non erano. Il problema però è che "Ali" poi mi è sembrato troppo superficiale dal punto di vista della vicenda, e se non avessi visto prima quel documentario probabilmente grandi parti di storia non l'avrei capita. (E' però anche vero che il film parlava ad un pubblico che la vicenda la conosceva molto bene.)
RispondiEliminaPurtroppo non ho mai approfondito la poetica manniana e a mia memoria questo "Ali" mi ha lasciato freddino, preferendogli la narrazione del documentario: paradossalmente trovai più appassionante quel racconto rispetto al film. Però ora che sto seguendo questo viaggio dovrei rivedere il film con occhi diversi e magari stavolta lo apprezzerei di più ;-)
P.S.
Durante lo Slap-gate l'attore Paul Rodriguez ha affermato che in questo "Ali" il suo ruolo era molto più corposo, ma poi per qualche motivo si è attirato le antipatie di Smith, che prima l'ha bullizzato e poi ha fatto cancellare la maggior parte delle sue scene. Non so se davvero Smith all'epoca avesse questo potere, visto che non risulta neanche produttore, ma comunque ecco il video con l'interessato che si sfoga dopo vent'anni di silenzio... oppure approfitta della polemica del momento per farsi pubblicità :-P
Come scrivevo qui sopra, me lo sono rivisto anche io, proprio per approfondire prima di scrivere questo post, la storia del cane di Foreman arriva da lì. Comprensibile, Mann qui racconta la storia di un uomo che crea se stesso e il suo mito, per quello lo “abbandona” nel suo momento migliore, dopo il trionfo, pensa che io stesso che mi considero Manniano, ogni volta che rivedo questo film (ma anche altri di Michele Uommo) lo trovo un po’ meglio della volta precedente (storia vera).
EliminaPenso sia più probabile che semplicemente Paul Rodriguez sia caduto sotto i tagli al montaggio, parte del processo di lavoro che per Mann è diventato progressivamente sempre più basato sul suo istinto, mi guarderò il video (tempo di recuperare delle cuffie), ma penso che volesse un po’ cavalcare il momento ;-) Cheers
Come spesso accade, io e il fratello Lucius siamo accomunati da un destino e da avvenimenti vissuti similmente. Nello specifico anche io avevo appreso molte nozioni su Alì dal bellissimo documentario a lui dedicato e allo stesso tempo non sono riuscito a "farmi piacere" questa pellicola, per quanto riconosca la grande prova di Smith, oltre alla incredibile trasformazione fisica per assomigliare a quello vero, degna del miglior Robertino Deniro... Come dico sempre però il problema è mio, probabilmente se lo rivedessi oggi, dopo il tuo bellissimo post, il mio sguardo sarebbe diverso, anche se dopo le ultime vicissitudini, mi sta ancora più antipatico il Sig. Smith...👋
EliminaTi ringrazio Daniel-San, penso che lo apprezzerei di più. Cheers
Elimina
RispondiEliminaMi é piaciuto un sacco anche questo, anche se...non mi ha mai convinto fino in fondo.
Sì, suona strana, detta così.
Ma se fosse altrimenti se ne starebbe lassù sul podio insieme a “Toro Scatenato”, “Million Dollar Baby” e “Jawbone”. Anzi, ancora più su.
Rocky? No, spiacente. Anche se viene considerato, e a torto, uno dei migliori sul genere.
Ecco, forse il problema sta tutto lì. Già me lo immaginavo in cima, sopra a tutti.
Per me la Boxe E' un'arte marziale. Una volta scremata delle sue imprescindibili declinazioni sportive ne condivide lo stesso terreno e i precetti.
Ha le sue regole e i suoi principi. E una sua morale. E quindi i suoi miti e leggende.
Una volta il migliore a fare a pugni diveniva l'eroe del villaggio. Del quartiere. Di un'intera nazione.
E Alì (fammelo dire una volta soltanto...Cassius Clay. Per i nostri genitori e nonni si chiamava così. E non che non lo rispettassero, anzi) é diventato l'eroe del mondo intero.
Cavolo, mi ricordo che in un fumetto lo fanno combattere pure contro Superman! (tra l'altro, dico una stupidata o lo aveva realizzato Neal Adams?).
L'atleta del secolo. Forse addirittura del millennio.
Un film su di lui diretto da Mann? Ero già in prima linea, disposto persino a farmi andar bene Will Smith. Che per inciso...mi ha stupito. Nonostante già allora non lo sopportassi più.
Logico, anch'io ci vedevo Denzel. Specie dopo “Hurricane”.
Sul film, niente da dire. Un lavoro a dir poco sontuoso, realizzato con la solita cura certosina.
E allora, cosa non va?
Dicevamo di Rocky. Anche se lo considero un grandissimo film (ma non di Boxe), ha tracciato la strada maestra su come dovrebbero essere realizzati i film sportivi. Che come risaputo, sono una bruttissima bestia.
Se tu usi lo sport per narrare una vicenda ed in particolar modo un dramma umano (e il film di Scorsese lo fa), allora funziona.
Qui Mann sceglie una strada differente. Narra un intero arco di vita e di carriera del campione, dalla vittoria fulminante contro Sonny Liston fino al trionfo a Kinshasa con Foreman. E attraverso di esso un intera epoca. E che epoca!
Il decennio che stravolse l'America, e da lì il mondo.
La contestazione, il razzismo, le lotte per i diritti civili ed il Vietnam. Il tutto attraverso gli occhi del grande Alì. Che funge da amplificatore, da cassa di risonanza.
Perché che siano Hannibal, Pacino, De Niro oppure il più grande di tutti, per Mann non fa differenza.
Sono risorse, da sfruttare per mettere meglio a fuoco il quadro d'insieme.
Fa tutto con una precisione a dir poco chirurgica, ricostruendo interi spezzoni che sono passati alla storia del giornalismo sportivo.
I tocchi di classe, in quel senso, si sprecano. Basti vedere la scena in cui Alì sfotte Liston a terra invitandolo col guantone a rialzarsi. Oppure le sparate durante i dibattiti televisivi.
Come al solito fa un gran lavoro di ricerca, mostrandoci tutto quello che accade dentro e fuori dal ring. E inventandosi una visuale in prima persona (alla Punch – Out!!, quasi) durante gli scambi di colpi tra i pugili.
Una roba pazzesca. Mai visto niente del genere. Non ci credevo.
EliminaMa Mann é anche bravo a ricostruire le trattative, il marketing che ruota attorno ad un incontro e il dietro le quinte. Dove si scopre che spesso le faide sono montate ad arte.
Basti vedere la sequenza con Frazier e Alì in macchina. Un attimo prima si scambiavano insulti e poi sono lì a chiacchierare tranquillamente. Con Joe che chiede al rivale se gli servono soldi, dato che é ben conscio del periodo difficile che sta passando.
Il che la dice lunga sull'atteggiamento spesso controverso di Alì. Che era sì fortissimo, ma che agli aocchi di molti doveva apparire come un'emerita testa di cavolfiore.
Ma come lui stesso ha ammesso in un'intervista, si diventa più popolari stando antipatici, alla gente. Perché riempiono gli stadi non per vederti vincere, me per venire a vederti perdere!
Tecnica poi ripresa da un certo allenatore portoghese, tale José Mourinho.
Che l'avete sentito nominare, per caso?
Tutto ricostruito nei minimi dettagli. Compreso il match decisivo contro Foreman, con tanto di strategia del “sacco” (John Travolta in “Broken Arrow” ve la sa spiegare senz'altro meglio di me).
In ultimo, viene anche svelata la crudeltà ed il cinismo del mondo professionistico, davvero spietato con chi aveva eletto a suo uomo immagine.
Se sgarri, sei fuori. E da lì in poi non ti viene perdonato più nulla.
Alì ce la fece, ma molto tempo dopo. E solo perché contro Foreman lo davano praticamente per spacciato.
Penso a Maradona. Oppure al povero Pantani.
Non voglio giudicare, non é questa la sede. Ma ritengo che tutti meritino una seconda chance. Non gliela diedero mai.
Ripeto, il film é perfetto. Ma continua a non convincermi.
Forse il tallone d'Achille sta proprio in quello che avrebbe dovuto essere il punto di forza. La ricostruzione storica.
Tutto mi é sempre apparso un po' freddo, incapace di coinvolgerti emotivamente fino in fondo.
Ma contiamo che gli altri illustri esponenti da me nominati parlano di perdenti cronici.
Jake La Motta lo era. Maggie pure. E Jim McCabe. E persino Rocky, sotto un certo qual punto di vista.
Conta come si sentono dentro loro, indipendentemente da quanto possono aver vinto.
Con Alì é diverso. Avviene per forza di cose un ribaltamento.
E' un vincente, predestinato alla grandezza. Per uno così il ritiro della licenza, l'incriminazione e l'arresto, la perdita del titolo non sono che intoppi sulla strada della gloria.
Sa che ce la farà.
Ecco, dal punto di vista storico avrei messo il fattaccio relativo alla medaglia d'oro olimpica (tra l'altro vinta a Roma, se non erro), dove Alì sperimentò la discriminazione razziale sulla propria pelle e capì un bel mucchio di cose brutte, sul proprio paese.
Ma forse usare quell'episodio per trattare il razzismo sarebbe stato fin troppo facile. E Mann, si sa, non ama le cose facili.
Inoltre il match con Frazier viene trattato pochissimo, appena accennato.
Un vero peccato, perché a detta di molti il miglior incontro di sempre é stato quello. Uno che ha perso, guarda caso.
Con la boxe é sempre così, comunque.
Ribadisco che forse la colpa é in parte anche mia.
Niente niente nutrivo aspettative un po' troppo esagerate, secondo te?
Ho avuto un film superbo, ma ero partito col volere il miglior film sulla boxe di tutti i tempi.
Grandissima recensione, comunque.
Complimenti.
Matite di Neal Adams, a proposito di eroi, ciao Neal grazie di tutto.
EliminaMa infatti “Alì” non è un film sportivo, tratta lo sport in maniera realistica come tutto nei film di Mann (il giornalismo, le azioni di polizia etc.) ma non gioca nemmeno nello stesso campionato di Rocky, anche se i protagonisti hanno i guantoni. Non serve nemmeno paragonarli, al massimo si potrebbe fare i paragoni con “Toro Scatenato”. Cheers
La ricostruzione penso sia proprio la sua forza, tutto si può criticar… no anzi, poco si può criticare a Mann ma non che non sia uno che studia la materia su cui si mette al lavoro. Ma questo non è un documentario, è l’anti-“Ray” (per citare un film con Foxx), non vuole usare il cinema come paginetta di Wikipedia, tratta il pubblico con esseri pensanti e usa il cinema per raccontare quello che non puoi leggere su Wikipedia, il punto di vista del protagonista immersa nella storia.
EliminaTutta qui la questione, il recepire Mann un regista freddo o troppo estetico, il suo cinema non si muove mai nei canoni di Hollywood, di quello che abbiamo già visto in altri dieci o cento film, da qui in poi diventerà sempre più “estremo” questo concetto, per quello il suo ultimo lavoro non piace, anche se un difetto grosso più lo rivedo e meno riesco a trovarglielo, ma tanto ci arriveremo ;-) Per il resto, grazie mille! Cheers
Un'ultima curiosità: la celebre canzone dedicata ad Alì venne poi gentilmente concessa ad un altro rinomato personaggio, il wrestler Antonio Inoki. Che ne fece la sua sigla d'ingresso.
EliminaAvvenne dopo il loro match, uno dei primissimi tentativi di organizzare un combattimento inter - stile.
Finito in parità, e tra l'altro non fu di facile svolgimento a causa di tutte le limitazioni imposte per permettere ai due contendenti un incontro grossomodo regolare.
I più parlarono di un combattimento noioso, ma resta un esperimento interessante. Che forse gettò le basi per le moderne MMA.
Alì ed Inoki rimasero in buoni rapporti, e il pugile decise di regalare il celeberrimo pezzo musicale al lottatore.
Che prese ad uitlizzarlo prima e dopo gli incontri, dopo avergli modificato il titolo in "Inoki Bombayé".
Leggendario per i nomi coinvolti ma non per il combattimento, non Voltri direi imbarazzante, ma almeno bizzarro ecco ;-) Cheers
EliminaCaro Cassidius Clay, o Cassidius X, pezzo fantastico, non avrei saputo scrivere di meglio.
RispondiEliminaSi sente quanto ami questo film, che è anche uno dei miei preferiti di Mann. Anch'io ero ben dubbioso di Will Smith come Alì, ma credo che fu questo film a rendermi definitivamente manniano.
«Le biografie mi annoiano. Bisognerebbe trovare un anno nella vita e dire tutto di quell’anno» questo è il mio problema con le biografie, nel senso che raccontare il singolo episodio per raccontare tutto un personaggio me le rende indigeste. E mi stanno sulle palle pure le agiografie. Mann però non ha fatto l'una nè l'altra cosa, ha raccontato un'epopea insieme umana, sportiva e politica. E' anche il film più vicino a Heat nella gestione di un cast ampio, la grandezza della figura di Alì non schiaccia mai ciò che lo circonda. Alì è immerso negli eventi e nelle relazioni con una marea di personaggi, e ciascuno diventa importante le grande ritratto.
Grazie Bro, penso che invece di sfornare agiografie e biografie, ad Hollywood il ripasso di questo film dovrebbe essere il testo base da studiare, per registi, sceneggiatori e produttori, forse tutti quei santini sulle vite dei grandi risulterebbero più cinema e meno caramello. Facile dirsi Manniano con Pacino e De Niro, prova a farlo con Will Smith ;-) Cheers
EliminaNon biografia, né agiografia (così lontana dal reale da risultare giustamente inaccettabile per uno come Mann) e di certo nemmeno un documentario: ovvero, come riuscire a spiazzare tutti gli spettatori convinti che un film su Alì dovesse necessariamente entrare in una delle tre categorie di cui sopra e, allo stesso tempo, riuscire a dimostrare che Will Smith sa recitare (un enorme lavoro sul personaggio, il suo) ;-)
RispondiEliminaAh, e se mai un giorno fosse possibile tornare indietro nel tempo, questa recensione andrebbe dritta a far compagnia ai graffiti sui muri di Kinshasa ;-)
Ti ringrazio di cuore, ora capirai perché ho delle difficoltà a guardare le tante biografie che escono al cinema, tutte fatte con lo stampino. Cheers!
EliminaUna persona non esperta di pugilato se lo può godere al massimo il film?
RispondiEliminaAssolutamente si, senza ombra di dubbo. Cheers
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