venerdì 29 aprile 2022

Insider - Dietro la verità (1999): l'uomo che sapeva troppo

Vedere per capire, l’azione su cui Pier Maria Bocchi nel suo saggio su Michael Mann ribadisce ostinatamente, ci sono film che vanno visti, anche per capire meglio la realtà e il cinema, benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Macho Mann!

A proposito di ripetere ostinatamente, nel mio piccolo dico sempre che più passa il tempo, più sento una predisposizione verso le storie vere, o per lo meno per trovare la fiction e l’intrattenimento (quello ben fatto) all’interno di soggetti basati su fatti reali, trovo più soddisfazione in un film come Il caso Spotlight (facile, è un gran film) piuttosto che in una trama inventata. Ma allo stesso modo ripeto sempre la stessa frase: il cinema non ha il dovere di essere realistico, per quello ci sono i documentari. Motivo per cui mi piacciono anche che so, i mostri giganti che sono la negazione del realismo.

Come vanno a braccetto queste due cose? “Insider” è un ottimo esempio e (anche qui) il fatto che sia un film grandioso aiuta, aiuta parecchio. Dopo aver finalmente portato al cinema la sua storia della vita dirigendo Heat, il nostro Michele Uommo era sulla bocca di tutti, senza aver per forza distrutto i botteghini mondiali, senza essersi portato a casa nessuno premio che conta, ma la rivoluzione non bussa si sa e con Heat il regista di Chicago aveva cambiato lo scenario per sempre. Sarebbe stato facilissimo sbagliare con tutti gli occhi addosso, quindi meglio puntare su un soggetto diverso, ma solo ad una prima occhiata distratta, perché la forma, sempre così importante nel cinema di Mann potrà anche essere quella di un grande film d’inchiesta, ma la sostanza è sempre la stessa per Mann che resta fortemente ancorato al cinema di genere, ma andiamo per gradi.

"Scusate ragazzi, per caso qualcuno di voi ha da accendere?"

Il piano originale di Michele Uommo era quello di dirigere un film su un mercante d’armi di Marbella, per cercare informazioni in merito, face la conoscenza di un giornalista che lo aveva intervistato (non senza correre più di un pericolo) ovvero Lowell Bergman, il produttore dello show “60 Minutes” del canale televisivo americano CBS. Seguendo il suo solito metodo di lavoro, il regista di Chicago frequentò parecchio il giornalista, ma la svolta arrivò quando indagando come uno dei suoi sbirri, Mann mise le mani su un articolo di Marie Brenner apparso sulle pagine di Vanity Fair intitolato “L'uomo che sapeva troppo”.

Il pezzo raccontava la vera storia di Jeffrey Wigand, l’uomo che mise a repentaglio la sua vita, quella della sua famiglia e il suo matrimonio pur di svelare il più turpe segreto dell’industria del tabacco. Impiegato come consulente scientifico presso una delle più grandi industrie del settore, Wigand agendo come “whistleblower” (l’equivalente di uno che fa una soffiata alla polizia, proprio come in un film di Mann) fece emergere la verità: le grandi aziende del tabacco manipolavano la nicotina chimicamente in modo che le sigarette creassero maggior dipendenza nei consumatori. Un’inchiesta bomba che ha fatto tremare le industrie e che per Michael Mann era puro materiale da cinema, anzi per il suo cinema.

I giornalisti veri, per Mann sono tosti proprio quanto i suoi sbirri.

Michele Uommo non si limita a proporre la sua versione del grande cinema d’inchiesta, quello con cui gli Americani hanno avuto modo di riflettere sul grande schermo sulla loro storia recente, giusto per fare un esempio celeberrimo, titoli come il bellissimo “Tutti gli uomini del presidente" (1976) di Alan J. Pakula, no ancora una volta Michael Mann dimostra di essere fatto di una pasta differente di quella dei suoi colleghi e invece di adagiarsi sul raccontare fatti già coinvolgenti come farebbe qualunque “biopic” che di norma è un formato molto popolare, non solo perché permette a registi e attori di portarsi a casa statuette facili, ma soprattutto perché partendo da uno spunto già noto al pubblico, può edulcorare i fatti, appianare le controversie rifugiandosi dietro al più classico dei «Eh, ma che bravo che è a recitare [INSERIRE-QUI-NOME-DA-PREMIO-OSCAR].

Mann di tutto questo se ne frega, come Lowell Bergman, come uno dei suoi poliziotti, il regista porta in scena con tutta l’onestà intellettuale di cui è capace di fatti nel modo più realistico possibile, agendo al contrario del vostro regista di “biopic” medio, invece di usare il “Tratto da una storia vera” come scudo dietro cui nascondersi, Mann non dimentica nemmeno per un secondo di fare cinema e ve lo dico, “Insider” dura 157 minuti, tutti di puro e bellissimo cinema.

157 minuti, quasi tutti così e nemmeno uno fuori posto, brutto?

Come dice Pier Maria Bocchi (il suo “Michael Mann creatore di immagini” edito da Minimum Fax è una gran lettura, ve lo consiglio), il cinema di Michele Uommo è tutto basato sul vedere, vedere per capire meglio, ve lo dice uno che vorrebbe stracciare la tessera da giornalista a tutti quegli inviati televisivi che fanno servizi in cui, per parlare di un fatto di cronaca reale, si sentono in dovere di usare come esempio le immagini di un film. Con tutta la mia passione (tanta) per la settima arte, non trovo nulla che mi faccia incazzare di più (ah no, quando fanno i servizi scorrendo i profili Social delle vittime, quello è anche peggio), perché sono convinto che i giornalisti abbiano una responsabilità enorme nei confronti di un pubblico che non ha alcuni bisogno di confondere ancora di più finzione e realtà.

Ci sono cento ragioni per cui “Insider” è un grandissimo film, proverò ad elencarle, ma la prima che mi viene in mente è soggettiva: ogni volta che vedo un servizio alla tv o ne leggo uno su qualche giornale, in cui parte la campagna diffamatoria contro la persona che ha accusato il potente di turno, io penso ad Al Pacino che dice a Russell Crowe «Guarderanno sotto ogni sasso!» (storia vera), anche solo per questo “Insider” è un Classido!

Nel suo non smettere mai ossessivamente di fare del grande cinema, Mann sottolinea l’importanza del ruolo del giornalista da subito e per farlo ci ricorda quanto lo sguardo, l’azione di guardare sia fondamentale nelle sue opere, infatti Mann dimostra tutta la sua stima nei confronti di Lowell Bergman in due modi: facendolo interpretare ad un Al Pacino in stato di grazia e regalandogli un prologo degno dei migliori film d’azione, avete presente quando il mondo è andato (giustamente) giù di testa per “Sicario” (2015) di Denis Villeneuve? Bene, Mann inizia il suo film allo stesso modo, ma lo fa nel 1999 con il suo protagonista bendato, pronto a correre ogni genere di rischio per permettere al suo collega Mike Wallace (un Christopher Plummer vanesio ma risoluto, grande prova la sua) un pericoloso Hezbollah. La lunga scena termina con Pacino che si leva la benda dagli occhi, con puro e semplice linguaggio cinematografico applicato al cinema di genere, Michele Uommo ci comunica che il suo nuovo eroe Manniano sarà pronto a tutto pur di vedere la verità, non permetterà a niente di oscurare la sua vista.

Far cadere la benda per cominciare a vedere (e capire) il mondo.

Non fai un grande film della durata di 157 minuti, che percepiti sembrano meno della metà se non hai uno stile e una maestria superiore, Mann apparentemente si discosta nella tipologia di storia da Heat, ma in realtà porta nuovamente in scena lo stesso grandioso stile e grazie ad Al Pacino, ci regala un personaggio diametralmente opposto a quello di Vincent Hanna, i due avranno in comune il naso e il talento di Pacino e per certi versi anche la stessa grintosa volontà nell’andare a fondo nei rispettivi casi, sono entrambi professionisti dediti al loro lavoro come da abitudine degli eroi Manniani, ma Lowell Bergman per certi versi è un Vincent Hanna con più esperienza, uno che è riuscito a conciliare lavoro e vita privata, se il primo si portava il lavoro a casa mettendo a rischio la sua vita coniugale, il secondo con sua moglie trova conforto. Nulla mi toglie dalla testa che, per certi versi, Lowell Bergman sia l’eroe Manniano ideale, quello che è disposto a tutto per la sua professione, anche a rinunciarvi per il bene della sua famiglia, tutta roba che in una “biopic” qualunque risulterebbe mieloso, qui invece si vede tutta la schiena dritta e la testa alta dei personaggi di Michael Mann.

Primi e primissimi piani Manniani, mettono a dura prova a punti neri degli attori.

Il Dr. Jeffrey Wigand, per certi versi, anche lui incarna le stesse caratteristiche del tipo eroe Manniano, anche lui è dedito al suo lavoro e alla sua famiglia in parti uguali, per amore delle figlie e della verità mette tutto in pericolo, anche la sua vita e la scelta di affidare il ruolo a Russell Crowe è semplicemente brillante. L’attore neozelandese verrà eternamente ricordato per il suo ruolo da gladiatore o per le battutacce sul suo peso, ma in questo film Wigand dimostra dieci volte il coraggio di Massimo Decimo Meridio, il coraggio di dire la verità anche quando le grandi istruzioni ti minacciano, quando la burocrazia e l’inalterabile Status Quo cercando di imporsi per farti cambiare idea. La prova di Crowe è incredibile, non solo per le sedute di trucco necessarie per “invecchiare” e somigliare di più al suo personaggio, ma anche per la capacità di far patteggiare il pubblico per un personaggio che proprio simpatico non è, anzi, a tratti Wigand risulta anche abbastanza fastidioso, proprio perché Mann delle trovate caramellose da “biopic” se ne frega ed è devoto solo al realismo, quello per cui i personaggi non devono essere per forza tutti buoni buonissimi, esistono anche le zone grigie, ma soprattutto la devozione del regista di Chicago va tutta nei confronti della settima arte.

Gli eroi a volte non sono giovane e belli (e nemmeno così simpatici)

Con “Insider” Mann non solo riesce a spiegare le dinamiche tipiche del giornalismo, ma ci porta nei corridoi del potere, il dietro le quinte della dirigenza della CBS che per interessi economici costringe Bergman a tagliare il segmento chiave della sua intervista a Wigand per trasmetterlo in prima serata, lasciando così il dottore e la sua famiglia “appeso fuori ad asciugare” come si dice in gergo, in balia della campagna mediatica di diffamazione messa in atto dalle case di produzione del tabacco, ma anche dalla minacce.

Fa la cosa giusta diceva Spike Lee, si provaci risponde Mann.

“Insider” è un film che ti prende per il bavero e non ti molla per 157 minuti, dedito al cinema di genere Michael Mann gira un film d’inchiesta come se fosse un poliziesco, tiene la macchina da presa attaccata ai volti di Pacino e Crowe, li segue in un’atmosfera da Thriller inquadrandoli alle spalle come se i due fossero minacciati, cosa che per altro è vera soprattutto per il dottor Wigand. Basta guardare la scena del campo da golf in notturna (con la fotografia di Dante Spinotti che ad ogni nuovo lavoro con Mann si supera), un momento di puro thriller dove la minaccia al protagonista e alla sua famiglia è costante, anche nelle successive scena quella del procione e dei rumori in cortile (un esempio di puro thriller da parte di Mann) oppure dei proiettili recapitati per posta e ritrovati dalla signora Wigand.

La sigarette uccidono, ma anche il piombo non scherza.

Mann ci espone all’ingiustizia che Wigand ha dovuto subire con il risultato di coinvolgerci completamente, in soccorso del suo personaggio manda i suoi pretoriani, Al Pacino sembra il poliziotto che vuole proteggere la sua fonte di qualunque film poliziesco, infatti adoro il fatto che il chiarimento sulla fedeltà di Lowell Bergman («Io non brucio le persone!») avvenga tra i due protagonisti sotto una pioggia battente che in una qualunque “biopic” sarebbe un elemento drammatico canonico, ma per Mann l’acqua ha sempre un valore calmante, infatti è dopo quella scena che i due personaggi cementano il loro rapporto di fiducia, non è un caso se l’altra grande sequenza del film, preveda proprio l’acqua, ma andiamo per gradi.

Acqua e "Blu Manniano", tranquilli più avanti nel post torneranno entrambi.

Durante uno dei processi, la trascinante arringa difensiva che per un po’ serve a proteggere Wigand viene recitata dall’attore Bruce McGill, non a caso uno dei prediletti di Mann fin dai tempi di Miami Vice, ma il regista di Chicago ci fa affrontare l’ingiustizia a tutti i livelli, trascinante è anche il modo di Lowell Bergman cerca di far mandare in onda l’intervista integrale scagliandosi contro i colleghi asserviti alle decisioni aziendali palesemente sbagliate (ah come lo capisco!), la conferma che Al Pacino in palla, affidato ad un regista con il carisma necessario per non temere il suo stato di celebrità, può tirare fuori prove incredibile e ammettiamolo, Pacino in vita sue due film decenti li avrebbe anche fatti.

"Mi si nota di più se recito alla grande in un capolavoro o se lo faccio ripetutamente?"

Nel corso della storia i due protagonisti di “Insider” si ritrovano uomini soli come in un pezzo dei Pooh (come mi è venuta questa proprio non lo so…), la loro visione del mondo non coincide con quella di tutti gli altri, gli unici giusti in un modo che va nella direzione sbagliata ed è qui che Michael Mann utilizzando l’arma del cinema allo stato puro, manda a segno la scena madre di “Insider”, quella che se mi puntassero una pistola alla testa e mi facessero la fatidica domanda, indicherei come la migliore di tutta la sua filmografia, senza nemmeno pentirmi negli anni successivi.

Campo: e come spettatore sei già incollato allo schermo.

Wigand ha perso tutto, matrimonio e famiglia, sta chiuso in una stanza d’albergo e non risponde alle telefonate, con un effetto di “morphing”, Mann modifica il dipinto alle sue spalle (ovviamente un’immagina marittima, non si smentisce mai) mescolando questo elemento irreale (quindi puramente cinematografico) per contaminare la sua storia così aderente alla realtà. Basta quella scena e la musica che va in crescendo per far percepire al pubblico la frustrazione di un personaggio che da quella mancata messa in onda integrale ha perso tutto e si trova ad un passo dal baratro, forse anche da un gesto folle.

Controcampo: e da quello schermo non riesci più a staccarti.

Contemporaneamente Lowell Bergman è stato spedito in vacanza forzata dalla CBS e per cercare calma dove si trova? Nella sua casa al mare, avvolto in un “Blu Manniano” che è frutto del lavoro di Dante Spinotti, di fatto la scena prevede due uomini che si parlano al telefono, uno in una stanza d’albergo l’altro camminando sulla spiaggia in cerca di campo per un cellulare che prende poco, un normalissimo dialogo che Mann trasforma nella scena madre del film, più la stanza collassa intorno a Wigand mettendo in chiaro la sua disperazione, più la posta in gioco sale e il cellulare prende sempre meno, mentre Bergman mette i piedi in acqua in cerca di segnale, la tensione sale così come la posta in gioco ed io credo che nessuno abbia mai diretto un normale dialogo in maniera così tesa da farlo sembrare un inseguimento, l’ennesima corsa contro il tempo per gli eroi Manniani che è un crescendo da cui ogni volta che rivedo quella scena, mi risveglio dal trance solo quando Mann fa scemare la tensione, alla fine della sequenza Al Pacino è in acqua fino alle ginocchia senza nemmeno essersene accorto ed è un’immagine che riassume perfettamente noi spettatori, alla fine di questo grandissimo momento di puro cinema.

Come mi sento quando finisce la scena. Ogni. Maledetta. Volta (storia vera)

Qualunque altro regista avrebbe fatto terminare la sua “biopic” classica su questa scena magistrale, Mann proprio come in Heat, ha ancora altri grandi momenti dopo la rapina iniziale, Bergman come un Sonny Crocket qualunque, gioca sporco pur di far trionfare le verità, la sua rete di colleghi giornalisti è indistinguibile dai contanti di uno sbirro in un poliziesco, mettendo in chiaro che agenti di polizia o giornalisti, per Mann è la stessa cosa, entrambi ricoprono un ruolo di enorme responsabilità nella società, infatti quando il servizio viene mandato in onda integralmente, la scena è quasi liberatoria, un momento lirico che strappa i brividi, penso che nessun regista sappia arrivare così sotto pelle al pubblico come Michele Uommo.

Ho visto uscite di scena appena meno stilose di queste in vita mia.

Un tipo di cinema che, se mi concedete la battutaccia, crea più dipendenza delle sigarette e che si conclude con un arco narrativo completo per Lowell Bergman, aver affrontato il sistema lo ha cambiato, qualcosa in lui si è rotto come ammette al collega, infatti Mann gli regala un’uscita di scena equivalente all'archetipo del poliziotto che lancia il distintivo sì, ma solo dopo aver fatto trionfare la giustizia anche sopra il sistema che dovrebbe garantirla, quel fermo immagine finale di Bergman che se ne va, cavalcando verso il tramonto avvolto nella giacca è eroico e antieroico allo stesso tempo, un personaggio che non capisce e non accetta più la realtà attorno a lui perché troppo puro, non è un caso se dopo questo film, l’unico altro personaggio di cui Mann avrebbe potuto raccontare la storia, poteva essere solo Muhammad Alì, ma di questo parliamo la prossima settimana, preparate i guantoni soprattutto se siete Chris Rock.

18 commenti:

  1. Ottima recensione grazie . Per me la migliore interpretazione di croce. A quando la recensione del miglior film di al pacino gigli con lopez haffleck? No scherzo scarface

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    1. Ti ringrazio molto, occhio a quello che desideri, questa Bara è sempre in volo e potresti non dover attendere poi così tanto ;-) Cheers

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  2. Filmone, e trovo ben poco da aggiungere.
    Se non che anche a parer mio i film di denuncia servono come il pane, sopratutto per indignare al pensiero se e' mai possibile che certa gentaglia creda di poterci prendere per il naso vita natural durante.
    Sul serio sono convinti che non ci sara' mai una punizione, per loro? E che potranno continuare a farci fessi per l'eternita'?
    Si', si'. Perche' sanno di vivere in un mondo di disinformati totali.
    Hai l'informazione a portata di click ma non sai distinguere piu' il reale dall'inventato, l'utile dal superfluo. E ti arrocchi su quella quattro cose che credi di sapere, convinto che non ti serva piu' nient'altro.
    Fine polemica. A cui aggiungo che spesso questi lavori mancano di mordente, e per precisa scelta degli autori.
    Vuoi scoperchiare una bara ma non te la senti di sollevare l'inevitabile polverone per paura che qualcuno s'incazzi.
    E il caso di "Cattive Acque", che si e' gia' trattato.
    Colpisce piu' per la vicenda ignobile che per il film in se', anche se Ruffalo e' bravissimo.
    Perche' ci si concentra sul calvario dell'avvocato di turno alle prese con l'omerta', le inadempienze, l'opportunismo criminale. Tutta roba che gli fa perdere credibilita', spesso il lavoro è alla fine la salute.
    Ma Mann poteva limitarsi a fare il compitino?
    Ma figuriamoci. E infatti va oltre.
    Avvertenze, come nel fumo: chi cerca un "semplice" film d'inchiesta potrebbe rimanere deluso.
    A Mann non interessa. Lui vuole narrare una storia, e soprattutto FARE CINEMA.
    Non gli riguarda scoprire chi ha ragione e chi ha torto. E infatti i due buoni hanno il bel loro grado di ambiguita'.
    Il protagonista fa quel che fa per spirito umanitario? Per lavarsi la coscienza? O solo perche' vuol vendicarsi degli ex datori di lavoro che l'hanno licenziato?
    Sono sicuro che fino al secondo prima di rimanere a spasso non gliene fregasse nulla, di certe porcherie.

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    1. E il giornalista?
      Scende in campo perche' "La gente deve sapere" o solo perche' ha visto lo scoop, e venderebbe l'anima al diavolo per esso.?
      Difficile dirlo. Ma Mann e' un grandissimo, e fa in modo che non sia proprio possibile non stare dalla loro parte. Nonostante i dubbi.
      Trasforma tutto in un thriller, infilandoci LA MINACCIA.
      Quel senso di angoscia e di oppressione che ti insinua il sospetto che i due possano finire uccisi da un momento all'altro.
      Per carita'. Le multinazionali hanno mille metodi piu' discreti, per rovinarti.
      Uno scandalo, una contro-ricerca che di fatto smonta la tua (non mi piace quel che dici? E allora pago qualcuno per dire l'esatto contrario, guarda caso come piace a me), oppure stritolarti a colpi di lentezza e pastoie burocratiche.
      Pero'....funziona, cazzo.
      Finisci il film con le chiappe strettissime.
      Pacino strepitoso, e pure RusselCro'. Che non era ancora finito a fare il cosplayer dell'orso Yoghi.
      Dovevi startene li' con Mann, bello. Non finire a far pappa e ciccia col fratello scemo del TONY.
      Soli contro tutti, col protagonista che se fosse stato conscio del casino in cui si stava andando ad infognare, forse avrebbe lasciato perdere.
      Ma il vecchio Al c'e' sempre, quando si tratta di tirar fuori i cosiddetti.
      Era meglio non immischiarsi. Ma ormai si e' cominciato, e bisogna andare fino in fondo. Ad ogni costo.
      Perche' e' un professionista. Ed e' un uomo di parola. Che pero' sa anche quando non potrai vincere meglio di cosi' ed e' ora di chiudere e dedicarsi a cio' che conta davvero e a cui tieni.
      Una bomba di film. Da vedere.
      E ottima recensione.
      Complimenti.

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    2. Il problema è che al pubblico del film di denuncia, non frega un accidente. Nemmeno quando è fatto sotto forma di grande cinema come in questo caso, un po’ perché assuefatto a biografie con i bordi arrotondati. Cheers

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    3. Grazie a te, piuttosto.
      Hai presente quando ne "Gli Intoccabili" ti senti al sicuro solo al giungere dei titoli di coda?
      Ecco qui alla fine tiri un tale sospiro di sollievo che a momenti buchi il pavimento.
      Davvero.

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    4. Esatto, ottimo paragone direi. Cheers

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  3. Anno 2002, il primo in cui "vado a vivere da solo" come Jerry Calà. Grazie a uno sconto, mi abbono al neonato SKY e sono abbastanza sicuro che questo "Insider" sia stato il primo film visto in quella mia nuova realtà. O almeno il primo prodotto grosso trasmesso nel mese in cui mi sono abbonato. Quindi è un film che mi scatena tanti ricordi.
    Il brutto è che ho voluto vederlo in prima serata, come fossero ancora gli anni Novanta: ora però facevo i turni in ufficio e la mattina dopo avevo la sveglia all'alba, e a un certo punto quella sera mi sono reso conto che il film durava uno zinzinino più del previsto. Così a un certo punto ho dovuto registrarlo e finirlo il giorno dopo :-P
    Però per quanto mi sia piaciuto avrei voluto questa recensione come guida, per cogliere molte cose che temo mi siano sfuggite. Ricordo che apprezzai Crowe, appena esploso come gladiatore, mostrarsi come appesantito uomo di casa, tutt'altro che eroico, anche se in realtà non sapevo fosse stato girato prima del Gladiatore.
    Grazie per queste nuove emozioni manniane ;-)
    P.S.
    Condivido, "Il caso Spotlight" è un filmone.

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    1. Grazie a te, penso che sia anche un film a “lenta cottura” come sempre il cinema di Mann, dove le emozioni ci sono e anche molto forti, ma non sono lanciate in faccia al pubblico. A distanza di tempo a volte credo che questo potrebbe essere il mio preferito di Michele Uommo, anche se la scelta tra i bei film è notevole ;-) Cheers

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  4. Film molto apprensivo, nel senso buono, visto in TV e apprezzato molto ma nonostante l'epica manniana sia presente e ai massimi livelli, l'ho sempre considerato un bel prodotto ma un pò freddo, forse anche per una questione volutamente cromatica. In ogni caso grande prova del Gladiat-tore, sul buon Al ci puoi fare sempre affidament, poi in quegli anni non ne sbagliava uno... Per la prossima settimana mi preparo con protezion, caschetto, paradenti e cerco di non fare battute su possibili seguiti del Soldato Jane!

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    1. Tranquillo, per allora le avrò già fatte tutte io ;-) Ti consiglio di rivederlo, le emozioni nei film di Mann non sono mai manifeste, i suoi film sono freddi solo ad una prima occhiata, sono sicuro che rivedendolo lo coglieresti al volo questo elemento. Cheers

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    2. Sì hai ragione, è passato tanto tempo da quando ho visto il film e avevo un'età e una testa diverse, che forse non mi fecero cogliere l'importanza del messaggio di denuncia al di là di un ottimo film. Ma come scrivi giustamente i film di denuncia non interessano mai più di tanto. Comunque grazie del consiglio e anche di farmi evitare molestie da Will Smith!

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    3. Sono qui per questo, poi non è bello invischiarsi con la faccenda di Will ;-) Cheers

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  5. Pacino il carisma irraggia, e va a telefonare,
    coi piedi a bagno in spiaggia, ma non ha campo il cellulare,
    perduto nel blu manniano della sera,
    parlar con Crowe sembra una chimera,
    ma perché cade il segnale questa sera?
    A volte un uomo è solo perché i potenti vuol accusarli,
    perché lo fa lo stesso anche se rischia l'insuccesso.
    Gridare la denuncia che ha di dentro,
    per quel che sa l'hanno già messo al muro,
    perché sul tabacco lui vuol dire il vero.
    Dio del cinemaaa
    Michael lo sai già,
    per questo tu ci sei
    due palle enormi c'hai,
    vediam di raccontare la sua vita,
    così com'è senza dover cambiarla,
    perché ci aiuti a cambiare noi.
    Vediamo se si può,
    farci dir quel che dobbiamo,
    senza avvelenarci più,
    con fumi e nicotine.
    Perché la sigaretta stende,
    e chi rimane steso poi ci muore,
    se consumato è il consumatore.
    Come Crowe sono soli sapendo quel che fa paura,
    le multinazionali lo sbatterebbero in galera,
    forse simpatico lui non lo è mai stato
    col senso di giustizia che gli piglia,
    mettendo a rischio pure la famiglia.
    Dio del cinemaaa
    Michael lo sai già,
    per questo tu ci sei
    due palle enormi c'hai,
    vediam come si può
    sputtanare quest'industria
    condannare tutti loro,
    che nel giusto ci siam noi.
    Ma Dio del cinemaaa
    Michael lo sai già,
    per questo tu ci sei
    e i problemi affronterai.
    Il realismo è il tuo vangelo,
    di lottare non sei stanco,
    se Al Pacino ti sta al fianco.

    Ma guarda un po' se anche a me non son venuti in mente i Pooh... ;-)

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    1. Hai trovato il modo di farmi apprezzare anche i Pooh, questo è genio… MVP! MVP! MVP! ;-) Cheers

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  6. Non riesco a starti dietro!! Dopo il capolavoro di Heat ti tira fuori l'altro capolavoro, un po' dimenticato, un po' passato sempre in sordina. Ma che gran film. Raggiunge delle vette che forse si possono gustare non alla prima visione; è il calssico film che più lo rivedi e più ti piace, perchè ti accorgi di quanto sia scritto e fatto bene, quanto tutto sia al posto giusto, quanto sia scritta bene e dolorosa la storia. Parla di una storia che potrebbe essere sbandierata ai quattro venti, ma lo fa da un punto di vista unico, con la mano ormai sicurissima che è quella di un grande Autore del cinema americano: Michael Mann.

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    1. Non ti ho visto mi stavo preoccupando, vai tranquillo i post non scappano ;-) Che infilata di film ha fatto Mann? Da "L'ultimo dei Mohicani" almeno quattro titoli fondamentali, tipo questo. Cheers

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