venerdì 21 gennaio 2022

Regole d'onore (2000): diavoli e polvere

Vi era mancata? Lo so che vi era mancata, quindi senza perdere altro tempo vi do il benvenuto al nuovo capitolo della rubrica… Hurricane Billy!

Abbiamo lasciato Billy Friedkin rifugiato sul piccolo schermo, dopo che Hollywood gli aveva chiuso (sul naso) parecchie porte, la possibilità di dirigere per lui gli arrivò dal palcoscenico più improbabile, da tempo lui e sua moglie Sherry frequentavano Zubin Mehta e la sua signora, nelle loro cene si finiva più che altro a parlare di musica, visto che Mehta è un celebre direttore d’orchestra: «Penso che tu saresti un ottimo regista di opere liriche Billy. Che cosa faresti se potessi scegliere?». Friedkin come suo solito la toccò pianissimo scegliendo il Wozzeck di Alban Berg, scritta con metodo dodecafonico, è considerata una delle opere di rottura più complicate non solo da portare in scena, ma anche per l’orecchio del pubblico che di solito preferisce qualcosa di più “semplice” (virgolette obbligatorie) come Puccini, Verdi o Mozart. Non ti guadagni sul campo il soprannome di “Uragano” se nasci timido.

In due anni, Billy passa da non aver mai nemmeno visto un’opera lirica dal vivo, a dirigerne una delle più complicate davanti al pubblico del Maggio Musciale Fiorentino, per finire a prenderci gusto, iniziando così una nuova carriera come regista sì, ma presentando il suo occhio e la sua tecnica alla lirica.

Questa, ad esempio, è l'Aida portata in scena da Friedkin anche a Torino.

Sarà pur vero che puoi togliere un uomo dal cinema, ma non potrai mai togliergli il cinema che si porta dentro, nello stesso periodo, infatti, dopo anni e anni di lavoro ai fianchi da parte dell’altro Billy (Blatty), Friedkin cede e concede il finale più “lieto” (anche qui, virgolette obbligatorie), mandando in sala la versione integrale di L'esorcista, di cui vi ho già detto tutto, quindi aggiungo solo che il rinnovato interesse per l’unico film per cui Friedkin verrà ricordato, lo riavvicina ad Hollywood, grazie a Scott Rudin, l’uomo dei due mondi in quanto produttore cinematografico e teatrale, caustico e iperattivo proprio come il nostro Billy.

Rudin propone al regista di Chicago la sceneggiatura scritta da un altro che quando distribuivano la testardaggine non era certo rimasto a letto a ronfare: Jim Webb era un romanziere e avvocato militare, con una lunga esperienza a comando di un plotone dei fucilieri del corpo dei Marines in Vietnam, dove aveva collezionato diverse medaglie al merito (una Navy Cross, una Silver Star, una Bronze Star e due Purple Heart, la massima onorificenza possibile conquistabile su un campo di battaglia). Webb era decisamente un “falco”, visto che è stato segretario della Marina sotto l’amministrazione del Presidente Reagan, uno che in carriera non le ha mai mandate a dire (aveva definito il celebre Vietnam Veteran Memorial chiamandolo “Il nero fosso della vergogna”, storia vera), insomma il classico soggetto perfetto per il cinema di Billy Friedkin.

Billy torna ad impugnare la sua arma preferita.

Ma due caratteri esplosivi insieme, difficilmente possono durare, infatti Webb e Friedkin non riuscirono mai a lavorare a quattro mano sulla sceneggiatura scritta dal primo intitolata “Rules of Engagement”, anche se il tema alla base della storia era d’interesse comune: quando si può parlare di omicidio nel caso di un’azione militare?

Friedkin fa valere il suo ruolo e il copione finisce nelle mani dello sceneggiatore Stephen Gaghan, piccato Webb fa altrettanto, forte dei suoi contatti nell’esercito fece di tutto per ostacolare le riprese, ponendo il veto alla troupe di Friedkin di girare nelle basi militari, costringendo così il regista di Chicago a dover ripiegare su vecchie basi canadesi in disuso, negando anche l’utilizzo degli elicotteri CH-46 per una delle scene madri del film... Poco male, dopo aver affidato il ruolo del dottore ad una sua vecchia conoscenza, l’attore Amidou, Billy ottenne di poter girare in Marocco, ma anche un paio di CH-47, fatti riverniciare per somigliare agli elicotteri in uso presso il corpo dei Marines (storia vera). L’ultima consulenza fornita da Webb a Friedkin? La scelta del Paese dove ambientare il fattaccio che sta alla base della trama, Webb nella sua prima stesura aveva scelto un generico e non citato stato mediorientale, alla domanda di Billy dove nel mondo, un fatto del genere potrebbe accadere davvero, Webb rispose deciso: «Nello Yemen», decidendo così senza saperlo, da dove sarebbero arrivate le polemiche, ma su questo torneremo più avanti.

Come raccontato nella sua autobiografia, i suoi due protagonisti avevano capito così bene i personaggi che Friedkin non ha quasi dovuto dirigerli (cit.)

Friedkin completa il cast velocemente affidando il ruolo del colonnello Hayes "Hodge" Hodges alla solidità di Tommy Lee Jones, quello del colonnello Terry L. Childers all’altrettanto roccioso Samuel L. Jackson. Ben Kingsley vince il ruolo MacGuffin dell’ambasciatore yemenita da portare in salvo, mentre il presidente con l’aria da democratico (per altro di nome Bill) viene affidato a Bruce Greenwood. Completa il quadro il maggiore Mark Biggs, rampante JAG (avvocato in divisa, come la vecchia serie tv) dell’accusa con il volto di Guy Pearce, per curiosità ho provato a guardare dieci minuti di film doppiato, ma tra i Mussulmani che invocano Dio (non Allah) e Pearce che parla con la voce di Ace Ventura ho desistito presto, guardatevelo in lingua originale, un consiglio spassionato.

"Allora è vero: gli animali sentono il male!" (cit.)

William Friedkin rende onore alla regola dei primi cinque minuti, quelli che determinano tutto l’andamento del film, Hodges (Jones) e Childers (Jackson) nella giungla del Vietnam lanciano una moneta per stabilire chi guiderà il suo plotone oltre la pericolosa collina, quel lancio di moneta è l’evento che determinerà non solo l’andamento del film, ma delle vite dei protagonisti.

Hodges finisce in un agguato tra esplosioni e sventagliate di mitra, Childers gli salva la vita mettendo in chiaro il suo approccio più incline al risultato che al seguire fedelmente le regole, infatti non si fa nessun problema a giustiziare sul posto uno dei “Charlie” pur di ottenere la ritirata nemica. Questo vale un debito tra i due soldati, anche se Hodges finirà per 28 anni dietro ad una scrivania, più portato a combattere in tribunale che su un campo di battaglia.

"Di' cosa un'altra volta, di' cosa un'altra volta! Ti sfido, due volte, ti sfido!" (cit.)

Se la prima scena mette in chiaro il fatto che Friedkin sa come dirigere una scena di guerra, quella successiva lo ribadisce al mondo urlandolo in un megafono: 28 anni dopo Childers è al comando di una rognosissima operazione di recupero nello Yemen, l’ambasciata americana è stata assediata da contestatori, chissà poi perché? Solo perché il presidente in carica è il capo degli imboscati della guerra del Vietnam, il figlio di papà George “Dabliù” Bush? Un così bravo ragazzo in fondo, non ha mica fatto tanti danni durante la sua amministrazione, no no.

La situazione è una polveriera pronta ad esplodere, Childers esegue gli ordini alla precisione, porta al sicuro l’ambasciatore Ben Kingsley e la sua famiglia, poi torna indietro per recuperare la bandiera prima di abbandonare l’edificio come da procedura, a quel punto partono gli spari e solo al terzo dei suoi uomini feriti il colonello dà l’ordine di aprire il fuoco. La scena è tesissima, Friedkin è un drago nel costruire la tensione, il coro martellante della folla di contestatore ricorda il martellare sull'incudine all’inizio di L’esorcista, un suono angosciante e ripetitivo che annuncia il disastro, mentre nemmeno per un momento come spettatori, non abbiamo chiarissimo davanti agli occhi come si siano svolti i fatti, grazie ad un montaggio (firmato da Augie Hess) e una messa in scena (la fotografia è stata curata da William A. Fraker e da Nicola Pecorini) a dir poco impeccabili, quando comincia il fuoco americano a terra restano 83 morti e più di cento feriti e proprio in quel momento Friedkin decide di far terminare la musica, sottolineando il bagno di sangue con un assordante silenzio. Mica male per uno che era finito a dirigere opere liriche e che in teoria, doveva essere un po’ arrugginito.

Scene madri e dove trovarle.

La scena dell’assedio di “Regole d'onore” (invenzione tutta italiana per cavalcare la popolarità di “codice d’onore” uscito otto anni prima) non è solo per sua stessa ammissione una delle più difficili mai girate da Friedkin, ma una delle migliori della sua filmografia. Inevitabile che dopo questa il film scenda di livello, perché “Rules of Engagement” (titolo originale ben più a fuoco) passa dall’essere un film di guerra ad un “Legal Thriller”, altro sottogenere che il nostro Billy maneggia agevolmente, visto che in carriera aveva già diretto Rampage e La parola ai giurati.

Childers torna dal vecchio commilitone diventato avvocato militare, idealmente a riscuotere quel debito conquistato sul campo 28 anni prima, proprio mentre il presidente, l’opinione pubblica e tutte le forze armate, vorrebbero fare di lui il capro espiatorio di tutta la politica estere Yankee, che mai come nel 2000 (in piena amministrazione “Dabliù”) era un argomento scottante. Cosa vi aspettavate da uno che per la sua prima opera lirica ha scelto una roba dodecafonica? A Billy le strade già battute proprio non piacciono

Un altro film in aula di tribunale per il nostro Billy.

Il Childers di Sam Jackson è il tipo di personaggio che vorresti al tuo fianco quando cominciano a fischiare le pallottole, ma non quello che vorresti ammettere di conoscere ad una festa di gala, a tutti gli effetti un guerriero pronto ad eseguire gli ordini, ma non di certo un personaggio piacevole, parliamo di uno che pur essendo nero, non lesina sull'etichettare i suoi nemici sul campo come “musi gialli” o altre paroline dolci del genere.

Al suo fianco ha l’unico che conosce per davvero il suo valore, quando tutti vorrebbero solo scaricare Childers già per lo scarico tirando l’acqua per liberarsi del “merdone” che loro stessi hanno provocato e che il soldato stava cercando di sistemare eseguendo gli ordini. Se siete tra la tipologia di pubblico che ama etichettare le storie come “di destra” o “di sinistra” qui avrete da sbizzarrirmi, ma di fatto “Rules of Engagement” è la guerra raccontata dal punto di vista di chi la combatte, prima sul campo e suo nelle aule giudiziarie dove un processo serve a chiarire responsabilità e colpe.

“Ci hanno proposto un patteggiamento, ma non dovrai più usare la parola che inizia per M e finisce per otherfucker”, “Mi manderanno alla sedia”

Il tema musicale di Mark Isham tende un po’ troppo verso il patriottico spinto, ma lo spirito di Friedkin è sempre lo stesso, tutta la parte in cui Hodges indaga tornando nello Yemen funziona grazie ai precedenti da documentarista di Friedkin che ci racconta di un Paese con ospedali di fortuna pieni di feriti e allo stesso tempo del modo in cui gli Stati Uniti in patria cercano di nascondere tutto sotto il tappeto.

Il film nasce pure dal soggetto di un uomo di destra come Webb, ma lo spirito di “Rules of Engagement” è quello di Friedkin, ancora qui a raccontare luci ed ombre della società e dei suoi personaggi, evitando le facili etichette di “buoni” o “cattivi” che chi ha interesse ad iniziare per davvero una guerra di solito si affanna ad appiccicare sulla fronte a tutti. Chi poi, invece, in mezzo ad una battaglia ci si ritrova per davvero, sa benissimo che la guerra è uno spargimento di sangue che non guarda in faccia nessuno, per certi versi il film di Friedkin è dalla parte di chi poi la guerra è costretto a combatterla, chi si trova con il dito sul grilletto, l’occhio sul mirino e davanti agli occhi (e nel cuore) solo diavoli e polvere come cantava Bruce Springsteen, tanto per restare dalla parti di chi usava la sua arte per raccontare chi la guerra la combatte poi per davvero.

I got my finger on the trigger, but I don't know who to trust / When I look into your eyes, there's just devils and dust (cit.)

“Rules of Engagement” è un solidissimo film che riesce ad appassionare anche quando diventa un “Legal Thriller”, i dialoghi sono ottimi, basta ascoltare lo scambio tra Tommy Lee Jones e Guy Pearce sulla durata media della vita di un soldato in Vietnam per capirlo, ma la passione di Friedkin per le storie in cui spiccano le zone d’ombra morali della trama e dei personaggi, erano ad alto tasso di polemica negli anni ’80, figuriamoci nel 2000 per di più parlando di politica estere Yankee, infatti alla sua uscita il film scatenò un putiferio.

L’American-Arab Anti-Discrimination Committee (ADC) bollò l’ultima fatica del regista di Chicago come: “Probabilmente il film più razzista e antiarabo mai realizzato” (storia vera). A mio avviso, una menata assurda, visto che basta guardarlo per davvero per capire che quelli che fanno la peggior figura nel film, sono proprio gli Americani, ma le proteste che ebbero più eco furono quelle dell’ambasciatore dello Yemen a Washingto, Abdulwahab Abdulla al-Hajri (la sfida era scriverlo giusto) che definì il film una completa distorsione della realtà e una diffamazione di un popolo intero.

Billy al telefono me lo immagino un po' come Sam Jackson.

In tutta risposta Billy Friedkin cosa fece? Quello che ha sempre fatto in questo casi, con il piglio di chi è stato soprannominato “Uragano” alzò il telefono, chiamò l’ambasciata yemenita presentandosi come “Quello che avrebbe diffamato il vostro Paese”, arrivando ad ottenere udienza presso gli uffici dell’ambasciatore, per esporre il suo punto di vista, l’arringa difensiva di Billy? Eccola: «Mi permetta di affermare il giusto di fronte a lei, il film non è anti-arabo, non è anti-Musulmano e non è certamente anti-Yemen. Al fine di realizzare il film in Marocco, l'attuale Re del Marocco ha dovuto leggere il copione e approvarlo e firmare con il suo nome ... E nessuno dei partecipanti arabi della parte araba delle cose, ha ritenuto che il film fosse anti-arabo. Il film è anti-terrorismo. Si prende una posizione forte contro il terrorismo e si dice che il terrorismo indossa molte facce ... Ma non abbiamo fatto questo film per calunniare o diffamare il governo dello Yemen. È una democrazia e non credo neanche per un istante che sostengano i terroristi più di quanto faccia l'America». Liberi di farvi la vostra idea, io sto con Billy che mi sa che è l’unico che il suo film lo ha valutato senza pregiudizi di sorta.

Ovviamente, nemmeno il polverone o la difesa di Billy sono serviti a rendere il film un enorme successo al botteghino, ma ormai lo stesso Friedkin era consapevole di essere lontano dai suoi fasti, però una volta tornato ad Hollywood, c’era spazio per altre storie e un altro capitolo di questa rubrica, tra sette giorni, sempre qui vi aspetto!

10 commenti:

  1. Un nero razzista? noooooo,ma come ha osato quel razzista del regista,non lo sa che i film sul razzismo per fare successo devono solo avere a che fare con caucasici suprematisti? trolololololo!!!!!. Onore a Billy che grazie al suo passato da documentarista,si limita a documentare le varie facce morali di questo mondo,senza prendere prigionieri,dalle mie parti si dice grandi registi coraggiosamente onesti!

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    1. Nato e cresciuto artisticamente negli anni ’70, Billy resta uno degli ultimi fedeli alla tradizione per cui al cinema è bello raccontare storie senza buoni buonissimi e cattivi in cerca di redenzione, ma personaggi realistici che si muovono come tutti noi tra la luce e l’ombra, che poi è anche il tipo di cinema che preferisco. Cheers

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  2. Pensa che l'estate scorsa, nella mia caccia alla VHS, in un lotto di cassette registrate da TV ho beccato un passaggio televisivo di questo film, che mi sono conservato. Era da una vita che non lo sentivo nominare, all'epoca ricordo che mi aspettavo qualcosa di completamente diverso e non mi ha convinto, ma onestamente a parte le foto di scena sui giornali non ricordo assolutamente altro. Ora che ti ho letto scatta decisamente il recupero :-P
    Ma quanto era potente il primo sceneggiatore per farsi obbedire da tutte le basi militari, una volta scattato il veto anti-Billy?

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    1. Billy sapeva fare le cose per bene, se devi litigare con qualcuno, che sia almeno il più grosso in circolazione no? ;-) In effetti è un film che spiazza, perché inizia come film di guerra e poi cambia genere, sono curioso del tuo parere. Cheers!

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  3. Toh, Friedkin prestato alla lirica.
    E mica lo sapevo.
    Scommetto che qualcuno avra' pure detto "Ma chi? Quello del film con la tizia che vomitava verde?"
    Sapessero...
    Da come la vedo io, il talento lo si puo'esprimere in tanti modi. E il buon Billy direbbe che non c'e' poi tanta differenza tra il dirigere un'opera e dirigere una pellicola.
    Questo l'ho trovato un legal thriller solido e avvincente, con interpreti che sono una garanzia.
    Ci sono anche scene di guerra. E girate in modo magistrale, va detto. Ma servono per imbastire le dinamiche tra i protagonisti e per giustificare il processo.
    Di fatto, il vivo della vicenda si svolge in aula.
    Forse proprio per questo e' stato considerato uno dei tanti epigoni di "Codice D'onore", che ancor oggi e' il paradigma per l'intero genere.
    Ma rispetto al film di Reiner, questo ha delle differenze che giocano a suo favore.
    Finche' ti occupi di casini nati in seno all'esercito, te la giochi in casa e stai tranquillo.
    Discorso diverso se vai a rompere le tasche fuori dai confini. E tirando in ballo un posto da cui, da li' a poco, sarebbe venuto un tizio che sul suolo yankee avrebbe lasciato un mucchio di bei ricordi.
    Ma proprio, guarda.
    E poi non si dica che il buon vecchio non aveva l'occhio lungo, su certe cose.
    Ancora una volta si e' rivelato profetico, pur probabilmente senza volerlo.
    In effetti me lo ricordo piu' per le polemiche scaturite, che per il film stesso.
    Diciamo che Friedkin si era fatto una certa idea, su certe cose e su certe persone. E non si e' fatto problemi a manifestarla.
    Da come la vedo io, per raccontare un certo tipo di storia devi far parlare, pensare e agire i personaggi in un certo modo.
    Uno puo' essere xenofobo di suo o dai metodi spicci e discutibili, se la trama lo richiede.
    Se poi l'eventuale spettatore approva o meno, quello e' affar suo. Non vedo cosa c'entri col film.
    E' sempre facile giudicare col senno di poi. Ma qui si parla di soldati che spesso si trovano in situazioni al limite, in cui un comune mortale si augurerebbe come minimo di non finirci mai.
    Situazioni estreme che spesso richiedono decisioni altrettanto drastiche, e pochissimo tempo per decidere.
    Provateci voi, e vediamo se ve la cavate meglio.

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    1. Il succo è quello, un azione giusta in un momento convitto viene vista in modo ddl tutto diverso se analizzata dopo, a freddo ma poi giusto in guerra può davvero esistere? Il bello di un cinema che non vuole dare risposte ma sollevare dubbi ;-) Cheers

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  4. Il tuo (bel) post mi fa pensare a un video su YouTube di Samuel L Jackson dove viene importunato fintamente da diverse persone, nella vita vera, per qualcosa fatto da uno dei suoi personaggi nei film. Peccato però che nessuno citi questa pellicola...
    Me la ricorda bene anche se è da parecchio tempo che non la vedo... Una buona occasione per vedere se qualcosa è cambiato oppure siamo sempre nella stessa identica situazione con gli ameigani paladini della libertà e dei diritti civili... Meno male che nemmeno Hurricane Billy ci crede e non fa nulla per nasconderlo... Non si può dire che non sia una persona coerente e lo apprezzo per questo (quasi cit.).
    Buon fine settimana 👋

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    1. Bene, un piacere averti suggerito un titolo per il fine settimana, passatelo bene ;-) Cheers!

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  5. Non ho visto manco questo di Billy, ma... Giuro che ho pensato che il nome dell'ambasciatore te lo fossi inventato.

    (non voglio essere accusato di anti yemenismo per questo, eh!)

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    1. Magari! Sarebbe stato più facile scriverlo ;-) Cheers

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