venerdì 16 ottobre 2020

Sierra Charriba (1965): Moby Dick nel New Mexico

Spero abbiate portato con voi tutta la vostra voglia di cavalcare perché oggi andiamo a caccia oltre il confine, benvenuti ad un nuovo capitolo della rubrica… Sam day Bloody Sam day!

Quella tra Sam Peckinpah e il Messico è una storia d’amore, una delle più stabili della vita del turbolento regista di Fresno. Ossessionato da un’idea romantica di frontiera americana, quella che aveva potuto vivere (e idealizzare) da bambino nel ranch di famiglia, Peckinpah ha sempre amato la terra oltre il confine americano, d’altra parte nei film i criminali in cerca di libertà dove vanno se non in Messico? Ma bisogna essere onesti, del Messico il vecchio Sam amava anche... Beh, le attività ricreative, passatemi il termine.

Penso che solo Hellboy nella sua fase di ciucca triste abbia potuto tenere testa a Bloody Sam, libero di scorrazzare nei bordelli messicani dove si è fatto di tutto, compreso una fama notevole. Per uno come lui che ha sempre vissuto molto intensamente ogni fase della sua vita e pescato proprio da essa per alimentare il suo cinema, il Messico è sempre stato una costante nei film di Peckinpah.

"Dos cervezas e dos Tequila por favor... Tu invece cosa prendi Charlton?"

Sono sicuro che il successo di Sfida nell'Alta Sierra, Peckinpah lo abbia festeggiato oltre confine alla sua maniera, anche perché il matrimonio con la moglie (l’attrice Marie Selland) ormai era saltato per aria con il tritolo, per via dei costanti tradimenti di Sam e dell’unico da parte di Marie che, ovviamente, il regista non ha perdonato, se avete inquadrato un po’ il personaggio anche questo faceva parte delle idiosincrasie di un uomo estremamente complicato nella vita, ma geniale nel suo lavoro. In questi casi si dice genio e sregolatezza, parole che per Sam Peckinpah non potrebbero essere più azzeccate.

Nella primavera del 1963 Peckinpah si era comprato una bella casa sull'oceano a Point Dume, con tanto di cannocchiale sempre puntato sulla spiaggia, il tempo di adocchiare una bella ragazza in costume e PUM! Come un falco Sam entrava già in azione, per fortuna ogni tanto il nostro pensava anche al cinema e come da tradizione, cosa fa un regista dopo aver raggiunto un certo prestigio e riconoscimento? Va in Messico a festeggiare? Sì, anche, ma più che altro si getta anima e corpo su un grosso progetto molto sentito che per Peckinpah si manifesta sotto forma di un nuovo lavoro da parte del produttore Jerry Bresler.

Bresler è un ometto paffutello con l’aria da burocrate, insomma tutto quello che Peckinpah proprio non sopporta, però rappresenta la Columbia Pictures e ha per le mani la bozza di una sceneggiatura intitolata “Major Dundee”, anche noto come “Sierra Charriba”, ma tranquilli, sul titolo ci torniamo più avanti, lasciatemi l’icona aperta.

Ogni volta che si muovono, parte il fischiettio come in una puntata di Hazzard.

La storia è quella dello spietato capo della tribù Apache chiamato Sierra Charriba (immaginatemi la fama di feroce assassino di Geronimo, come potrebbe descriverla un bianco anche vagamente razzista), che ha rapito alcuni bambini seminando il terrore nei territori del New Mexico, malgrado la guerra civile (quella che noi chiamiamo di secessione) in corso, il governo americano deve fare qualcosa, nello specifico ci pensa il maggiore Amos Dundee (Charlton Heston) che si mette a capo di una banda di gatti senza collare composta da portatori di muli ubriaconi (il portatore, non i muli), ex schiavi neri liberati e arruolati, pendagli da forca, un prete particolarmente motivato e soprattutto, i soldati sudisti guidati dal fiero capitano Benjamin Tyreen (il grande Richard Harris), ex compagno d’arme di Dundee con trascorsi di amicizia turbolenta, che non ha nessuna intenzione di calpestare la bandiera confederata prendendo ordini da uno Yankee, ma i due uomini opposti hanno entrambi la schiena dritta e trovano una sorta di accordo: alleati, con il motto “Finché Charriba non sarà preso o ucciso".

"Guarda chi mi hanno mandato contro, un regista ubriaco, un fanatico delle armi e un uomo chiamato Cavallo"

Charlton Heston era un fedelissimo di Bresler e della Columbia Pictures, il trattamento di 37 pagine della trama era stato scritto da Harry Julian Fink (che in futuro avrebbe scritto Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!), l’idea sarebbe quella di consegnare attori e trama al veterano, il Maestro John Ford, ma perché non affidarsi al nuovo talento di Hollywood, quello che aveva portato aria fresca al genere Western? Sam Peckinpah accettò l’incarico in cambio di 50 mila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati, non pochi, ma il modo in cui aveva riscritto la sceneggiatura, rendendola molto più completa e profonda dimostrava già che la Columbia stava spendendo bene i suoi soldi… Almeno, per ora.

"... Dalle mie fredde mani morte!" (scusate, non ho potuto resistere)

Sam Peckinpah che ha girato il Messico in lungo e in largo, probabilmente in cerca dei migliori posti per bere e scopare, seleziona dei luoghi incredibili e mai visti al cinema come location per il suo film, peccato che siano anche sparsi qua e là lungo l’enorme Paese, un incubo logistico che prevede lunghi spostamenti di uomini, mezzi, macchine da prese, cavalli, comparse e attori, un mucchio selvaggio (occhiolino-occhiolino) che Peckinpah fa trottare con il pugno di ferro, perché il piano di Bloody Sam è chiaro: la caccia del Maggiore Dundee allo spietato Sierra Charriba ha tutte le caratteristiche del “Cuore di tenebra” di Conrad, più i soldati si addentrano in territorio messicano per andare ad uccidere un solo uomo, più le tensioni tra di loro emergono, la caccia diventa un’ossessione e la violenza che secondo Peckinpah fa parte della natura umana diventa sempre più protagonista. L’attore R.G. Armstrong, un pretoriano del regista che qui interpreta lo stropicciato reverendo Dahlstrom è uno dei pochi le leggendo la sceneggiatura di Bloody Sam capisce le sue intenzioni, le sue parole esatte sono queste: «Sam, questo è Moby Dick a cavallo!» (storia vera).

Trattandosi di “Moby Dick”, Sam Peckinpah è la perfetta incarnazione del capitano Achab, sul set è feroce con i suoi attori, quando non applica le abilita di manipolatore ereditate dal lato materno della famiglia sembra un generale in grado di sbraitare ordini dalla sua gru mentre gira, gira, gira chilometri di pellicola a cui poter dare poi forma in sala di montaggio. Il cast è composto da tutti i nomi della “factory” di attori peckinpahniani dal mitico Slim Pickens all'ancora più grande L.Q. Jones giù fino a Warren Oates, Bloody Sam li comanda tutti con metodi discutibili, ma efficaci, James Coburn (nel ruolo della guida Samuel Potts), l’ultimo giorno delle tormentate riprese è fuggito in auto al più vicino aeroporto con una dedica al regista: «Ci vediamo, figlio di puttana!» (storia vera) e sarebbe stato di parola, visto che in futuro tornerà nel corso di questa rubrica e negli anni, si è lanciato in attestati di vera stima per il Peckinpah. Ma forse peggio di tutti è andata a Jim Hutton, siccome la sua prova nei panni del tenente Graham non era abbastanza convincente, Peckinpah gli sparò con la pistola caricata a salve che teneva nella fondina durante le riprese, terrorizzando il cavallo che Hutton stava cavalcando (storia vera).

"La fai facile tu, io ho altri due film da fare con quel matto"

Ma la ricerca per la perfezione di Peckinpah è roba che costa, tanto che Jerry Bresler per chiarire le ragioni dei continui giorni di ritardo e dei costi che continuavano a lievitare, si presentò sul set messicano solo per essere rispedito al mittente con perdite da un Peckinpah lapidario che dall’alto della sua gru si liberò del produttore dicendogli: «Se hai finito di scocciare io avrei un film da girare». Come Orson Welles, Peckinpah non aveva stima per chiunque avesse un ufficio più in alto del primo piano, scottato dalle precedenti esperienze con i produttori il regista pensava solo alla sua arte, ma lo scontro era dietro l’angolo, per altro trovo ironico che in una scena di “Sierra Charriba”, ad un ferito e sotto copertura Charlton Heston, rifugiato in un piccolo villaggio messicano, venga consigliato da uno dei personaggi di non farsi vedere troppo in giro, perchè uno come lui non potrebbe confondersi con i locali. Ogni volta che rivedo quella scena penso al suo ruolo di finto messicano in “L'infernale Quinlan” (1958), una concessione fatta ai produttori proprio dal citato Orson Welles, corsi e ricorsi storici, oggi sono sceso dal letto con in testa Giambattista Vico.

“Tu? Nella parte di un Messicano? Ma quello è matto!”, “Il bue che dice cornuto all'asino”, “Cosa hai detto?”, “No dicevo… Dos cervezas?"

Vi dico questo perché un paio di volte in vita mia mi è capitato di vedere “Sierra Charriba”, a casa Cassidy la VHS del film è stata consumata da me, ma anche di più dal signor Cassidy senior ancora oggi ogni tanto ci guardiamo dicendo: «Solo i fulmini sono meglio delle cannonate!» (storia vera). Questo per dirvi di quanto il film sia comunque godibile, Peckinpah ha saputo distaccarsi dai canoni classici del Western, anche più di quanto già fatto in Sfida nell'Alta Sierra, avvicinandosi sempre di più alla sua idea di cinema, ma potete guardarvi tutte le versioni disponibili del film, quella cinematografica e quella a cui sono state reintegrate alcune delle scene tagliate disponibile in DVD, nessuna di questa è il film che Sam Peckinpah voleva realizzare perché la pellicola è stata massacrata dalla produzione, alla fine Jerry Bresler e la Columbia hanno avuto la loro vendetta.

“Questa freccia è vostra? No perché sarebbe finita proprio nella mia gamba!”

“Sierra Charriba” è un solidissimo film sostenuto da una tema musicale che è un’esaltante fanfara che non ha nulla a che fare con il tono che Peckinpah sognava per il suo film (ed infatti è stata introdotta dalla Columbia nei suoi rimaneggiamenti alla pellicola) che, però, vi resterà in testa lo stesso.

Nel film si trovano tutti i temi cari a Peckinpah, quelli che il regista svilupperà di più e meglio nei suoi film successivi, il rapporto tra il maggiore Amos Dundee e il capitano Benjamin Tyreen è lo scontro tra due opposti che, però, condividono gli stessi valori, inoltre, il personaggio di Charlton Heston è controverso, ha il carisma e le buone intenzioni per guidare un novello mucchio selvaggio fino al cuore di tenebra messicano, ma fa errori, cade due volte in agguati come un pivello, la seconda volta, per altro, mentre è impegnato a spupazzarsi una messicanuccia, insomma è quasi un alter ego di Peckinpah, le prove tecniche dei Pike Bishop che verranno.

"Francamente me ne infischio", "Guarda che quello era un altro film"

Ci sono moltissimi elementi che rendono “Sierra Charriba” un buon film, un western moderno rispetto ai classici di Ford anche nello scontro finale che risulta volutamente anticlimatico perché ad uccidere Charriba non sarà l’eroe del film, ma nemmeno il personaggio che potreste immaginare, insomma non bisogna sforzarsi per trovare tanto della poetica di Peckinpah, ma il film è l’ennesimo duello a capocciate fatto dal regista con la produzione.

Visti i continui ritardi e il costo di produzione che lievitava come l’impasto lasciato a riposare, Bresler cercò di licenziare Peckinpah che piuttosto che perdere il suo film, sarebbe stato pronto a scatenare la seconda rivoluzione messicana. Il regista era preso dalla sua visione artistica, lo scontro finale con l’esercito francese che rappresenta una delle scene più epiche del film, nella testa di Peckinpah doveva essere uno sfoggio di violenza come fatto da Bergman in La fontana della vergine, Bloody Sam aveva in testa i rallenty di Kurosawa che lo hanno sempre affascinato, con l’idea di portare questa tecnica ad un altro livello. “Sierra Charriba” era il suo primo e concreto passo in questa direzione, ma la produzione aveva altre idee e ad aggiungere confusione ci ha pensato anche la distribuzione italiana con le modifiche al titolo, avevo un’icona da chiudere su questo argomento e lo faccio subito: prendere un film intitolato con il nome del protagonista (“Major Dundee”) e farlo uscire con il nome dell’antagonista (“Sierra Charriba”) è un po’ come fare un film su Superman e intitolarlo “Lex Luthor”, stesso effetto finale.

Eppure il nome del protagonista si legge piuttosto bene, saranno stati miopi?

Nel tentativo di non perdere il film Sam Peckinpah restituì 35 mila dollari del suo stipendio per rientrare un minimo delle spese affrontate e da questo punto di vista trovò un alleato in Charlton Heston, grande uomo di squadra, divo della vecchia scuola che trovava insopportabile l’idea di un regista sostituito in corsa per un film, tanto che si abbassò il cachet finendo per lavorare quasi a costo zero (storia vera).

Come abbiamo visto anche nei primi capitoli di questa rubrica, fino al 1965 le case di produzione non facevano proiezioni di prova con il film montato dal regista, ma decidevano loro come montare il girato, ecco perché la copia di lavoro di 278 minuti, fu ridotta a 156 minuti, eliminando tra l'altro le scene più violente e sanguinose, ma è stato solo l’inizio. Peckinpah sperava che la Columbia fornisse la massima visibilità al suo film, ma la casa di produzione aveva altre idee, infatti finì per sforbiciare altri 13 minuti alla pellicola (storia vera).

“Fatemi solo capire, io nel film ci sono ancora dopo tutti questi tagli?”

A sparire dal montaggio finale furono molte delle scene al rallentatore volute da Peckinpah, questo spiega anche perché tutto il secondo atto del film sia piuttosto confuso e molti passaggi non si risolvono certo in modo cartesiano, tra personaggi che scompaiono e sotto trame che vanno perse. Certo ci si diverte, perché non mancano l’azione, il dramma tra i personaggi e anche i momenti comici (come il tenente Graham che cerca di far mettere in riga i suoi uomini nel caos completo di mulo raglianti e soldati nel panico), “Sierra Charriba” malgrado la voce narrante infilata a forza e la fanfara inutilmente gloriosa imposta come colonna sonora, resta un film piacevole perché comunque diretto da uno sregolato genio, ma spezzettato a cui mancano anche moltissime scene chiave, potrei citarvene tante, ma mi basterà dirvi che nei piani originali di Peckinpah tutti i personaggi erano destinati a morire tranne il giovane trombettiere Tim Ryan, potete capire da voi che Peckinpah stava facendo le prove tecniche per i suoi futuri capolavori, ma non aveva ancora distillato il fulmine dentro la bottiglia, la produzione gli remava contro e anche per questa volta, la sua rivoluzione, quella con cui avrebbe dato fuoco alla settima arte, era solo rimandata, ci sarebbe arrivato un giorno, ma non ora.

Prove tecniche di gran massacro finale, ma per Peckinpah i tempi non erano ancora maturi.

Dall’esperienza di “Sierra Charriba”, Sam Peckinpah porta a casa solo la sua nuova moglie, la bella Begonia Palacios, attrice messicana che il registra strappò dalla sua terra nativa per segregarla nella sua casa sull’oceano a Point Dume, tra i due enorme passione, ma anche vita tormentata, hanno divorziato e si sono risposati tre volte, in tempo ridicolmente ravvicinato (storia vera). Ma se la vita amorosa per il regista era tesa, quella professionale stava andando sotto bevendo dall’idrante, “Sierra Charriba” e il suo incasso modesto al botteghino avevano alimentato la fama di Sam il ribelle, Peckinpah avrebbe dovuto rialzarsi in piedi con “Cincinnati Kid” tratto dal romanzo di Richard Jessup, ma dopo aver lavorato a lungo alla sceneggiatura, la produzione preferì affidare la regia al meno problematico Norman Jewison, anche se le strade di Bloody Sam e Steve McQueen si sarebbero incrociate lo stesso nelle rispettive carriere.

Quello che sembrava destinato ad essere il futuro di Hollywood, ora era un regista a cui tutti indicavano la direzione della porta d’uscita dalla mecca del cinema californiano, potete immaginare la reazione di un passionale come Peckinpah che se prima aveva un rapporto stretto con la bottiglia, ora avrebbe cominciato una lunga e intensa storia d’amore, la leggenda vuole che tra un matrimonio e un divorzio, fu Begonia ad andare a ripescarlo, sulla spiaggia di Point Dume mentre sconsolato sosteneva che ad Hollywood nessuno gli avrebbe mai più fatto dirigere un film. A terra come uno dei suoi personaggi, Bloody Sam Peckinpah era, però, destinato a rialzarsi, ci vediamo qui tra sette giorni, per la caduta e il riscatto di uno dei più grandi Maestri della storia del cinema, non mancate!

44 commenti:

  1. Eh... fantastica la distribuzione italiana che inventa titoli a caso😀

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    1. Fin da bambino non ho mai capito perché comparisse la scritta "Major Dundee" sullo schermo, quando la mia vecchia e consunta vhs recitava chiaramente "Sierra Charriba", ancora non sapevo i retroscena ;-) Cheers

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    2. Eh, la maledizione dei titoli cambiati che poi restano originali su pellicola.
      Vi è mai capitato di tornare a casa con una vhs, o anche con i primi dvd di vecchi film in edizioni da due lire, e annegare nei sudori freddi durante i titoli di testa dilaniati dal dubbio: "mi avranno mica venduto il film sbagliato!?!"

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    3. Per me ha molto più fascino Sierra Charriba come titolo, proprio come Moby Dick ce l'ha rispetto ad Achab.
      Major Dundee è troppo generico.

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    4. Da diventar pazzi Bro, alcune volte al videonoleggio mi è venuto il panico per certi titoli, gulp! Cheers

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    5. Essendo questo un Moby Dick nel New Messico, ha più senso che si intitoli "Sierra Charriba", l'oggetto dell'ossessione, infatti non riesco proprio a pensare a questo film come "Major Dundee". Pensa che leggendo materiale su Peckinpah in inglese, ogni volta che spuntava sto maggiore Dundee pensavo: «Un film di Peckinpah che non ho visto?» (storia vera). Cheers

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    6. Te ne dico un'altra di ipotesi. Potrebbe essere che dopo Sfida Nell' Alta Sierra, i distributori italiani abbiano pensato ad una specie di sequel scambiando il nome del capo pellerossa per una località? La butto lì...

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    7. Ricordo "Un dollaro d' onore". i Metto la cassetta e mi vedo "Rio bravo"!😳 "Che centra il fiume"? "E non è di John Ford"?😕😅

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    8. Ci ho pensato anche io, ma bisognerebbe dare per scontato che i distributori al tempo avessero collegato che il regista di "Sfida nell'alta sierra" fosse lo stesso di "Major Dundee", il che mi sembra tanta roba per le nostre abitudine. Probabile che la parola "Sierra" nei western sia come la parola "casa" nei titoli Italiani per gli horror, non passa mai di moda ;-) Cheers

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    9. "Rio Bravo" è stato uno dei miei colpi al cuore più grandi, prima per il titolo differente poi per il contenuto del film ;-) Cheers

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  2. Per ora, per quanto mi riguarda, siamo in territorio semi-sconosciuto. Dalla prossima settimana iniziamo a trattare argomenti a me più familiari.
    Quindi mi limito a commentare con un: ottimo post Capo! Al solito, quando il materiale è "tuo", si percepisce perfettamente da come ne scrivi. E infatti ne vengono fuori i tuoi post migliori. Bravo.

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    1. Tu non hai idea di quante volte io abbia visto questo film, e quando non lo stavo guardando, comunque andava a rotazione sul vecchio videoregistratore di casa perché mio padre lo guardava in continuazione. Ti ringrazio moltissimo, il post della prossima settimana è pronto (e lunghissimo!), mi sto divertendo un mondo spero sia lo stesso per i lettori anche se i primi titoli sono importanti ma piuttosto datati, questa Bara se ne frega di seguire le mode ;-) Cheers!

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  3. PARTE 1

    Cambiare il titolo dell'opera dall'originale Major Dundee con quello di Sierra Charriba, finisce con il rovinare le intenzioni originarie di Sam Peckinpah, a cui della figura del ribelle indiano non gliene fregava un bel niente, alla luce della sua mera natura di mcguffin il cui scarso minutaggio nella pellicola è rivelatorio del fatto che al regista interessasse invece indagare la figura del maggiore Amos Dundee (Charlton Henston) e del suo manipolo di uomini sbandati, raccolti per la gran parte tra criminali incarcerati e soldati confederati ora prigionieri tra cui l'ex amico Benjamin Tyreel (Richard Harris), a cui si aggiungeranno degli elementi dell'unione tra cui il trombettiere Ryan, l'artigliere Graham, il reverendo Dahlstrom, la guida Potts (James Coburn) con l'aiutante indiano apache civilizzato di nome Ringo e per finire un manipolo di ausiliari di uomini di colore, che si offrono volontari perchè stanchi di svolgere mansioni degradanti nell'esercito.
    Un mucchio selvaggio che a differenza del successivo film però, qui è riunito tutto insieme assurgendo a chiara rappresentazione in scala della composizione etnica e sociale degli Stati Uniti, le cui spinte centrifughe sono tenute appena a bada dall'obbiettivo della cattura o uccisione dell'apache Sierra Charriba, che con meno di 50 uomini, semina morte, scorrerie e distruzione nei vasti territori del nuovo Messico, attaccando gli insediamenti dei coloni americani e sconfiggendo i deboli reparti di cavallerie dell'Unione fiaccati da circa 4 anni di ininterrotta e sanguinosa guerra civile contro gli stati confederati e che non accenna a terminare ancora nel 1864.
    Bianchi dell'unione, confederati del sud, nativi americani civilizzati e uomini di colore (mancano solo i latinos e abbiamo tutti), sono un gruppo di uomini eterogeneo per composizione il cui stare uniti sotto una bandiera può essere imposto solo da un obiettivo esterno unificatore, che di volta in volta quando viene raggiunto deve essere immediatamente cambiato, altrimenti emergono le differenze che poi degenerano in scontri violenti. Sam Peckinpah è sempre stato un attento osservatore della realtà del suo paese, sfruttando il genere western per compiere un'analisi della politica americana e della violenza connaturata in essa, perchè mezzo necessario per tenere unito un paese nelle diversità dirottandone l'aggressività verso un nemico esterno che funge da unificatore come all'interno del film, prima gli indiani apache e poi i francesi di stazza in Messico, in cui i nostri si sono spinti per cercare Sierra Charriba.

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    1. PARTE 2

      Il capo di questa massa frammentata di sbandati è il maggiore Dundee, che gestisce il gruppo con metodi violenti per reprimere ogni indisciplina e vivendo totalmente per la guerra. Gli Stati Uniti hanno poco meno di 250 anni dalla loro nascita, eppure quasi la totalità della loro esistenza l'hanno trascorsa in guerre grandi o piccole con periodi di pace che se sommati insieme, non raggiungono neanche i 20 anni, quindi l'attitudine alla violenza e alla guerra è inserito nel DNA di questa nazione, che necessita di catalizzare le spinte disgregatrici del fronte interno, dirottandone l'aggressività verso degli obiettivi esterni unificatori; dal principio gli inglesi, poi gli altri stati europei, successivamente i nativi americani, poi i messicani, ancora dopo i loro stessi fratelli del sud, passando per due guerre mondiali, la Corea, il Vietnam, le due guerre del golfo e chissà quanti altri conflitti che ho dimenticato.
      Dundee non è più il classico maggiore della cavalleria tipico dei film di Ford, è una figura molto più profonda e sfaccettata nella psicologia magistralmente riportata in scena grazie alla bravura di Charlton Henston, classico nella sua statura attoriale nell'esprimere il degrado morale di un uomo che per fare carriera ha fatto cacciare via dall'esercito il suo miglior amico Tyreel e successivamente per ambizione ha combinato grossi casini a Gettysburg ed è stato relegato a guardiano di una prigione, compito che sente come umiliante, non vedendo l'ora di fare qualsiasi cosa pur di lasciarlo e Sierra Charriba rappresenta il biglietto d'uscita. Dundee incurante delle asperità del terreno, dei confini e della giurisdizione, avanza cocciutamente alla ricerca dell'apache, facendo emergere sempre più la diffidenza tra i componenti del reparto; confederati contro i neri, indiani contro bianchi e nordisti contro suddisti, il maggiore Dundee con la sua ostinazione distruttiva, rappresenta un ulteriore fattore di disgregazione, per far fronte al quale, non trova nient'altro di meglio da fare, che trovare costantemente un nemico esterno per far sfogare l'aggressività del suo reparto in un tripudio di violenza, polvere e sangue, dimostrando in tal modo di essere totalmente incapace di trovare una via alternativa alla forza nell'unire insieme questa massa sbandata, che non rappresenta altro che una riduzione in scala della società multietnica statunitense, con i suoi eterni conflitti latenti.

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    2. PARTE 3

      Dundee è nato per la guerra e vivrà sempre per essa, continuando nella sua spirale autodistruttiva fatta di continue bottiglie di alcool per soffocare l'umiliazione verso un ruolo attuale percepito come mortificante, trovando sfogo al suo malessere con un continuo peregrinare senza mai fermarsi, pena doversi poi soffermare sui problemi che lo attanagliano e mettere seriamente in discussione la propria condotta di vita. Se il maggior Dundee nell'autodistruzione trova una simpatia da parte del regista, sicuramente Peckinpah è come sempre dalla parte dei perdenti, in questo caso i suddisti ritratti a 360° con tutti i loro difetti, cominciando dal contraddittorio Tyrell, emigrato irlandese poi arruolatasi in un esercito che lo ha cacciato e poi divenuto combattente per la confederazione, battendosi assurdamente per far si che i ricchi proprietari terrieri delle piantaggioni, possano continuare i loro affari tramite lo sfruttamento di una vasta manodopera schiavile, mandato a crepare gente umile come Tyreel, il quale rischia la vita per dei terreni di cui mai sarà proprietario. Gli uomini sono animali dediti alla violenza, ma i confederati del film hanno poche ma semplici regole, come il rispetto della parola data sul non cercare di disertare fino alla cattura o uccisione di Charriba, contando sull'amnistia per i loro reati in caso di successo dela missione. Questo lungo percorso epico che ricorda un pò il Sentieri Selvaggi di John Ford (1956), viene messo in scena in Messico, paese prediletto dal regista, che si dimostra profondo conoscitore delle dinamiche storiche del luogo e della gente umile che vi vive, ma solidale sempre nonostante le avversità che si ritrova a dover affrontare.
      Peckinpah mette in scena violenza cruda e sequenze liriche che approfondiscono l'animo dei suoi personaggi, toccando l'apice cromatico e figurativo nella battaglia campale finale contro l'esercito francese, dimostrando le sue notevoli doti come regista di azione nonostante i mezzi tecnici ben lontani da quelli odierni, restituendoci uno scontro violento e sanguinoso tra uomini in cui si respira epica a pieni polmoni, tra cariche di cavalleria, colpi di artiglieria e scontri all'ultimo sangue a suon di colpi di fucile e incroci di spada, lottando metro dopo metro per raggiungere la propria casa, in attesa poi di ributtarsi in un'altra guerra ed in altre battaglie.
      Sierra Charriba è un capolavoro, il vero cinema western, non quello di Ford che per quanto innovativo e fondatore di determinati stilemi, comunque si fa portatore di una visione troppo romantica ed iper-semplificata di quello che era un vero e proprio stato di natura, di capolavori ne ha fatti molti ed è inutile negarlo, però Sergio Leone e poi dietro di lui Sam Peckinpah sono coloro che hanno sfruttato appieno il potenziale del western avvicinandosi parecchio a quello che doveva essere la frontiera americana a quel tempo; non fu un caso che i produttori sfasciarono l'opera del regista riducendo gli originari 156 minuti di durata a 136 e poi dopo il massacro da parte del critica nelle anteprime, tagliarono ulteriori minuti per giungere ad una versione da 120 minuti che fu un fiasco ai botteghini, presentando notevoli buchi ed incongruenze. La versione da me visionata dura 136 minuti ed è la director's cut, termine in realtà improprio visto che il regista non ha approvato mai questa versione,e che comunque ha dei difetti nel montaggio, specie nelle digressioni qua e là dei singoli personaggi che sono state barbaramente tagliate e altre scene non vennero mai girate per revoca del budget a regista, ma in assenza di altro e confidando in un recupero futuro in madrepatria della versione voluta da Peckinpah, questa da 2 ore e 15 minuti, resta il cut da recuperare.

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    3. Infatti Sierra Charriba è proprio il MacGuffin, a Peckinpah interessa esplorare i rapporti umani durante questo “cuore di tenebra messicano”, ti ringrazio per l'analisi, hai battuto il record, nessuno aveva ancora lasciato un commento in tre parti ;-) Cheers!

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    4. Yuppi!!! Evvai, cosa ho vinto per questo singolare record XD?.

      Comunque ho scritto così tanto, perchè purtroppo ho molto tempo libero causa positività al Covid 19, quindi scrivere così tanto non mi pesa in questo periodo e mi distrae un pò, oltre al fatto che il cinema di Peckinpah si presta a tali riflessioni articolate.

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    5. Essere nominato sulla Bara Volante sicuramente ma poi io sono a favore dei commenti lunghi non so se si era capito ;-) Mi dispiace molto e ti auguro una pronta guarigione, nel frattempo spero di aiutarti a riempire il tempo con il blog, un abbraccio! Cheers

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  4. Me l'avevi preannunciato la scorsa volta: con Peckinpah si impazzisce a cercare la Sierra! Anche stavolta a naso dovrei averlo visto ma dopo averti letto è obbligatoria la visione.
    La cosa incredibile è che queste storie dovrebbero insegnare cose alle grandi major che invece dimostrano di non aver imparato: ancora non hanno capito che quando un regista si comporta così... è un genio? Sam non è né il primo né l'ultimo, eppure le case sono ancora lì a guardare l'orologio e le tabelle, quando in realtà i film che hanno creato il cinema sono stati fatti da pazzi geniali come Sam!
    Non ho mai studiato l'autore, non immaginavo la sua vita fosse un marasma tale, ma non mi stupisce che poi sarebbe diventato Sam Peckinpah! ;-)

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    1. uarda non hai idea, il problema con Sam Peckinpah è che le storie sulla sua vita sono così tante, folli e interessanti (ma soprattutto legate intimamente alla sua arte) che il rischio e scrivere e riportare gli aneddoti, dimenticandosi di dire anche qualcosa sui film, che comunque ammettiamolo, si lasciano guardare e qualche paragrafo lo meriterebbero anche :-P
      Capisco che a seguire solo lo spunto artistico dei registi, i film costerebbero tantissimo e non uscirebbero mai, qualcosa che tira le fila ci vuole, ma davanti a certi personaggi essere così rigidi ha senso? Infatti come vedremo i produttori migliori per Peckinpah, sono stati quelli meno invasivi, a volte un cavallo deve lasciarlo correre ;-) Cheers

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    2. — Potrebbero fucilarti.
      — Non sarà questo che mi farà cambiare parere.

      Frase maschia del secolo!!!!! ^_^
      Visto d'un fiato, ormai seguo il tuo ciclo in presa diretta, e in effetti i tagli riattaccati nell'edizione moderna fanno capire quanto si siano divertiti con le forbici, togliendo respiro ad una storia che proprio nel suo prolungarsi lenta acquisisce forza. Hai citato Kurosawa e in effetti ce lo rivedo parecchio: il dare respiro ai personaggi, il renderli umani invece che macchine di morte, deboli e pieni di difetti ma con il cuore al posto giusto e la cocciutaggine di finire una missione quando tutto è loro contro. Insomma, mi sembra più un film asiatico che americano!
      Non vorrei fare confronti blasfemi, ma dieci anni prima c'era stata un'altra missione per andare a salvare bambini rapiti da indiani, con "Sentieri selvaggi" (1956) di John Ford, e lì John Wayne è un vero e proprio Terminator inarrestabile! Mi sembra che Peckinpah ami più la sfumatura, anche se sembra nascosta sotto il classico canone del western. Per far tremare il mascellone di Heston ce ne vuole!
      Proprio poco tempo fa, per la ricerca sull'M16, ho rivisto "Berretti verdi" (1968) e lì Jim "Ellery Queen" Hutton interpreta un luogo comune dall'inizio alla fine del film: qui, sotto Peckinpah che (furbo come una volte) lo mette all'ombra del titano Heston, il suo personaggio cresce per tutta la storia. Insomma, mi piace questo Akira Peckinpah che gioca con i canoni per guidarci nella storia invece che limitarsi a raccontarcela. E «La guerra non può durare in eterno» del maggiore Dundee è una frase terribile che non si può dimenticare, visto che è pronunciata da chi dimostra che la guerra dura per sempre.

      Ultima cosa. Hai presente quando il sudista razzista stuzzica il soldato nero e la situazione è risolta dal reverendo? Quando il soldato scornato tira fuori il coltello e attacca il religioso, a sorpresa R.G. Armstrong ti sfoggia una tecnica di aikido che Seagal muto! Peccato che la scena sia un po' coperta dalla spalla dell'attore, ma è una perfetta presa al polso con torsione per far cadere l'avversario: il Premio Seagal 1965 va a R.G. Armstrong! ^_^
      La presenza di James Coburn, noto studioso di arti marziali, mi fa subodorare la presenza di qualche esperto come consulente.

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    3. Questo film è pieno di frasi mitiche, è un capolavoro che è stato ammazzato, perché ha tutti gli elementi giusto e si vedono gli intenti di “Akira Peckinpah”, basta guardare quanto poco spazio ha uno come Coburn, che aveva un maestro marziale notevole, anzi IL Maestro ;-) La scena la ricordo molto bene non sapevo fosse proprio aikido, ho imparato un’altra cosa!
      Peckinpah aveva in testa un “Cuore di tenebre” ma anche il maestro Kurosawa, infatti Heston che di solito è uno spaccamontagne qui ha un personaggio sfaccettato e complesso, i tagli purtroppo sono della rasoiate, anzi dei colpi di scalpello dati alla Pietà di Michelangelo, con la sua durata prevista originale, sarebbe stato davvero la versione occidentale più vicina ai lavori di Kurosawa di sempre, ma anche così, si vede molto, ben felice di averti fatto venire voglia di recuperare quello che anche così, considero un gran film. Cheers!

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    4. Non dimentichiamo che Kurosawa ha mostrato Toshiro Mifune nei panni di un vigliacco, in "Rashomon", e di un ubriacone perso ne "L'angelo ubriaco", quando in seguito l'attore è sempre stato titanico e invincibile come Heston. Ci vuole un grande regista per rendere fragili i giganti.
      Oh, io scherzo sull'aikido, però la struttura della mossa di Armstrong è proprio identica ad una delle prese base dello stile: non escluderei che qualche consulente marziale gliel'abbia fatta vedere sul set e poi lui l'abbia fatta un po' alla buona con l'altro attore. Lo stile è arrivato negli USA negli anni Cinquanta e di sicuro le produzioni cinematografiche dei Sessanta avevano spesso consulenti marziali (tipo un ragazzo di nome Lee :-P ) quindi sebbene l'esecuzione sia poco "scenografica" comunque rimane forte il sospetto che sia una mossa di aikido. In fondo Peckinpah sta creando un'opera più giapponese che americana, no? :-D

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    5. Peckinpah lo sapeva benissimo, infatti questo resta uno dei mie ruoli preferiti di Heston, proprio perché mostra più sfumature e non solo quella dell'uomo d'acciaio monolitico. Si facile che sia stata rifatta alla buona, ma i gradi di separazione tra Peckinpah e le arti marziali sarebbero da approfondire, più avanti (abbastanza più avanti pieni anni '70) potresti trovare una sorpresa ninja :-) Quindi per quanto casuali, a volte, l' occhio di Peckinpah guardava alla frontiera americana, ma a vta sbirciava un po' verso oriente. Cheers!

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    6. Non vedo l'ora di arrivare alla squadra d'assassini con ninja :-P

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    7. Ci vorrà un po' ma tanto non abbiamo fretta ;-) Cheers

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    8. Il fatto è che i soldi secondo loro non li puoi sperperare così.😅

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    9. Vero, infatti ci sono anche casi di produttori che tirando le fila per bene hanno portato a casa risultati da disastri annunciati, ma nel caso di Peckinpah era un precursore, già solo per le tecniche di montaggio, da qui il discorso di lasciarlo lavorare, ma con il senno di poi è anche un pochino più facile. Cheers

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  5. Come sempre complimenti per il pezzo, mi hai davvero trasportato al di là del confine, peccato che mi mancasse la tequila! Inoltre mi hai ricordato il John Pellam, location scout, di Deaver. Che tipo, questo Sam!! 😜

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    1. Grazie mille! Per la prossima settimana abbiamo botti di vino oltre confine che ci aspettano ;-) Cheers

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  6. Probabilmente non avrà avuto il successo sperato, ma...Peckinpah con questo inizia a volare alto, e da qui non si fermerà più.
    Cast sontuoso, per un film che parte con un classico inseguimento me che poi vira di rotta e diventa di colpo qualcos'altro.
    Il viaggio, gente. Questo film é la quintessenza del viaggio. In sé stessi e contro sé stessi.
    Verso l'ignoto che non sta solo davanti ed oltre ma anche dentro.
    Diventa quasi una cosa metafisica, verso la parte finale.
    La lotta contro i cattivi di turno diventa quasi accessoria.
    Oltre ad essere alle prese con un nemico astuto, sfuggente, quasi invisibile, i "nostri" (si, beh, più o meno, visto che i pendagli da forca non mancano nemmeno nel gruppo dei cosiddetti "buoni") si ritrovano a fronteggiare pericoli e peripezie di ogni tipo. Senza contare che, proprio a causa della sua eterogeneità, emergono conflitti a ripetizione.
    Rancori mai sopiti tra unionisti e confederati ( e direi, visto che si é ancora in guerra9, e visto che abbiamo pure un bel pò di gente di colore...emerge pure la questione razziale.
    Un vero casino. E a gestirlo due uomini che più agli antipodi non si può.
    Non ci si stupisce se il protagonista ad un certo punto va in crisi e sparisce di scena. e toccherà al suo diretto antagonista (anche se sulla medesima barricata) andarlo a riprendere per ributtarlo nella mischia. Anche a calci nel sedere, se necessario.
    In molti non torneranno. E quelli che torneranno...non saranno più gli stessi.
    Ma dico io...come si fa a non amare film così?!
    Dove ad un certo punto ti vengono tolti tutti i punti di riferimento, ogni certezza e ti ritrovi con la terra che ti manca sotto ai piedi!
    Forse Peckinpah lo voleva diverso. Ma anche così...dà lezioni a tutti, credetemi.
    Ma il nostro (questa volta si) può fare ancora meglio. E lo farà, statene certi.
    Ormai ha ingranato la quarta, da qui in poi.

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    1. Un capolavoro mancato, che è stato la palestra per un capolavoro, uno vero, anche la rubrica sale di colpi prossima settimana, palla lunga e pedalare per il sottoscritto, ma sono carico ;-) Cheers

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  7. In effetti ricordo una seconda parte tirata via come se non ci fosse un domani!😳

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    1. Il massacro in sala di montaggio balza agli occhi, ma anche il fatto che dentro ci sia un gran bel film. Cheers!

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  8. Cast di alto livello, ma questo western non mi è mai piaciuto, poiché non amo le "contaminazioni militari", non amo le storie in cui i pellirosse sono cattivi quando invece, a ben vedere, sono gli yankee gli invasori di sangue europeo di un territorio che, libri di Storia alla mano, hanno sottratto con la forza a cominciare da quel discutibile sognatore genovese che ottenne due caravelle e una caracca dalla Regina di Spagna...
    Charlton Heston, poi, da quando fece quelle sparate degne di Salvini a proposito dell'acquisto di armi da parte dei civili, mi è diventato odioso anche se cerco sempre di separare la professione dalle idee; però se sei un personaggio celebre, sei consapevole che non parli esattamente al muro, quindi certe considerazioni andrebbero tenute per sé. Oppure ti dai alla politica e vediamo quanti voti prendi.

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    1. Mi spaventano di più i politici che fanno gli influencer, ma in ogni caso ho imparato a separare arte da artista, altrimenti non avrei mai potuto apprezzare Eastwood, Heston e Milius. Preferisci i western revisionisti? Resta da queste parti allora ;-) Anche se qui il personaggio di Sierra Charriba è un pretesto per mettere in moto il "Cuore di tenebra" in versione New Messico. Cheers!

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    2. Non so cosa sia il western revisionista. Focalizzando l'attenzione sulle produzioni americane, posso dirti che "El Grinta", "Un dollaro d'onore", "I magnifici sette", "Chato", "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo", "Balla coi lupi" (😍!!!), più o meno tutti quelli su Wyatt Earp e di Clint Eastwood mi piacciono... Altri tipi "Sentieri selvaggi" e "Ombre rosse" decisamente no.

      Resto comunque da queste parti😉, anche se non commento tutto poiché alcuni generi che recensisci non mi appassionano e quindi passo oltre.

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    3. "Corvo rosso" in parte, ma "Balla coi lupi" é decisamente un Western revisionista, perché é dalla parte dei nativi americani ;-) Cheers

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    4. Mio padre, classe 1948, è cresciuto con Giòn Uàine e gli altri eroi che sterminavano gli straccioni indiani, selvaggi e violenti: per quanto sapesse "di testa" che era un comportamento biasimevole, l'intrattenimento di pancia ha altre regole. Quando d'un tratto è arrivato il western revisionista e di denuncia - se non ricordo male è stato tipo "Soldato blu" (1970) a cambiare le carte in tavola, ma cito a memoria - è stato un dramma: in TV ormai iniziarono a passare solo "indiani buoni" e questo toglieva tutto il divertimento :-D Per non parlare del western crepuscolare, ancora peggio! Se a un genere leggero fatto di scazzottate e pistolettate ci aggiungi dramma, critica sociale e tristezza, dov'è il divertimento? Ecco perché ad un tratto sono scomparsi i film western da Casa Etrusca, e molti grandi titoli li ho recuperati in seguito.
      Sarebbe da studiare il fenomeno, perché a fumetti Tex - del 1948 come mio padre! - in pratica è sempre stato revisionista: a parte forse le primissime storie, sin da subito ha sposato la causa indiana divenendo il difensore di una razza oppressa, sposando un'indiana e avendo con lei un figlio mulatto: Kit Willer, simbolo di unione tra bianchi e indiani, nasce intorno al 1952, quindi credo anticipi di una buona ventina d'anni il western revisionista. Come sempre, gli italiani arrivano prima ma non sanno sfruttare il primato :-P
      Il genere revisionista ha così sconvolto mio padre che in pratica da decenni non vede più un western: quelli vecchi li considera troppo vecchi e quelli nuovi non gli piacciono. Così in pratica ne ho visti molti più io di lui, che li vedeva dagli anni Cinquanta :-P

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    5. Vero su Tex.
      Mi spiace che il taglio di registro dei western abbia allontanato degli spettatori, però erano storie che denigravano un popolo facendolo apparire ignorante, bestiale, incivile, fondamentalmente cattivo... Chissà come mai però nelle celle degli sceriffi ci finivano soprattutto bianchi, spesso in attesa di essere trasferiti in prigioni federali per essere processati.

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    6. Il razzismo becero è insito in qualsiasi tipo di narrativa statunitense, è un genere che va preso e apprezzato così. Perché quando parla bene degli indiani poi parla male di altri popoli: oggi le "teste di stracci" hanno preso il posto dei pellerossa al cinema, tutti i film di propaganda bellica degli ultimi vent'anni mostrano afghani caprai ignoranti sullo sfondo e oceani di bambini, perché il vero razzista si commuove esclusivamente davanti ai minori stranieri, versione moderna dello storico "buon selvaggio". E' un modo di narrare, anche il film più onesto e pulito è pieno di letame sotto il tappeto: ci fai il callo e ti godi la storia, cercando poi però opere di altra nazionalità con razzismi diversi così da fare la media :-P
      La comica Amy Wong racconta di essere metà cinese e metà vietnamita, e di aver sposato un uomo metà giapponese e metà filippino, e quando sono in casa spalano letame sui coreani! Tutti sono razzisti, cambiano solo gli obiettivi :-D L'importante è non farsi plagiare dal razzismo dei film, anche i più anti-razzismo, e saper separare l'intrattenimento dall'indottrinamento. ;-)

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    7. Totalmente d’accordo sul discorso e gli esempi portati da Lucius, per fortuna possiamo goderci il cinema senza doverci anche sgargarozzare i contenuti politici, inoltre si sviluppa la capacità oggettiva di distinguere i film davvero validi ;-) Cheers

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  9. Immagino che passare una vacanza con Sam Peckinpah fosse tutto tranne che noioso, sopratutto si vedeva tutto "il panorama messicano".

    Bella recensione, sopratutto mi sono piaciuti molto i vari riferimenti letterari. Certo che oggi ci lamentiamo ma neanche all'epoca i film originali se la passavano benissimo.

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    1. Sono corsi e ricorsi storici, solo che una volta ad attirare il pubblico erano i divi e i nomi in cartellone, oggi sono le saghe che il pubblico già conosce. Peckinpah in Messico? Un predatore nel suo territorio, andava oltre confine per darsi alla "vida loca" ;-) Cheers

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