mercoledì 21 luglio 2021

Fear Street - Parte 1, 2 & 3 (2021): piccoli brividi crescono

1996, Wes Craven e Kevin Williamson portano nuova linfa al genere Slasher, con parti uguali di voglia di parodia e di sincero omaggio al genere, creano Scream, l’horror nato per essere quello dedicato a chi guardava troppi horror, finito per diventare il culto di quelli che hanno imparato le “regole” del genere da questo film. Una pietra miliare, ne abbiamo parlato diffusamente perché la sua importanza resta capitale.

Da allora, il modello “Scream” è stato ripetuto all’infinito, dalla serie tv omonima fino a mille altri imitazioni, ma nessuno è davvero riuscito a replicare quel tono che oggi chiameremmo post-moderno del film di zio Wessy, quelli che ci sono andati più vicini sono state alcune commedie horror come Auguri per la tua morte oppure Freaky, titoli con abbondanti dosi di sangue ma senza ombra di dubbio commedie.

Un po' di libri-falsi per il maestro libraio.

Da un passato antecedente anche a "Scream", riemergono i romanzi di R. L. Stine, più noto per la sua collana Piccoli Brividi che con la serie “Fear Street” si rivolgeva ad un pubblico un pochino più maturo di lettori rispetto a “Goosebumps”. Proprio ora che Stine è stato scoperto dal cinema (con enorme ritardo rispetto a Stephen King, giusto per fare un nome grosso che tornerà più avanti, promesso), Netflix si gioca la carta “Fear Street”. Tre film, usciti a distanza di una settimana uno dall’altro, ambientati in tre annate differenti e tutti diretti da Leigh Janiak, rediviva regista di quel gioiellino di Honeymoon che ho consigliato anche ai termosifoni di casa, quindi sono ben felice che ora sia tornata, non solo cavalcando la visibilità offerta da una piattaforma come Netflix, ma soprattutto con questa serie di film, il primo in particolare dovreste davvero vederlo. Almeno per far tirare un sospiro di sollievo ai termosifoni di casa mia.

Fear Street - Parte 1: 1994 (2021)

“Fear Street - Parte 1: 1994” inizia dalla fine, visto che dei tre film della trilogia è quello ambientato in una data più vicina a noi, anche se devo dirvelo: lo so, siamo in tanti a pensare che gli anni ’90 fossero mercoledì scorso, ma Padre Tempo ha fatto il suo dovere e noi nati negli ’80 e cresciuti nei ’90, ora siamo datati, retrò, oggetti di operazioni post-moderne come questo film, che per lo meno è citazionista certo, ma con una certa cura e un manifesto amore per gli horror di quel decennio, infatti l’ottimo prologo nel centro commerciale, con assassino mascherato da teschio, resta un grandissimo omaggio allo Scream di Wes Craven.

Non pensare di essere il più lugubre, non su un blog che si chiama la Bara Volante.

Ma fosse solo quello, “Fear Street - Parte 1: 1994” ha il compito di introdurre anche la cornice della trilogia, la “storia di due città” (passatemi la citazione alta), da una parte la proletaria e decadente Shadyside, dove ogni tanto qualcuno dà di matto e ammazza qualcun altro malamente. Insomma come Torino in qualunque giorno della settimana, solo che a Shadyside, Ohio, hanno la scusa di Sarah Feir, una strega uccisa un secolo prima che da allora ha lanciato il suo anatema sulla cittadina, a Torino avevamo il famigerato boia incaricato di eseguire le pene capitali nell’attuale rondò della forca, vale? Netflix ti ho appena dato un’ottima idea: “Fear Street - Torino: boja faùss”, nel caso poi, ti lascio il numero di conto corrente eh? Anzi, né?

Perfetto contraltare di Shadyside, la fighetta e prospera Sunnyvale che ricorda (volutamente) la cittadina di Buffy, tanto per restare in tema anni ’90. Nessuno rappresenta meglio la divisione delle due città come la protagonista Deena (Kiana Madeira) depressa dopo aver rotto con Sam, che vive sulla sponda ricca dell’Ohio, tanto depressa da voler abbandonare la banda (sua unica attività extra curriculare), oppure passare la giornata ad ascoltare pezzi come “Creep” dei Radiohead o “Only happy when it rains” dei Garbage, perché Netflix ha tutti i soldi del mondo e nessuna paura di usarli, quindi la colonna sonora è incredibile ed esaltarsi per “Fear of the dark” degli Iron Maiden o “Hey” dei Pixies, diventa quasi un dovere, in questo effetto Spotify impazzito.

"Sono troppo giovane per morire o per conoscere i Pixies!"

Vi lascio la sorpresa (che non dovrebbe essere tale, ma Leigh Janiak si gioca bene le sue carte) sul rapporto tra Deena e Sam, che per una volta non sembrano (solo) una scelta dettata dalle regole di casting del 2021, ma risultano personaggi curati, scritti più che decentemente. Se avete capito le regole del gioco, “Fear Street” utilizza personaggi che sono degli archetipi (Scream Queens e Final Girls, ma anche il secchione fanatico di roba di computer, oppure i due “fattoni”) resi ormai obsoleti da “Quella casa nel bosco” (2011), ma riesce a farci affezionare ai personaggi, quel tanto che basta che quando il sangue arriva, non solo risulta copioso, ma anche doloroso perché a morire non sono i soliti adolescente carne da cannone, ma personaggi con cui un minimo, ci siamo affezionati.

L’elemento sovrannaturale rappresentante dalla strega poi, garantisce non solo la differenza principale con Scream, ma anche il gancio principale per il resto della trilogia, che viaggiando a ritroso come i granchi, ci porterà nel passato (sanguinoso) della cittadina.

"Mi dispiace ma nessuna qui si chiama Sidney, forse ha sbagliato numero"

Fear Street - Parte 2: 1978

Si dice sempre che in una trilogia il secondo atto è quello più drammatico, vale anche per “Fear Street” che dopo il bombardamento musicale, tipo spotify lasciato aperto sulla sezione “classici musicali di EMME Tivì anni ‘90” (con l’immancabile colonna sonora ufficiale del genere Slasher, ovvero "Don't Fear The Reaper" dei blue Oyster Cult), nella seconda parte del lungo “film a puntate” di Leigh Janiak, la storia si sposta nel 1978.

Peggio del campo chippewa non potrà mai essere.

I protagonisti incontrano l’unica sopravvissuta del campeggio di Nightwing, quindi di fatto il secondo capitolo diventa un lungo Flashback, come quando Roland e il suo Ka-Tet all’inizio di “La sfera del buio” (1997), si accampano attorno ad un fuoco per aggiornare i (fedeli) lettori di quanto accaduto in precedente. Perdonate la citazione Kinghiana, forse a Ziggy, la rossa protagonista di questa seconda parte, anche lei fanatica di Stephen King sarebbe piaciuta, anche se trovo bizzarro che nei romanzi di R. L. Stine, la “concorrenza” di King continui a spuntare in questo modo, ma dall’iconografia creata dal Maestro del Maine non si può sfuggire, troppo lunga la sua enorme ombra. Vi avevo detto che sarebbe tornato no?

La sfida tra la sfigata Shadyside e la ricogliosa Sunnyvale, si rinnova ogni anno anche nella battaglia dei colori del campeggio di Nightwing, dove Cindy Berman e sua sorella Ziggy (interpretata da Sadie Sink, lasciatemi l’icona aperta su di lei, più avanti ci torniamo) sono alle prese con bulli locali e il mistero della strega Sarah Fier, origine di tutti i mali.

Se il primo capitolo di “Fear Street” strizzava l’occhio a Scream, la seconda parte è un enorme omaggio agli Slasher da campeggio estivo, “The Burning” (1981), “Sleepaway Camp” (1983) e soprattutto il più famoso campeggiatore di tutti, qui palesemente omaggiato ai tempi del suo secondo film, prima che diventasse un appassionato di Hockey, tanto per capirci.

Ch-Ch-Ch-Ah-Ah-Ah

Non mancano i riferimenti a “Carrie” il romanzo di Stephen King, descritto come se nel 1978 zio Stevie avesse già la popolarità di oggi, ma dopo il film di Brian De Palma del 1976 non è affatto improbabile, inoltre la selezione musicale che parte come sempre tutta matta, ci dà dentro con pezzi di David Bowie, abbastanza logico quando la tua protagonista si chiama Ziggy, anzi parliamo di lei.

La scelta di affidare la rossa protagonista a Sadie Sink non può essere casuale, già famosa per il ruolo di “Mad Max” in Stranger Things, Ziggy è il personaggio cardine su cui poggia tutta l’operazione “Fear Street”, non solo perché è il punto di unione tra passato e futuro della storia, con il colpo di scena che conclude, con il necessario dramma questo secondo capitolo, ma anche con il personaggio dello sceriffo, quello che fa da filo rosso a tutti e tre i capitoli. L’idea di affidare questo personaggio ad un’attrice resa celebre dalla serie dei fratelli Duffer è una presa di posizione, che mette in chiaro quanto “Fear Street” sia letteratura per ragazzi (quella che oggi viene chiamata “Young adult” perché ci vogliono per forza parole in inglese), portata sul grande schermo, anzi su Netflix che poi è proprio il tipo di piattaforma che i giovani, tra serie tv e film, utilizzano di più.

"Mi avevano detto che questa era la quarta stagione di Stranger Things, qui muoiono tutti male!"

“Fear Street - Parte 2” renderà pure omaggio agli Slasher da campeggio con cui siamo cresciuti noi. La vedo dura che gli adolescenti di oggi conoscano Cropsy, anzi è già tanto se sanno chi sia Jason Voorhees, ma questo capitolo ribadisce che tutta questa operazione è per loro, inoltre il secondo capitolo ha la sfortuna di dover tirare più fili di tutti gli altri, incastrato tra il passato da raccontare dei personaggi e il futuro (ovvero la conclusione della storia) ancora in sospeso, per questo forse la terza parte risulta più riuscita.

Fear Street - Parte 3: 1666

Prima di mettere fine alla maledizione della strega Sarah Fier, bisogna raccontare la sua storia è qui “Fear Street” rischia di diventare un po’ pedante, per fortuna Leigh Janiak sceglie una soluzione interessante, affidando il ruolo della “giovane strega” (occhiolino-occhiolino) a Kiana Madeira, impegnata così nel doppio ruolo e perfetta per sottolineare quando Sarah e Deena fossero semplicemente due ragazze, vittime di due diversi tipi di caccia alle streghe, anche se non poi tanto differenti, se non per gli anni in cui hanno vissuto, il 1666 e il 1994.

Qui l’omaggio e ad un genere di Folk Horror più recente, ma dimenticatevi lo splendore visivo di The VVitch, più che altro una sua versione in tono molto (ma molto) minore, che rallenta il ritmo, sbriga le ultime parti ancora da narrare della storia prima di tornare ai neon e alla musica a rotazione del 1994, con l’ultima parte del film, la resa dei conti che risulta anche la porzione migliore di questo ultimo (ultimo? Occhio alla scena sui titoli di coda) capitolo di “Fear Street”.

Se pensate che il 1666 fosse brutto, aspettare la doppietta 2020 e 2021.

Come dicevo ieri nel post su A classic horror story, quando ti rivolgi ad un pubblico molto vasto come quello di Netflix, il linguaggio diventa inevitabilmente più generico, bisogna sottolineare i punti chiave più e più volte e il primo capitolo di “Fear Street” sembrava promettere un altro film quasi meta cinematografico, non proprio come Scream o quello diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli ma quasi. Con il susseguirsi dei capitoli di settimana in settimana, “Fear Street” ha messo semplicemente in chiaro che il suo pubblico, non sono gli (ex) ragazzini già grandicelli quando uscì il film con Ghostface diretto da zio Wes Craven, ma quelli cresciuti in un mondo (cinematografico) dove gli effetti a lungo termine della saga dell’assassino di Woodsboro, erano già radicati e avevano generato centinaia di cloni.

Doppio ruolo per personaggi dalla vite parallele.

In cui i film “antichi” sono rappresentati da Venerdì 13 e quelli ancora più datati, hanno come protagonista una faccia (e due occhi giganti) come la regina degli scacchi Anya Taylor-Joy. “Fear Street” potrebbe essere per molti ragazzi quello che per noi è stato ai tempi Scuola di mostri, un modo per riconoscersi nei protagonisti, nei loro problemi quotidiani ma anche nella loro passione per il cinema horror, mettendo anche un po’ alla prova le proprie conoscenze in merito, prima di approfondire, e andare magari a leggersi il libro da cui è stato tratto IT, oppure scoprire che ci sono altri mostri fuori dal Conjuring-verse.

Insomma non vi sto dando dei “Boomer”, semplicemente come cantano gli Offspring in uno dei pezzi che partono a caso nella parte finale di “Fear Street - Parte 3” (difficili infilarli finché la storia era ambientata nel 1666) bisogna tener separate le due cose. L’abuso di pezzi dei Pixies nel finale invece serve solo a dare un tocco retrò a questa operazione teorica sul cinema horror sì, ma rivolta ai ragazzi.

"Tutto questo per noi? Ci bastava un wi-fi stabile!"

Insomma, nel giro di poche settimane Netflix ha rilasciato film differenti come questo “Fear Street” e “A classic horror story”, rivolti a porzioni di pubblico con differente grado di affiliazione al cinema horror, ma entrambi pensati per riflettere in modo diverso, sulla natura stessa del cinema dell’orrore. Mica male per una piattaforma tanto bistrattata e per un genere storicamente etichettato (da giudici troppo superficiali) come conservatore. Poi vabbè, per non ci sarà sempre la "Monster Squad" dei vecchi amici Black & Dekker.

16 commenti:

  1. Penso di essere il secondo target di questa operazione: decisamente lontano dalla fascia teenager e non particolare amante degli horror.

    Io ho gradito molto che abbiano evitato gli “spaventerelli”, anche quando per situazione ed occasione in un qualsiasi altro horror sarebbe srato montato appunto uno jump scare.
    Il fatto che la gente prenda su, faccia cose e sbagli, o che anche gli informatissimi prendano cantonate (la chatter all’inizio pare saperne a pacchi, ma poi pare essere vittima come tutti della malainformazione, il che aggiunge potenzialmente il fatto che i killer periodici possano essere più di quelli passati alla storia) è assolutamente un punto di pregio nello sviluppo della storia e nelle dinamiche che crea.

    In generale l’ho trovato godibile: la parte nel 1666 per me è durata un po’ troppo e forse poteva essere sforbiciata un po’, oppure non saprei… in alcun momenti mi calava proprio la palpebra; l’altro aspetto che potevano implementare – ma avrebbe alzato il rating dei film, suppongo – sono gli ammazzamenti da parte dei vari killer… alcuni avvengono direttamente fuori campo, mentre altri sono invece esplicitamente ben rappresentati (i colpi plurimi del primo ammazzamento del 78, la scena nel supermercato nel 94).

    Comunque il lato forte sono i personaggi, la costruzione e lo svolgimento.
    Sono interessato ad un possibile sequel, ma solo se riusciranno a replicare la struttura multi-livello.

    Nathan

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    1. Perfettamente d’accordo, una trilogia ben fatta ottima per chi non è troppo appassionato di Horror ma interessato al genere. I personaggi nella trama “sbagliano” come faremmo noi, non nel modo che di norma su Infernet viene additato come “Buco di sceneggiatura” (espressione sbagliatissima per altro).

      La parte 1666 in effetti dura un po’ troppo e il terzo capitolo migliora quando torna nel 1994. Cheers!

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  2. Ci avrei scommesso, Cass.
    Gia' ieri, quando parlavi di un altro titolo in arrivo...
    Al momento la trilogia qui presente, insieme al film di De Feo, sono i titoli "caldi" del momento.
    Felicissimo del successo di pubblico da parte di entrambi.
    Hanno diversi punti in comune, difettucci compresi.
    Sono fatti da gente cresciuta coi film giusti, e che li omaggia a dovere.
    Forse il film di De Feo lo trovo piu' riuscito, rispetto a questo.
    Visto al volo. E al netto dei difetti (uno bello grosso, in particolare. Lo stesso di qui) per me ha fatto centro.
    Qui, per ognuna delle epoche trattate, vengono citati gli slasher di riferimento.
    "Scream" per gli anni 90, "Venerdi' 13" per la parte a cavallo tra i 70 e gli 80.
    Ma la parte che mi ha sorpreso e' stata quella nel passato molto remoto. Dove cercano di replicare un film piuttosto recente (d'altra parte mica c'erano gli slasher, ai tempi. Anzi, in certi casi te li facevano dal vivo, e spesso senza richiesta!).
    Un film a tema "streghesco" che mi era piaciuto parecchio.
    Bella idea, anche se la resa ambientale non mi ha convinto molto.
    Nel complesso, piu' entusiasmo che mestiere.
    Quasi che abbiano tenuto da conto piu' il progetto in se', che la resa effettiva.
    Ma va bene, dai.
    E ora facciamo una riflessione.
    L'ho notato anch'io. Sia qui che nel film di De Feo.
    La "buccia di banana" a cui ti riferivi.
    All'apparenza puo' sembrare una specie di inciampo, da parte degli autori.
    Strano, visto che con "The Nest" non erano stati cosi' grossolani.
    Ma temo che ormai sia il modo di approcciarsi al pubblico delle piattaforme streaming. Che ormai si e' capito, e' ben diverso da quello del cinema.
    Pare che ormai si debba per forza urlare i concetti in faccia a chi guarda. E a ripetizione. Quasi che abbiano paura che perdano il filo.
    Perche' hanno stabilito he gli spettatori hanno una soglia dell'attenzione bassissima, intorno ai cinque minuti scarsi.
    Vedo o questo, poisi rompono, bloccano e vedono qualcos'altro, poi chattano sui social, poi si fanno una navigata in rete, poi giocano a qualche giochino scrauso e poi magari riprendono.
    Lo ammetto, spesso ci casco pure io.
    Ho visto "Terminator 2" a spizzichi e bocconi.
    Un'eresia. Una volta, con un filmone del genere, mi ci mettevo dietro solo se sapevo di avere le mie due ore a disposizione.
    Per carita': lo so, di non essere io il pubblico di riferimento.
    Se protesto, mi dicono di non rompere e di andare nella sezione geriatrica a vedermi "Non aprite quella porta", che me l'hanno messo cosi' me ne sto buono e non rompo.
    Consiglio che ho seguito con piacere, tra l'altro. Che un salto da Faccia di Cuoio non si rifiuta mai.
    Certe volte ho l'impressione che trattino il pubblico come il garzone volenteroso ma tardo.
    Che se non gli stai dietro al sedere ogni due secondi a dirgli quel che devono fare, se ne dimenticano.

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    1. Cosa aFere fatto tu con Terminator 2!?! Subito tre "Distretto 13" e un "Commando" per i tuoi peccati! ;-) Cheers

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    2. Eh. Tu renditi conto.
      Il fatto e' che ti ci portano, a fare cosi'.
      Vuoi per la cronica mancanza di tempo, vuoi perche' alcuni film hanno un tempo di permanenza strettissimo...
      Comunque, espiero' le mie colpe. Anche se la pena che mi hai inflitto e' un piacere, piu' che una penitenza...

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    3. Pentiti!! Peeeeentiti! ;-) Cheers

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  3. Ah, "libri falsi", mi ci ficco! Mi hai venduto i tre film con avvero poco ^_^

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    1. Ti dico solo che il prologo del primo film ha una lunga scena in libreria, con primo piano sulle copertine di altrettanti libri ;-) Cheers

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  4. Gran bella trilogia, tre film giovanili, ben collegati tra di loro ma che - e per me è pure cosa buona -, senza intro e finale potrebbero stare benissimo da soli, forse tranne il terzo. Scriverò a breve del secondo e terzo capitolo anche io, però mi sono divertito davvero da matti a guardare questi tre film!

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    1. La penso come te, i difetti ci sono ma la trama riesce a rigirarli quasi sempre a suo vantaggio, ti leggerò di gusto ;-) Cheers

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  5. Un po' astruso per alcune cose, ma tutto sommato a me ha divertito, cioè non è che mi aspettavo di vedere il nuovo Scream o il nuovo Nightmare su Netflix, per dire.
    Stasera vado con il secondo.

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    1. Non è il nessun nuovo nulla, però fa il suo dovere nel suo piccolo ;-) Cheers

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  6. Spoiler spoiler spoiler Ma,ho capito male io,o le regole di questa saga sono che tu prendi il libro,leggi l'incantesimo,e sacrifichi un'anima,ma mica la tua anima,no no,bensi' quella di qualcun'altro. Ma quindi,se fosse cosi nella realtà,uno stronzo qualunque potrebbe fare il mio nome,e domani al TG scopriamo che tale Jena Pistol è impazzito diventando un serial killer ? Ma che fregatura è ? O forse ho capito male io ? No perchè,bravi veramente ad'aver tirato su 5 ore di molto dinamismo e poca lentezza,e forse certe regole mi son sfuggite ?

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    1. Una sorta di grosso "Death Note", però davvero, buon ritmo senza le solite lungaggini, non era affatto banale. Cheers!

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  7. Devo dire che l'ho apprezzato molto e credo che i tre film vadano visti come un unico lungo prodotto in tre tempi. Magari avessi avuto film del genere quando ero ragazzetto.

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    1. Penso lo stesso, tante critiche e tante lodi, però questo film in tre parti ha un pubblico specifico e lo tratta con intelligenza, non come se fossero dei giovani scemi come fanno altri titoli. Cheers

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