venerdì 25 settembre 2020

L'invasione degli ultracorpi (1956): paranoia dallo spazio profondo

Ormai dovreste averlo intuito, in particolare se avete la sfortuna di leggermi da un po’ di tempo, qui alla Bara Volante, malgrado una spiccata predisposizione per il cinema di genere, non facciamo distinzione tra cinema cosiddetto “alto” e “basso”, anche perché questa distinzione esiste spesso solo nella testa degli appassionati di cinema. Oggi, ad esempio, affrontiamo un titolo che quella linea di demarcazione l’ha frantumata senza farsi troppi problemi.

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’industria cinematografica americana era sprofondata fino alla cintola in una pozza di catrame, le liste nere in cui erano finiti tutti gli sceneggiatori accusati di legami con il Comunismo (il più celebre tra tutti, sicuramente Dalton Trumbo) avevano influenzato il panorama cinematografico ed ogni decisione di Hollywood dal 1947 in poi. Questo almeno fino ai primi anni ’50 quando a molti di questi sceneggiatori, per quanto malvisti e considerati eccentrici, venne concessa non dico la grazia, ma almeno la possibilità di lavorare, anche se con addosso l’occhio severo della American Legion, pronta a boicottare ogni film anche solo vagamente politico, le uniche pellicole concesse erano quella chiaramente anti-comuniste, oppure quelle che difendevano la morale, sto pensando a titoli come “Marijuana” (1952) in cui il Duca John Wayne spezzava sul nascere i traffici illegali di Jay e Silent Bob, o qualcosa del genere, in questo momento non ricordo tutti i dettagli.

Cime d'erba dallo spazio profondo.

Ai margini delle grandi case di produzione, però, qualcosa bolliva in pentola, era grazie alle piccole case di produzione, ai B-movie e al cinema di genere rappresentato da western, horror, polizieschi e fantascienza che alcuni autori potevano permettersi di esprimere dubbi e preoccupazioni sulla vita nel dopoguerra americano. Lontano dall’occhio sempre spalancato dei censori, si facevano largo nomi come quello di Jack Arnold, Samuel Fuller e ovviamente Don Siegel, ma prima è necessario fare un passo indietro introducendo un tassello fondamentale di questa storia: Walter Wanger.

Wanger non era certo l’ultimo della pista, aveva lavorato ovunque (MGM, RKO, Universal), producendo cosette come “Ombre Rosse” (1939) di John Ford e “Il prigioniero di Amsterdam” (1940) di Alfred Hitchcock. Era considerato da molti un anticonformista fin dagli albori della sua carriera, un tipo eccentrico con una scrivania negli uffici che contavano, come quelli della Paramount Pictures, almeno fino alla svolta (da film) che gli cambiò la vita, vi romanzo un po’ i fatti, ma nemmeno tanto: un giorno Wanger decide di uscire prima dal lavoro e mettendo piede in casa, trova sua moglie Joan Bennet, professione attrice, impegnata con il suo agente Jennings Lang, però non a ripassare le battute di un copione. Leggete tra le righe.

“Corri! Mio marito è uscito prima dall'ufficio oggi!”

Wanger, come comprensibile, non la prese benissimo e sparò all'uomo nell'inguine, uno scatto d’ira che gli ha fatto vincere quattro mesi come ospite delle patrie galere e la messa al bando da tutti gli Studios che contavano, che un ex galeotto non lo volevano nemmeno per spazzare i pavimenti (storia vera). Ma di arrendersi Wanger non aveva nessuna voglia, fondò così la Allied Artist (anche nota come Monogram) piccola casa di produzione indipendente le cui intenzioni erano già tutte nel nome. Da qui Wanger parte alla riscossa radunando attorno a sé tutti quei talenti che nessuno voleva, come ad esempio quel ragazzetto motivato capace di aspettare tre ore fuori nel parcheggio, pur di parlare con lui, con un film a tema carcerario in produzione, Wanger tira su il telefono e trova un posto di lavoro a questo tizio, con un augurio (se così possiamo chiamarlo): «Sei dentro. Farai un paio di centinaia di dollari vedrai il tuo nome sullo schermo e questo è tutto. Da lì in poi dovrai cavartela da solo». Il ragazzo in questione era il figlio di un avvocato di Fresno, cresciuto in un ranch, con un passato militare, un talento per il teatro e una gran voglia di sfondare al cinema, si chiamava Sam Peckinpah (storia vera).

Il film in questione era “Rivolta al blocco 11" (1954) diretto da Don Siegel, se vogliamo un po’ le sue prove generali, per un altro classico come Fuga da Alcatraz, sul set Sam Peckinpah faceva il “trova robe” il ragazzetto spedito a recuperare tutto quello che serve: una lampadina, il pranzo, i caffè, oppure (sfidato da Don Siegel in persona) la più trucida banda di facce da galera in circolazione, servono comparse da mettere dietro le sbarre. Peckinpah, già frequentatori di locali dove si attacca a bere forte dalle dieci del mattino, tornò accompagnato da alcuni soggetti poco raccomandabili, fu così che Don Siegel fiutò il talento e decise di prendere quel ragazzo sotto la sua ala protettiva.

Come trasformare la cura del giardino in un incubo.

Walter Wanger, dopo la sua personale esperienza carceraria, era molto interessato a produrre film dalle tematiche sociali, per non dare troppo nell'occhio il cinema di genere era il miglior modo per continuare a fare della critica, dopo le condizioni dei carcerati di “Rivolta al blocco 11" era il momento di puntare più in alto, quindi Don Siegel si ritrovò a dirigere anche un film di fantascienza, lui che ormai si era fatto le ossa con le pellicole di genere come “Dollari che scottano” (1954).

Nessuno, meglio di Don Siegel era in grado di strizzare i centesimi, parliamo di un regista capace di lavorare di notte senza sosta, oppure di scovare luoghi per le riprese che nessuno aveva mai utilizzato prima e che, di conseguenza, costavano pochissimo. Ecco perché il suo protetto Sam Peckinpah in “L'invasione degli ultracorpi” è l’uomo dai mille volti: lo si intravede nei panni di uno dei camionisti impegnati a trasportare i famigerati bacelloidi, ma è anche il tecnico nel gas che si intrufola in casa del protagonista, mentre l'allora moglie di Peckinpah, Marie Selland, interpreta la donna alla pompa di benzina dove si riforniscono in tutta fretta i due protagonisti nel finale.

Quando ti fai controllare la caldaia da uno dei più grandi registi di sempre, il baffo di Sam Peckinpah.
 
Visto che siamo in argomento, affrontiamo anche una questione molto controversa. Don Siegel per il titolo del film sognava “Sleep no more” una citazione al “Macbeth” di William Shakespeare, ma su pressioni di Wanger dovette optare per qualcosa di più altisonante come “Invasion of the Body Snatchers” (storia vera). La sceneggiatura di Daniel Mainwaring è stata revisionata proprio da Peckinpah, anche se su questo punto Mainwaring ha fatto valere le sue ragioni contestando l’effettivo coinvolgimento del pupillo di Siegel che solo anni dopo fece chiarezza: Peckinpah suggeriva possibili miglioramenti parlando direttamente al regista e al produttore che dopo averle approvate uscivano fuori con il più classico dei «Ho avuto un’idea! Ragazzo… Scrivi!» e sotto dettatura Sam Peckinpah riscriveva abbondanti porzioni della sceneggiatura (storia vera).

“Scrivi: L'invasione degli ultracorpi. Senti che bel titolo!”
 
Ma oltre al titolo del film, la concessione più significativa che Don Siegel ha dovuto fare, riguardava il prologo e l’epilogo di “Invasion of the Body Snatchers”, la scena del dottor Miles J. Bennell (Kevin McCarthy) che viene portato in un ospedale psichiatrico perché nessuno crede alla sua stramba storia di bacelli spaziali che sostituiscono gli esseri umani. Siegel sognava di terminare il suo film all’apice della paranoia, con Kevin McCarthy impegnato ad urlare verso gli spettatori che i prossimi ad essere presi sarebbero stati loro, ma Wanger ha suggerito di optare per una conclusione più morbida ed edulcorata per il pubblico. Poco male, i semi erano già stati gettati, l’apocalisse imminente, il protagonista che dal manicomio racconta la sua storia e l’inizio del film che si ricongiunge con la sua conclusione, John Carpenter avrebbe omaggiato la struttura di questa pietra miliare firmata da Siegel in un altro suo capolavoro e non sarebbe stata nemmeno l’unica volta in cui Giovanni Carpentiere si sarebbe ritrovato a strizzare l’occhio a Siegel, in fondo la cittadina di Santa Mira, somiglia molto alle varie San Antonio Bay oppure alle Midwich Carpenteriane.

Le cittadine della provincia americana, quella un po’ sonnacchiose (occhiolino, occhiolino)
 
La Santa Mira di Don Siegel è la classica cittadina della provincia americana degli anni ’50, un posto patinato e sonnacchioso (wink wink) dove il medico è il punto di riferimento, ecco perché il dottor Miles J. Bennell ha le mani piene, ma soprattutto è molto interessato al ritorno in città di una sua vecchia conoscenza Becky Driscoll (Dana Wynter… Bellissima se vi interessa un parere tecnico). Sullo sfondo dei loro pranzi e delle loro cene, strani eventi, un figlio che sostiene che sua madre non sia più davvero sua madre e qualche anziano collega che minimizza sul fatto che sia una sorta di psicosi di massa questa storia. Insomma, tutto inizia come uno scherzo, un po’ come quando sentivamo parlare di un’influenza laggiù in Cina, vi ricordate? Ecco, una cosetta del genere.

Don Siegel è sempre stato un maestro dell’essenzialità, i suoi film sono senza fronzoli, ma incredibilmente diretti, per “Invasion of the Body Snatchers”, utilizzando quel suo piglio deciso da generale che il suo protetto Sam Peckinpah avrebbe ereditato, ha allegramente preso a scoppolate sulla nuca i tizi del reparto effetti speciali che per la realizzazione delle creature volevano qualcosa di vistoso (traduzione: costoso!) che avrebbe fatto sembrare il film il solito “monster movie” buono per far pomiciare i ragazzi al Drive-In. Qui anche gli elementi fantascientifici sono ridotti all’osso, l’uomo con il “volto di cera” sdraiato sul tavolo da biliardo e gli stessi bacelloidi che compaiono sotto i letti delle persone sostituite il mattino dopo, sono senza fronzoli, ma iconici. Nessuno come Siegel sapeva prendere temi e trame del cinema di serie B, elevandole a cinema “alto” quello di serie A, la conferma che i generi cinematografici sono essenzialmente due: da una parte i bei film e dall'altra quelli brutti. E state pur certi che quelli diretti da Siegel appartenevano alla prima categoria.

“Quest’uomo è morto!”, “Siamo proprio sicuri che si un uomo?”
 
Con il tempo, Wanger, Siegel e lo stesso Daniel Mainwaring si sono affannati a ribadire che no, “L'invasione degli ultracorpi” non era una grossa metafora sulla minaccia Comunista, anche se è inevitabile arrivare a pensarlo guardandolo, in fondo, molta della cinematografia americana verte (ancora oggi) sul terrore di essere assimilati da un'entità aggregante, capace di piallare via l’individualità delle persone, una paura insita in un Paese che ha fatto del sogno di autorealizzazione del singolo, la base di tutti i suoi valori.

In realtà, Wanger e Siegel volevano criticare il modo in cui le vite degli americani venivano conformate (anche dai censori), andavi a letto una sera e ti risvegliavi che eri uno di LORO e in fondo anche questa è una lezione che Carpenter ha fatto sua molto bene.

"Parla di Carpenter tutto il giorno. Cassidy parla di Carpenter sempre!"
 
La critica all’uniformarsi, allineandosi alla massa non pensante è chiara nel film, arriva dritta al pubblico percorrendo la strada dell’exploitation, Wanger sognava di riuscire a coinvolgere Orson Welles per un prologo narrato da lui nel film, in modo da legarsi a filo doppio alla sua celebre trasmissione radiofonica, quella con cui nel 1939 fece credere al mondo che i marziani erano arrivati, quando invece era solo una lettura del romanzo “La guerra di mondi”. Ma Wanger, in realtà, non aveva bisogno di un grande maestro cinematografica, non un secondo per lo meno, visto che aveva giù Don Siegel.

Se “L'invasione degli ultracorpi” è ancora un classico è proprio grazie alla capacità di Siegel di far crescere la tensione e ben prima di Wes Craven, togliere il sonno anche ai più dormiglioni tra gli spettatori con la sua pellicola. A Siegel basta costringere Kevin McCarthy ad uccidere sé stesso (anzi, il suo doppelgänger) a colpi di forcone per evocare brividi nel pubblico. Malgrado il bianco e nero e l’età ormai ragguardevole della pellicola, ancora oggi questo film è in grado di incollare allo schermo il pubblico con il suo crescendo di ansia e paranoie, come nel sogno bagnato di in terrapiattista che sbraita contro le antenne del 5G, non ci sono dubbi siamo di fronte ad un Classido!


Il valore di un Classido si misura anche nella sua capacità di influenzare la cultura popolare, il film di Don Siegel ha avuto tre rifacimenti: “Terrore dallo spazio profondo” (1978), “Ultracorpi - L'invasione continua” (1993) e “Invasion” (2007). Due molti belli e uno pasticciato da una produzione travagliata, ma per capire se un’opera è davvero parte della cultura popolare, dovete bussare alla porta di un cultore di vecchi film (uno che non ha mai distinto tra serie A e serie B) ovvero Joe Dante che nel suo “Looney Tunes: Back in Action” (2003) ha chiesto a Kevin McCarthy di tornare ad indossare i panni del dottor Bennell in una breve apparizione.

Se ne aveste ancora bisogno, la conferma che Joe Dante è sempre il migliore.
 
In questo film ci sono le basi di tutto, il concetto di creature aliene che uniformano al loro pensiero e stile di vita tutto e tutti era già presente in alcuni racconti di Philip K. Dick, ma è grazie a questo film girato in 23 giorni e costato 380 mila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti che è penetrato nella cultura popolare, da alcuni film di Edgard Wright fino ai Borg di “Star Trek: The Next Generation”, tutti devono qualcosa a questo classico.

Se devo metterla sul piano personale, poi, ho il mio modo di misurare quanto un film abbia fatto presa, ovvero grazie alle “citazioni involontarie”, quando nella mia parlata quotidiana mi ritrovo a citare le frasi di un film, ecco per far capire quanto qualcosa mi piaccia, ma proprio tante, uso una variante della frase con cui sto per concludere questo post: se mai mi sentirete dire che “L'invasione degli ultracorpi” di Don Siegel è meno che un capolavoro, vuol dire che sono stato sostituito da un bacelloide!

Questo post è stato presentato in precedenza sulle pagine di Netflix Magazine.

38 commenti:

  1. Qua si va sul classico. Siegel e Peckinpah, i baccelloni alieni e l'uomo di scienza che aveva capito tutto ma non viene creduto, i due piani di lettura, un film copiato, omaggiato, parodiato da migliaia di altre pellicole e da centinaia di autori differenti (e per svariati media!). Se non gli davi i gradi di "Classido" a questo, allora non so chi altro li meritasse.

    Visto parecchie volte anni fa (onestamente trainato dai remake) è un po' sparito dai miei radar. Non credo neanche di averlo più visto che, a memoria, avevo un vecchio dvx tirato giù dall'etere...

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    1. Capisci che non potevo proprio non averlo nel piccolo club dei Classidy ;-) Cheers

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  2. Ogni cosa che è citata in Looney Tunes Back In Action è un cult, io adoro quel film😀

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    1. Solo il laboratorio della dottoressa Joan Cusack in quel film, contiene mille citazioni ai classici della fantascienza, quelli giusti ;-) Cheers

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    2. nel laboratorio c'era anche un Dalek... per la maggior parte di noi (almeno quelli che abbiamo visto questo film!) fu il primo incontro con il mondo del Dottore :D

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    3. Joe Dante è impallinato con il Doctor Who, l'altro giorno su "Trailer from Hell" (sito che consiglio a tutti) trattavano del film apocrifo Peter Cushing "Daleks - Il futuro fra un milione di anni" (1966). Cheers!

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    4. i due film apocrifi di Dr. Who li ho visti 5 anni fa quando ero scimmiatissimo. sono entrambi discreti (ho preferito il primo però), ma anche delle enormi occasioni perse: portare in scena alcuni serial più interessanti del Dottore con un budget superiore alle 2 lire stanziate all'epoca per la TV e facendo interpretare il protagonista all'attore più carismatico della sua epoca... cosa poteva andare storto?

      Be'... un po' meglio dello sceneggiato originale, ma niente di troppo entusiasmante, peccato! :(

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    5. Concordo in pieno, comunque è un rito obbligato, quando sale la scimmia per il Dottore, si guardano i due film apocrifi e quello dedicato all'ottavo Dottore, non si scappa ;-) Cheers

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    6. Ah, io i Dalek li ho conosciuti per la prima volta proprio nei film apocrifi, visto che nei pochi episodi con Tom Baker trasmessi in epoca remota da mamma RAI c'erano Cybermen, Sontaran, Whirrn, Morestran, Vogan, esseri di antimateria, robot assassini, Sutekh il Distruttore (razza Osiran) ma i Dalek NON ce la fecero proprio ad arrivare prima della cancellazione del quarto Dottore dal palinsesto nostrano! Comunque Joe Dante con il laboratorio della dottoressa Cusack ha dimostrato di essere un Whoviano d.o.c. ;-)
      Tornando al grande classico di Siegel, fra le sue tante sequenze inquietanti mi piace ricordare quella del "risveglio" di Becky Driscoll con la conseguente espressione inorridita del povero dottor Miles (sequenza tutta giocata su dei chiaroscuri agghiaccianti)...

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    7. Joe Dante uno di noi ;-) Esatto, la capacità di Siegel di andare dritto al punto ha fatto scuola, ad Eastwood e Carpenter sicuramente. Cheers!

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  3. Ho adorato questo tuo post pieno di aneddoti e retroscena molto interessanti.
    Credo di aver visto per primo il film del 78, quando andavo alle elementari, e poi non volevo andare a dormire, ovviamente. E prima controllavo se sotto il letto ci fossero i baccelloni.
    Ma credo di aver visto poco dopo quello di Siegel. Cioè della serie, non ti basta lo spavento di quell'altro. No, non mi basta. E comunque, quello di Siegel, l'ho visto di pomeriggio, si sa che i film di paura fanno meno paura di giorno. E invece mi ricordo che mi aveva inquietato forte. Non vedi niente di che, ma ti accorgi che è tutto strano. Pur da così piccola mi ricordo l'ansia nel vedere sti baccelli ovunque, la faccia di McCarthy che vede i baccelli nei camion e perde le speranze.
    Un film di quelli che puoi leggere a molti strati. Se non è un capolavoro questo!

    E perfetta la faccia di McCarthy che dice: "Cassidy parla sempre di Carpenter!" :D

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    1. I rifacimenti sono tutti molto belli, tranne quello con Nicoletta Ragazzino che però era stato massacrato al montaggio da quello che sapevo. Ma questo è un classico, ha l’aira di quei film da pomeriggio di Canale 5 ma Siegel andava dritto al sodo e in un attimo, ti ritrovi in ansia come McCarthy nel film, una vera pietra miliare. Non potevo non usare quella didascalia, immagino sia anche la reazione di molti lettori della Bara :-D Cheers!

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    2. Secondo me il film del 78 ha il tipico stile divagatorio ed oggi lento anni 70.😕 Secondo me è invecchiato peggio.😳

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    3. Dovessi riuscire a rivederlo per scriverne, ti farò sapere ;-) Cheers

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  4. oddio, che bello! La fantascienza "politica" degli anni '50! Adoro!
    E questo è un vero classidy! Forse solo Stanlio e Ollio si sarebbero trovati bene, d'altronde loro vivono "come due piselli in un baccello!"

    Ti consiglio un giorno di trattare un altro CLASSIDO (presumo, altrimenti non ti leggerò mai più :P ): IL VILLAGGIO DEI DANNATI (l'originale, il remake e il sequel apocrifo che ne ampia la mitologia: La stirpe dei dannati)... tutta roba da vecchi insonni che passano la notte su RAITRE...

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    1. Ehehe non avevo pensato a Stanlio e Ollio, loro si sarebbero stati nel loro ;-) Non avevo avuto il tempo di farlo per bene durante la rubrica su Carpenter perché avevo parecchia carne al fuoco, ma il film di Wolf Rilla deve finire del club del logo rosso per forza. Cheers!

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  5. Gran film, ho visto tutti seguiti e remake e perfino letto il libro, che se non ricordo male finiva peggio. Sono entrati nella storia gli "scambiati" che indicano i "normali" gridando... ma forse quello è stato introdotto nel primo remake?

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    1. Il film di Philip Kaufman (sempre sia lodato) somiglia un po' di più al libro, qui il finale più lieto è stato voluto dai produttori, avevano già terrorizzato abbastanza il pubblico ;-) Cheers

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  6. Una grande classico, cioè cosa dire di più, il cinema se ne ricorderà per sempre ;)
    I rifacimenti? Quello del 1978 decisamente il migliore dei tre..

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    1. Anche io sono legato molto a quello di Philip Kaufman ma anche quello di Abel Ferrara non scherza ;-) Cheers

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  7. Complimentissimi, una spremuta di miticità condita di aneddoti ghiotti: un pasto completo ^_^
    Dalla tua descrizione poi mi sono immaginato il giovane Peckinpah come il De Simone del commissario Auricchio in "Fracchia la belva umana" (1981): lui aveva le idee, Auricchio le sfotteva, poi le riproponeva come sue :-D
    Dante mi stupisce una volta di più: non avendo visto quel film, Looney come si chiama, l'immagine che mostri mi ha fatto saltare sulla sedia!!!
    Anni fa ho rivisto il film per il mio viaggio tra le ginoidi (visto che tecnicamente le "donne sostituite" della vicenda non sono umane ma esseri costruiti "a forma di donna") e mi ha colpito la differenza tangibile che passa nella storia fra una donna normale e una sostituita. Se ricordi, ad un certo punto il protagonista parla ad una donna e capisce subito che non è più umana... semplicemente perché gli parla "da pari". Non è più la donnina americana anni Cinquanta, svenevole e impaurita, ma una donna fiera e indipendente, e il protagonista capisce subito che... non è più umana!
    Non credo sia un effetto voluto né cosciente, ma curiosamente non è raro che gli autori di donne artificiali adottino questo atteggiamento: per rendere paurosa una donna... la rendono alla pari del protagonista!

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    1. Mille grazie davvero, gentilissimo ;-) Ahaha esatto più o meno è andata così, anche perché il rapporto con Don Siegel è sempre stato tosta, quando Peckinpah ha iniziato ad avere successo Siegel non ha gradito troppo essere sorpassato dal suo pupillo, ci sta con il cambio della guardia.
      Dovresti guardarlo, già solo per la scena del laboratorio della dottoressa Joan Cusack, ci sono citazioni a tutta la fantascienza classica che conta, insomma puro Joe Dante ;-) Esatto, pensavo mentre ti leggevo al romanzo “La fabbrica delle mogli” deve essere stato proprio istintivo, certe forme mentali diventano radicate ed è più facile notarle per noi che siamo fuori da certe logico, o almeno, la nostra società dovrebbe, perché ci siamo evoluti vero? Seeee! ;-) Cheers

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  8. L'invasione degli ultracorpi è un film che non ha bisogno di presentazioni e che oltre i significati metaforici riesce a parlare di fantascienza senza essere un film di fantascienza canonico. Ho recuperato il romanzo di Jack Finney qualche giorno prima che iniziasse il lockdown ed estasiato dalla lettura ho rivisto anche il film: la cosa che mi è piaciuta di più è proprio quella di aver creato un finale diverso da quello del romanzo ma ancora più potente dal punto di vista narrativo.
    Poi è sempre un piacere venire a conoscenza di tutti gli aneddoti che racconti nei post.
    Top!

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    1. Sono qui anche per questo, hai fatto bene a confrontare libro e film, di solito quando li trovo diversi mi diverto il doppio, non amo le fotocopie che di solito risultano sbiadite. Questo film non ha nulla di sbiadito, nemmeno il bianco e nero ;-) Cheers

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  9. Visto eoni fa, anche se mi ricordo di piu' i vari sequel e remake.
    In particolare quello del '78, "Terrore dallo Spazio Profondo".
    Gran bel post, ricco di aneddoti interessanti.
    In particolare quando parli della logica patronale delle grandi aziende.
    Che perdura tutt' oggi, eh. E ne si qualcosa, fidatevi.
    Solo che ai giorni nostri e' diventata piu' ipocrita.
    Una volta sapevi di essere l'ultima ruota del carro, di doverli baciare i piedi solo perche' ti avevano assunto e messo a lavorare con loro. E ti adeguavi.
    Al massimo, come Peckinpah, usavi l'astuzia.
    Adesso ti danno l'illusione di essere tutti alla pari. Ti invitano a proporre, suggerire.
    Peccato che quando lo fai prima ti rispondono MACCHECCAVOLODICI. E dopo vanno in giro a sbandierare l'idea come se fosse loro.
    Bah.
    Film inquietante e che mette una gran ansia, perche' il tipo di terrore che mostra e soffuso, infido, tenue e subdolo.
    Quindi ancora piu' pericoloso.
    Come ogni cittadina o villaggio infestato, invaso, posseduto, maledetto o in mano a fanatici di ogni sorta, cerca di mettere tutti a proprio agio in modo che non si sospetti nulla.
    Peccato che lo spettatore intuisce da subito che c'e' qualcosa che non va.
    Di sbagliato. Di fuori posto.
    Non il protagonista, che nella sua dabbenaggine non si accorge di nulla. Nemmeno davanti alle prime avvisaglie.
    E quando inizia a rendersene conto pure lui...in genere e' troppo tardi.
    La trappola e' gia' scattata, e non c'e' piu' scampo.
    Immagino che il finale, piu' che imposto, sia stato dettato dalle circostanze.
    Sostanzialmente i realizzatori erano un gruppo di reietti. Guidati da un avanzo di galera (per la cronaca...nulla giustifica un tentato omicidio. Neppure le corna. Diciamo che non approvo, ma capisco. La cosa incredibile e' che qui da noi l'avrebbero assolto con formula piena, mi sa).
    Non certo il miglior biglietto da visita, temo.
    Un finale negativo avrebbe attirato troppo l'attenzione. E non in senso buono.
    La dimostrazione che molti dei maestri con cui siamo cresciuti non hanno inventato nulla, in fondo.
    Ma hanno appreso bene la lezione di quei classici, e li hanno omaggiati come meglio non di poteva. Adattandolo al loro tempo.
    Per la cronaca...la foto col tizio in B/N vicino a quelli a colori ha fatto sobbalzare pure me.
    A conti fatti ho capito di che film era, ma a vederla cosi' di botto...
    Proprio vero.
    Basta un niente, a spaventare. Un dettaglio fuori posto.

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    1. Peckinpah non é uno che si é mai adattato molto in vita sua, masi é fatto una lunga gavetta ;-) Cheers

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  10. Grande film, da appassionato di fantascienza anni '50 /'60 non potevi farmi un regalo migliore. Me lo ricordo bene, anche perché lo rivedo volentieri ogni volta che lo passano in tv e capita ogni tanto, soprattutto in orari antilucani, tanto non dormo mai, un pò come sono costretti i protagonisti della pellicola. Mi piace anche molto il rifacimento con il grande Donald Sutherland del '78, che riesce nell' intento di essere quasi più inquietante del capostipite. In ogni caso non deve essere stato un periodo semplice negli USA in quegli anni. Tra la paura del rosso, la paranoia imperante e chi ti poteva mettere nei guai se pensava che fossi "diverso", non si stava mai sereni! 👋

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    1. Spero di aver fatto un regalo gradito ma dalla risposta, sembra di sì ;-) Anche a me piace molto la versione del 1978, chissà che non ci scappi un ripasso, vediamo come sono combinato, per ora non prometto nulla. Cheers!

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  11. Sono d'accordo con te sul fatto che spesso i film cosiddetti di genere (horror, western, fantascienza...) sono quelli che veicolano le riflessioni più interessanti sulla società. Questo è un film meraviglioso, che ancora oggi fa davvero impressione per quanto è fatto bene. E quella scena dei Looney Tunes - Back in Action nell'Area 52 è un tesoro di citazioni divertentissime!

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    1. Il problema è che ora molti (a partire dai film d'azione) vengono gestito come grossi cartoni animati, ma il cinema di genere è una bella tavola su cui dipingere storie. Don Siegel qui ci é riuscito alla grande ;-) Cheers

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    2. Piccolo OT : a me Back in Action non è mai piaciuto perché Dante non capiva il lato cartonesco : in pratica Daffy e Bugs , invece di essere protagonisti, sono macchiette comprimarie di poca importanza ( se non ci fossero stati , nessuno avrebbe notato la cosa ).
      Riguardo agli Ultracorpi, in italia è un film semi-sconosciuto perché trasmesso pochissimo, al contrario del suo remake del 1978, che invece conoscono tutti e che ha dato tanti bei(?) incubi ai bimbi che lo videro in tv.

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    3. Il bianco e nero e la natura spaventosa della storia non lo collocavano facilmente tra i bellissimi di rete 4 ;-) Cheers

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    4. Guardate, sarò stato particolarmente fortunato, ma negli ultimi trentacinque anni l'ho visto almeno tre o quattro volte, sicuramente non su Rete4, però non direi che è stato poco riproposto, ci sono film a cui è andata peggio, tipo Action Jackson!!

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    5. In effetti Action Jackson é un ottimo esempio di film sparito dai radar. Cheers!

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  12. @Daniele Borvida

    su quali canali lo hai visto ?
    Io ricordo che lo facevano a volte sulla Mediaset o la Rai ma a orari notturni tipo l'una di notte in giù ( o in su ?)
    Idem con la "cosa di un altro Mondo" o "Blob"

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    1. Ciao Sam, sì, di solito visto sulla Rai molto tardi, magari da Ghezzi. Però anche sui canali Mediaset, se non ricordo male, soprattutto Rete4, la mattina nel fine settimana. 👋

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  13. è sempre un piacere leggere i tuoi post, trovo sempre qualche spunto per una prossima visione (e devo pure recuperare il film dei Looney Toons per ritrovare quella scena).

    Sicuramente per prima cosa devo recuperare il romanzo da cui è tratto il film.

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    1. Il romanzo è molto bello penso che ti piacerà. Per me invece è un piacere suggerire e poi scoprire il tuo parere ;-) Cheers

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