venerdì 22 gennaio 2021

Osterman Weekend (1983): un tranquillo weekend con Sam Peckinpah

Anche questa corsa ormai è arrivata alla fine, una cavalcata che mi ha regalato parecchie soddisfazioni e spero che anche voi abbiate gradito leggere, almeno quanto mi sono divertito a scriverne, ma possiamo dire tranquillamente di esserci meritati tutti un bel fine settimana con l’ultimo capitolo della rubrica… Sam day Bloody Sam day!

Malgrado l’inaspettato successo al botteghino di Convoy, Sam Peckinpah ormai è un regista finito alla cinta daziaria di Hollywood, le sue cattive abitudini e una fama ormai quasi impossibile da recuperare determinano il secondo grande periodo di allentamento dalla regia cinematografica della sua carriera, ma se dopo il disastro di Sierra Charriba e la rinascita con Il mucchio selvaggio, Bloody Sam era rimasto molto attivo sceneggiando alcuni titoli, questa volta il regista di Fresno ha preferito impiegare il tempo in modi meno costruttivi, se non proprio autodistruttivi.

Ad esempio, Mike Corey, responsabile di produzione che Peckinpah aveva conosciuto quando in televisione dirigeva episodi di “The Rifleman”, è stato testimone di una storia pazzesca che da sola sarebbe materiale per un film: con la scusa di adattare per il grande schermo “Snowblind” (titolo che rappresentava anche la condizione di Peckinpah in quel momento secondo me) la biografia di un grosso trafficante di cocaina, Bloody Sam trascinò Corey su un volo diretto in Colombia, ufficialmente per cercare location per il film, di fatto per trovare agganci in grado di alimentare il suo vizio con la roba più pura in circolazione. Una storiaccia di paura e delirio in Colombia che prevede momenti di panico in stanze d’albergo, ma anche la seria possibilità di finire trascinati e fucilati nel mezzo della giungla colombiana da alcuni gentiluomini locali (storia vera).

Dopo la biografia su Katy Haber, sogno di vedere "Paura e delirio con Sam".

Di ritorno negli Stati Uniti dopo questo tranquillo weekend di paura, Peckinpah finì a vivere in un’enorme casa mausoleo costruita su una comproprietà insieme al fidato Warren Oates e fu proprio qui che la salute di Peckinpah peggiorò notevolmente, dopo non aver risposto a svariate telefonate della segretaria del suo legale, Joe Swindlehurst corse a casa del suo assistito prendendolo per i capelli. Il regista venne operato per un’intera giornata con Peckinpah impegnato a strapparsi continuamente via i fili dei tre pacemaker che lo tenevano in vita, in compenso, al risveglio dopo l’operazione (immagino l’abbiano sedato con una dose da cavallo per tenerlo fermo) prima il regista ha iniziato a tuonare insulti contro l’avvocato, poi dopo aver fatto velocemente pace, rilasciato dai sanitari ha preteso di farsi portare al più vicino bar... "Vuoi del succo d’arancia Sam?" "Ma che succo d’arancia Ramos Fizz per tutti!". Dopo averne sgargarozzato uno alla velocità della luce, Peckinpah si portò la mano al petto urlando, cadendo sul pavimento del locale. Scoppiò a ridere per il suo scherzone da grande comico solo quando Swindlehurst e sua moglie in lacrime erano ormai convinti di aver assistito alla morte del regista. Come hanno fatto a non strangolarlo sul posto, proprio non lo so.

Ma visto che per iniziare una carriera da cabarettista ormai era un po’ tardi, Peckinpah sognava ancora di tornare a dirigere, malgrado tutto, l’occasione gli arrivò con una sorta di ritorno alle origini, uno dei suoi primi mentori Don Siegel, gli concesse di guidare la seconda unità nel suo film “Un giocatore troppo fortunato” (1982), per fare bella figura con il suo vecchio maestro Peckinpah tirò fuori un po’ della vecchia professionalità, pare che Siegel rimase colpito dagli storyboard estremamente dettagliati di Bloody Sam (storia vera) anche se il regista di Fresno alla fine non è risultato accreditato nei titoli di coda del film, tra una buona parola di Siegel e la perseveranza del suo agente, Peckinpah saltò a bordo dell’ultimo treno, all'improvviso era di nuovo in gioco.

I titoli di testa delle grandi occasioni eh?

I produttori Peter Davis e William Panzer avevano per le mani una cosetta di pura exploitation intitolata “The Osterman Weekend”, adattamento del romanzo di spionaggio di Robert Ludlum “Striscia di cuoio” (1972), la sceneggiatura inutilmente intricata scritta da Alan Sharp (quello di “Nessuna pietà per Ulzana” classico della videoteca di casa Cassidy) era considerata dai produttori intoccabile, anche perché non volevano certo che Peckinpah attaccasse con i suoi colpi di testa, decidendo di partire da modifiche alla sceneggiatura per costruirsi una base di potere con cui muovere loro guerra, come da sue vecchie abitudini. Questo spiega perché non venne assecondato il desiderio di Peckinpah di avere James Coburn come protagonista e il fidato montatore Lou Lombardo al suo fianco, il massimo che riuscì ad ottenere il regista fu il direttore della fotografia Johnny Coquillon, con cui aveva già lavorato insieme per Cane di paglia, Pat Garret e Billy the Kid e La croce di ferro.

Senza possibilità di cambiare una sola virgola nella sceneggiatura, Sam Peckinpah resta comunque un grande nome, ecco perché il cast del film è così nutrito, i produttori avevano puntato su uno dei prediletti di questa Bara, il mitico Rutger Hauer nel pieno della parte più memorabile della sua prolifica carriera. Attorno a lui, chiunque, fate un nome? Probabilmente lo troverete nel cast di questo film: gli occhi di ghiaccio di Meg Foster, Craig T. Nelson, Giovanni Ferito, Burt Lancaster, uno straordinariamente quieto Dennis Hopper (se lui e Peckinpah alla loro massima potenza avessero lavorato insieme, il mondo probabilmente sarebbe esploso) e ci scappa anche una particina per Chris Sarandon. Tutti volevano ancora essere diretti dal genio di Peckinpah.

Se Hopper e Peckinpah si fossero incontrati in momenti diversi, la vita sul pianeta non sarebbe più stata la stessa.

Un tempo Bloody Sam si sarebbe messo al comando di una banda di nomi del genere per muovere guerra ai produttori, questa volta, invece, complici anche le condizioni di salute, Peckinpah strinse i denti davanti a tutto quello che non era di suo gradimento (davvero parecchia roba) e consegnò il film senza nemmeno un giorno di ritardo, limitando la sua potenza sovversiva al contenuto del film, questo spiega perché lo scontro finale, una sorta di “home invasion” girata e montata come si fa in paradiso, viene combattuta dai protagonisti usando archi e balestre, invece dei più canonici fucili, oppure perché John Tanner (Rutger Hauer) cerca di modificare la forma del cranio di Bernard Osterman (Craig T. Nelson) con una mazza da baseball, mentre in sottofondo alla tv passa la telecronaca di una partita dello stesso sport. Piccole trovate anarchiche inserite per irridere volutamente la sceneggiatura, un po’ come già fatto in Killer Elite, ma in maniera più controllata.

Rutger per favore, non minacciare le lettrici e i lettori della Bara, loro non hanno colpa.

Malgrado la trama inutilmente arzigogolata, Peckinpah trova il modo di inserire momenti d’azione nel film che ricordano a tutti il suo straordinario talento, l’articolato inseguimento in auto che arriva a metà trama resta davvero notevole, così come l’incedere della violenza nel finale, ma il titolo è una storia di spionaggio che ha poco a che spartire con Peckinpah, forse potremmo trovare nella critica ai potenti qualcosa dell’anarchia del regista di Fresno, ma considerare la televisione e il suo potere, come la nuova frontiera che Peckinpah decide di esplorare, sarebbe una di quelle mosse da cinefilo con la pipa e gli occhiali, sarebbe come cercare di vendervi qualcosa che questo film non è, “Osterman Weekend” è un lavoro su commissione in cui è chiaro che la frontiera americana al tramonto, tanto amata da Peckinpah, ormai è andata, i personaggi di questo film sono quello che è rimasto. Dopo questa frase mi è quasi venuta voglia di fumare la pipa.

Questo spiega perché Peckinpah aveva girato delle parti relative a John Tanner che rendevano il personaggio di Rutger Hauer molto più oscuro e decisamente meno candido, ma i produttori se ne sono fregati lo stesso e dopo la proiezione di prova a cui il regista aveva diritto nel suo contratto, hanno segato via dal montaggio finale venti minuti, quelli necessari a far sparire ogni ombra dal personaggio di Tanner (storia vera).

57 canali e solo Rutger da vedere (quasi-cit.)

Il film comincia subito con il botto: Lawrence Fassett (John Hurt) sta facendo l’amore con la sua bella moglie russa che viene uccisa brutalmente dagli ex colleghi dell’uomo, giustiziata sommariamente per una presunta accusa di concussione con il KGB del tutto falsa. Peckinpah ci costringe ad essere spettatori di questo momento tragico a metà tra eros e thanatos (che non è un cattivo della Marvel), attraverso lo schermo di una televisione che passa il video di sorveglianza e siccome i primi cinque minuti di un film sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, questo resta il punto chiave di “Osterman Weekend”. La televisione è il nuovo occhio con cui noi Occidentali guardiamo il mondo, ecco perché ogni personaggio del film è fortemente legato al mezzo televisivo: Tanner è un giornalista della tv celebre per le sue interviste in grado di mettere spalle al muro chiunque, il Bernard Osterman di Craig T. Nelson è un borioso sceneggiatore televisivo, mentre Dennis Hopper un complessato chirurgo plastico, uno che si guadagna da vivere dando forma ai corpi che finiremo per vedere in televisione, anche se poi è schiavo di una moglie mangiauomini, fino ad arrivare all’agente della CIA Lawrence Fassett, di fatto John Hurt che lo interpreta in questo film, compare in scena quasi sempre sotto forma di immagine alla televisione, una sorta di Grande Fratello (occhiolino-occhiolino) che controlla e pilota le vite dei personaggi radunati tutti insieme per una rimpatriata tra vecchi amici nel fine settimana. Peckinpah gioca su questo punto in ogni modo possibile, anche scherzandoci su, ad esempio io trovo sempre spassosa la scena in cui John Hurt non riesce a staccare il collegamento e per non essere beccato dagli amici di Tanner, finge di leggere le previsioni meteo alla tv.

Dovreste averlo capito, gli sguardi in camera in questo film non mancano.

Che poi amici... Con amici così chi ha bisogno di nemici? L’agente Fassett per vendicare la moglie barbaramente uccisa, si mette in testa di smascherare i membri di un’organizzazione spionistica russa denominata "Omega", di cui fanno parte tutti i vecchi compari di Tanner. Quindi, si mette in contatto con il giornalista per convincerlo a sfruttare l’annuale weekend di rimpatriata per inchiodare i suoi amici diventati collaboratori dei Sovietici. Vi sembra tutto inutilmente complicato? Perché lo è, di fatto “Osterman Weekend” con il suo impianto da film di spie, sembra il risultato di una notte d’amore tra altri due film usciti nello stesso anno “Il grande freddo” e Videodrome.

Una sorta di “Il grande videofreddo” insomma.

Con Lawrence Kasdan ha in comune il gruppo di amici radunati a ricordare i vecchi tempi, mentre al pari di Cronenberg, Peckinpah sembra giungere alla conclusione che la televisione è il nuovo “occhio” della società, non proprio un organo fatto di nuova carne, ma quasi.

“Osterman Weekend” ha tutte le caratteristiche del film degli anni ’80: il cast, la trama di spionaggio che sfrutta la minaccia Sovietica, però, a ben guardarlo, sembra ancora molto legato allo stile degli anni ’70, con i personaggi che sono tutti più cattivi che veramente buoni (tranne Tanner per effetto dei tagli imposti dai produttori), le azzeccate musiche di Lalo Schifrin e anche il solido mestiere di Peckinpah che tira fuori il suo genio piazzando alcune zampate notevoli, come lo scontro finale a colpi di frecce, in quello che resta un grande gioco di specchi ed una riflessione sul potere delle immagini, d’altra parte Peckinpah ne ha create tante e memorabili, anche se forse Convoy sarebbe stato un finale di carriera più adatto, per un regista selvaggio e libero come la frontiera americana al tramonto che ha saputo raccontare così bene.

Un buon inseguimento Peckinpah, sa sempre come dirigerlo.

Certo, anche in “Osterman Weekend” torna vagamente il tema dell’amicizia virile e del tradimento, che ha fatto da filo rosso per tutta la sua filmografia, ma malgrado tutto questo il film andò in pari al botteghino, regalando molte più gioie al mercato del videonoleggio, quasi doloroso che l’ultimo film di Peckinpah si concluda con uno studio televisivo e delle macchine da presa abbandonate, anche se questo fotogramma è l’ultimo che Bloody Sam ha diretto per il cinema, non è stato l’ultimo diretto in carriera, lasciatemi l’icona aperta, tra poco ci torneremo.

Caparbio come sempre Peckinpah cercò di tornare a dirigere per il grande schermo fino all’ultimo, malgrado i diritti di sfruttamento del romanzo “Hi-Lo Country” che sognava di portare al cinema da una vita ormai fossero scaduti. Peckinpah passava molto del suo tempo nell’amato Messico, mai a troppa distanza dalla donna che ha sposato, lasciato e risposato svariate volte, la sua Begonia che era con lui quando il fisico provato da una vita di alcool e droga lo abbandonò definitivamente, il grave ictus che lo colpì fu la spallata definitiva per un corpo da sempre minuto e ormai devastato, nemmeno il volo d’urgenza in un ospedale in California servì a nulla, Sam Peckinpah cavalcò verso il tramonto il 28 dicembre del 1984, a soli 59 anni.

L’ultima sparatoria di Bloody Sam.

Nessuno ha incarnato il concetto di genio e sregolatezza più di Sam Peckinpah, un uomo che ha consumato la sua vita con la stessa passione con cui ha inseguito la sua arte, il suo lascito è fondamentale, da solo è stato il regista in grado di rivoluzionare per sempre le tecniche di montaggio per tutto il cinema moderno, ma quello che emerge dal suo cinema è molto più che i famigerati “balletti di sangue” per cui ancora oggi è ricordato, visto che la sua arte non è stata ancora oggetto di piena e meritata rivalutazione. Sam Peckinpah è stato un pazzo, un genio e un uomo dal talento enorme, spero abbiate apprezzate questa rubrica almeno quanto io mi sono divertito a scriverla, ma siccome uno così nella sua vita di normale non ha fatto proprio niente, anche qui alla Bara concludiamo la rubrica dedicata a Bloody Sam in modo insolito, fatemi chiudere quell’icona lasciata aperta lassù.

Si parlava di fine settimana con Peckinpah e l’ultima scena di “The Osterman Weekend” sarà stata anche l’ultima diretta per il cinema, ma non l’ultima regia di Bloody Sam, per quella, ci vediamo qui domani, intanto vi ricordo la pagina a tema Sam day Bloody Sam day.

18 commenti:

  1. "...a metà tra eros e thanatos (che non è un cattivo della Marvel)..."
    Vabbè, qui sono MORTO e ti ho fatto una standing ovation virtuale :)))

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    1. Eheh meglio precisare, viviamo in un mondo dove persone spendono tempo ad aggiornare la sezione delle curiosità su IMDB, solo per scrivere che tali attori hanno recitato entrambi in un film tratto da fumetto altrove, quindi è un attimo poi ritrovarci “Osterman Weekend” all’interno della Fase 4 dell’MCU :-P ;-) Cheers!

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  2. Il film lo vidi al Cinema, una visione organizzata dalla scuola, per poi discutere del potere dei media televisivi ( anche se all'apoca non si chiamavano ancora così)anche se alla fine quello che colpì la maggior parte di noi (eravamo una classe esclusicìvamente maschile) furono gli occhi di Meg Foster, mai più visti degli occhi così.

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    1. Irripetibili, bucavano lo schermo in “Essi vivono” ed erano l’effetto speciale più riuscito di Evil-Lyn nel film su MOTU ;-) Cheers

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  3. Mi sono fermato all'inizio del film, che prima mi voglio vedere (credo proprio manchi al mio appello, malgrado lo senta citare da sempre), ma l'inizio m'ha fatto morire: possibile non abbiano ancora fatto un film sulla vita di Sam? Ho visto storie biografiche parecchio meno intense :-P

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    1. Questo è uno di quei titoli che scappa sempre fuori, per il resto me lo chiedo anche io, hanno fatto biografie sulla vita di personaggi ben più banali, perché non Bloody Sam? La sua sarebbe la prima trilo-biografia: “Parte 1 - gli anni giovanili”, “Parte 2 - Il successo”, “Parte 3 - la devastazione”, nel mezzo uno spin-off su Katy Haber, qualunque attrice interpreterà quella santa donna vincerà un Oscar facile ;-) Cheers

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  4. Anno 1990, "Caccia a Ottobre Rosso" da Clancy e "La casa Russia" da le Carré fanno esplodere nei media gli autori di spionaggio: era dagli anni Sessanta che sfornavano libri poi portati al cinema, spesso interpretati dagli occhiali dalla montatura nera di Michael Caine, per tutti gli Ottanta uscivano film tratti da autori spy action, ma in quel 1990 addirittura uno a cui non fregava proprio nulla dell'argomento - come me - se ne lasciò travolgere. L'esperienza è durata poco e solo una grande verità universale è nata da quel 1990: che Robert Ludlum è il peggiore di tutti! :-D

    Sam Peckinpah che dirige un'arzigogolatissima, datatissima e moralistica storia di Ludlum è davvero un immenso spreco, e le due scene d'azione col montaggio "à la Sam" sembrano giusto un modo di Sam di dire "vi ricordate i miei film? Andateli a vedere, e lasciate stare questo". Fino a circa metà mi ha anche preso, ma poi la trama ha svaccato di brutto: la ricerca disperata di facili colpi di scena ha distrutto quel poco di buono che c'era nel film.
    Tra Chris Sarandon che fa il broccolino e Dennis Hopper assente ingiustificato è ovvio che poi Hauer e Nelson spicchino, se poi però la sceneggiatura avesse scritto per loro delle battute che non fossero semplici bofonchi sarebbe stato meglio. La tensione non sale mai, perché i due si limitano a guardarsi e a dire mezze frasi: sembrano due Bersani che parlano fra di loro. "Guarda che..." "E allora?" "Non mi far parlare, eh?" Se avessero fatto mettere mano a Sam, magari la storia sarebbe cambiata... ma sarebbe stata molto più viva.

    Nell'audio-commento di "Prometheus" il montatore spiega le tante (e spesso pesantissime) scelte di montaggio, specificando sempre che sono state prese insieme al regista. Quindi lo Scott sbagliato ha sempre avuto l'ultima parola sul montaggio, Sam Peckinpah mai: ti sembra giusto???
    Nella serie di interviste "Art of Action" sia Adkins che gli intervistati (attori marziali, coreografi e cascatori) si lamentano tutti del montaggio: spesso azioni che sono costate loro fatica e dolore, o addirittura danni fisici permanenti, in sala di montaggio vengono massacrate o persino tagliate. L'altro giorno è uscita l'intervista allo storico stunt-double di Chris Hemsworth. Ha fatto vedere una ripresa dietro le quinte di un suo salto pericolosissimo ma spettacolare, poi ha mostrato la scena montata nel film finito: sembra un saltino di mezzo metro, massacrato da un montaggio serratissimo che non fa capire niente.
    Insomma, i montatori sono i nemici giurati degli artisti di ogni tipo: ogni autore dovrebbe chiedere per contratto di avere l'ultima parola sul montaggio!

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    1. Non lo trovo affatto giusto e la cosa che fa un po’ sorridere è che i cinefili parlano di regia, si sciolgono per i piani sequenza (anche giustamente) invocano la fotografia ma il montaggio? Mai, quando è il metronomo di ogni film, alcuni film sono stati salvati da grandi montaggi (sto pensando a “Top Gun” un film costruito in sala di montaggio sudando sette camice), ecco perché secondo me Peckinpah non è ancora stato oggetto di una rivalutazione piena.

      La trama è davvero un arzigogolo inutilmente esagerato che fa giri enormi in cerca di grandi colpi di scena, Peckinpah non ha combattuto per avere l’ultima parola in sala di montaggio, non poteva farlo in questo film e forse non aveva nemmeno più il fisico a sostenere il suo fuoco interiore, però se lo avesse fatto sarebbe stato un film migliore, per questo considero “Convoy” la migliore uscita di scena possibile per Bloody Sam. Cheers!

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    2. Puro vangelo, pard.
      Kubrick diceva che il set è il posto più caotico e il peggiore del mondo per produrre un film, e che il vero momento creativo è la sala di montaggio, dove Stan si chiudeva dentro per mesi col suo girato. Sergio Leone passava anche lui dei mesi in sala di montaggio, cercando la perfezione. Tarantino è più fortunato, ha incontrato presto Sally Menke e per anni ha avuto montaggi meravigliosi (beh, anche dopo la compianta Sally, ma qualcosa si è perso). Invece Hitchcock pare che soffrisse degli stessi timori di Bloody Sam. Pare quindi che si sforzasse di girare le scene in modo che i produttori non potessero manometterle: le girava in modo che potessero venire montate unicamente nel modo che lui desiderava.

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    3. Hitchcock era della vecchia scuola, John Ford e Howard Hanks facevano allo stesso modo, Peckinpah non solo ha rivoluzionato le tecniche di montaggio, ma ha sempre fatto la guerra ai produttori per imporre la sua visione di autore. Cheers!

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  5. Finalmente ce l'ho fatta, uff.
    Scusate il ritardo, ma a questo weekend non potevo mancare.
    Ah, ah!! Ehm...
    Si, in effetti era meglio chiuderla con Convoy, a conti fatti. Sull'epitaffio di uno che per tutta la vita tento' un esodo impossibile.
    Ma questo resta un film davvero atipico.
    E' sicuramente la sua opera piu' cinica e pessimista.
    Non si salva nessuno, nemmeno il presunto buono. E stando a quel che dici (e non ho motivo di dubitarne, ci mancherebbe), Tanner in principio doveva essere ancora piu' ambiguo.
    E per forza: ma come fa ad essere buono Hauer, che fa paura anche quando certi ruoli li deve interpretare per contratto!
    E la Foster, con quei due occhi di ghiaccio che si ritrova!
    Scherzi a parte, il divino Rutger e' una garanzia. Dove lo metti ti porta a casa gioco, set e partita.
    Idem per il resto del cast, a dir poco stellare.
    Il grande Sam e' come Quentin: lo si pui' amare o odiare, ma c'e' gente (e che gente!) che pur di lavorare con lui avrebbe recitato gratis.
    Sam era ormai prossimo alla fine della pista, anche se a detta sua non ne aveva manco per le scatole di schiattare.
    Eccessivo fino all'ultimo. E fedele alla sua linea, sceglie un genere desueto come lo spionaggio. O meglio, non ancora rivalutato.
    Siamo negli anni 80 ma questo film sembra di un decennio dietro. Ma non e' necessariamente un male, intendiamoci.
    E in piu' si leva qualche sassolino dalla scarpa. Del tipo lanciare un atto d'accusa alla sempre piu' invadente presenza della tecnologia, del controllo, e dei mezzi di informazione. E della TV, che sublima il tutto appena descritto nel peggior modo possibile.

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    1. Ricorrendo a escamotage di stampo televisivo, anche. Come la presenza ossessiva di telecamere, filmati e registrazioni.
      Ora...Orwell era ben conosciuto, e da tempo. Ma scommetto che in molti dubitavano che quella realta' potesse mai uscire dalle pagine di un romanzo, un giorno.
      Cosi' come immagino che ci saranno stati i soliti sapientoni che avranno ritenuto che Sam stesse esagerando.
      MA QUANDO MAI, avranno pensato.
      Tsk. Avessero visto cosa c'e' oggi, con tutta la spazzatura a base di reality e talk shows.
      E la gente li guarda solo per un motivo. La rissa.
      Vogliono i litigi, gli insulti. Il godimento massimo e' chiudere un po' di gente che la pensa ad un modo e un po' che la pensa in un altro e vedere chi urla e offende di piu'.
      Sam ci aveva visto lungo, mi sa.
      Ha anticipato i tempi, dunque?
      Mmh. Direi di no.
      Perche' come fai giustamente notare tu, non bisogna cascare nella trappola.
      Non e' roba sua. E non e' farina del suo sacco.
      La storia della sua vita, proprio. Non gli hanno mai riconosciuto i suoi meriti, e l'unico con cui lo hanno fatto non gli appartiene. E credo che lui fosse il primo, a non farsene nulla.
      La sua mano si vede nel film vero e proprio, piu' che nella trama o nella psicologia del film stesso. Con le scene d'azione e di violenza. E col fatto che quando costringi un gruppetto eterogeneo in uno spazio delimitato e a una convivenza forzata, basta trovare la miccia adatta (intrighi e doppiogiochismo, in tal caso) ed esplode tutto.
      Emblematica davvero la scena finale: col grande Sam immaginavo un tramonto sconfinato, non una stanza vuota coi ferri del mestiere abbandonati.
      Ma la festa e' finita, purtroppo. E sul serio, stavolta.
      Triplo grazie per questa retrospettiva, Cass. Che mi ha permesso anche di conoscere l'uomo, oltre che l'artista. Soprattutto il primo.
      Non ha mai goduto della liberta' creativa e della considerazione toccata a tanti altri, e forse meno bravi di lui.
      Ma per me resta un mito.
      Che riposi tranquillo e in pace. E che corra libero, finalmente.
      Farewell, maestro.
      Un giorno ci riv...anzi, ci conosceremo senz'altro.
      Mi accontento di fare anche l'attrezzista. Quando non saro' al lavoro col TONY, eh.
      Sono curioso di sapere qual'e' l'ultimo tassello...

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  6. Ops...
    Beh, forse complice l'ora tarda, mi ero dimenticato di VOGLIO LA TESTA DI FARCIA.
    Li' almeno sul pessimismo non lo barre nessuno. Anche se la vicenda e' talmente grottesca che in parte ne mitiga lo spirito nichilista.
    Ecco, parlando di OSTERMAN WEEKEND forse cinico e' l'aggettivo migliore.
    Forse a indicare la freddezza e il distacco con cui lo ha girato.
    In GARCIA i due protagonisti dal punto di vista emotivo sono piu' vividi. E almeno hanno i loro momenti felici, prima che la situazione precipita e vada tutto in malora.

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    1. "Voglio la testa di Garcia" é ben più nero, spero che la rubrica sia piaciuta, avevo davvero voglia di rendere omaggio ad uno dei più grandi di sempre, non poteva mancare su queata Bara ;-) Cheers

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  7. Sto cercando di fare mente locale. Se guardo le immagini che hai allegato mi sembra di averlo visto, ma leggendo la recensione ho il vuoto. Eppure un inizio eros thanatos (no Thanos) dovrebbe essere abbastanza da non farmi dimenticare il film, il cast poi figuriamoci. A sto punto mi tocca recuperare la visione per approfondire.

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    1. Il classico film famoso ma non famosissimo, crea sempre l'illusione, forse Peckinpah ci sperava un po' ;-) Cheers

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  8. Forse non il film migliore per ricordare Sam Peckinpah ma conosco film molto peggiori di questo. Sicuramente si è goduto la vita per ogni secondo che ha speso in questa terra (anche se forse non altrettanto si può dire dei suoi famigliari).

    Comunque condivido il tuo pensiero sul fatto che il regista non è stato ancora rivalutato (per esempio io l'ho scoperto in blog di un certo Cassidy).

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    1. Un grande onore da parte mia davvero, se riusci con le mie caSSate a convincere qualcuno a vedere bei film, sono ben felice ;-) Cheers

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