martedì 7 dicembre 2021

Reazione a catena (1971): così imparano a fare i cattivi

Ci sono film che fanno la storia del cinema, ci sono film che tracciano per primi il solco che tutti gli altri seguiranno e poi c'è Mario Bava, che giocava in una categoria tutta sua. Oggi festeggiamo i primi cinquant’anni di uno dei suoi film migliori di sempre.

A differenza della maggior parte dei film girati da Bava, che per un motivo o per l’altro sono sempre andati incontro a difficoltà in fase di produzione, “Reazione a catena” è stato girato in condizioni quasi ideali, il produttore Giuseppe Zaccariello concesse quasi carta bianca a Marione che poté scrivere il film insieme a Franco Barberi e Dardano Sacchetti, prima che per un motivo o per l’altro si ritirarono entrambi, lasciando Bava solo insieme a Roberto Leoni a completare il copione, che si intitolava… Già, come si intitolava?

Nelle numerose intervista rilasciate da Lamberto Bava, il figlio che sul set ricoprì il ruolo di aiuto regista - prima di diventarlo a sua volta - e qui girò anche la sequenza della morte di Simone (Claudio Volontè), ha più volte dichiarato che anche ad anni di distanza, per fare una domanda a papà Mario, non bisognava chiedergli di “Reazione a catena”, perché Marione si ricordava di questo film più che altro con il titolo di produzione ovvero “Così imparano a fare i cattivi” (storia vera), che dei tanti titoli appioppati a questo film è uno dei più rappresentativi, ma su questo ci torniamo più avanti.

Mi raccomando, occhi aperti perché oggi il compleanno è illustre.

Resta il fatto che Mario Bava, modesto e autoironico al limite del masochistico, non si è mai detto veramente soddisfatto di nessuno dei suoi film se non di "Baia di sangue" "Ecologia del delitto" "Così imparano a fare i cattivi" "Reazione a catena" (storia vera), forse nella sua carriera il regista nato a Sanremo non aveva davvero capito la portata storica del suo cinema, poi francamente trovo assurdo che a cinquant'anni di distanza dall'uscita di una pietra miliare come questa, gli unici riconoscimenti al cinema di Bava arrivino non da uno strambo Paese a forma di scarpa ma dall'estero.

Tim Burton sono trent’anni che va in giro a dichiarare il suo amore per il cinema di Marione, quando Guillermo del Toro fa un horror gotico lo fa con Bava nella testa, se James Wan ed Edgar Wright strizzano l’occhio al Giallo all’italiana, lo fanno con l’uso dei colori tipico di Mario Bava, ma l’elenco degli estimatori stranieri sarebbe ancora più lungo. Va bene che nessuno è profeta in patria, ma se Sergio Leone è (giustamente) un orgoglio italico non capisco perché Mario Bava debba ancora essere meno famoso del suo allievo Dario Argento, cioè lo capisco, un autore legato al cinema horror deve essere per forza serie B (se non proprio Z), però non lo accetto, a questo proprio non mi rassegno.

Potrei scrivere delle grandi verità, ma poi tanto tutti guarderanno solo le cosce.

Anche perché parliamoci chiaro, è universalmente riconosciuto il fatto che Mario Bava sia l’autore (perché di questo si tratta) che ha diretto il film capostipite del Giallo all'italiana ovvero “La ragazza che sapeva troppo” (1963), per poi tornare sull'argomento codificando per sempre le regole del genere con “Sei donne per l'assassino” (1964), fino a qui siamo tutti d’accordo no? Penso che sia ormai assodato e oltre ogni ragionevole dubbio, quindi non si offenderà nessuno se aggiungo che praticamente da solo, Mario Bava ha definito anche i canoni del gotico all'italiana con La maschera del demonio. Questo ci porta al 1970, un periodo in cui Bava – come detto oltre modo modesto – pensava che il suo cinema fosse superato, quindi desiderava dirigere un titolo molto più estremo. Il risultato fu appunto “Reazione a catena” quindi in estrema sintesi potremmo dire che tra i generi inventati da Bava, bisogna annoverare anche lo Slasher.

Ma proprio questo sarebbe una sintesi estrema e anche un po’ facilona, perché lo Slasher, che è un po’ il cugino strambo del Giallo all'italiana, ha avuto diverse influenze, sarebbe impossibile non tenere conto di Psycho nell'evoluzione del genere più grondante sangue di tutti, eppure con “Reazione a catena” Mario Bava da solo, senza il sostegno dell’industria cinematografica italiana ha anticipato e codificato dal punto di vista estetico, molte delle trovate da cui altri avrebbero pescato a piene mani.

Mi sto sforzando di non fare battutacce tipo doppia penetrazione.

Sempre per amore di sintesi, sarebbe comodo dire che i due amanti infiocinati tipo spiedino nel loro letto, sia una delle scene più iconiche di questo film, copiata di sana pianta da Sean S. Cunningham e Steve Miner in Venerdì 13 - Parte 2 - L'assassino ti siede accanto, ma sarebbe troppo frettoloso risolvere tutto in maniera così sbrigativa, perché con “Reazione a catena” Mario Bava ha fatto un lavoro ben più profondo e per certi versi irripetibile, creando un vero archetipo cinematografico che in tanti hanno imitato ma nessuno ha mai saputo replicare per davvero, non negli ultimi cinquant'anni per lo meno. Classido? Potete scommetterci!

Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne determinano tutto l’andamento e infatti Mario Bava inizia “Reazione a catena” prendendo le mosse del classico Giallo all'italiana, l’impiccagione violenta della vecchia contessa è quando di più in linea con i classici del Giallo ci possa essere, la trama parte da una presunta faccenda di soldi, l’eredità per la proprietà della baia (di sangue, stando ad alcuni dei titoli per i mercati stranieri del film) in cui si svolte tutta la storia portata in scena da Mario Bava.

Sadico omicidio iniziale, siamo ancora in piena zona Giallo all'italiana.

Con una certa dose di distacco, da non confondere con mero cinismo, ma più che altro con una disillusa rappresentazione del presente, Mario Bava come un entomologo - non è un caso se nel film il personaggio di Paolo Fossati interpretato da Leopoldo Trieste faccia proprio questo di mestiere - mette sotto il vetrino del suo microscopio (la macchina da presa), un gruppo di persone, tutte insieme in un unico spazio chiuso, a suo modo anche questo un tratto distintivo che diventerà canonico per il genere Slasher. Facile riconoscere la somiglianza tra la baia e Crystal Lake, specialmente quando entrano in scena dei giovanotti in preda agli ormoni e al “fascino della tedesca”, che sembrano il prototipo di quelli che Jason falcerà per tutta la sua carriera.

Chi osserva l'osservatore? L'occhio di Mario Bava.

Eppure Mario Bava non si limita a semplice macelleria, la porta ad un altro livello. Nel Giallo il più delle volte gli omicidi sono basati sul dolore provato dalle vittime, un lento mostrare l’atto dell’omicidio che denota una certa dose di sadismo da parte dell’omicida che è quasi sempre un assassino a sangue caldo, mosso da qualche movente passionale o interesse personale. Inoltre il genere Giallo non può essere tale senza la parte investigativa, che siano poliziotti o detective improvvisati, il mistero e la sua soluzione rappresenta la pietra d’angolo su cui si posa tutto il Giallo all’italiana, in “Reazione a catena” tutto questo viene spazzato via da Mario Bava, che se no fosse chiaro, qui prigionieri non ne prende, perché punta dritto alla giugulare... 

... E non è tanto per dire!

Se lo spunto iniziale è una faccenda di soldi, una critica all’avidità umana mai più raggiunta nel genere Slasher, ad un certo punto in “Reazione a catena” non ha più davvero senso tentare di capire chi sia l’assassino, perché il film diventa un massacro, un tutti contro tutti dove non si può parlare di “buoni” contro “cattivi” perché mai più che qui, vale l’antico adagio per cui il più pulito c'ha la rogna. Non ci sono personaggi positivi in “Reazione a catena” ci sono personaggi avidi, gretti, materialisti, pronti a tutto per i loro interessi insomma, ci sono gli esseri umani, nella loro forma più bassa e allo stesso tempo realistica.

Per questo dico che la critica sociale di “Reazione a catena” non è mai stata replicata, ma anche Mario Bava qui non si è lasciato andare ad un facile “mugugno” contro la società, ha proprio saputo utilizzare il cinema di genere (più di genere che mai, visto che si stava esplorando territori del tutto nuovi) per portare in scena la rassegnazione dello schifo che vendeva in giro, e proprio da quella rassegnazione nasce anche il trasposto (o la mancanza di esso) nella rappresentazione egli omicidi.

Chiunque sia l’assassino (o gli assassini) di “Reazione a catena”, non sono certo killer a sangue caldo, ma animali a sangue freddo che uccidono senza coinvolgimento personale alcuno, senza volto e senza emozione accumulano cadaveri uno sull'altro, come poco dopo faranno i Michael e i Jason che nel solco tracciato da Bava, si muoveranno inseguendo babysitter e campeggiatori con passo lungo e deciso.

The shape of things to come (occhiolino-occhiolino)

Mario Bava, sostenuto dagli effetti speciali di Carlo Rambaldi porta in scena una “Baia di sangue” in cui personaggi uno più odioso dell’altro, si uccidono tra di loro con un distacco ben sottolineato dalle musiche (spesso fuori contesto) della bella colonna sonora firmata da Stelvio Cipriani, anche questa una trovata che ha fatto scuola e proseliti, Tarantino di questa tecnica ne ha fatto una cifra stilistica, ma fosse l’unica trovata che il vecchio Quentin ha pescato dal cinema di Bava!

Il titolo che Mario Bava preferiva (e ricordava) per questa sua pietra miliare era “Così imparano a fare i cattivi” che è un perfetto riassunto del comportamento degli odiosi personaggi che popolano il film. I Francesi invece conoscono questo film come “Baia di sangue” e anche qui, non vedo errori visto che la baia è al centro della storia e il sangue non manca, ma a ben guardare anche “Ecologia di un delitto” sarebbe perfetto, visto che nel suo guardare il comportamento umano come un entomologo farebbe con quello degli insetti, Bava sembra tracciare le regole estetiche di un genere neonato che ha largamente contribuito a creare ovvero lo Slasher. Ma se volete sapere la mia, chiedo scusa a Marine, ma non esiste un titolo più adatto di “Reazione a catena” per questo film.

Violenza chiama violenza e poi, ancora un altro po' di violenza.

Perché quel distaccato e brutale ammazzarsi gli uni con gli altri non solo è una delle più lucide rappresentazioni della nostra società, ma è una dichiarazione d’intenti. Se gli Horror di norma devono finire con una scena ad effetto, in modo da far uscire gli spettatori terrorizzati dalla sala, “Reazione a catena” non è affatto da meno, ma più che per rispettare una tradizione, il finale qui è la ciliegina sulla torta del discorso portato avanti per tutto il film da Marione Bava. Questa lunga catena di omicidi, questo tutti contro tutti grondante sangue, crea una reazione a catena appunto, che ha effetti su tutti, anche sui bambini, una mattanza che allarga il discorso, perché ad un certo punto il film termina con l’arrivo dei titoli di coda, ma la sensazione di quell’effetto domino, la reazione a catena del titolo resta ancora in movimento, come il sassolino che rotola giù da una montagna generando la valanga, che poi è quello che è successo, visto che dopo “Reazione a catena” non solo il genere Horror non è più stato lo stesso, ma se un film dell’orrore deve restarti incollato addosso anche oltre i titoli di coda per spaventarti davvero, signor Mario Bava, missione compiuta!

Non potevo proprio concludere il 2021 senza fare gli auguri ad uno dei più grandi horror di sempre, diretto da un genio che dovrebbe essere considerato tale, perché da cinquant'anni tanti hanno provato ad imitare il cinema di Mario Bava, ma nessuno è riuscito per davvero a replicare il cinico esperimento socioculturale noto con tanti titoli, il più famoso “Reazione a catena”, un film che davvero ci ricorda: così imparano a fare i cattivi.

14 commenti:

  1. Ma soprattutto sto film ha il merito di avere lanciato Nicoletta elmi e Renato cestino che anni dopo lavoreranno nel capolavoro i ragazzi della terza c!!!!

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    1. Vero, a volte penso che Nicoletta Elmi in quel telefilm fosse una sorta di Mercoledì Addams italiana, infatti non a caso era il mio personaggio preferito (storia vera). Cheers

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  2. Pietra miliare.
    Che oltretutto arriva in un momento particolare, per il nostro.
    Rassegnato a lavorare per ragioni, come dire...alimentari?
    Giusto per racimolare quanto basta per de' e la sua troupe di fedelissimi.
    Impegno e passione sempre quelli. Ma forse senza particolare entusiasmo.
    Ma questo e' forse l'unico su cui il nostro non dico che si e' dichiarato soddisfatto (sarebbe troppo), ma che non ha avuto nulla da ridire.
    Probabilmente perche' si e' ritrovato a gestire il lavoro in totale liberta'.
    Perche' tra registi che quando si occupava di effetti speciali (e spesso girava pure al posto loro!) non mettevano nemmeno il suo nome tra i crediti, produttori che lesinavano ad ogni occasione sul budget perche' il passaparola in vigore tra loro era che Bava era abituato a lavorare con poco e distributori che manco lo invitavano alle prime ci si erano messe pure ingerenze di ogni tipo.
    Come gli addetti alle location che non volevano che sporcasse troppo col sangue (come in Spagna, mi pare. In occasione de "Il rosso segno della follia").
    A costo di essere noioso, Ribadisco che erano QUESTI, i film per cui il cinema italiano era rinomato fuori dai confini.
    Fatti e pensati per un pubblico internazionale. Senza contare che erano i loro introiti a finanziare le produzioni di fascia definita "piu' alta" che mandavano tanto in visibilio la critica.
    E invece niente. Giusto da morti, li si ricorda. Che la riesumazione postuma e' un'autentica presa per i fondelli.
    Fan comodo, i morti. Almeno non avanzano pretese.

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    1. Qui Bava anticipa di una buona decina d'anni il body - count è gli slasher, soprattutto quelli in versione da campeggio.
      Fauna eterogenea (e il termine e' appropriato, visto che qui piu' che esseri umani parliamo di vere e proprie BESTIE a due zampe. Con tutto il rispetto per gli animali) immersa in uno scenario bucolico ed ameno che si trasforma ben presto in un cimitero a cielo aperto, a suon di omicidi brutali.
      Tant'e' vero che un certo regista col vizio di copiare ha saccheggiato a mani basse, per il suo personaggio piu' famoso. Che a sua volta e' esso stesso una volgarizzazione di una figura horror ben nota.
      Ma questa e' la Superficie. E' ad una seconda e piu' profonda lettura, che emergono le cose davvero interessanti.
      In sostanza e' un apologo spietato e cinico sulla crudelta' e sull'avidita' umana.
      L'inizio e' ingannatore.
      Si e' portati a pensare a qualcosa di soprannaturale, perche' dove c'e' una tragedia o un fatto di sangue si crea una mano o un fantasma vendicativo che presto o tardi arrivera' a riscuotere il suo tributo.
      Ma qui l'unica aggravante e' lo scopo di lucro.
      Del resto, e' il vile denaro che fa compiere all'uomo le piu' turpi nefandezze. Da sempre.
      Non vanno temuti mostri o spettri, ma le carogne in carne ed ossa.
      Ma c'e' dell'altro.
      Non c'e' la contrapposizione tra il carnefice e le (numerose) vittime tipiche del thriller o del giallo.
      Non abbiamo uno psicopatico che si accanisce con sadismo e ferocia per mettere in atto il suo psicodramma personale, in modo da ottenere uno sfogo catartico nei confronti del trauma che ha generato i suoi impulsi violenti e omicidi.
      Qui, sostanzialmente, chi uccide e chi viene ucciso sono sulla stessa barca.
      Tutti braccato, disperati e col fiato sul collo.
      Da qui la necessita' di ricorrere ad esecuzioni brutali ma persino rapide, nella loro efferatezza.
      Se mi concedi il termine...stanno tutti nella merda fino al collo. E quindi ci si ammazza in modo efficace quanto sbrigativo, usando quasi quel capita a tiro e sottomano.
      Veloci, che non c'e' tempo da perdere.
      Eppure, come ogni classico che si rispetti, anche qui c'e' una morale ferrea. Che si rivela con un finale quasi paradossale.
      Quel che hai fatto ti verra' reso, prima o poi. E con gli interessi. E quando meno te l'aspetti.
      Strano, il titolo che aveva scelto Bava. Ma rende alla perfezione l'idea.
      E' quel che direbbe un bambino col suo candore e l'innocenza tipiche di quell'eta', vedendo un gruppo di adulti che si sono comportati da autentici stronzi (scusate).
      Capolavoro. E stupenda recensione, Cass.
      Complimenti.
      Tra l'altro ho visto che c'e' su Amazzonia Primo, e dovrei decisamente rivederlo, visto che e' un bel pezzo.

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    2. Era normale per i registi italiani lavorare tanto, cambiando spesso generi, Bava qui ha avuto quasi carta bianca, pensa se uno così avesse accettato di lavorare in America, chissà cosa sarebbe venuto fuori. Cheers

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    3. Si, direi che hai riassunto quello che ho scritto nel post e ti ringrazio, se vuoi trovi anche "Shock" su Prime ;-) Cheers

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  3. Grandissimo anniversario!!!
    Gli esperti di cinema degli anni Ottanta lo sapevano benissimo, citavano questo film perché non potevano non farlo, parlavano di "ispirazione" ma era chiaro che il genere splatter, che per convenzione si fa nascere nel 1980, sia solo la versione americana dello stile inventato da questo film dieci anni prima. E Jason non si è "ispirato", come scrivevano le riviste dell'epoca, ha fotocopiato scena per scena! :-D
    Di Bava purtroppo le TV trasmettono poco e niente, quindi non avevo mai sentito parlare di questo film, che ho scoperto proprio perché citato dai recensori di "Venerdì 13". Me lo sono visto al volo che mi è cascata la mandibola quasi me l'avesse staccata Jason con una machetata: Mario Bava aveva già detto tutto quello che negli anni Ottanta sembrava roba nuova!!! E il bello è che gli americani lo sapevano, anche se fingevano di non ricordarlo, ma quanti italiani conoscono questo film?
    Un'occhiata veloce all'archivio del "Radiocorriere TV" parla chiaro: dal 1971 in cui è uscito fino al 1995 è stato trasmesso UNA VOLTA SOLA, di notte su Teleuniverso! Malgrado a chiacchiere sia pieno di amanti di Bava, temo che poi, stringi stringi, l'effetto che ha avuto sui suoi connazionali sia pari a zero, visto che i suoi film hanno conosciuto una distribuzione a dir poco discutibile.

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    1. L'italico silenzio su Mario Bava va di pari passo con la capacità di salire sul carro del vincitore di questo strambo Paese a forma di scarpa, specialmente quando spunta un regista americano famoso che dichiara il suo amore per Bava. Eppure Marione nostro aveva già portato in scena una formula che sarebbe diventata canonica successivamente, un vero pioniere, il fatto che Bava non sia considerato tra i giganti purtroppo è legato alla puzza sotto il naso di chi ancora considera l'horror distante chilometri dal cinema "vero", il che è assurdo, se Leone che faceva spaghetti Western è giustamente considerato un Titano, Bava meriterebbe lo stesso trattamento. Cheers!

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  4. Beh, Bava andrebbe considerato un genio anche per la sua creatività con gli effetti speciali (meglio se economici, con solo l'uso della luce riusciva a decomporre il volto di Barbara Steele).
    Uno dei pochi italiani coraggiosi a puntare sulla fantascienza. Vedere Terrore nello spazio (al di là della presunta ispirazione per Alien) è come leggere un Urania del periodo.

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    1. Bava era geniale in molti aspetti del suo lavoro, ci ha dato tanti motivi per stimarlo ;-) Cheers

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  5. Sempre un piacere leggerti
    Non ho ancora visto il film anche se ne ho sentito parlare in mille modi diversi e sempre pieni di lodi^^
    Non sapevo che Tim Burton fosse ispirato da Bava invece!

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    1. Burton è un Baiano convinto, per il resto ti ringrazio molto, so che amerai anche tu questo film ;-) Cheers

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    2. Tanto (giustamente) Baviano convinto da rimanerci di merda quando, ad una conferenza stampa ormai consegnata alla storia per l'insipienza dei giornalisti presenti, dopo aver sottolineato l'influenza del grande Mario Bava nel suo lavoro di regista dovette prendere atto di come nessuno di quegli idioti avesse mai sentito parlare di lui... Ecco, mi piace pensare che, in quel momento, a Tim passasse per la testa di adattare la trama di "Reazione a catena" prendendo spunto da quella spiacevole e imbarazzante circostanza: un gruppo di giornalisti ottusi, arrivisti, arroganti e superficiali con la volgare sfacciataggine di ambire all'essere pubblicati dalle più importanti riviste di cinema, disposti a tutto (anche uccidersi fra loro) pur di raggiungere fama e onori immeritati... personaggi principali del vendicativo slasher Burtoniano di denuncia che tutti avremmo voluto vedere, "Ignoranza a catena" (sono discretamente convinto che una cosa del genere a Bava sarebbe piaciuta non poco, come del resto la tua recensione) ;-)

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    3. L'altro giorno, sotto casa di Lina Wertmüller una giornalista Rai leggeva dal telefono le informazioni prese dalla pagina Wikipedia cercando di non farsi sgamare mentre leggeva con l'aria di chi copiava dal vicino di banco a scuola (storia vera), la ricordo anche io quell'intervista, pensate che queste persone ricevono anche uno stipendio, un minimo di "Reazione a catena" te lo fa salire ;-) Cheers

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