Il Torino Film Festival ha sempre regalato gioie anche ai bimbi come me, da sempre appassionati di cinema di genere, per dire, la prima volta che ho visto “The Raid” (2011) è stato proprio al TFF (storia vera).
Proprio per questo l’edizione di quest’anno, con il suo
programma pieno di strambi film battenti bandiera liberiana mi ha lasciato un
po’ freddino, certo si sono giocati il nuovo Eastwood ma per il resto? Poche
ossa da sgranocchiare per noi appassionati del cinema di genere, se non proprio
“Raging Fire”, purtroppo ultima fatica del ben poco celebrato regista Benny
Chan che ho avuto la fortuna di vedere sul grande scher… Time Out Cassidy!
Due proiezioni, una ad un orario scomodo (mea culpa) l’altra
cancellata la sera prima con un’email arrivata prontamente per tempo (almeno
quello), quindi di vedere Donnie Yen sparare e menare sul grande schermo ciccia,
in ogni caso il film è uscito in Blu-Ray negli Stati Uniti, quindi se siamo
fortunati tra vent'anni arriverà anche in uno strambo Paese a forma di scarpa,
intanto ve ne parlo partendo proprio dal suo regista.
Corsi di guida sicura con Donnie Yen. |
Nell’agosto del 2020 un tumore faringeo si è portato via a nemmeno sessant'anni Benny Chan, rendendo così “Raging Fire”, venticinquesimo film del regista in poco meno di trent’anni di carriera, il suo testamento uscito purtroppo postumo. Il regista hongkonghese cresciuto artisticamente sotto l’ala protettiva di Johnnie To in carriera è stato molto produttivo, il suo “The White Storm” (2013) aveva avuto un po’ di visibilità anche qui da noi in occidente, ma anche per tante regie di film con Jackie Chan, come Senza nome e senza regole oppure New Police Story.
“Raging Fire” si incastra perfettamente nel filone “heroic
bloodshed”, lo stile azione, sparatorie, azione, colpi mortali, sparatorie,
azione, sparare con un’automatica in ogni mano e ancora un po’ di azione reso
celebre da John Woo e Ringo Lam, insomma la tradizione di Hong Kong, quando la
città era ancora un porto franco, il punto ideale di collegamento tra l’occidente
e la cultura orientale, insomma prima dei tumulti e le rivolte che ormai Hong
Kong vive da tempo.
Per certi versi infatti “Raging Fire” cerca di coniugare la
gloriosa tradizione del cinema d’azione di Hong Kong con i dettami dell’impero
(anche cinematografico) cinese, quello che ha disposizione tutti i soldi del
mondo, ma il più delle volte li utilizza per sfornare film di propaganda che
fanno sembrare Rocky IV un titolo
moderato, infatti il protagonista è proprio Donnie Yen, che qui per un attimo
abbandona i panni sempre più propagandistici di Ip Man per vestire quelli del bravo poliziotto.
Ma un bravo poliziotto che sa fare il mio mestiere / Sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere (cit.) |
Cheung Sung-bong (Donnie Yen) è lo sbirro ligio alle regole, irreprensibile e dai modi spesso spicci ma sempre per totale dedizione alla causa, il suo avversario è il suo ex protetto, Yau Kong-ngo interpretato da Nicholas Tse in una storia che pur non essendo proprio complessa e sfaccettata come quella di “Infernal Affairs” (2002), si muove nei territori del già visto, giocando sul sicuro perché tanto la trama non è il punto di forza di “Raging Fire”.
Un film che in fondo tratta un po’ i soliti argomenti chiave
del “heroic bloodshed”, l’amicizia virile, la legge, la corruzione, il
tradimento e qualche volta la redenzione, infatti sulle tracce dei criminali
Vietnamiti (con maschera fighissima addosso, la voglio anche io!), il compare
di Donnie Yen, il poliziotto più giovane che all’inizio del film regala i
vestiti dismessi del figli neonato, in attesa del lieto evento in casa Yen, di
fatto non è altro che il solito personaggio paravento che morendo, aumenta di
due tacche il dramma e contribuisce a motivare il protagonista. Insomma niente
che non abbiate già visto tante volte, ma la messa in scena, mettetevi comodi
perché quella è una discreta bomba.
"Ti dichiaro...", "In arresto?", "No, defenestrato!" |
Ci vuole un momento per arrivare alla prima sparatoria, il film presenta i personaggi e la situazione iniziale poi però quando partono gli spari, tutta la maestria di Benny Chan viene fuori con la sua strapotenza: un controllo dello spazio invidiabile, il montaggio curato e per quanto frenetico, sempre estremamente chiaro nel mostrare dove si trovato tutti i personaggi, che sono davvero tanti, perché da una parte abbiamo la banda di criminali mascherati Vietnamiti e dall’altra gli sbirri con giubbotto anti proiettile che fanno irruzione. Il risultato è una scena lunga, articolata, molto ben coreografata e diretta che procede in un crescendo di colpi sparati da un cecchino (con mirino laser ma solo per motivi puramente cinematografici) oppure di cariche piazzate pronte ad esplodere per coprire la fuga, insomma tutto quello che vorrei sempre vedere in un film d’azione, diretto come si deve.
Bisogna dire che Donnie Yen si alterna nel ruolo del
poliziotto ligio al dovere ma anche in quello del futuro padre, non manca il
suo monologone trascinante con cui convince il capo che combattere il crimine
sia un dovere quasi patriottico (siamo sempre sotto l’egida di Pechino, ve lo
ricordo), però per una volta il nostro Donnie fa un po’ meno il super uomo del
solito.
Ho detto un po' meno super uomo del solito, il Donnie perde il pelo ma non il vizio. |
Iniziamo dai lati negativi, lo vediamo coinvolto in almeno tre inseguimenti in auto, in uno senza mai cambiare espressione, schianta la sua auto su quella dei criminali inseguiti come se fosse l’ultimo gettone dell’autoscontro, ed è sempre al centro di tutte le sparatorie, ma le scene in cui combatte sono essenzialmente due, verrebbe da aggiungere solo due, anche se sono oggettivamente fantastiche.
Per il resto Donnie pur interpretando il solito trenta e
qualcosa enne pur essendo sempre classe 1963 (portati alla grande), qui ogni tanto
dopo una rissa il suo personaggio sfoggia quei lividi da cui pareva immune in
tutti i film della saga di “Ip Man”, addirittura in una scena si stacca un
dente ballerino allo specchio insomma, il contributo della divinità Donnie Yen
alla caratterizzazione di uno sbirro umano, che fatica e lotta ma non molla
mai, mettete anche questo tra i compromessi che tengono in equilibrio un film
come “Raging Fire”.
"Uno alla volta? No dai, tutti insieme così vi meno meglio" |
Poi quando Donnie Yen fa quello che gli riesce meglio (ovvero menare), si conferma un coreografo incredibile, i suoi combattimenti sono una gioia per gli occhi, la lunga sequenza che lo vede da solo, con l’antiproiettile avvolto attorno all'avambraccio (per menare meglio) da solo contro tutti, in quella che penso potrebbe essere la Scambia di Hong Kong, fa venire voglia solo di esultare per ogni trovata visiva di Benny Chan e per la capacità di Donnie Yen di coreografare di tutto: salti sui tetti, cadute, prese, combattimenti a breve distanza contro un solo avversario oppure contro tanti, insomma uno spettacolo!
Esattamente come il duello finale che risolve il film, che è
lungo, incalzante e arriva dopo un inseguimento in auto, che diventa una
sparatoria con ostaggi in strada per terminare con il duello a suon di pugni e
calci, ovvero Benny Chan che porta in scena tutto il repertorio.
Finali esplosivi (in tutti i sensi!) |
Risultato finale: considerando l’uso misto di armi, inseguimenti in auto e arti marziali, “Raging Fire” potrebbe essere uno dei migliori film della produzione recente di Donnie Yen, non arriva ancora ai livelli di quella bomba di “Flash Point” (2007) ma non siamo nemmeno poi così distanti. Piccolo momento di magone sui titoli di coda, il classico dietro le quinte è ovviamente tutto dedicato alla memoria di Benny Chan, che ci avrà anche lasciati troppo presto ma ha chiuso davvero con il botto, anche se oltre alla delusione di non poter aver visto questo film su uno schermo gigante, resta proprio il vuoto lasciato da uno degli ultimi interpreti della tradizione del cinema d’azione hongkonghese.
Segnato, voglio vederlo
RispondiEliminaAspetto il tuo parere ;-) Cheers
EliminaOk, mi hai convinto.
RispondiEliminaPenso che ti piacerà ;-) Cheers
EliminaQuesto lo vedrò di sicuro,grazie.
RispondiEliminaChissà se la situazione ad HK farà morire anche la sua industria cinematografica come la democrazia?
Purtroppo penso che i soldi arriveranno anche di più ma la qualità andrà a morire con gli ultimi maestri.
Temo che finirà fagocitata dal cinema Cinese, che ha tutti i capitali del mondo (il film più visto del 2021 arriva proprio dalla Cina) ma come abbiamo visto è un cinema di propaganda, spesso spudorata. Cheers
EliminaCose che esplodono. Venduto!
RispondiEliminaMerita, merita un sacco ;-) Cheers
EliminaPrima di leggerti vorrei gustarmi il nuovo Donnie, quindi ripasserò ;-)
RispondiEliminaVai tranquillo il post non scappa, sono curioso di sapere cosa ne pensi ;-) Cheers
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