Lo sapete che non posso stare a lungo senza una rubrica monografica dedicate ad un regista, anche perché i prediletti di questa bara sono quegli autori (magari anche controversi) in grado di scuotere le coscienze e i gusti del pubblico.
Ci ho pensato un po’ su e dopo l’omaggio a Stuart Gordon ho
deciso di restare dalle parti di Chicago, quasi un ritorno alle origini perché
finalmente dopo il Maestro John Carpenter, ho la possibilità di scrivere di un
altro regista impallinato di pallacanestro (olè!), spero di far cosa gradita a
Bariste e Bariste dando il via oggi al primo capitolo di una rubrica dedicata a
William Friedkin che ho deciso di intitolare… Hurricane Billy!
Pochi registi hanno saputo nella stessa carriera mandare a segno classici della storia del cinema, titoli talmente monumentali da diventare metro di paragone ancora oggi, eppure allo stesso tempo sbagliare così tanto, non è un caso che nella sua autobiografia (“Il buio e la luce - la mia vita e i miei film” edita qui da noi da Bompiani), il nostro Hurricane Billy abbia deciso di cominciare con l’elenco di una serie di occasioni mancate, come il rifiuto di dirigere un video per Prince tratto dal suo “Purple Rain”, oppure aver rifiutato una quota di maggioranza nella dirigenza dei Boston Celtics, la squadra per cui Billy Fridkin ha sempre tifato, fin da ragazzino quando rimase folgorato dai fantascientifici passaggi (dietro alla schiena) di Bob Cousy.
Freidkin, nato e cresciuto a Chicago, è figlio di immigrati ucraini di origini ebraiche, suo padre, un giocatore (quasi) professionista di softball gli passò l’amore per lo sport e il cognome, prima che il figliolo rimase solo con mammà, venerata e costantemente tenuta in palmo di mano dal nostro Billy che non ha mai esitato a definirla una santa, anche perché papà morì molto presto abbandonato su una barella in una corsia d'ospedale, alimentando un senso di colpa con cui il futuro regista, avrebbe fatto i conti in futuro, in qualcuno dei suoi film (almeno uno molto famoso in particolare). William Friedkin cresce tra le strade di Chicago con il sogno di entrare nelle giovanili di pallacanestro, probabilmente l’essere stato scartato dalla squadra è stata solo la prima di parecchie delusioni disseminate lungo la sua vita e la sua carriera, ma malgrado tutto Billy non ha mollato davvero mai, oggi useremmo una parola tanto in voga come “resilienza” per descriverlo, ma mi sembra più sensato parlare di fame, un vero desiderio che aveva solo bisogno di essere incanalato da qualche parte e poi si sa, tutti quelli che non sono stati salvati dalla pallacanestro, di solito li ha salvati il cinema.
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Here comes the story of the Hurricane (Billy) / The man the authorities came to blame (quasi-cit.) |
Ancora bambino un giorno, mamma Friedkin decise di portare il piccolo Billy al Pantheon Theater lungo la Sheridan Road di Chicago, il film in programma era “None but a lonely hear” (1944) con Cary Grant, le luci si spengono, la sala è piena, parte la musica, lo schermo esplode in una luce abbagliante e William Friedkin fa l’unica cosa sensata: si arrampica lungo il braccio della madre terrorizzato, per poi trascinarla fuori nel panico, solo nelle quattro miglia (a piedi) verso casa Billy ha ritrovato la calma. Qualcuno potrebbe dire che quella sensazione di terrore e angoscia, anni dopo Friedkin la fece provare ai suoi spettatori con tanti dei suoi film, ma l’esordio tra il nostro Billy e la forma d’arte che lo avrebbe reso celebre è stato piuttosto in salita.
Qualche anno dopo, in cerca di un lavoretto per portare a casa
due spicci (tenendosi lontano dai guai) Friedkin risponde ad un annuncio,
“Opportunità di carriera in televisione”, anche se bisognerebbe iniziare come
fattorino nell’ufficio corrispondenza, con l’entusiasmo che gli sarebbe valso
negli anni il soprannome di “Hurricane Billy”, il nostro si getta nell'impresa,
raggiunge il Wrigley Field, campo dei Chicaco Cubs, ma sbaglia civico, invece
che al 441 bussa al 448, cercava la WBBM-TV, ma la concorrenza della WGN
apprezza lo sforzo e lo assume lo stesso. Ed io che mi preoccupavo di essere
arrivato in ritardo di dieci minuti al mio primo colloquio di lavoro!
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Nemmeno le basse temperature fermano un temerario della regia come Friedkin. |
Friedkin fa la gavetta e di riffa o di raffa alla fine alla diventa uno dei registi per la WGN-TV, dove si fa con un mucchio di regie televisive, avete presente quando nei film si vede il regista televisivo davanti a molti monitor scegliere la macchina da presa migliore per offrire al pubblico l’inquadratura più accattivante? William Friedkin impara così, a ragionare velocissimamente e già in termini di composizione dell’immagine, pochi secondi per azzeccare l’inquadratura migliore, la primissima palestra del suo stile, estremamente realistico, ma anche tecnico. Ma la svolta vera arriverà poco dopo, imbeccato da un collega Friedkin getta via un sabato pomeriggio al cinema per vedere una replica di un vecchio film del 1941 a detta di molti piuttosto meritevole, il titolo in questione era “Quarto Potere” di Orson Welles, fu proprio quel pomeriggio che Friedkin decise che da grande avrebbe fatto il regista (storia vera).
Dicono le la fortuna aiuti gli audaci, oppure quelli che
fanno di tutto per essere nel posto giusto al momento giusto, come finire
(forse imbucato) ad un’elegante festa nel North Side di Chicago, organizzata
dalla WGN-TV e animata da avvocati, pezzi grossi, insomma la crema della città.
Qui Friedkin attacca bottone con un prete, anzi per la precisione il cappellano
protestante della parrocchia della Cook Country Jail. Padre Robert Serfling
raccontò a Friedkin di uno degli “ospiti” del braccio della morte, un posto
dove tutti dicono di essere innocenti, ma Paul Crump, 32 anni di colore,
arrestato in circostanze più che sospette, potrebbe esserlo davvero, in quella
festa il nostro Billy ha conosciuto personalità di spicco come il comico Lenny
Bruce (quello che non aveva paura nel testo di una canzone celebre dei R.E.M.), ma è l’incontro con padre Robert
Serfling prima e con Paul Crump poi che gli ha cambiato la vita.
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Una fotografia di Paul Crump nel braccio della morte. |
Le speranze per Paul Crump sono poche, che sia innocente o colpevole per davvero, era già stato giudicato tale dalla Corte Suprema, quindi l’idea balzana di Friedkin di dirigere un documentario su di lui non avrebbe mai davvero potuto modificare il giudizio. Ma i due in carcere si parlano, l’aspirante regista crede alla versione di Crump e nel frattempo, ascolta anche il suo compagno di cella Vincent Ciucci, Italo-Americano finito dentro, a sua detta ingiustamente, quando moglie e figli sono morti nell’incendio di casa sua, peccato che l’autopsia sul corpo dei familiari confermava la morte: colpi di pistola antecedenti all’incendio e i trascorsi da truffatore di Ciucci gli avevano aperto le porte della cella, alla cui parete erano appese solo le foto di moglie e figli. Il tipo di contraddizione che per certi versi, Friedkin sarebbe finito a raccontare nei chiari e scuri di tutti i film della sua carriera.
Friedkin trova il modo di farsi finanziare seimila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, siccome in carriera il nostro Bill, avrà fortuna anche collaborando grazie a suoi omonimi, come cineoperatore sceglie uno dei più talentuosi della WGN-TV, Wilmer C. "Bill" Butler, uno che in carriera è finito a curare la fotografia di film come Lo Squalo, Capricorn One e parecchi Rocky, questo solo per citare qualche titolo, anche se tutto questo è iniziato con il sogno matto dell’altro Bill, Friedkin, che intanto lo ha tirato dentro questa idea folle (storia vera).
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Portiamo avanti la tradizione delle rubriche monografiche della Bara: i titoli di testa. |
“The People vs. Paul Crump” buca il budget stabilito per un piccolissimo problema, i due Bill entrambi talentuosi, ma senza la minima esperienza, fanno ogni genere di errore possibile, come ad esempio applicare alla pellicola originale la loro idea di montaggio, letteralmente tagliando e incollando insieme la pellicola originale, senza la minima idea su che cosa fosse una “Copia lavoro”, perdendo così anche i punti segnati sulla pellicola necessari a sincronizzare l’audio, ritrovandosi così a doverlo fare a mano, cercando di leggere il labiale delle persone inquadrate (storia vera).
Il documentario racconta l’arresto di Paul Crump con uno
stile che non esiterei a definire aggressivo nel suo realismo, le ricostruzioni
delle scene descritte, invece (come l’arresto di Crump o il suo interrogatorio),
sono già un assaggio dello stile futuro di Friedkin, quel realismo ottenuto
grazie ad una tecnica affinata negli anni che, però, sembra risultare naturale,
quasi come se fossero immagini vere rubate e messe su pellicola.
L’enfasi nel raccontare, quel bisogno di dirigere quasi
fisico di Friedkin, ormai completamente calato nel progetto, con quel tipo di
energia e testardaggine che avremmo poi ritrovato in tanti dei suoi film (e con
cui faremo i conti nel corso di questa rubrica), venne alimentata anche
dall'esecuzione di Vincent Ciucci, a cui venne concesso a Friedkin di
assistere. Se mai il regista di Chicago avesse avuto bisogno di una lezione su
quanto l’ideale cinematografico (tutto scintille e urla) di una morte sulla
sedia elettrica, potesse differire dalla realtà, il nostro Hurricane Billy lo
ricevette quella sera, non solo assistere di persona ad un evento tanto
drammatico ha motivato il regista dandogli “materiale da romanzo” come lo
avrebbe definito monsieur Honoré de Balzac, ma era anche una spinta a dare il
massimo con il suo documentario.
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La luce del sole vista a strisce verticali. |
Forse anche per questo, per ottenere il massimo da Paul Crump, durante la sua testimonianza su come la polizia gli abbia estorto una piena confessione a forza di botte, William Friedkin era pronto a tutto. Durante i loro dialoghi in prigione, Crump aveva raccontato gli eventi con trasporto e con le lacrime agli occhi, ma intimorito dalla macchina da presa il massimo che riusciva a spremersi era il nudo e freddo resoconto del suo punto di vista. Ecco perché Friedkin decise di ricorrere a metodi da regista poco ortodossi, gli stessi di cui aveva letto abusava Henri-Georges Clouzot con i suoi attori.
«Paul mi vuoi bene?», «Beh, sì, lo sai che ti voglio bene»,
«Paul ti fidi di me?», «Ho messo la mia vita nelle tue mani, certo che mi
fido», «Mi vuoi bene e ti fidi di me?», «Sì!». Ceffone a mano aperta di
Friedkin sul volto di Paul Crump. «E ora racconta la tua storia!». Brutale, ma
efficace, perché la sorpresa consentì a Crump di rivivere le percosse subite,
trovando il modo di raccontare alla più vasta platea del mondo la sua versione
dei fatti, solo un’altra volta un pentito, ma consapevole Friedkin tornò ad
utilizzare un trucco del genere per cui oggi qualunque regista verrebbe
condotto alla cinta daziaria di Hollywood, lo ha fatto per il suo primo film da
regista e per il suo titolo più famoso, avremo modo di parlarne diffusamente,
ma il succo è questo: se le regie televisive erano state la palestra di William
Friedkin, le contraddizioni di questo documentario girato per passione,
desiderio e voglia di fare del bene, anche piuttosto naif, sono state il fuoco
che ha continuato ad alimentare tutto il cinema di Hurricane Billy.
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Gli effetti degli schiaffoni del vecchio Billy. |
Il suo scavare nei chiaro scuri anche dell’animo umano è iniziato proprio con “The People vs. Paul Crump”, Friedkin aveva creduto alla bugia di un carcerato? Probabilmente. E chissà se avrebbe mai deciso di impegnarsi in questa impresa se Crump si fosse dichiarato colpevole fin da subito, il regista di Chicago aveva scelto di credere alla versione di Paul convinto che non lui non era stato il primo (e purtroppo nemmeno l’ultimo) uomo di colore arrestato e malmenato dalla polizia della città, forse questa era solo la sua versione, sta di fatto che Billy iniziò la sua carriera e Crump ottenne la libertà dopo l’ennesimo appello, quindi quella versione dei fatti, reale o immaginaria che fosse, ha finito per diventare la più conosciuta. Ma d’altra parte anche il cinema è finzione, no? Infatti, da quella storia Friedkin ha tirato fuori un racconto fatto di contraddizioni su un uomo colpevole, ma trattato così prima di tutto per essere nato nero in America, giudicato da un giudice orgoglioso di aver contribuito a progettare un modello di sedia elettrica, tanto da sfoggiare tutto impettito un modellino in scala della stessa sulla sua scrivania, nemmeno fosse un personaggio di un film della Troma.
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Black Lives Matter quando ancora non era un acronimo famoso. |
“The People vs. Paul Crump” ottenne un discreto successo a livello di ascolti quando venne passato sui canali della ABC, dalle parti di Chicago riaccese qualche polemica e William Friedkin venne etichettato come un giovane regista di talento, ma anche come un crociato della giustizia. Il documentario non poteva cambiare il destino di Crump, ma determinò il futuro di Hurricane Billy, a cui vennero affidati un’altra serie di documentari, tutti sulla falsariga del suo esordio, tutti orientati a raccontare le luci e le ombre dei rispettivi soggetti, titoli come “The Bold Men” (1965) dedicato ad alcuni giovani scavezzacollo (vah che parola che vi tiro fuori oggi!) pronti a lanciarsi in volo senza paracadute, oppure “Mayhem on a Sunday afternoon” (1965) sui gladiatori del Football professionistico americano per finire con “The thin blue line” (1966), primo incontra tra Billy Friedkin e il mondo delle forze dell’ordine che in linea di massima sarebbe diventato un tema caldo per il regista di Chicago, ma anche per questo, avremo tempo modo e maniera di parlarne nel corso della rubrica.
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Ogni maledetta domenica nella versione di Friedkin. |
Nel corso del 1962, dopo essersi messo sulla mappa geografica proprio grazie a “The People vs. Paul Crump”, William Friedkin finì per incontrare l’uomo che per anni sarebbe stato il suo agente, Tony Fantozzi della William Morris Agency di Chicago aveva un cognome che è tutto un programma e il piglio giusto per conquistarsi la fiducia di Hurricane Billy, infatti proprio il nuovo agente gli fece la proposta giusta: sbarcare a Los Angeles, andare a fare il cinema laggiù ad Hollywood forte di un biglietto da visita notevole, quello di “Mr. Documentario”, laggiù le occasioni per uno con il suo talento non sarebbero mancate, l’ultima cosa che Billy disse all'amata madre prima di partire? Una promessa: sarebbe tornato per portarla con lui nella Città degli Angeli quando avrebbe avuto successo (storia vera). La città sarà stata anche quella degli angeli, ma Friedkin avrebbe fatto vedere loro anche i demoni, nel vero senso della parola!
Da ragazzo timorato di Dio ed appassionato di cinema, Friedkin non si è lasciato intimorire da Hollywood, il suo primo lavoro importante lo ha riportato per un po’ sul piccolo schermo, i produttori di “L’ora di Hitchcock” lo scelsero per la regia di un episodio intitolato “Off season”, una puntata che tutti sostenevano si sarebbe potuta dirigere senza fatica in modo anonimo in mezza giornata, lasciando che fosse la sceneggiatura e i dialoghi a portare a casa il risultato. Tutti, tranne il giovane Billy che tenne in ostaggio attori, troupe e staff tecnico perché sapeva che quella storia avrebbe funzionato meglio con un piano sequenza.
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Una scena dell'episodio "Off season" diretto da Friedkin. |
Nel tentativo di dissuaderlo, facendolo ripiegare a più miti
consigli, la produzione scomodò il titolare, Sir Alfred Hitchcock in persona si
presentò sul set, accolto come l’imperatore di Persia. Friedkin sperò in un
consiglio, una buona parola, ma il massimo che portò a casa dal leggendario
regista fu un: «Signor Friedkin vedo che a differenza dei nostri registi lei non
indossa la cravatta» (storia vera) per poi veder sfilar via zio Hitch, che io
immagino uscire di scena sulle note di “Alfred Hitchcock presenta”, ben poco impressionato dalla risposta di Billy: «Devo averla dimenticata a casa», che simpaticone eh?
“Off season” malgrado non aver ottenuto nemmeno un “vaffa” da parte di Hitchcock, ad oggi è ancora considerato uno dei migliori episodi di “L’ora di Hitchcock”, proprio grazie alla regia curatissima di William Friedkin, l’uragano Billy era arrivato ad Hollywood ed era qui per restare, ora ci voleva solo una vera occasione da regista, ma di quella parleremo tra sette giorni, questa rubrica è appena cominciata, non mancate!
Buongiorno Cassidy, che belle queste monografie che raccontano la vita (oltre le opere) di grandi registi. Come ti ho già scritto diverse volte mi piace vedere cosa c'è dietro un grande autore, come si è formato e anche come ha vissuto, lo rende più umano e accessibile, anche quando si tratta di un mito come Friedkin. Oltre ovviamente i suoi grandi classici come L'esorciccio ehm volevo dire L'esorcista e Vivere e morire a Los Angeles, lo ricordo anche per alcuni film "minori" tipo L'affare del secolo, ai tempi in cui ero in fissa per Chevy Chase e Blue Chips - Basta vincere, ora capisco il motivo per cui è uno dei migliori film che ricordi sul basket e anche io ne ho visti parecchi. Seguirò con attenzione questa nuova rubrica.
RispondiEliminaBuon (maledetto) venerdì. Ciao
Buongiorno capo, avrai tutti i film minori che vuoi, arriveranno anche titoli davvero improbabile durante questo viaggetto ;-) Per altro già leggendo la prima parte della vita del giovane Billy, si possono trovare informazioni e traumi che sarebbero tornati in mote delle sue opere, insomma per qualche venerdì avremmo da fare, buona giornata! Cheers
EliminaBellissime le monografie, the sorcerer (il salario della paura), mitico film l'ho recuperato anche grazie alla tua recensione, uno dei suoi grandi film meno chiacchierati.
RispondiEliminaSenmayan
Ne sono felice perché quello è un grande film, un grande remake e anche l’originale è bellissimo. Sono contento di averne già scritto, ma un po’ mi dispiace perché dovrò inventarmi qualcosa per integrarlo nella rubrica, troverò un modo ;-) Cheers
EliminaOh - oh, questo e' quello che intendo quando parlo di iniziare la giornata col piede giusto!
RispondiEliminaNel mio caso finire, visto che sono reduce dal turno di notte.
Ma tant'e'...
Ero curioso, dato che avevi gia' annunciato un'imminente e nuova "retrospettiva d'autore".
Mi chiedevo chi potesse essere.
Beh...per quel che puo' contare, da parte mia approvato all'unanimita'!!
Ammetto che di questo ne ho solo sentito parlare, dato che le mie frequentazioni con Friedkin partono dal mitico "Papà" Doyle.
Ma ben presto arriveranno i pezzi da novanta, e che ben conosco.
E non vedo l'ora.
Intanto, ottimo inizio ed ancor piu' ottimo pezzo. Che mi ha permesso di conoscere un bel po' di interessanti retroscena sugli esordi di un grandissimo.
Certo che e' incredibile.
Il caso su cui ci ha costruito il suo doc-film e' sconvolgente, nella sua attualita'. Soprattutto sui metodi spicci e coercitivi utilizzati dai tutori della legge. Validi allora come adesso.
Proprio vero. Come diceva un tale di nostra conoscenza...piu' le cose cambiano, piu' restano le stesse.
Siamo sicuri che sia cambiato davvero qualcosa, nell'arco di tutti questi decenni?
Per un sacco di gente (leggasi bianchi razzisti) una persona di colore vale l'altra.
Tutti uguali. E a chi interessa cos'ha no da dire a loro discolpa?
Certo, a parte alcune eccezioni la maggior parte dei detenuti ha tutti i buoni motivi per starsene in gattabuia. Anche se i piu' dicono che li ha fregati l'avvocato.
Pero' e' altresi' noto il livello di inadempienza, incompetenza e corruzione che dilagava presso molti distretti delle grandi metropoli.
E anche qui, poco o nulla e' cambiato.
Da come la vedo io, Friedkin e' stato innovatore anche su altro, pur se involontariamente.
Allora immagino che fu come soffiare addosso a un tornado. Una voce solitaria bollata come appartenente a uno che cercava facile polemica a tutti i costi in cambio di notorieta'.
Ma buttarla sulla questione razziale alle volte ha permesso dei ribaltamenti clamorosi di sentenze gia' scritte. Vedi il caso O. J. Simpson.
E' lampante che sono colpevole. Ma se il mio avvocato convince tutti che la polizia voleva incastrarmi ad ogni costo perche' sono tutti bianchi razzisti invidiosi dei miei soldi...magari riesco pure a sfangarla.
Alla prossima puntata!
Alla fine ho deciso di continuare ad utilizzare l’espressione “il regista di Chicago”, passando da Gordon a Friedkin ;-) Ben felice che la scelta sia di tuo gradimento. Cheers!
EliminaNon vedo l'ora di leggere il pezzo su "Cruising" con annesso creepy-aneddoto che lo lega all'esorcista :P
RispondiEliminaLi so tutti e sono caldo come una stufa, avrai aneddoti e storie di produzione da qui fino alla fine della rubrica ;-) Cheers
EliminaFriedkin è un regista con i controcoyotes, seguirò questa rassegna ^_^
RispondiEliminaEcco perché lo volevo su questa Bara, ci sarà da divertirsi ;-) Cheers
Elimina(^_^) hic optime mane e giosamente attendo i prossimi articoli/post/sermoni/profezie/profenonne
RispondiEliminaEhehe ben felice che la scelta sia di tuo gradimento, ci sarà da sbizzarrirsi ;-) Cheers
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