venerdì 4 dicembre 2020

Voglio la testa di Garcia (1974): in viaggio con la testa

Di solito uno la testadovrebbe tenerla ben salda sulle spalle cercando di non perderla o, nel caso peggiore, cercare sempre di portarsela dietro, insomma: usare la testa nella vita è importante anche in questo nuovo capitolo della rubrica… Sam day Bloody Sam day!

Se Getaway! è stato il più grosso successo commerciale di Peckinpah e Pat Garrett e Billy the Kid il canto del cigno forse di un intero genere, quello più amato in assoluto dal regista di Fresno, tutto ciò che è arrivato è il frutto di un regista spezzato, questo non vuol dire che non ci sia qualità del resto della filmografia di Bloody Sam, ma qualcosa dentro di lui si era definitivamente rotto.

Proprio i due titoli citati garantivano a Peckinpah la fiducia della United Artist, ma la verità è che un regista che ha sempre vissuto così intensamente la sua arte e le sue abitudini autodistruttive, è uscito con le ossa rotte dalla sparatoria con la produzione che aveva mutilato il suo Pat Garrett e Billy the Kid. La disillusione di Peckinpah per il sistema ormai era totale e a questo non contribuiva di certo il clima politico del suo Paese.

Malgrado molti siano sempre stati pronti ad additarlo come destrorso, Peckinpah aveva un profondo disprezzo per il neo rieletto presidente Nixon, quindi il suo sentimento di totale mancanza di fiducia verso tutte le istituzioni non avrebbe potuto raggiungere livello di disgusto più alto di così. In compenso, la vita personale era un mezzo disastro: Peckinpah perdeva pezzi da tutte le parti, a livello di salute l’abuso di alcool aveva minato un fisico già provato, ma il regista perdeva anche collaboratori che non riuscivano più a stare accanto ad un uomo con così tanto carisma e talento, qualcuno che avevano stimato così tanto e che ormai pareva votato all'autodistruzione più totale, perché oltre all'alcool ora nella vita di Peckinpah era arrivata una signora bianca di nome Cocaina, quella che secondo il regista gli forniva quelle botte di energia necessarie a lavorare e compensare gli effetti devastanti dell’alcool.

“Solo un altro bicchiere prima di andare a casa”, “Sam mi hai scambiata per il barista?”

Progetti come “Castaway” (no, non quello del naufrago che parla con i palloni), oppure “Hi-Lo Country” vengono messi definitivamente da parte, in questo clima plumbeo e con l’umore sotto i tacchi, Peckinpah si gioca il credito di cui ancora dispone per un progetto a cui era interessato fin dai tempi di Cane di paglia.

L’idea per il film gli venne suggerita da Frank Kowalski, parlava di questo spiantato che campa suonando nei bar, un uomo oltre i quaranta che capisce di aver sbagliato tutto e per rimettere in carreggiata la sua vita, accetta di fare qualcosa di riprovevole, ma molto ben pagato, come portare un pezzo di un cadavere di un ricercato ad un criminale disposto a pagarlo a peso d’oro. «Quale pezzo?» chiese Peckinpah, «La sua testa» rispose Kowalski (storia vera).

Dicono che nella vita bisogna usare la testa, ma forse non intendevano in questo senso.

Peckinpah affida la sceneggiatura a uno dei suoi fedelissimi, Gordon Dawson, proprio uno di quelli che di lì lo avrebbe abbandonato soffrendo troppo nel vedere il regista autodistruggersi sempre di più. Dawson poco convinto si arena attorno alla metà della sceneggiatura, quindi ci pensano lo stesso Peckinpah e Kowalski a sfornare un centinaio di pagine, il cui il boss criminale disposto a pagare diventa un grosso spacciatore sudamericano chiamato El Jefe e l’ambientazione del film diventa, ovviamente, l’amato Messico di Sam, anche perché laggiù il regista può sempre ritrovare la sua adorata Begonia, colei che ogni tanto lo consola e più spesso gli lancia dietro i piatti del servizio buono.

In questo clima cupo, Peckinpah rimesta dentro se stesso e sforna il suo lavoro più oscuro e tormentato, Martin Baum fondatore della United Artist si fida della visione del regista garantendogli libertà a due condizioni: il film dev'essere girato in Messico in quarantasei giorni e il budget non deve superare un milione e mezzo di fogli verdi con sopra stampate facce di ex presidenti spirati. A Sam Peckinpah tanto basta e in un attimo è di nuovo in Messico con i suoi pretoriani, questo spiega perché Warren Oates, una vita da gregario di lusso, uno che aveva divorziato pur di seguire Peckinpah in Messico, qui sia stato promosso sul campo al ruolo di assoluto protagonista, in quella che è ancora oggi forse la sua prova più riuscita di sempre. Il cast si completa con la divina Isele Vega, una delle celebrità più adorate del Messico nei panni della prostituta Elita, mentre per il malefico El Jefe troviamo ancora una volta il regista e fidato attore Emilio Fernández.

I titoli di testa (ah-ah!)

“Voglio la testa di Garcia” è un frullatore di generi cinematografici tenuti insieme dal montaggio di Peckinpah che nel suo risultare a volte scollato è del tutto funzionale alla storia più nera e grottesca mai scritta e diretta dal regista di Fresno. I film di Bloody Sam, come abbiamo visto anche in queste settimane, hanno sempre contenuto al loro interno il filo rosso del tema del tradimento e dosi abbondanti di violenza, mai utilizzata solo fine a se stessa, ma sempre per riflettere sulla natura barbarica e animalesca dell’uomo. Per certi versi, Peckinpah è sempre stato un regista realistico, ma qui per la prima volta pone la firma sul suo film più stilizzato, a ben guardarlo, “Bring me the head of Alfredo Garcia” sembra il frutto di una sudata e sbronza notte di sesso tra un fumetto della EC Comics e un romanzaccio Pulp, lanciare in faccia al pubblico un film così era il modo di Peckinpah di buttare fuori il marcio che sentiva di avere dentro di sé, un atto di coraggio estremo, per un film che è proprio così: estremo in tutto come il suo regista.

Voglio la testa di Garcia” inizia con una scena quasi bucolica, una ragazza incinta nei pressi di un lago si gode la brezza, ma in un attimo viene presa dagli sgherri di El Jefe e torturata senza pietà per farle confessare tra le urla il nome dell’uomo che l’ha deflorata (malgrado sia la figlia del potente criminale): Alfredo Garcia, un noto sciupa femmine che usava il suo fascino “latino” per infilarsi in tutte le mutande al di qua e al di là del Pecos, anche se nessuno lo vede più da parecchio tempo.

La scena di apertura è l'unico momento conciliante di un film marcio fino al midollo.

Per trovarlo El Jefe finanzia una caccia all’uomo in pieno stile Western (che è il genere da cui Peckinpah parte per portarci in questo viaggio allucinante) con tanto di taglia di un milione di Dollari a chi gli porterà la testa di Alfredo Garcia. Per un effetto in stile “subappalto” e per il fatto che nessuna sa più dove sbattere la testa, per trovare questa testa, due degli sgherri di El Jefe s'imbattono in Bennie (Warren Oates), gringo che si arrangia come pianista di piano bar nei peggiori locali del Messico, suonando per i turisti e parlando di pallacanestro, il suo preferito? Bill Russell dei Celtics. Ottima scelta Bennie, solo uno dei più grandi di sempre.

Dopo anni di panchina lunga, finalmente Warren Oates gioca titolare.

Bennie ha sentito parlare di questo Alfredo Garcia e per un po’ di soldi potrebbe sbrigare il lavoro, una cosetta disgustosa, ma semplice che potrebbe fargli guadagnare dieci mila fogli verdi con ritratti di ex presidenti sopra che permetterebbero a lui e alla sua amante, la prostituta Elita (Isela Vega) di svoltare e sistemarsi per sempre. Pochi, maledetti e subito, in cambio di dieci minuti di paura.

Sì, perché Bennie conosce molto bene Alfredo Garcia, un personaggio di cui tutti parlano, ma che nel film non si vede mai, un MacGuffin non più vivente che un tempo era stato tra gli amanti di Elita ed ora giace cadavere in un cimitero che solo Bennie conosce, sarebbe facilissimo raggiungerlo, scoperchiare la bara, staccare la testa e portarla agli uomini di El Jefe. Un lavoro disgustoso che Bennie ed Elita affrontano come l’occasione per fare una vacanza, viaggiano su una decapottabile rossa (prima di Hunter Thompson e del suo avvocato), fermandosi per suonare un po’ la chitarra e magari organizzare un piccolo picnic tra innamorati.

"Come tuo avvocato ti consiglio di noleggiare una decappottabile velocissima" (cit.)

Ma “Voglio la testa di Garcia” è un film dove il più pulito dei personaggi, come minimo ha la rogna, non ci sono buoni, il protagonista è un rottame, sarà pure un ex militare, ma ormai è un bidone che Warren Oates interpreta quasi come un alter ego del suo regista che conosceva così bene, stessa tipologia di baffo, occhiali da sole sempre sul naso, persino con il linguaggio del corpo Oates trasforma Bennie in una sorta di fumettistico Peckinpah, un (anti)eroe la sua donna angelicata è una puttana, anche se il loro amore è purissimo e quasi tenero. “Bring me the head of Alfredo Garcia” per alcuni minuti è il più bel film romantico mai diretto da Peckinpah ad Ovest di La ballata di Cable Hogue perché il cinema del regista di Fresno è sempre stato caratterizzato da grandi coppie alle prese con strambi e tormentati matrimoni, Bennie ed Elita non sono da meno.

Manca solo butterfly morning in sottofondo.

Ma nel mondo di “Voglio la testa di Garcia” nessuno è buono, nemmeno i figli dei fiori sono dei santi, infatti durante la loro scampagnata Bennie ed Elita vengono infastiditi da due hippie che sembrano scappati da “Easy Rider” (1969) di cui uno, interpretato dall’amico e fedelissimo del regista, Kris Kristofferson che è proprio quello che violenta Elita scatenando la furia di Bennie. Ovviamente, anche per questo film, Peckinpah si è beccato delle accuse di misoginia, ma è piuttosto chiaro che questa storia parli di personaggi che vivono in un mondo dove i valori morali sono andati per sempre, l’uomo che aveva mitizzato il sogno della frontiera americana e che in ogni suo film ci ha raccontato il suo tramonto, ci trascina per il bavero tutto in quello stesso mondo dove ormai è definitivamente calata la notte e nessuno è più al sicuro, quello che resta del sogno della frontiera è un terribile incubo ad occhi aperti, in cui ancora una volta un uomo svende la sua anima in cambio di denaro.

Il vecchio Kris (a sinistra), venuto giù per un piccolo ruolo in un film del suo amico Sam.

Il viaggio di Bennie è una lenta e inesorabile discesa all’inferno, la violenza su Elita è un passaggio chiave, ma quello successivo è quello della svolta: una volta raggiunta la tomba dove è sepolto Alfredo Garcia, Bennie ed Elita vengono aggrediti dagli sgherri di El Jefe che uccidono la donna e dopo aver colpito Bennie in testa con una pala, lo abbandonano nella tomba credendolo morto. Il suo “risveglio” è peggiore della morte: Warren Oates caccia fuori una prova disperata nei panni luridi di un uomo che ha perso la donna della sua vita, mentre Peckinpah, diabolico, riprende l’uscita dalla tomba di Bennie quasi come se fosse la resurrezione di uno zombie. In un attimo un film iniziato come un Western e andato avanti come una storia d’amore si trasforma sotto i nostri occhi in un Horror: Bennie è un morto vivente e, come tale, non ha più nulla da perdere.

La notte dei morti viventi.

Per recuperare la capoccia, Bennie si lancia in un attacco frontale ai due sgherri in cui Peckinpah può portare in scena un po’ dei suoi “balletti di sangue”, in quanto padre nobile di tanto cinema d’azione, l’azione nei suoi film non può mancare, ma in questa porzione di pellicola “Bring me the head of Alfredo Garcia” abbraccia la natura Horror del film, Peckinpah ci fa sentire il caldo del Messico, le immagini che scorrono sullo schermo sono così sporche da far sentire un po’ sporchi anche noi: il ronzio delle mosche che ronzano attorno alla capoccia mozzata di Garcia trasportata in un sacco sono una colonna sonora anche più costante di quella composta dal fidato Jerry Fielding, il tutto mentre un protagonista morto dentro, parla senza filtro e con totale sincerità con la capoccia mozzata di un cadavere, due morti che chiacchierano sui massimi sistemi. Scene che sembrano uscite da un fumetto Horror oppure da un romanzo Pulp, ancora oggi a distanza di anni dalla sua uscita, proprio i fumetti sfoggiano ancora i segni dell’influenza di questo film, nulla mi toglie dalla testa (ah-ah) che Deadpool - in viaggio con la testa abbia pescato da Peckinpah a piene mani.

Non è chiaro se Alfredo sul sedile del passeggero, debba allacciarsi la cintura oppure mettere il casco.

Ma è nel finale che Bloody Sam, come Bennie, non prende più prigionieri, risalendo tutta la linea gerarchica dell’organizzazione di El Jefe, il nostro antieroe demolisce a revolverate tutto e tutti quelli che si mettono sulla sua strada, ci sono scene d’azione tiratissime, alcune sparatorie anche a breve distanza che hanno fatto scuola, di sicuro ad uno che in Peckinpah aveva avuto proprio un mentore, Walter Hill, ad esempio, ha reso omaggio al suo maestro e a questo film in maniera piuttosto esplicita.

Nella primissima stesura della sceneggiatura, Bennie avrebbe dovuto cavalcare verso un inglorioso tramonto con i soldi in una mano, la testa del suo nuovo confidente nell'altra, dopo aver distrutto l’organizzazione criminale, ma Peckinpah ha presto cambiato idea: nel mondo senza morale di Bennie, anche il protagonista deve morire per i suoi peccati.

L’ultima sparatoria è brutale, feroce, montata con la bava alla bocca e proprio perché in questo (non tanto) coraggioso nuovo mondo, sorto dopo il tramonto dei valori della frontiera, non c’è scampo per nessuno, il film si conclude con il nero dell’interno della canna di un fucile, puntato dritto in faccia a noi spettatori, uno sparo e la firma: directed by Sam Peckinpah. Una dedica da cui anche noi spettatori veniamo colpiti dritti in faccia e non serve nemmeno mostrarla in scena la morte di Bennie, noi lo sappiamo che l’antieroe è già morto nella tomba di Alfredo Garcia a metà del film.

BANG! (visto finali meno potenti in vita mia)

La produzione fila liscia e senza ritardi, malgrado le condizioni fisiche di Peckinpah che si teneva su con la cocaina e grazie al fatto che la sua assistente, l’eroica Katy Haber, gli annacquasse i drink e lo costringesse non solo a mangiare, ma anche ad uscire dalla sua roulotte utilizzata come camerino in orario. Peckinpah viene ancora oggi dato troppo per scontato, ma un encomio lo meriterebbe anche Katy Haber.

Alla sua uscita in sala “Voglio la testa di Garcia” viene odiato dal pubblico, quando le luci si riaccendevano nelle poche sale in cui la United Artist è riuscito a piazzare il film, di norma restavano seduti meno della metà degli spettatori che erano entrati ad inizio spettacolo. La critica si scaglia contro Peckinpah con ferocia, accusandolo di misoginia e mettendo in dubbio tutto, persino i capolavori precedenti vengono derubricati a botte di culo, casi isolati di un regista che resterà per sempre marchiato come “quello dei balletti di sangue” o al massimo, quello dei rallenti, un’etichetta ancora incollata addosso a Peckinpah che viene, a mio avviso, dato fin troppo per scontato, quando, invece, la sua rivoluzione ha cambiato il cinema in maniera ben più profonda.

Peccato che il grande pubblico dei film di Peckinpah, abbia capito solo la violenza.

Bloody Sam in carriera ha preso le distanze da alcuni suoi film, per altri ha sempre ricordato a tutti quanto gli siano stati tolti dalle mani e massacrati, ma per “Voglio la testa di Garcia” no, non lo ha mai fatto, anzi ha sempre dichiarato che bello o brutto era un suo film al 100%, uno dei pochi dove ha avuto piena libertà creativa e, se posso dirlo, il più controverso e interessante di quelli mai diretti da Peckinpah, un’opera dolente e furiosa che non esito a definire un vero culto, che alla sua uscita non è stato capito, ma oggi abbiamo tutti i mezzi per comprenderne in pieno la grandezza.

Nel 1974 gli Americani volevano dimenticare la guerra del Vietnam e i suoi orrori, di certo non erano pronti per un antieroe che deambula dialogando con la testa di un cadavere in putrefazione, i risultati del botteghino americano del 1974 parlano chiaro: nelle prime sei posizioni ci sono tre film catastrofici, mentre il terzo classificato e il primo, sono due parodie di cui una, proprio di un Western, il genere preferito di Peckinpah.

Pulp, molto Pulp, pure troppo (cit.)

Eppure, se uscisse oggi “Voglio la testa di Garcia”, con la sua anima nera e vagamente post moderna, sarebbe molto più apprezzato dal pubblico, se lo dirigesse Tarantino di sicuro pioverebbero applausi anche perché Peckinpah nel 1974 era già stato “Tarantiniano” quando Quentin andava ancora alle elementari. Ma tra i registi che sono stati influenzati da Bloody Sam, metteteci anche uno che Tarantino lo conosceva bene, quello giusto di casa Scott, Tony, con il suo Revenge, è stato uno dei pochi a mettersi sulle piste di Sam Peckinpah, uno che è stato il maestro di tanti maestri e che proprio come questo suo oscuro viaggio con la testa, meriterebbe di essere pienamente riconosciuto come il genio che era: sregolato, certo, ma la testa l’aveva, in tutti i sensi!

La prossima settimana, il viaggio sulle tracce di Sam Peckinpah continuerò per un altro tormentato capitolo, state pronti, ci sarà un po’ da ballare (e da menare), intanto non perdetevi la locandina d'epoca di questo film dalla pagine di IPMP.

30 commenti:

  1. Onestamente sto film di Sam non l'ho mai visto. Ne ho sentito (poco) parlare e quelle rarissime volte che viene fuori, non viene trattato coi guanti bianchi. Anzi...

    Bellissimo il paragone con Tarantino che a sto punto mi sa che si è tolto lo sfizio di citare Peckinpah (o omaggiarlo) quando in SIN CITY volle aiutare Rodriguez girando la scena in auto con Dwight (Clive Owen) e il cadavere parlante di Jackie Boy (Benicio del Toro). Che dici? Può essere?

    P.S.: ma un post su quel capolavoro totale al primo posto nella classifica del '74 non hai intenzione di farlo? Com'è che dici "i primi 5 minuti del film..."? Pronti via: mangiata di fagioli e "concerto". Devastante! Politicamente scorrettissimo, ricco di allusioni e doppi sensi, cinico, meta-cinematografico,... Ora sarebbe messo all'indice. (il 3° in classifica è talmente noto che trovo parecchio difficile fare un post, anche se un bel specialone su Mel Brooks, mio grande amore di gioventù, ci starebbe tutto qui sulla Bara prima o poi...)

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    1. Per questo sostengo che è un film, che con la sua forma così stilizzata, ha influenzato molto anche il fumetto occidentale, bisognerebbe capire se l’omaggio arriva da Frank Miller nel suo fumetto oppure da Tarantino, che ha fatto di tutto per far sapere che quella scena l’ha diretta lui.
      Riflessione servita come contorno: Peckinpah non è stato oggetto di rivalutazione nemmeno dopo gli omaggi e le citazioni spudorate di Tarantino, ma quale regista lo è stato? L’ammiratore medio di Tarantino spreca la possibilità di correre a cercare i film che il regista di Knoxville cita, probabilmente per pigrizia congenita o mancanza di curiosità, e questo è deprimente almeno quanto il fatto che “Voglio la testa di Garcia” sia ancora un film così ignorato. Cheers

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    2. Esco un attimo dall'argomento per chiederti una cosa sul Gallo, che reputo di gran lunga, il migliore giocatore nostrano e ho da sempre un occhio di riguardo nei suoi confronti. Ovviamente i dollari hanno la precedenza, ma secondo te ha fatto la scelta giusta? Come l'avresti visto, dico a caso, a Miami? Magari a fare il terzo violino e a sparare bombe dall'angolo sugli scarichi o attaccare il ferro dalla linea di fondo. Non dico che con un uno come Gallinari in squadra Miami avrebbe battuto i Lakers e LeBron in "missione", ma... ma... Uno con le sue caratteristiche a Miami ci sarebbe stato a pennello. O anche ai Bucks (a fianco di Giannis) che cercavano giocatori esperti e di rotazione come il pane...

      Agli Hawks ha strappato il contrattone (l'ultimo?), ma credo abbia rinunciato definitivamente a provare a mettersi l'anello come il Beli. In fondo in fondo, prenderne 20 all'anno o "solo" 10 faceva differenza per uno già milionario? Che ne pensi?

      (nota tecnica: se a me dessero 60mln di dollari per 3 anni e avessi la Boi a fianco, fanculo all'anello! Chiusa parentesi)

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    3. Dai per scontato che ci sia stata una scelta. Ha forse scelto Gallinari di andare da New York a Denver? Certo che lui si sia proposto per giocare in una squadra da titolo, ma qualche squadra da titolo si affiderebbe (anche come terzi violino) ad un giocatore solidissimo, secondo me il più forte tra gli Italiani (anche di Belinelli, con tutto l’enorme rispetto) che però per l’anello non ha giocato mai? Vale quindi il principio se ti pagano, prendi i soldi. Cheers

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  2. Come dissero i fratelli Coen:
    ... " è sicuramente uno dei 10 film che ci porteremmo su un' isola deserta anche se non lo abbiamo mai visto ma già solo il titolo è fantastico".. .
    Anche quello tradotto da noi aggiungo io, meraviglioso come il film.

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    1. La versione Italiana del titolo toglie il nome Alfredo lasciando solo il cognome, però sul serio, se non lo avessi già visto tante volte, io un film con un titolo così lo vorrei vedere subito ;-) Cheers

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  3. Il film piu' "oscuro" del grande Sam.
    Poco conosciuto, e chi lo ha visto ha cercato di dimenticare e in fretta.
    Meno se ne parla, meglio e'.
    Anche a me era venuto subito in mente "Sin City".
    Ma il fumetto, pero'.
    Dove le occasioni di dialogo tra Dwight e la testa erano ben piu' numerose e marcate.
    Beh, si. Pure il film.
    Ne convengo che ai tempi mostrare un tizio che va in giro con una testa mozzata in un sacco era troppo.
    Oggi come oggi dopo roba come "Sin City", "Seven", e decine di horror con torture porn annessi, non si scandalizza piu' nessuno.
    Ma lo avevo trovato piuttosto disturbante, ai tempi.
    Ormai e' chiaro che per Peckinpah il giocattolo si e' rotto.
    Eppure e' capitato a tutti, a ben guardare.
    Persino ai padri fondatori del cinema americano come Ford.
    Basti vedere i suoi ultimi film.
    Arriva per tutti il momento della disillusione.
    Io ci faccio un paragone col maestro John, e con quella che considero la sua opera piu' personale.
    "Essi Vivono".
    Gente come Carpenter e Peckinpah (quest'ultimo nonostante gli abusi di qualunque cosa) hanno sempre un occhio attento a quel che succede intorno.
    Non sembra, a prima vista. Ma notano è sentono tutto.
    E con questi due loro film hanno sbattuto dritto in faccia le loro opinioni, e quel che pensano a riguardo.
    E cioe' che quel che vedono GLI FA SCHIFO.
    Non ci sono grossi nomi, in questo film. Fatta eccezione per Kristofferson, che non e' che fosse cosi' famoso.
    E se si nota bene...persino i due hippie motorizzati non hanno nulla dei classici figli dei fiori.
    Appartengono alla generazione successiva, quella lurida, composta da criminali e tossici che si erano aggregati alla contestazione solo per avere mano facile su droghe e donne. E su rapine, furti e spaccio.
    Quelli che di fatto mandarono il movimento in vacca. Uno sfacelo che culmino' con le stragi di Bel - Air.
    Un film dolente, controverso ma insieme coraggioso. Che andrebbe rivalutato.

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    1. Dimenticavo...
      Dopo questo film, tutti al grande Sam lo danno per finito.
      Per morto, proprio come Benny.
      Non sanno quanto si sbagliano.
      Il nostro ha ancora un paio di assi da giocare.
      Tipo il miglior film di guerra mai fatto, ad esempio.

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    2. Più che altro io definisco quel film, quello più originale mai fatto in America sulla seconda guerra mondiale! “Io vi mostrerò come combatte un vero ufficiale prussiano.”

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    3. Affronteremo anche quello, penso che sarà l'ultimo Peckinpah prima della pausa di Natale, gli ultimi titolo della rubrica poi, li terrò per l'inizio del 2021. Cheers!

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  4. Un film devastante! Ma era valida la consegna della testa di Garcia anche se questo era già morto da un pezzo?

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    1. L'importante era provare che fosse lui e morto, quindi anche la testa bastava ad avanzava. Cheers!

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  5. Carabara, posso solo ringraziare gli dei del cinema perché Sam P. è riuscito a girare almeno un film come voleva e senza pressioni - pensa come si troverebbe oggi a discutere con i produttori in tempi di cinecomics - anche se io per primo trovo disturbanti - e credo fosse l'intenzione del regista - alcune sequenze del film. Naturalmente il protagonista che parla con la zucca di un morto arriva d molto lontano e Sam P. ed io mio amico ed ex allievo FM con la sua città del peccato sono appunto ottimi allievi di un genio, ma non credo di dover esser io a cantare le lodi dell'Amleto del Bardo che è appunto la Testa di Garcia del vecchio Bill con la sua struttura eccessiva, la sua overdose di monologhi e la presunta misoginia del famoso go to the nunnery rivolto ad Ophelia.
    Mi permetto di dire la mia sull'argomento, citando una intervista di Howard Chaykin in cui spiega perché quando i suoi comics sono ambientanti nel passato ( penso al suo The Shadow ) ci sia turpiloquio e donne trattate come oggetti, facendo l'esempio di suo padre che, considerata la sua generazione, doveva essere " un vecchio bastardo, come tutti gli altri ". Più o meno. Occorre insomma contestualizzare, tanto x usare una abusata espressione. Sam era un figlio di quegli anni. Un privilegiato che aveva potuto vedere tutti i mondi. Una zucca matta e forse troppo sensibile. Era stato nei salotti e nelle bettole e preferiva le seconde come il nostrano papà di Boccadirosa. Aveva conosciuto donne che sopravvivevano giorno x giorno praticando il mestiere + vecchio e sapeva che spesso conoscevano il fango, il disonore, la sconfitta e vecchi bastardi alcolizzati come avrebbe potuto diventare anche Sam, se non avesse avuto almeno il suo talentaccio che è talmente inebriante che ragazzacci come Tarantino danzano leggeri a quel ritmo oscillando tra donne indipendenti come Jackie Brown e vittime designate come Daisy Domergue di The Hateful Eight. Ciao ciao

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    1. Di sicuro Peckinpah che arrivava dal teatro ha visto subito il Bardo in questa storia, ha sempre fatto riferimento ai suoi film, paragonandoli ad opere teatrale antecedenti, quindi perché no? ;-)
      Vorrei una biopic su Howard Chaykin, lo dico sempre e aggiunto che la tua analisi è perfetta. Tarantino non ha avuto il vissuto “dannato” di Peckinpah, il vecchio Sam bruciava nei suoi peccati come i suoi personaggi e in quella fiamme, non dico che ci stava bene, ma non si tirava indietro, un tipo a dir poco viscerale ;-) Cheers!

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  6. l'ho visto mi piace ma nessuno mi toglie dalla testa che sia debitore di
    La mala ordina di di Leo del 1972

    la partenza è diversa ma lì al posto di oates c'è hadorf contro tutti

    gran film la mala ordina

    rdm



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    1. Molto bello, però questo mi sembra ancora più sporco e lurido, inoltre ha tutta una dimensione che al film di Di Leo a mio avviso manca, anche se mi piace molto. Cheers!

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  7. Che cast, che storia. Chi non ha visto i film di Peckinpah, o per meglio dire non ha mai visto questo film non si può definire appassionato di cinema al massimo può etichettarsi da solo come cinefilo. Vorrei segnalarti un film uscito ad inizio 2000 che fa molto il filo a questa pellicola: sto parlando di The Three Burials of Melquiades Estrada, scritto ed intepretato da Tommy Lee Jones.

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    1. Mi era abbastanza piaciuto “Le tre sepolture”, più che altro per l’atmosfera Western, Tommy Lee e tutto il resto. In generale concordo con te, facile amare un regista e il cinema per i classici comprovati, prova a farlo per i film, brutti, sporchi e cattivi come questo ;-) Cheers

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  8. La prima volta che ho conosciuto il film sarà stata una quindicina d'anni fa, citato nel Forum Altieri frequentato da diversi scrittori: sono abbastanza sicuro che me l'abbia fatto conoscere Stefano Di Marino, grande amante del western e degli altri generi con i "balletti di sangue".
    Quando poi nel 2014 mi sono divertito ad aderire al progetto "Risorgimento di Tenebra", e ho cominciato a raccontare storie del 1849 italiano in salsa zombie, scopro che Anita Garibaldi muore proprio pochissimo dopo l'ambientazione della prima storia che ho scritto: dovevo per forza farla rinascere "diversamente viva", e la prima cosa che le ho fatto dire è... "Voglio la testa di Garibaldi", da cui il titolo della storia :-D
    Sono corso a rivedermi il film sperando di poter omaggiare (cough cough rubacchiare cough cough) qualche scena mitica ma poi non ho trovato niente da far combaciare, visto che al posto delle pistole mi piaceva di più far combattere Anita di capoeira: avevo un personaggio brasiliano in un'epoca in cui era già nota quell'arte marziale, come potevo non usarla? Quindi Sam non mi ha aiutato ma lo stesso mi ha regalato un titolo che ancora adoro :-P

    L'idea di un personaggio che non si vede mai ma che è addirittura citato nel titolo mi fa pensare ad "Oscar - Un fidanzato per due figlie" (1991), versione americana di "Oscar" (1967, da noi "Io, due figlie, tre valigie") con Louis de Funès: anche se qui però all'ultimissimo Oscar appare, per due secondi, rimane comunque il McGuffin dell'intera vicenda senza mai essere davvero in scena.

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    1. Quando si parla di capoera mi viene in mente sempre Eddy Gordo. Ma non avrai mica fatto vestire la Anita come quell'altra in Tekken, la cugina di Eddy o non so che parente è? Con le posce de fora?

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    2. Eddy è il nume tutelare di tutti gli amenti della capoeira: chiamare il titanico Lateef Crowder ad interpretarlo è stata una delle rarissime buone idee del film "Tekken" (2010), usarlo malissimo è stata una delle tantissime pessime idee del film.
      Odio le descrizioni dei vestiti, quando leggo, quindi al momento di scrivere non mi sono posto minimamente il problema :-D

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    3. Be' la Monteiro è stata interpretata da un'ottima chiappette d'oro in Tekken!

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    4. Il problema è che Tekken parla di lottatori, non di fotomodelli, quindi scegliere ragazzette attraenti che però non sanno muovere un dito è stata una gran brutta scelta. Era molto più marziale Kyle Minogue in "Streetfighter" :-D

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    5. In effetti il paragone con “Oscar” ci sta tutto, qui Alfredo Garcia ha il nome in locandina, ma si vede poco e male solo in una vecchia Polaroid, una trovata che ho sempre trovato brillante quanto il titolo ;-) A Peckinpah forse sarebbe piaciuta la tua storia, almeno a giudicare dal film della prossima settimana, in ogni caso hai fatto benissimo ad utilizzarlo, dai io lo vedrei subito un film tratto da “Voglio la testa di Garibaldi”. Cheers!

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    6. Ovviamente Kylie aveva/ha il lato B da Cammy, ma quello è un altro livello. Qui parliamo di ben altra scala non così elevata.

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    7. Peccato che nel film indossasse i pantaloni mimetici, almeno ci avrebbe distratto da molti passaggi di ""Street fighter" ;-) Cheers

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  9. In effetti la trama sembra scritta su misura per Tarantino.

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    1. Lo facesse domani mattina Tarantino un film così, pioverebbero gli elogi. Lo ha fatto Peckinpah e ha rischiato di restare disoccupato ;-) Cheers

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  10. Il film più sofferto e sincero di Sam. Il suo canto del cigno come artista, che rispetta in pieno la sua dichiarazione programmatica. Quella di stare sempre dalla parte dei perdenti. Dalla parte di quelli che andranno al tappeto, ma ci andranno ringhiando, e davanti al plotone di esecuzione mormoreranno "sparate dritto, bastardi, e non fate casini". (Cit.)

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    1. Totalmente d'accordo, Peckinpah portava i suoi personaggi nel fango, ma non prendeva le distanze anzi, si sporcava insieme a loro, un duro vecchia maniera come i suoi film. Cheers

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