EDIZIONE STRAORDINARIA! Quinto Moro torna a scrivere sulla Bara! Servizio in prima pagina su Gian Maria Volonté, necrologi e necroelogi, approfondimenti su giornalismo, manipolazione dell’informazione, clima sociale e politico nell'Italia anni ’70 e dei giorni nostri!
Lo so, questo sembra uno di quei commenti noiosi. Vi rassicuro subito: lo è. Ma prima di lanciare molotov alla redazione lasciatemi dire che a volte è difficile parlare del film in quanto tale, analizzare la tecnica, la produzione eccetera. E se in un film di critica sociale vien da parlare più del suo contesto e contenuto al di là delle scene, l’obiettivo è centrato in pieno.
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I militanti hanno centrato l’obiettivo: la finestra del giornale. Pure i giornalisti centrano l’obiettivo: sulle fiamme, lasciandole sfogare per una foto d’effetto. |
“Sbatti il mostro in prima pagina” è il cugino democristiano di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, meno figo e con la eVVe moscia, ma vale i suoi 83 minuti che non fanno sentire troppo il peso dei difetti.
Se come dice sempre Cassidy i primi 5 minuti sono quelli che determinano l’andazzo del film, la regia di Bellocchio ci mette poco a riassumere il clima dell’Italia degli anni di piombo, prendendo le immagini direttamente dalle strade: manifestazioni in piazza tra le frange estreme della destra e della sinistra. Da un Ignazio La Russa che arringa la folla ai cortei di manifestanti di destra che intonano “il comunismo non passerà”, e quelli di sinistra con il “fascisti, carogne, tornate nelle fogne!” Una carrellata sugli striscioni elettorali di mille partiti politici sopra le vie di Milano, e per finire un assalto al “giornale dei padroni”. Insomma, avete capito l’aria che tira.
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Ma chissà di quand’è questo giornale. Fammi controllare la data… è di oggi. (Citazione celentanica) |
Disclaimer obbligatorio: a documentarsi sul film
tutti si affrettano a dire che “Il Giornale” del film (1972) non ha niente a
che fare con “Il Giornale” che esiste oggi, fondato nel ’74 da Indro Montanelli.
Però. C’è un però.
La critica del film si rivolgeva al “Corriere della
Sera”, considerato da molti come IL giornale per eccellenza, quello che vende di
più perché come spiega il capo redattore Volonté, è la voce che tutti voglio
ascoltare. Una voce che “deve essere sempre la stessa” dalla prima all'ultima
pagina. Una voce “che noi vogliamo immutabile, scolpita nel tempo” (Cit.)
Altro fun
fact è che il capoccia di quel “Corriere della Sera” criticato nel film per
il suo essere conservatore e ammanicato col potere e la politica, fosse lo
stesso lo stesso Indro Montanelli che due anni dopo avrebbe fondato “Il
Giornale”, quello vero.
“Sbatti il mostro in prima pagina” non si ferma
alla critica della stampa ma a tutta la società italiana, con qualche
forzatura, ma colpisce tutti i nervi scoperti del giornalismo. E se il
giornalismo è l’arte di trasformare una notizia in un titolo, al minuto 13 c’è il
primo dei fantastici monologhi di Volonté (ce ne sono almeno tre). Ci spiega
come si dà una notizia, come soddisfare (e)lettori conservatori e scoglionati, raccontandogli
quello che vogliono sentirsi dire “senza rompergli i coglioni”, senza farli
sentire in colpa, né parte del problema. Le opinioni non vengono sfidate dai
fatti, sono i fatti a cambiare forma per incastrarsi nel gusto del lettore, additando
lo spauracchio rosso o quello nero all'occorrenza. Tutto per un preciso ma
imprecisato interesse politico, con l’eterno scopo di influenzare le elezioni.
Ve l’avevo detto che era un commento noioso. Tranquilli, vi ho portato qualcos'altro da leggere…
Si ma di che parla il film? Giochiamo alla notizia come insegna Bizanti-Volonté. E’ la storia di una ragazzina trovata morta in un parco. Stuprata? Non si sa ancora. È di Milano? Conta, in un’epoca in cui gli immigrati sono gli italiani del sud che vanno al nord (ieri i teVVoni, oggi i negVi. Decennio che vai, spauracchio che trovi). Si scopre che la vittima è figlia di un altolocato milanese, quindi una vergine onesta e stuprata da quei proletari di sinistra che tirano tra le figlie della Milano-bene. Il film è tutto qui: la politica si fa con la cronaca, con un mostro che va creato in fretta, in tempo per le elezioni: non si possono aspettare le lungaggini della giustizia per avere un assassino. Nella stampa basta un sospetto per avere un colpevole. Non è poi così importante sia “di sinistra”, perché sono gli estremismi i nemici. E sono estremisti tutti quelli che protestano. Tutti i militanti. Tutti i manifestanti. Violenti o pacifici, senza differenze.
Potenza dell’illusione del tempo che (non) passa e della società che (non) cambia. I tumulti della piazza reale si spostano in quella digitale, magari preparandosi a fare il percorso inverso (Capitol Hill, 6 gennaio 2021 docet). Nell’epoca dei social media, la stampa abdica dalla presunta autorevolezza del mestiere per inseguire la notizia più rumorosa, con la simpatia di parte usata per mettere l’opinione sopra la verità. Eppure non è un vizio nuovo se un film del ’72 mostra come la parola si possa usare, non per far luce sulla verità ma per accecare, o proiettare lunghe ombre di paura. Come l’informazione faziosa sia vecchia quanto il giornalismo stesso.
Bellocchio, fiero della sua militanza rossa
(comunista!) non manca di buttarla sul vittimismo della parte che gli è più
simpatica. Ci pensa Gian Maria Volonté a riportare equilibrio nella Forza
nella trama, interpretando il manipolatore supremo, cinico e consapevole, come
l’unico adulto in un mondo di bambini. Per stessa ammissione di Bellocchio –
che giovincello si trovava a dirigere un mostro sacro – Volonté quel
personaggio lo creò da sé, andando molto al di là delle battute da pronunciare.
La parlata misurata, la eVVe moscia usata con naturalezza senza mai sembrare
una caricatura. Un lavoro di sguardi, di sottrazione, senza mai andare sopra le
righe. Espressività controllata al massimo, ogni battuta uno schiaffo schioccato
dal ghigno sornione. Un personaggio che parla quasi come un libro stampato ma credibile,
e Volonté lo sporca il tanto giusto da renderlo vivido.
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“Sì sì, l’abbiamo capito che sono bravo. E smettiamola con queste leccate” (Cit.) |
Per essere un film incentrato su un omicidio, è
proprio la parte delle indagini a risultare debole e fiacca, coi personaggi che
intorno al gigante di feVVo appaiono banali. La storia procede schematica e
senza sorprese o guizzi, come per “la vecchia” anarchica infatuata del
ragazzotto, strumento per il caso mediatico, o la stessa scena dell’omicidio,
superflua e senza il minimo pathos. Ma ogni tanto la sceneggiatura esplode,
nelle lezioni di Bizanti al giornalista novellino, o l’acidissimo monologo
contro la moglie borghese, troppo bello per non citarlo:
“Tu lo sai
che sei peggio di quei fessi che leggono il giornale come fosse il Vangelo […]
Quando comincerai a capire il mondo?”
Ma sono singoli momenti di una sceneggiatura che soffre delle troppe fonti e troppe anime. La prima stesura era di Sergio Donati, che forse non vi dice niente, ma ha messo bocca in tante sceneggiature di Sergio Leone (da non accreditato dei primi tempi a nome di spicco, co-firmando Giù la testa e C’era una volta il West). Donati doveva anche dirigere, ma col rullo già pronto sulla macchina da presa, pare sia partito un urlo da lontano…
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“Fermate la stampa! Manca la pagina politica!” |
Chi abbia urlato non si sa. Da voci di corridoio non confermate – le più amate dai giornalisti – pare fosse stato proprio Volonté, che però non mi pare avesse la fama da primadonna. Fatto sta che a dirigere viene chiamato Marco Bellocchio, che si prende il tempo per rimaneggiare la sceneggiatura, coadiuvato da Goffredo Fofi, saggista e attivista, per dare un’impronta più personale (e politica) alla storia. Se volete la mia opinione – non conta più dei fatti ormai? – Volonté pretendeva molto di più dalla sceneggiatura, e non è un caso se il film sia finito nelle mani di due idealisti, per niente interessati a rendere centrale l’indagine sull'omicidio. Non ci provano nemmeno a creare mistero, tanto che “il mostro” finisce affogato nella banalità del male, usato per dare una stoccata – stucchevole – all’Italietta cattolica che venera le sue figlie come madonnine virginali, da non far contaminare col sesso libertino dei proletari.
Il finale è un METAFORONE che lèvati: l’apertura dei navigli e l’acqua che serpeggia nell'orrida nerezza della sua sporcizia. Scena nata per caso, Bellocchio e la troupe si trovarono ad assistere all'apertura dei canali e filmarono d’istinto, usando il girato per chiudere il film. Un colpo di genio, forse l’unico in un film che è migliorato col tempo, perché a vederlo oggi picchia durissimo.
P.S.: Alla pubblicazione del commento, su Youtube è disponibile il film integrale in 2 canali diversi, quindi non avete scuse!
Buongiorno, ho dato un'occhiata veloce. Alla prima pausa caffè leggo tutto. Ma nel mentre.... Il giornale della bara volante è una figata. Non vedo l'ora di trovarlo in edicola.
RispondiEliminaCheers.
Matte
Il giornale è un capolavoro di Quinto Moro, questa volta si è superato ;-) Cheers
EliminaNo ma io mi appello alla libertà di stampa e lo pretendo in edicola tutti i giorni.
EliminaSicuramente inizierei meglio le giornate rispetto ad adesso che leggo la stampa.
Cheers
Ti devo citare la frase di Egon dei Ghostbusters? ;-) Scherzi a parte, mille grazie! Cheers
EliminaTutti i giorni? Potrei fare al massimo un settimanale.
EliminaCi può stare, più strafalcioni di Ciak non li potremmo sparare mai ;-) Cheers
EliminaA parte i refusi, quelli ci sono sempre (mi è partito l'embolo quando ho visto che la correzione automatica mi ha sottolineato in rosso "Covid" e mi ha rovinato la pagina mannaggia!)
EliminaVa be, è il bello dell'artigianato.
Marco Bellocchio è l'ultimo grande regista italiano sorto nell'epoca d'oro del nostro cinema, come Orson Welles ebbe la maledizione di Quarto potere a perseguitarlo a vita, così Bellocchio si ritrovò sempre condannato a vita al perpetuo paragone con quel capolavoro immane di film I Pugni in Tasca, tra l'altro Bellocchio insieme a Bertolucci e Pasolini, furono gli unici cineasti a portare in Italia le influenze delle avanguardie estere degli anni 60' e qui da noi rimasero però dei casi isolati e non seguiti da nessuno.
RispondiEliminaNell'edizione Raro Video c'è l'intervista di Bellocchio, che ammette candidamente di non adorare molto il film, evidentemente avesse avuto il completo controllo, ne sarebbe uscito un Pugni in Tasca 2.0 applicato all'informazione, con un'accentuazione della parte della relazione tra la donna e l'anarchico, oltre a Volontè e sua moglie, con annesse nevrosi (elemento fondamentale nella poetica del regista).
Gian Maria Volontè da ine degli anni 60', data la fama acquisita, scelse sempre progetti di tipo politico o di impegno civile, una cosa è se li fai con Petri, Rosi o Bellocchio che conoscevano il cinema, un altro se invece li realizzavi con Montaldo, che per quanto buon mestierante non valeva di certo quei tre nomi e quindi tali film risultano datati.
Del giudizio di Bellocchio però frega zero, se dobbiamo stare a sentire i registi sulle loro opere non se ne esce più. Sbatti il mostro in prima pagina è un ottimo film, i difetti sono nei rimbrotti didascalici che il neoassunto giornalista rivolge al direttore del giornale, che sono pedanti e moralisti e nella trama gialla della quale a Bellocchio fregava poco e nulla come da lui ammesso, perchè voleva dare spazio ai danni dell'informazione manipolata che è un argomento ben più interessante, anche se non si ha una certa predisposizione all'odio verso le forze di destra, il film può risultare in parte manicheo (anche se un paio di critiche agli anarchici ce le infila Bellocchio) e quindi essere respinto dalla fazione opposta, che potrebbe benissimo dire come l'informazione di sinistra risulti manipolata.
Volontè è il miglior attore del mondo, Bellocchio lo sa, quindi piazza la mdp e lo lascia fare nella strepitosa lezione di giornalismo che impartisce al neo-assunto giornalista sul modo di scrivere titoli, inoltre esplica anche in modo efficace la sua politica editoriale sull'essere una voce rassicurante, appagante ed esaustiva per il lettore a cui si rivolge, che durante la giornata ha subito situazioni di stress e quando legge tale quotidiano vuole parole pacate e non allarmistiche, in sostanza come i miei parenti che sono tutti conservatori ed un pò capisco anche il perchè cerchino una lettura del genere, ma tale tipo di informazione ha un grande problema alla base; non punta a far maturare e crescere criticamente il lettore, visto solo come oggetto da manipolare ed inculcare una visione della società preconfezionata, senza spingerlo criticamente a porsi domande e questioni sul mondo che lo circonda.
Ho ascoltato una lunga intervista di Bellocchio prima di scrivere il pezzo, diciamo che era consapevole dei difetti, del suo essere schematico, così come del fatto che Volontè non dovesse nemmeno "dirigerlo" lui per come si era figurato il personaggio nella sua testa.
EliminaIl film non è tanto manicheo, l'approccio del giornale viene dal conservatorismo democristiano, un "estremismo di centro".
Alla stampa non importa di "far maturare e crescere criticamente il lettore", lo fa sempre meno, il giornalismo d'inchiesta che dovrebbe essere la parte grossa, è una nicchia. Domina quello di opinione che se ne frega di raccontare i fatti.
Urca, grazie a Quinto Moro (ottima recensione!) perchè qui siamo nel cinema che amo...
RispondiEliminaFilm capolavoro proprio per la forza che trasmette il suo messaggio (la strumentalizzazione dei fatti di cronaca a favore della politica, cosa che continua imperterrita ancora oggi; la critica al mondo del giornalismo, che appunto deve fare sensazionalismo e paura).
Per inciso: in questo film il giallo è debolissimo, perché con il cambio di sceneggiatore si puntò proprio sull'aspetto socio-politico. Il giallo era proprio di sfondo.
Donati scrisse allora "Il mostro", film cult di Zampa, ma anche in quel caso il giallo lasciò spazio a una forte critica sociologica. Bel film anche questo, pur non paragonabile a "Sbatti il mostro in prima pagina", che si giova di un Volonté strepitoso.
E' un tipo di cinema che non invecchia mai, soprattutto perchè racconta un pò di storia italiana ed è utile per leggere la realtà di oggi. Anche l'analisi del giornalismo, un mondo che uno si immagina lontano e diversissimo dal nostro negli anni '70, vale al 100%, e più che mai da quando i giornali online inseguono la logica del click-bait.
EliminaE' una vita che non rivedo il film e ora - per citarti - non ho più scuse. Non foss'altro che per lasciarmi guidare dalla splendida prima pagina del vostro "Corriere della Bara" :-D
RispondiElimina"Corriere della Bara" è un'idea, o "La gazzetta del becchino"
EliminaIl film dura solo 80 minuti, una motivo in più per incastrarlo nel palinsesto di giornata.
Volonté, per sua stessa ammissione, fu sempre un'attore molto politico, la passione politica fu in vita la sua stella polare. Anche per questo finì spesso coinvolto in film d'impegno sociale. E' vero questo film non venne come voleva Bellocchio però rimane un caposaldo del Cinema italiano.
RispondiEliminaGran bella recensione!
Quinto Moro si è superato. Io ho sempre sognato un documentario su "Per un pugno di dollari" con materiale ripreso sul set, solo per vedere le interazione tra Volontè e Eastwood, ti giuro avrei pagato oro ;-) Cheers
EliminaVolonté è un attore fuori dal comune perché l'impegno sociale attraversa la sua carriera attraverso la scelta dei ruoli, oltre all'impegno che ci metteva per rendere quei ruoli il più autentici possibile. Ci sono tantissimi grandi attori, ma lui sapeva metterci la partecipazione di chi davvero ci tiene, di chi sente la voglia di comunicare qualcosa.
EliminaE bisogna sempre ringraziare Leone che gli ha dato quella visibilità che meritava, lui poi ha fatto il resto.
Un comunista e un repubblicano sullo stesso set? Kaboom, sono inconciliabili, Volonte' ruppe pure i coglioni al grande Melville, perché quest'ultimo era di note idee di destra.
EliminaNon sono mai riuscito a trovare i giudizi di Volonte' su Eastwood ed i giudizi di quest'ultimo sul primo... peccato.
Per quello sogno un documentario su questo argomento ;-) Cheers
EliminaConcordo in pieno.
RispondiEliminaUn film che metto anch'io sullo stesso piano di "Indagine su di un cittadino al di spora di ogni sospetto", tant'é vero che lo considero un suo gemello. Oppure lo stesso film che mostra il medesimo concetto da un'angolazione diversa.
Il potere. In tutte le sue forme e perverse biforcazioni. E il modo in cui fa malsana combutta con l'informazione.
Così come lo ritengo più meritevole per il messaggio che trasmette, che per la vicenda in sé.
L'opera é passata attraverso troppe mani e riscritture per essere efficace, e non esente da difetti.
Ma sulla morale di fondo...beh, quella non si discute.
Sono film che rivisti oggi acquistano ancora più senso. Perché mostrano un ritratto lucido ed impietoso dell'Italia che era é che é ancora oggi. E che con tutta probabilità sarà, perché gira che ti rigira...in questo cavolo di paese non cambia mai nulla.
La palude, il pantano, finisce sempre con l'inghiottire e sommergere tutto. Anche chi avrebbe davvero buone intenzioni.
E' vero. La parte investigativa e poliziesca rimane in sottofondo, ma quanta verità.
Da questo punto di vista forse risulta ben più riuscito in quelle che non erano affatto le intenzioni iniziali degli sceneggiatori.
Del delitto ci si dimentica ben presto. E' un niente, paragonato allo squallido circo mediatico da piantare in piedi ogni volta che si assiste e si narra di un gesto particolarmente efferato.
A chi interessa più la verità, anche quando la si scopre?
Male che vada, lo strafalcione in testata lo si rimedia tempo dopo con un trafiletto in terz'ultima pagina.
Ma prima vediamo come va alle urne, eh.
Aizzano e mettono alla berlina o alla gogna la gente e poi se ne lavano le mani, nel nome della presunta libertà di stampa.
Rimane un dubbio: film del genere vanno considerati precursori, oppure fanno capire che in più di mezzo secolo di storia é sempre il medesimo schifo?
Che ognuno si trovi una sua risposta.
Volonté risalta in un'ennesima, gigantesca prova d'attore.
Film come questo andrebbero trasmessi in prima serata, una volta alla settimana.
E a tal proposito...non dico il quotidiano, gente. sarebbe troppo.
Ma la prima pagina del Lunedì mattina ci cashcherebbe a pisello, come direbbe il Crande Dieco.
Il "Corriere della Bara" inizia a rivedere richieste di abbonamento ;-) Cheers
Elimina"film del genere vanno considerati precursori, oppure fanno capire che in più di mezzo secolo di storia é sempre il medesimo schifo?"
EliminaPrecursori no. Avevo fatto un'intro che poi ho tagliato, sul fatto che George Orwell è stato quello che prima di tutti aveva visto più lontano. "1984" è un libro sempre più profetico, i suoi passaggi valgono per sempre più sfumature della società e dell'informazione attuale, del legame della stampa col potere.
Ma contro la perdita di memoria abbiamo anche questi film, che sono soprattutto testimonianze. E la testimonianza principale di "Sbatti il mostro" è che il sistema va avanti da decenni, e i problemi di fondo del nostro pantano sono molto simili se non gli stessi.
Un film che mostra un po' i lati oscuri della nostra professione. L'ho rivisto più volte ai tempi in cui studiavo giornalismo e devo dire che, oltre alle tematiche che affronta, offre un sacco di punti su cui riflettere. È lo specchio della stampa del nostro paese in quegli anni e oggi forse sta andando ancora peggio
RispondiEliminaInfatti appena Quinto Moro mi ha espresso interesse per scrivere questo post, gli ho dato più priorità possibile, resta un film attuale perché cambiano l'anno sul calendario, ma non cambiano alcune abitudini. Cheers!
EliminaAl di là della stampa, le logiche che racconta valgono anche per il mondo dei social network. La "lezione di giornalismo" nel primo quarto d'ora spiega tanto: la scelta delle parole unita alla sintesi. Il titolone. Il clickbait.
EliminaLa cosa più interessante di Bizanti è la sua consapevolezza, e il disprezzo che nutre per chi subisce i frutti del suo stesso lavoro. Lo sfogo contro la moglie non te lo aspetteresti dal manipolatore, fa sì che il personaggio non sia manicheo, un villain della propaganda ma un uomo consapevole, il che lo rende ancora più sinistro!
Vado a recuperarlo. Mi hai intrigato con questo post, soprattutto perché abbiamo tutti l’illusione che i giornali postino solo la verità.
RispondiEliminaproprio per questo è un film ancora attualissimo. Cheers!
EliminaIntanto complimenti per popolare questo blog di film di grande impegno civile come questo. Volontè è gigantesco nella sua esibizione, davvero non lascia spazio a nessuno ma ci tengo a citare il ruolo di Laura Betti grande attrice un po' dimenticata dal nostro cinema (a tal proposito recensite un eroe borghese dove la Betti, nell'interpretare la segretaria di Sindona, è semplicemente eccezionale). Il personaggio di Volontè è ancora peggiore del commissario di un cittadino al di sopra di ogni sospetto perchè non solo è consapevole delle dinamiche del potere ma non prova neppure quei momento di "pentimento/riflessione" che il commissario invece vive. Vero che Il Giornale di Montanelli sarà fondato due anni dopo ma direi che in questo il film è davvero precursore e Volontè è Montanelli nel suo modo di fare, nel suo modo di intendere il giornalismo e la classe dirigente. Bellocchio in quel periodo era maoista di Servire il popolo quindi non ha simpatia per gli anarchici e si vede. Inevitabilemente c'è il rimando a Valpreda, Piazza Fontana anche se il delitto in questione non sembra avere matrici politiche il succo del film è che il colpevole presunto può essere tranquillamente costruito a tavolino e poi dato in pasto all'opinione pubblica. Gli esempi lontani e vicini (Tortora è il più famoso ma basti pensare al calvario che ha passato Mimmo Lucano poi sostanzialmente prosciolto da tutti i capi d'accusa) sono innumerevoli. Mi stuzzica molto il confronto odierno con i titoli clickbait che sono sintomo anche di un giornalismo che non fa più il suo mestiere perchè le fonti non si controllano più. Recentemente c'è stata una polemica assurda nei confronti di Corrado Augias proprio su questo. Eppure il giornalismo rappresenta ancora, se attentamente si seleziona cosa leggere, una delle anime portanti dell'impegno civile. Un grande giornalista come Luigi Pintor, fondatore e direttore de Il Manifesto, scrisse: un giornale non è la libertà, neppure un frammento ma è una libertà: un attimo di democrazia
RispondiEliminaGrazie anche per la citazione finale, l'esempio di Corrado Augias é perfetto per descrivere come il giornalismo ancora oggi preferita alimentare il caos facile in nome di un titolo ad effetto, piuttosto che riportare le notizie verificandole. Cheers!
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