Trovo ironico e anche un po’ deprimente il fatto che il film di oggi sia spesso ridotto ad un quiz per cinefili, quasi un modo per mettere alla prova le conoscenze cinematografiche: «Sai che esiste un film più vecchio dove compare Hannibal?», quando, invece, questo film e molto più stratificato e affascinante di così. Benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Macho Mann!
Una delle costanti di tutti gli eroi Manniani è quella di essere impegnati in una corsa contro il tempo, un tratto che sicuramente ereditano dal loro illustre padre, non ho idea di quante ore dormisse la notte Michael Mann negli anni ’80, ma credo molto poche. Non pago di aver diretto tre film arrivati tutti sul grande schermo e di aver ufficialmente dato il via e allo stesso tempo riassunto lo stile e la moda degli anni ’80 sul piccolo schermo con Miami Vice, Michele Uommo attorno al 1986 aveva le mani piene, perché oltre ad essere produttore esecutivo della serie con Sonny e Rico, era anche responsabile della meno fortunata “Crime Story” (due stagioni tra il 1986 e il 1988) e, non pago, ha trovato il tempo non so bene come di dirigere anche qualche altra cosina, il filmino delle vacanze? Quello della comunione del nipote? No no, semplicemente il film che mette fine alla prima fase della sua carriera, quella bomba di “Manhunter”. Ora capite perché il tempo per Mann è così importante.
“Manhunter” è un film fondamentale per il regista di
Chicago, perché gli permette di portare sul grande schermo quella cultura delle
immagini, applicata al vuoto morale di alcuni dei personaggi narrati, messa a
punto nelle prime due stagioni di Miami Vice, quelle dove l’influenza Manniana risulta più netta e, parliamoci
chiaro, anche le più riuscite di quella serie. Eppure, non bisogna essere Will
Graham per capire cos'abbia attirato Mann verso un adattamento del romanzo di Thomas Harris, il secondo dello scrittore intitolato “Red Dragon” (1981), da noi in
uno strambo Paese a forma di scarpa uscito la prima volta tre anni dopo con il
titolo “Il delitto della terza luna” (Mondadori, 1984), in “Red Dragon” ci sono
molti dei temi cari a Mann: personaggi opposti e speculari, simili, ma su due
fronti opposti come un profiler criminale dell’FBI e un Serial Killer, quella
corsa contro il tempo che è il filo rosso che lega tutti i personaggi Manniani,
ma anche l’occasione perfetta per il regista per fare un discorso, forse
definitivo, sulla potenza delle immagini applicate alla narrazione, ma prima
bisognava affrontare un altro drago, vecchia conoscenza di questa Bara, Dino De Laurentiis.
Colpo grosso al drago ross... No scusate, ho fatto confusione. |
Lo storico produttore aveva messo saldamente le mani sui diritti di sfruttamento del romanzo di Harris, ma da buon italiano era affetto da un’abbondante dose di scaramanzia, niente “Dragon” nel titolo, perché Dinone nostro era ancora scottato dal flop al botteghino di “L’anno del dragone” (1985) di Michael Cimino, inoltre, nessuno qui vuole che il film venga scambiato dal pubblico per una di quelle “cinesate” di arti marziali, quindi via “Red Dragon” in favore del più piatto e meno incisivo “Manhunter” che a Mann non è mai piaciuto più di tanto, in compenso, con la libertà totale sul contenuto del film e sulla sceneggiatura (da lui firmata), il regista di Chicago si è messo ventre a terra a lavorare sodo.
Ancora una volta abbiamo un protagonista e la sua nemesi che
sono due facce della stessa medaglia, come Frank e Leo di Strade Violente, ancora una volta uno dei buoni deve fare un patto
con un “mostro” per poterne beccare un altro, un tema che in qualche modo
possiamo ritrovare in La Fortezza. Insomma, la continuità tematica è garantita
perché Will Graham l’ex profiler criminale dell’FBI ha il volto e il corpo di
William Petersen (attore che ha esordito proprio con Mann prima di diventare il
prediletto di Friedkin, che inizio carriera incredibile per lui!), un altro
professionista dedito al suo metodo e al suo obbiettivo, impegnato in un’altra
ideale corsa di Jericho contro il
tempo.
"Michael? Sì, arrivo, ho finito di correre contro mano per Billy" (notare lo stile anche nel rispondere al telefono) |
All’inizio del film Will Graham è un uomo che ha quasi ritrovato la sua serenità (infatti Mann ce lo mostra vicino al mare, a dividere lo schermo con Dennis Farina nei panni di Jack Crawford) dopo aver perso quasi la sanità mentale per arrestare Hannibal Lecktor e non Lecter, per evitare problemi legali con i diritti di Il silenzio degli Innocenti su cui De Laurentiis non poteva avanzare richieste. Un nuovo assassino uccide seguendo le fasi lunari, un caso brutto con alcune famiglie uccise brutalmente, per cui Crawford ha bisogno del suo uomo migliore che dovrà abbandonare l’apparente serenità della sua famiglia e della sua spiaggia per passare dal blu (manniano) e calarsi dentro il nero, se mi passate una citazione a zio Neil Young.
Fuori dal blu... |
Per mettere in chiaro la posta in gioco, Michael Mann si gioca subito una delle sue celebri scene romantiche che vede protagonista Will e sua moglie Molly (interpretata in una scelta del tutto non casuale da Kim Greist), dopo aver fatto la sua prima apparizione in Strade violente, è qui che il famigerato “Blu Manniano” prende davvero forma, grazie alla fotografia impeccabile di Dante Spinotti nasce uno dei simboli del regista di Chicago, quello sfondo blu sul mare che per Mann è sempre simbolo di serenità e pace, quella che Will dovrà abbandonare per beccare Dollarhyde e ritrovare se stesso.
Signore, signori, vi presento il vero "Blu Manniano", altro che Eiffel 65. |
L’assassino in piena fase di mutazione (tema e struttura della storia verrà ripresa da Harris quasi identica per Il silenzio degli innocenti) si chiama Francis Dollarhyde, la polizia lo ha ribattezzato la Fatina dei denti (The Tooth Fairy) per la sua propensione a lasciare segni di morsi sui corpi, anche se lui vorrebbe essere riconosciuto come il Grande Drago Rosso, nome ispirato al dipinto di William Blake. Ma siccome questo viaggio dal blu al nero (e ritorno) per Will è anche un viaggio dentro se stesso, in cerca di qualche indizio chiave prima il profiler dovrà chiedere aiuto al dottor Lecktor.
“Coraggioso Will... me lo farai sapere quando i draghi rossi smetteranno di gridare, vero?” |
Nell’adattare il romanzo di Harris, Michele Uommo asciuga tutti i personaggi riducendoli quasi ad archetipi narrativi, lasciando che sia la potenza delle immagini a colmare il racconto, un trionfo dello “Show, don’t tell” che va a braccetto con il sottotesto di “Manhunter”, un film sulla potenza delle immagini, dove lo sguardo e il “vedere” pone chi riesce a farlo in una posizione di forza in questa caccia all’uomo, insomma Mann trasforma le parole di Harris in puro cinema, anzi in puro cinema Manniano in piena mutazione, proprio come il personaggio di Dollarhyde, infatti “Manhunter” rappresenta l’apice dell’estetica anni ’80 di Mann, massa a punto con Miami Vice e portata sul grande schermo, un'abitudine per il regista di Chicago che tornerà spesso nel corso della rubrica, si sperimenta in Tv e si fa la “bella” al cinema.
Fossi in voi non lo prenderei per i fondelli per il collant sulla testa, poi fate come volete. |
Nel film sono assenti tutti i flashback sul passato e le molestie subite da Dollarhyde, tutti i dettagli sulla sua preparazione dei colpi (il punto di vista, il personaggio che “vede” qui è sempre Will) e anche la celebre scena di Dollarhyde che divora la pagina del libro con la rappresentazione del dipinto di Blake, fino al doppio finale che Mann trasforma, invece, in un duello uno contro uno tra buono e cattivo. Tutte scene che sono state in qualche modo reintegrate dal film “Red Dragon” (2002), nato sulla scia del clamore sollevato da “Hannibal” (2001), estremo tentativo di De Laurentiis di monetizzare al massimo, posso dirlo? Il regista Brett Ratner firma un adattamento competente, ma contro Michael Mann va sotto bevendo dall'idrante, sul serio, non c’è gara.
Brett Ratner, hai da accendere per caso? |
In compenso, Mann impiega tre anni a completare la sceneggiatura, non tanto per via dei suoi tanti lavori in corso, ma per concentrarsi come da suo meticoloso metodo sul realismo, infatti “Manhunter” sarà anche stato un film che non ha portato a casa molti soldi al botteghino (poco meno di 9 milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, al netto di una spesa di 15 milioni) e critiche tiepide, ma è stato applaudito dagli esperti dell’FBI come il film più accurato nel descrivere il lavoro dei profiler e la psicologia criminale, basta dire che la canzone che fa da colonna sonora al duello finale, il miglior utilizzo mai visto al cinema di “In-A-Gadda-Da-Vida” degli Iron Butterfly, era il pezzo da cui era ossessionato il serial killer, Dennis Wayne Wallace, che Mann ha più volte intervistato fin dal tempi di La corsa di Jericho per approfondire le sue conoscenza sulla mentalità criminale (storia vera).
Michael Mann è talmente rigoroso nelle sue ricerche che pur di dirigere il film ha studiato ed è diventato un vero regista! |
Inoltre, i tre attori chiave di “Manhunter” non saranno delle super star come quelle di cui disponeva Brett Ratner, ma presi singolarmente offrono alcune delle loro prove migliori, il Will Graham di William Petersen è un personaggio che ha guardato il diavolo negli occhi, ne è uscito vivo per miracolo, ma consapevole che non sarà finita per davvero finché non avrà chiuso i conti, duro perché determinato come tutti i personaggi Manniani, ma con delle fragilità nascoste sotto la superfice che lo rendono un eroe molto più sfaccettato per cui fare il tifo, che si aggrappa alla sua tenacia e al suo metodo per scavarsi la strada dal nero più profondo al blu di una pace finalmente ritrovata.
Il Francis Dollarhyde di Tom Noonan (che grazie a Mann
prende qui la laurea alla scuola dei cattivi cinematografici) è un mostro per cui possiamo provare dell’empatia, il suo
incontro con la non vedente Reba McClane (Joan Allen) sembra quasi una speranza
per un futuro migliore per lui, forse anche una vita normale a cui da
spettatori, ad un certo punto, viene quasi istintivo sperare per il personaggio,
ma il percorso di Dollarhyde è inverso rispetto a quello del profiler che gli
dà la caccia, destinato a sprofondare nel nero Tom Noonan lo ha interpretato
con una dedizione totale: sul set girava un “memo” con su scritto «Nessuno
rivolga la parola a Noonan», su specifica richiesta dell’attore che a differenza
di Petersen non ha contattato o letto nulla su Serial Killer e profiler, ha
preferito fare palestra e isolarsi, infatti l’unico contatto con Petersen sul
set è avvenuto l’ultimo giorno di lavorazione, l’ultima lunga notte di ripresa
per il duello finale tra i loro personaggi, più avanti ci torniamo.
Nel paese dei ciechi l'uomo con un occhio solo è re, o qualcosa del genere, oggi sto in fissa con le citazioni. |
Per altro, Noonan ha dovuto rigirare parecchie scene del film, perché in accordo con il romanzo, il suo personaggio aveva il Drago Rosso ispirato al dipinto tatuato sul petto, ma guardando i giornalieri Mann ha ritenuto questa trovata troppo pacchiana, anche per un film estremamente visivo come il suo, quindi i tatuaggi di Dollarhyde sono scomparsi, ma questo ha prolungato ulteriormente le riprese di alcuni giorni (storia vera).
Mann ha ritoccato il disegno di suo pugno per averlo come desiderava, poi lo ha fatto sparire (storia vera) |
Allo stesso modo, Brian Cox è un dottor Lecter Lecktor,
lontano dal vampiro di emozioni e di Oscar di Anthony Hopkins, un mostro spaventoso in un modo differente,
asciutto, asettico come la sua cella bianca pensato da Mann come un personaggio
privo di ogni senso di giusto o sbagliato, che compare in tre scene di numero,
di cui due senza interazione alcune (se non con la cornetta di un telefono)
perché, a differenza di quel pollo di Brett Ratner, Michele Uommo aveva già
capito che se lasciato libero, uno come Hannibal finisce per mangiarsi (ah-ah)
il film, mentre a tenere banco per Mann dev'essere il suo metodo che, infatti,
è la vera forza di “Manhunter”.
Come ripete ossessivamente Pier Maria Bocchi lungo tutto il suo
libro dedicato a Mann “Creatore di immagini” (un testo sacro), le parole di Dollarhyde
quando mostra i suoi filmati all’odioso giornalista Freddy Lounds (Stephen
Lang): «Do you see?», vedi? Il guardare è tutto in “Manhunter” anche perché
quando si parla di cinema, lo sguardo, l’atto di guardare diventa il principale
dei cinque sensi di cui siamo dotati, quindi il film batte ossessivamente su
questo punto, asciugando dialoghi e personaggi e dando potere, non alla parola
come cantava Frankie hi-nrg, ma alle immagini.
Will utilizza il potere della vedenza! |
Will Graham sembra quasi avere un super potere (come accadrà anche con molto meno tatto nella serie tv Hannibal) ovvero quello di “vedere” la scena del crimine e capire il punto di vista dell’assassino, quasi una frattura dove un attore William Petersen, interpreta il ruolo del profiler che a sua volta, interpreta quello dell’assassino. Infatti, Mann sottolinea lo sguardo delle vittime uccise da Dollarhyde e anche grazie alla musiche di Kitaro, chiede a noi spettatori di calarsi insieme a Will in un mondo dov'è l’immagine a raccontare.
Ecco, quindi, che Dollarhyde è attratto da una donna non vedente, guidata da tutti gli altri sensi, come nella bellissima scena delle tigre sedata, quella che la mia Wing-woman ha ribattezzato la scena della «Ma povera bestia!», in cui Francis capisce il valore degli altri sensi, tanto che è forse quella la vera scena d’amore tra lui e Reba, ma è nel resto del film che Mann dà potere alle immagini per davvero.
Tigre! Tigre! Quale mano osa formare la tua agghiacciante simmetria? (William Blake) |
Senza nemmeno di far finta che non sia il museo di arte moderna di Atlanta, Mann sceglie questa location asettica e simmetrica come cella per il suo Dott. Hannibal Lecktor, un posto selezionato per essere l’esatto opposto delle classiche prigioni sotterranee (come quelle ad esempio scelte da Jonathan Demme) che ci s'immagina di solito pensando ad un manicomio criminale, anzi, come ha potuto confermare più volte il direttore dalla fotografia Dante Spinotti (a cui avrebbero potuto dare un Oscar già per questo film, il suo primo lavoro americano e con Mann), il regista di Chicago ha impiegato diversi giorni per dirigere questo “semplice” dialogo fatto di campi e controcampi, perché pretendeva che in ogni inquadratura ci fosse la perfetta simmetria tra mattoni bianchi dietro ai personaggi (quindi righe orizzontali) e sbarre tra di loro (righe verticali) in modo che fosse lampante e allo stesso tempo sovrapposta l’intercambiabilità dei due personaggi, speculari uno rispetto all'altro, il buono e il cattivo identici e così diversi.
Ricordate quella dell’affondare lo sguardo nell'abisso, no? Ecco, fate finta che io l’abbia citata. |
Non è un caso che in quella scena Will indossi una camicia verde (colore ritenuto fastidioso all’occhio da Mann) e che fissando i libri e gli oggetti nella cella di Lecktor, il suo occhio cada su tutti quelli di colore verde e viola (che poi sono anche i colori dei “cattivi” nei fumetti americani, fateci caso), infatti, nella scena successiva Will corre fuori sopraffatto, cercando di riprendersi fissando un prato (ovviamente verde) inquadrato volutamente fuori fuoco da Mann per farci percepire lo stato di confusione del protagonista.
Rincaro la dose? La casa di Dollarhyde è stata costruita con
due vetrate per permettere al pubblico di guardarci dentro (e a Will di
sfondarla nella sua entrata da eroe nel finale), ma arredata con la meticolosa
volontà di non utilizzare nemmeno un angolo a 90 gradi, annullando la
simmetria, perché la confusione, l’eccesso di colori verdi accostati
all'arancione acceso, dovevano suggerire al pubblico lo stato alterato
all’interno della casa e della mente dell’assassino. Quando distribuivano la
precisione nel metodo di lavoro, Michael Mann era in fila da due giorni prima
dell’apertura.
... Dentro il nero (like a fuckin' hero!) |
Lavorando in questo modo, però, proprio come per Will, la produzione è diventata una corsa contro il tempo, infatti a Mann è rimasto di fatto una sola lunga notte (quattordici ore di lavoro senza sosta) per girare lo scontro finale tra Dollarhyde e Will Graham sulle note della sinistra e spettrale In-A-Gadda-Da-Vida, un pezzo che pare evocare il male, proprio come fa Dollarhyde che prima la utilizza ad alto volume per stordire e spaventare Reba e poi diventa il suo “tema musicale” durante la sparatoria, il tutto senza scrivere diegetico ed extra diegetico? Poi ditemi che non vi penso!
Mann, di fatto, è rimasto solo sul set con Petersen e Noonan e
il minimo sindacale della troupe, a girare macchina da presa in spalla la
sparatoria, con Noonan immobile tra una scena e l’altra, a simulare i buchi dei
proiettili fumanti, con bruciature di sigaretta fatte sui vestiti dallo stesso
Mann che ogni tanto spediva qualcuno al più vicino 7-11 (catena americana di
negozio, il cui nome deriva dagli orari di apertura) a comprare ketchup, filo
da pesca e carne cruda, per simulare un pezzo di cervello staccato dal cranio
di uno dei poliziotti colpiti dal fucile di Dollarhyde, un dettaglio che si
nota solo se mettete in pausa il film nel fotogramma giusto, ma con la cura
maniacale di Mann non si patteggia, al massimo si fila di corsa fino al 7-11 a
tutto gas.
Nessuno si è mai preso a fucilate con così tanto stile. |
Visto che vi avevo promesso ancora due parole su Kim Greist, ci tengo a sottolineare come il finale in spiaggia di “Manhunter” sia, non solo il ritorno di Will, un personaggio finalmente in pace nel caldo abbraccio della sua famiglia e del “Blu Manniano” simbolo di serenità, ma anche la bella copia di qualcosa provato prima da Mann sul piccolo schermo: nell’episodio 1x20 di Miami Vice, proprio l’attrice Kim Greist interpreta Brenda, una delle tante fidanzate di Sonny, quella puntata è quella dove Sonny quasi perde il senno per dare la caccia ad un serial killer che colpisce le famiglie nella loro casa e che termina sulla spiaggia, sulle note di Heartbeat dei Red 7, guarda caso, proprio la stessa canzone che accoglie a casa il ritorno dell’eroe Will Graham e che sentiamo sui titoli di coda di “Manhunter”. A Michael Mann piace la simmetria ed io mi diverto a corrergli dietro, osservandolo («Do you see?»)
Dalle visioni con Kitaro in sottofondo al finale in spiaggia, alla Kitano. |
“Manhunter” alla sua uscita ha raccolto tiepide recensioni e pochi soldi ed immagino parecchi sguardi scuri da parte di Dino De Laurentiis, eppure il bello di commentare i film dalla poltrona comoda del tempo trascorso è anche questo, non solo questo film è senza ombra di dubbio un Classido, ma anche la chiusura del cerchio perfetta per Michele Uommo.
Molti critici all'uscita del film criticarono Mann, come uno tutta estetica e poca sostanza, non capendo probabilmente il valore dato alle immagini, all’atto di guardare fatto dal regista di Chicago con questo film. Per essere il titolo con cui Mann ha portato sul grande schermo il trionfo dell’immagine e lo stile anni ’80 messo a punto in TV con Miami Vice, per certi versi, è stato anche il padre nobile di tutti i profiler televisivi che ancora oggi affollano i palinsesti del piccolo schermo. Non sarebbe esistita una singola serie di “C.S.I.” senza che qualcuno prima non avesse sdoganato la figura del profiler, quindi “Manhunter” è il filo teso tra Miami Vice, il grande cinema e che ne so… “C.S.I. - Las Vegas” dove zio Gil Grissom era interpretato guarda caso proprio da William Petersen, perché le simmetrie Manniane fanno giri infiniti ma terminano tutte allo stesso modo: innovatori come Mann e autori capaci di narrare per immagini come la settima arte da sempre richiede, ne abbiamo visti davvero pochi, sul piccolo e soprattutto sul grande schermo.
"Prevedo, sedici anni di lavoro investigativo a Las Vegas" |
Ed ora che grazie a Mann come Will Graham abbiamo affinato il nostro “occhio di falco” (occhiolino-occhiolino) siamo quasi pronti ad usarlo, ma prima abbiamo un’altra tappa molto importante lungo il percorso delle traiettorie tracciate dal regista di Chicago, tra sette giorni qui per il nuovo capitolo, non mancate!
Gran film grande recensione nel 2002 avevo la fidanzata e andammo al cinema a vedere red dragone il suo commento fu molto meglio questo che Manhunter mi piace pensare che dopo poco ci siamo lasciati per questo
RispondiEliminaNon è mai una questione di generi ma sempre di persone e gusti, però concedimi di semplificarmi il discorso: “Red Dragon” è più lineare, “Manhunter” con la sua comunicazione non verbale arriva più alla pancia di noi maschietti, per il resto ti ringrazio ;-) Cheers
EliminaGran bel film, "L'Anno del Dragone"... Il 1985, poi, ricordare mi fa sentire vecchio... Scusa Cas, divagavo-
RispondiEliminaCerto che "Manhunter" lo hanno capito (ed apprezzato) proprio in pochi.
La dimostrazione che non è sufficiente una grossa valigia piena di fogli con sopra la faccia di tanti presidenti morti per costruire un capolavoro. Ci vuole anche una bella capa, ed il nostro Michelino la tiene parecchio tanta!
Grazie per ricordarci queste perle, che ci aiutano in momenti come questi.
Michele Uommo è uno dei pochi che ha cavalcato la tigre ed è riuscito a lavorare con il grande Dino senza venire alle mani, Padre Tempo, miglior critico cinematografico del mondo ha dato ragione e lui, io invece ti ringrazio ;-) Cheers
EliminaMi ricordo come fosse ieri quando lo vidi quasi per caso in tv, senza saperne quasi nulla. Era una prima visione, immagino su Italia 1, e lo trasmisero cosi' come niente fosse in prima serata, come un thriller qualsiasi. Lo stavo guardando con mio fratello, piu' piccolo di me di cinque anni, e ad un certo punto, capito che "no, no e' il solito thriller" e "cazzo, questo fa paura!" dovetti fare il fratello maggiore e mi vidi costretto di mandarlo a letto, unica volta in vita mia che lo feci e unica volta che mio fratello mi diede retta senza troppo protestare, anche lui aveva capito che non era il caso.
RispondiEliminaDopo di allora credo di averlo visto solo un'altra volta molti anni dopo, ma anche solo scorrendo le immagini di questo post mi rendo conto di quante immagini e momenti iconici mi si siano impressi nella mente.
Solo un altro thriller anni 80 mi colpi' altrettanto, per altro vicinissimo all'estetica di Mann: The Hitcher, per altro pure quello visto in circostanze del tutto simili. Robert Harmon e' un "Micheal Mann mancato" clamoroso, assolutamente incapace di imbroccare un'altra sceneggiatura decente, con film come Highwaymen li' a ricordarci tutto quel talento sprecato.
Non a caso “The Hitcher” è un altro dei miei preferiti (storia vera). Di solito quando per un post mi ritrovo con fin troppe immagini per “farcirlo” tra cui scegliere, quelle che proprio non puoi lasciare fuori, vuol dire che il film è estremamente visivo e anche estremamente iconico, come in questo caso ;-) Cheers
EliminaRitrovare William Petersen in CSI senza che gli fosse affidato un ruolo da profiler mi sembrò stranissimo. Anche se poi anche lì interpretava una figura sui generis, un entomologo, che non si era mai visto in quelli che fino ad allora qui da noi venivano chiamati "telefilm polizieschi", mentre poi anche qui diventarono "procedural drama". Lo identificavo ormai totalmente come un profiler, e mi sarebbe piaciuto vederlo a caccia in quello stesso modo, ma non credo che Will Graham avrebbe accettato di nuovo. Grazie di aver recensito questo film.
RispondiEliminaVerissimo, molto strano poi se ci penso il Will Graham della serie tv “Hannibal” (lui sì un profiler con tutti i crismi) pareva avere i super poteri, tutto perché l’’ispirazione arrivava dal trasposto di William Petersen qui e dall’ossessione per il “vedere” di Mann, grazie a te per aver letto tutto. Cheers!
EliminaMichele Uommo è un uomo semplice (chiedo scusa per il gioco di parole), per questo motivo la scena con il mare che dà conforto al protagonista è un classico che vale anche per me (oltre che per la sua filmografia).
RispondiEliminaSicuramente la ricordo anche in un altro episodio di Miami Vice, quando Crockett va dalla ex-moglie dopo una brutta storia e questa gli dice che si porterà via il figlio, perché la vita di Sonny è troppo pericolosa, strano eh!? (però questa termina sulle note del famoso Crockett's Theme, presente guardacaso anche in GTA Vice City)...
Sul film nulla da aggiungere, l'ho visto anche io in TV una sera d'estate e non penso solo per il caldo che faceva, mi è rimasta sulla pelle una sensazione di appiccicaticcio che solo Mann può provocare...
Tom Noonan è davvero spesso in questo film, in tutti i sensi, quando poi l'ho rivisto in Last Action Hero ho faticato un pò a capire che fosse lui...
Mannaggia alla vecchietudine che mi perseguita, ché mi fa perdere pezzi di quello che voglio scrivere...
EliminaConcordo pienamente sul fatto che il blu sia il colore della "ritrovata tranquillità" ma a mio avviso è anche un pò il colore della malinconia per Uommo, ripensando soprattutto a Miami Vice e alle scene "marine", nell'accezione quindi anglosassone del blue associato alla tristezza e a qualcosa che non torna più...
Prima di Kitano e le sue scene al mare, solo Mann. Noonan campione del mondo delle facce brutte ;-) Cheers
EliminaD’altra parte “blue” in inglese è sinonimo di tristezza e malinconia (“I feel blue”) ;-) Cheers
EliminaPerfetta analisi del film. QUESTO è un capolavoro (o Classido, se vogliamo). Red Dragon è un filmetto, pure bruttino, diciamocela tutta, con Edward Norton nella fase peggiore della carriera e dell'utilizzo di tinture per capelli. E anche l'Hannibal dello Scott sbagliato non funziona per niente. Manhunter è un film 'non smontabile' come diceva Filippo nella sua Morellismovieguide ai bei tempi... è tutta sostanza, l'opposto delle accuse mossegli dalla critica. Rende perfettamente le atmosfere del romanzo, e quel senso di malsano che deve avere un film che parla di serial killer. Petersen è bravissimo nel mostrare la sofferenza del cacciatore che deve immedesimarsi in una preda così 'malata'. E Dollarhyde è davvero inquietante, certo non come il capolavoro di recitazione inscenato da Anthony Hopkins, ma qui si puntava a un realismo ossessivo quasi documentaristico, là alla drammatizzazione di stampo teatrale. Peccato che i risultati al botteghino furono così diversi, ma il tempo ha reso giustizia anche al film di Mann.
RispondiEliminaMorellismovieguide sempre nel cuore su quelle pagine ci stava la miglior recensione di “Armageddon” di sempre (storia vera). Detto questo totalmente d’accordo su tutto, “Red Dragon” è un filmetto lineare come il romanzo (che mi piace eh?), Mann da quella trama ha tirato fuori Cinema con la “C” maiuscola. Cheers!
EliminaAltra puntata da applauso, dove prendo appunti per conoscere un regista che finora ho approfondito pochissimo. Manhunter credo di averlo visto in videocassetta all'epoca ma anche in questo caso lo ricordavo solo come "quello che è venuto prima di quello che è venuto dopo" e nient'altro. Dovrei rivederlo, che i decenni passano e ora che conosco i retroscena me lo gusterei di più ;-)
RispondiEliminaTi ringrazio, tra questo film e “Miami Vice” (lavorava ad entrambi visto che sono contemporanei) Mann stava artisticamente su un altro pianeta, imprendibile per creatività. Cheers!
EliminaMai come per titoli del genere si capisce di quanto il cinema sia anche luogo vero e prorio (la sala cinematografica). Nel senso per spiegare questa frase criptica: i passaggi in tv o le vhs datate non rendono giustizia al titolo, sarebbe come vedere Monet in bianco e nero. Questo film va visto con una qualità altissima per capire di cosa stiamo parlando (certo che anche visto normalmente è già un super film, thriller eccezionale, ma la prima volta che lo vidi con una qualità accettabile ho capito cosa e quanto mi ero perso). I colori, le scelte di regia, la fotografia (ciao Dante), per fortuna oggi un tv decente (e il bluray) fanno il loro sporco lavoro e gli rendono giustizia. Cero visto al cinema è un altro pianeta ;)
RispondiEliminaGià sulla tv di casa diventa chiaro che qui si puntava in alto, ma al cinema il lavoro di Dante Spinotti sale ulteriormente di colpi ;-) Cheers
EliminaCapolavoro.
RispondiEliminaSecondo gli specialisti forensi potrebbe esistere un percorso comune che unisce gli assassini seriali, che man mano che passano da un delitto all'altro affinano le loro tecniche e si organizzano sempre meglio nel rendere la loro messa in scena tramite l'omicidio.
Se proviamo a usare la stessa logica applicata ai film, Mann qui evolve allo stadio successivo.
Dopo "Miami Vice" padroneggia il poliziesco come pochi, quindi e' ora di passare al thriller.
E cos'e' il thriller, se non l'evoluzione del poliziesco?
Se esiste un filo rosso che accomuna il western, l'action, il poliziesco e il thriller, la scala evolutiva dovrebbe essere cosi'.
Col thriller puoi permetterti scene d'azione, ma entri piu' nello specifico.
Con le tematiche, con l'analisi, con il metodo.
E per un perfezionista come Mann, e' una manna (a-ah!!).
La cosa ironica e' che dopo il film di Demme sono tutti corsi a sbandierare questo come IL PRIMO FILM IN CUI APPARE HANNIBAL!!
Al punto che ben presto ci e' voluto un remake senza alcun motivo, giusto per dare piu' spazio a Lecter.
Per carita'...con un trittico come Norton, Sir Hopkins (che comunque appare piu' vecchio rispetto a "Il Silenzio degli Innocenti", nonostante la tinta. Purtroppo il de-aging ancora non esisteva) e Fiennes che con "Spider" aveva gia' fatto le prova generali, come fai a sbagliare?
Anche se la citazione obbligata a Clarice nel finale l'ho trovata fastidiosissima quanto forzata.
Basta dare un'occhiata a questo per capire che i punti di forza sono ben altri.
Succedera' ancora, eh. Tipo con "Heat", passato per un De Niro vs. Pacino.
Peccato che se non sei un grandissimo regista, di due pesi massimi come loro non te ne fai nulla.
Qui con Lecter e' uguale. Non e' il fulcro su cui ruota l'intera vicenda, il protagonista occulto.
E' una risorsa, un valore aggiunto da usare, spremere e piegare per perfezionare il quadro d'insieme.
E qui sono iniziate le prime critiche, perche' come con Friedkin anche con Mann si e' creato un bel stuolo di detrattori che aspettavano solo di vederlo fallire.
L'accusa principale!? Estetica fine a se' stessa.
Ridicolo. Come se per un perfezionista come Mann il culto dell'estetica non facesse parte della ricerca della perfezione a tutti i costi, non ne fosse il culmine.
Fai un lavoro monumentale di ricerca, e poi non vuoi metterlo giu' nel miglior modo possibile dal punto di vista visivo?
No, o non ne capisco niente io o non ne capisce niente chi lo critica, scusate.
Petersen ci offre un Graham ben diverso da quello di Norton, che semplicemente non vuole occuparsi del nuovo caso perche' non c'ha voglia.
EliminaE' un sopravvissuto. Ha un mix di talento innato ed intuito che pero' vien quasi fatto passare per un potere paranormale, ma che per lui e' una maledizione.
Ha affrontato il peggiore di tutti, ne e' uscito vivo per miracolo. E non vuol piu' saperne.
Ma ha un profondo senso di giustizia. E sa che solo lui puo' fermare certi mostri. Che da un lato lo affascinano, perche' pure lui lo e'.
E quindi, sotto con un altro.
E ora veniamo a Lecter (anzi no, visto che nemmeno si chiama cosi').
Oh...ci credete che piu' mi rivedo "Manhunter", piu' rivaluto l'Hannibal di questo film?
Intendiamoci, Sir Hopkins ha fatto un lavoro magistrale.
Ma il Lecter (o Lecktor) che si vede qui, intelligenza e acume sopraffino a parte, e' un mostro.
Uno che ha fatto cose innominabili. Non un genio del male che aspetta di tornare fuori nel mondo, che e' la sua riserva di caccia.
Uno che da' i brividi al solo vederlo, ma a cui in fin dei conti quella recluta di nome Sterling in fondo sta simpatica, e vuole sinceramente aiutarla. A patto che non lo intralci.
A questo Lecter forse nemmeno interessa uscire piu', visto che forse il vero manicomio e' quello oltre le sbarre della sua cella.
Un mostro, che poteva venire catturato solo da un altro come lui, giusto per tirare in ballo di nuovo Graham e le sue facolta' extra - sensoriali.
Il paranormale si manifesta in tanti modi, dall'essere sensitivo al diventare un predatore tra i propri simili.
Un Lecter che non e' ancora diventato un divo, una maschera horror alla pari di Jason o di Freddie Krueger, e che proprio per questo risulta interessante.
In fin dei conti, il Freddie piu' famoso presso il pubblico e' quello diventato superstar grazie alla rinomata saga horror.
Ma il migliore, ineguagliato resta quello del primo.
Qui Lecter non e' ancora finito nel vortice dei sequel, prequel, remake e inquel vari.
Non ha l'atteggiamento istrionico, da marpione, colto, raffinato e quasi nobile che assumera' proprio grazie a Sir Hopkins per accattivarsi le platee di mezzo mondo.
A dirla tutta e' un essere squallido, persino. Come lo sono i serial killer nel mondo reale, del resto.
Gente che ha e che ha avuto un mucchio di problemi, certo, ma che a dirla tutta fa schifo. E che non puo' assolutamente vivere in mezzo agli altri.
Da eliminare? Non saprei. Ma di sicuro da gettare in una cella e poi buttare via la chiave.
Gli mancano giusto le sei dita per mano, ma credo che Mann non le abbia messe per lo stesso motivo per cui non ha voluto i tatuaggi sul corpo di di Dollarhyde.
Perche' non servono. Non occorre ostentare. Sono persone agghiaccianti gia' di per se'.
Prima di chiudere, vien facile pensare che Mann abbia gettato le basi per "C. S. I.", e a dirla tutta sembra davvero roba per il classico senno di poi.
EliminaMa e' innegabile che roba come quello ma soprattutto "Dexter" sia nata sulla scia di questo filmone.
Viene da lontano, da molto tempo addietro.
Capolavoro. Da vedere, assolutamente.
E grandissima recensione, Cass.
Riguardo a Chicago...e' quel che penso io?
Facciamo cosi', mentre aspetto fiducioso inizio a riascoltarmi "Runaway" a manetta.
EliminaNon ti confondere, Michael Mann è di Chicago, ci arriveremo anche noi ma non la prossima settimana ;-) Cheers
EliminaPer il resto non ti rispondo a tutti tanto tra il mio post e i tuoi commenti abbiamo già scritto molto, in ogni caso ti ringrazio ;-) Cheers
EliminaAltro film che ho nella lista da guardare da troppo tempo... Ora con più hype di prima!
RispondiEliminaMa colgo bene la citazione degli Alice in Chains?
Cogli cogli, ci sta del Neil Young e degli Alice in catene in questo post ;-) Cheers
EliminaGiusto, pure Neil! :--)
EliminaBro-fist! Cheers
EliminaThriller affascinante come pochi... da me sempre apprezzato molto, sin dalla prima TV nell'89. La cosa che più mi affascinò fu l'empatia e addirittura tenerezza che il personaggio di Francis mi faceva, sinistramente, provare. Noonan in ciò é stato semplicemente perfetto!
RispondiEliminaQuando anni dopo lessi il romanzo di Harris mi deluse molto proprio per le soluzioni pacchiane poi recuperate in "Red dragon" e nella serie "Hannibal". Di gran lunga migliore l'opera di Mann... asciutta ma tutt'altro che arida.
Mi sono goduto tutte le versioni, ma quella di Mann è la migliore anche per me ;-) Cheers
EliminaQuesto film mi manca ma lo conosco da molti anni: essendo un grande fan delle serie poliziesche a tinti più o meno forti, quando ero in fissa con CSI (fine medie inizio liceo) mi ero spulciato su Wikipedia la filmografia degli attori e avevo scoperto questo film
RispondiEliminaSembra molto interessante, sicuramente più di Red Dragon perke a mio avviso quel film si perdeva troppo a romanzare la figura del Cannibale
Era il suo principale difetto, penso che "Manhunter" ti piacerebbe di più ;-) Cheers
EliminaAltra grande recensione manniana (e, a costo di ripetermi, nemmeno stavolta avevo dubbi a riguardo) ;-)
RispondiEliminaCon tutto il rispetto per Jonathan Demme e Anthony Hopkins, sarebbe anche ora che l'originale paternità dell'Hannibal the Cannibal cinematografico venisse finalmente riconosciuta a Mann: laddove Hopkins aveva tutto il tempo di gigioneggiare, Brian Cox riesce in un minutaggio ridotto a creare uno sgradevolissimo Hannibal asciutto e incisivo, facendo un egregio lavoro di sottrazione sul personaggio, coadiuvato in questo dalle soluzioni visive adottate da Mann. Sempre con rispetto parlando per Demme, poi, c'è una qual certa differenza di spessore tragico fra Buffalo Bill e il tormentato Francis Dolarhyde, quest'ultimo persino suscettibile di un'empatia che per il primo non si mai può provare in nessun modo: basta una singola lacrima (potenza dell'immagine al servizio del racconto) per rendere in pieno il dramma di un serial killer sopraffatto per un lungo istante dalla consapevolezza che la sua vita avrebbe potuto prendere una strada diversa da quella che l'ha trasformato in ciò che è... e anche Reba McClane è ormai arrivata troppo tardi per poterlo salvare da sé stesso.
Senza, ovviamente, dimenticarsi di Will Graham, uno che ha guardato nell'abisso abbastanza a lungo perché l'abisso guardasse a sua volta dentro di lui, il cui padre putativo è senz'altro quel Sonny Crockett a rischio di sanità mentale visto nell'episodio "Nessuno Vive in Eterno" (scritto tra l'altro da Edward di Lorenzo, una delle punte di diamante della serie "Spazio: 1999") ;-)
Ti ringrazio molto e per certi versi Dinone nostro ci ha provato a reclamare la paternità, a mezzo avvocati senza riuscirci (storia vera). In quella puntata di “Miami Vice”, Michele Uommo stava facendo le prove generali, un salto tra TV (usata come brillante palestra) e grande schermo (la bella e lucidante copia) che terrò banco ancora nel corso della rubrica ;-) Cheers!
Elimina"Manhunter" è il punto di non ritorno dei thriller americani. C'è sicuramente un prima, come pure un dopo, non sento ragioni su questo punto. Quello di Mann è un CAPOLAVORO e anche su questo non sento ragioni, anzi pure il tempo me lo conferma, visto che dopo più di 35 anni (l'anniversario è stato lo scorso anno), siamo ancora qui a parlarne come fosse uscito ieri.
RispondiEliminaNon sentirai nessuna ragione da me, questo è il primo grande film di Mann, la sua prima grossa spallata alla storia del cinema. Cheers
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