lunedì 15 giugno 2020

Resa dei conti a Little Tokyo (1991): una coppia di strambi sbirri terrorizza anche l'oriente

Ci sono un’infinità di dinamiche di cui tenere conto per far funzionare un film, poi invece ci sono delle pellicole che semplicemente se ne fregano e diventano di culto lo stesso, come “Resa dei conti a Little Tokyo”.

Il regista Mark L. Lester è una vecchia lenza, uno che piace molto a questa Bara e che presto vedrete tornare a bazzicare da queste parti. Attorno ai primi anni ’90, il regista era alla ricerca di un soggetto facile da portare al cinema, quindi cosa può esserci meglio di un film del filone Strambi Sbirri? Una categoria di film che ha in 48 Ore di WalterHill il suo padre nobile e in Arma Letale uno dei suoi discepoli più riusciti.


Il film di “Strambi sbirri” di Mark L. Lester prodotto da Martin E. Caan per la Warner Bros. viene affidato agli sceneggiatori Stephen Glantz e Caliope Brattle Street (bel nome!), ma il risultato finale non convince ancora. Lester forte del successo del suo film più famoso, quella bomba atomica di Commando, ha pensato bene che tenere il ritmo alto fosse uno dei segreti del successo, quindi dalla sceneggiatura originale, sono stati affettati a colpi di Katana senza alcuna pietà svariati passaggi. Risultato finale? Il film dura 78 minuti, compresi i bellissimi titoli di testa, che sulle note dell’efficacissima colonna sonora composta da David Michael Frank (quello di Nico e “Duro da uccidere”) si gioca tatuaggi Yakuza e Katane come se non ci fosse un domani.

Titoli di testa così belli, che si meritano anche la colonna sonora.
“Resa dei conti a Little Tokyo” sembra un film generato buttando nel mucchio tutte le trovate che hanno reso grandi i film con coppie di “Strambi sbirri”. Tutti elementi selezionati senza curarsi troppo dei dettagli, oppure di orpelli inutili come l’approfondimento dei personaggi e altre amenità del genere no no, qui si procede dritti sparati, l’unica scelta da fare era un modo per distinguere questi strambi sbirri da tutti gli altri. Siccome sospetto che alla riunione creativa della pre-produzione, qualcuno particolarmente affamato abbia proposto di pranzare al ristorante Sushi all'angolo, il tema scelto è il Giappone. Questo spiegherebbe anche il generico (ma cazzutissimo) titolo: «Resa dei conti a Little Tokyo va bene per tutti? Ok andiamo a mangiare, che sto morendo di fame».

L’unico problema di Mark L. Lester questa volta è quello di non avere per le mani una sceneggiatura scritta da quel genietto di Steven E. de Souza (per altro in stato di grazia), Commando era al tempo stesso massima esaltazione del genere action con parente del protagonista rapito (ben prima di Liam Neeson) ma anche talmente ironico da risultare quasi al limite dell’auto-parodia, insomma un modo di distillare il fulmine all'interno della bottiglia francamente irripetibile. Non potendo contare su questi elementi, “Showdown in Little Tokyo” fa della sfrontatezza una forma d’arte, ogni personaggio ed elemento della storia sono nei casi migliori degli archetipi narrativi, in quelli peggiori dei riciclaggi di qualcosa di già visto in mille altri film della stessa tipologia. Ma siccome sulle dinamiche si procede con l’acceleratore premuto a tavoletta, il resto lo fanno i personaggi, affidati tutti alle facce (e tante volti ai corpi) migliori possibili.

Arrivano gli sbirri, quelli giusti e tosti.
“Resa dei conti a Little Tokyo” è il trionfo della filosofia per cui, se ha già funzionato altrove, riproponiamolo identico ma alziamo a undici il volume della radio, come l’amplificatore degli Spinal Tap, volete un esempio? Toshishiro Obata qui interpreta Sato, il braccio destro della terribile gag di Yazuka del film, un ruolo che aveva già ricoperto identico in Tartarughe Ninja alla riscossa e per stare tranquilli anche nel suo seguito.

Qui il buon Toshishiro, impegnato a gestire un torneo di lotta clandestino, viene subito maltrattato dall'eroe di turno che entra in scena volando dal cielo come Tarzan (letteralmente!), si tratta del detective Chris Kenner, non potete mancarlo è una giacca di pelle con dentro il metro e novantasei centimetri di Dolph Lundgren. Degli applausi sarebbero graditi, grazie.

Ding dong, fa la campanella dell'ultimo round se sul ring sale (volando) Dolph.
Kenner in virtù del suo passato è l’esperto di cultura orientale messo sulle piste della gang che terrorizza la città spacciando la solita nuova droga (con gli effetti di tutte quelle vecchie), ma i veri motivi che spingono il poliziotto sono di natura personale, il viscido boss Yoshida (il mitico Cary-Hiroyuki Tagawa, una carriera dedicata al ruolo dell'orientale cattivo) ha ucciso i suoi genitori quando il ragazzo viveva in Giappone con la famiglia, da allora Kenner cerca l’uomo che ha sfregiato durante la colluttazione, per vendicare la sua famiglia e la sua tecnica di indagine è molto semplice: provocare una rissa con ogni Yakuza che incontra sul suo cammino.

Tanto cattivo quanto tatuato, fate voi le dovute proporzioni.
Lo fa anche nel locale dove tutte le mattine ama andare a fare colazione («Problemi non ne ho, ma la mattina se non mangio divento intrattabile»), dove il tentativo di estorsione della gang viene risolto da Kenner a pugni e calci, anche perché Dolph Lundgren proprio quest’anno a maggio è diventato quarto Dan (storia vera), quindi sa davvero come si deve tirare un pugno oppure un calcio e lo ha sempre fatto con incredibile agilità malgrado quel corpaccione che si ritrova.

La tradizione dei film di “Strambi sbirri” vuole che i poliziotti nel film siano due, quindi “Showdown in Little Tokyo” introduce il secondo piedipiatti in corsa, senza perdere tempo in chiacchiere, in media res anzi, in "media ris" visto che Johnny Murata, il poliziotto per metà Giapponese interpretato da Brandon Lee, si ritrova nello stesso ristorante e della stessa rissa, scambiato per uno dei cattivoni da Kenner per via beh, dei lineamenti orientali.

“Specchio riflesso se ti muovi ti dichiaro in arresto!”
Avete presente la classica scena con il capo della polizia (che urla, perché in questa tipologia di film, il capo urla sempre) che dice a Kenner «Lui è il tuo nuovo compagno» solo per beccarsi come risposta qualcosa tipo «Io lavoro da solo» come accade, che so in Arma non convenzionale giusto per pescare solo dalla filmografia di Dolph? Ecco, qui non vedrete niente di tutto questo. Il film di Mark L. Lester procede talmente spedito che non ha tempo per raccontare qualcosa che da spettatori, conosciamo già. Lo avete già visto in altri trenta film identici? Bene quindi sapete già tutto, andiamo avanti!

Dove sta la differenza rispetto agli altri film di “Strambi sbirri” quindi? Nel tema orientaleggiante ben sottolineato dal direttissimo titolo. Questa volta la strana coppia di protagonisti non sono opposti per colore di pelle ed età oppure perché uno è uno sbirro e l’altro un criminale. No, questa volta le carte vengono mescolate in maniera anche più divertente: Kenner è lo Yankee della coppia, però è anche quello cresciuto in Giappone, educato e formato come un vecchio Samurai delle leggende, tanto da vivere in una casa che sembra uscita da un Manga, arredata con un futon e una tinozza per fare il bagno in cortile.

Tinozza da bagno tipo estremo oriente (Tia Carrere fornita separatamente)
Johnny Murata invece, dovrebbe essere la quota orientale del film, quello che porta per mano il pubblico nel magico mondo del Giappone, invece niente, pur essendo per metà Giapponese è più americano della torta di mele («Non mangio pesce crudo, sono troppo americano»). Insomma il ribaltamento di ruoli che rappresenta la novità - e manda in tilt il mono-neurone di chi è abituato a pensare alle persone etichettandole per sesso, razza e religione -, ma sapete dove sta il bello? Nel casting che ha pasticciato ancora di più questa combinazione letale!

L’americano cresciuto come un Giapponese lo interpreta uno Svedese alto quasi due metri, mentre il mezzo Giapponese, perché non farlo interpretare ad uno che nella realtà per metà era Cinese, per di più figlio di uno che sull'argomento, avrebbe anche diretto un film che mi pare parlasse proprio di questo. Vorrei dedicare un minuto al tormento interiore di Brandon Lee, che davanti alla proposta di un ruolo così, avrà sicuramente lanciato un occhio alla locandina di “Dalla Cina con furore” (1972) che immagino sia sempre appesa, su una parete di casa sua.

“Hai la stessa locandina appesa anche tu, solo che per me è una foto di famiglia”
Per gli appassionati di gossip tra di voi, pare che tra Dolph Lundgren e Brandon Lee non scorresse proprio buon sangue, ma sono dettagli che di sicuro non ci interessano visto che i loro rispettivi personaggi risultano davvero affiatati, come dovrebbe sempre accadere in un film di “Strambi sbirri”. Brandon Lee che malgrado avesse fatto della gavetta in televisione e un film da protagonista (“Laser Mission” del 1989), qui era al suo primo ruolo di una certa visibilità, infatti risponde subito presente dimostrando una certa spigliatezza nel recitare le battute e le battutacce, anche quella incredibilmente ambigua, sulle dimensioni del "frustanani" di Dolph.

1.96 di altezza, anche qui, fate voi le dovute proporzioni (se siete nani invece... fuggite sciocchi!)
Dal punto di vista atletico poi, Brandon Lee conferma di avere avuto come insegnante di arti marziali il più grande Maestro del mondo, suo padre Bruce. L’unico scotto da pagare è il suo essere il secondo nome in cartellone accanto a quello di Dolph, che qui era ancora un po’ legnoso (non come in Red Scorpion ma meno che in Arma non convenzionale) ma già sulla via della gagliardezza che lo contraddistingue ancora oggi.

Ed Action Jackson.... MUTO!
Dopo aver velocemente tratteggiato i due tostissimi protagonisti, con ancora più velocità “Resa dei conti a Little Tokyo” ci porta ancora più nel vivo della trama, gettando nel mucchio un sacco di rituali della cultura Giapponese citati con interesse, ma non proprio con l’adeguata precisione (nessuna distinzione tra Seppuku e Harakiri così come il taglio delle falangi, che diventa subito un dito mozzato per intero… Perché qui nessuna ha tempo da perdere, nemmeno gli Yakuza pentiti!). Allo stesso modo i personaggi di contorno della storia vengono sviluppati attraverso il non detto, affidandosi completamente alle precedenti esperienze cinematografiche degli spettatori.

Solo per oggi, in offerta per i primi cento lettori della Bara Volante questi affilatissimi coltelli Giapponesi (no, vi ho detto che Tia Carrere è fornita separatamente!)
Lo spietato Yoshida, oltre ad essere interpretato dallo specialista in cattivi Cary-Hiroyuki Tagawa, nel doppiaggio Italiano del film “parla” con la voce dei Signor Burns dei Simpson (giusto per ribadire quanto sia malvagio) e quando si trastulla a suo modo con bionde signorine, finendo per mozzare loro la capoccia, i cadaveri delle poverette vengono portate via dal patologo sullo sfondo della chiesa di Il signore del Male di John Carpenter. Vi ricordate il ragazzino di Last Action Hero che puntava il dito e diceva «I cattivi sono lì dentro?» ecco qui Mark L. Lester sembra fare la stessa cosa.

"Noi trasmettiamo dall'anno 1999. Ricevi questo messagg...", "Sei stata posseduta dallo spirito di Cassidy e dalla sua ossessione per Carpenter per caso?"
Lo stesso grado di approfondimento viene applicato alla bella di turno, destinata a diventare la damigella in pericolo del film, che qui è sexy, orientaleggiante e gnocchissima visto che è la Tia Carrere del 1991, già meravigliosa nel ruolo del soprammobile nell’ufficio del cattivo in Harley Davidson & Marlboro Man, qui anche di più. Ma visto che so bene a cosa state pensando, vi riporto una delle pochissime informazioni che la pagina Italiana di Wikipedia si è impegnata a riportare su questo classico del piccolo schermo: per la scena di sesso Tia Carrere è stata sostituita da una “uscitrice” di bocce professionista (è un ruolo professionale con tanto di sindacato, cosa credete!) la modella Tera Tabrizi. Vi lascio il tempo per correre su Google a cercarla.

La Tia Carrere dei primi anni '90 la commentate voi, perché sono momentaneamente a corto di superlativi.
Ogni dinamica e personaggio in “Resa dei conti a Little Tokyo” viene sviluppato con la fretta di chi non vuole perdere tempo. Questo spiega perché Tia Carrere sarà anche stata disonorata, ma resta comunque interessata (ad orizzontalizzarsi Dolph) e allo stesso modo Johnny Murata, quello ligio ai regolamenti in aperta polemica con i modi rozzi ma efficaci di Kenner, nel giro di due-minuti-due (e senza motivazione alcuna) gli dichiara tutta la sua stima con enorme enfasi e lo convince ad andare a fare il culo a quei bastardi prima, per poi dopo, correre a mangiare sushi sul corpo di ragazza nude, lui! Che aveva dichiarato che nemmeno lo mangiava il sushi!

Non è un Bro-fist, ma vale comunque come saluto ufficiale della Bara Volante.
Nel suo essere completamente derivativo, “Showdown in Little Tokyo” capisce in pieno di avere per le mani gli elementi più esplosivi di tutta la tavola periodica e non ha nessuna paura ad utilizzarli, quindi procede a testa bassa tra una rissa e l’altra permettendo ai personaggi di scatenarsi, ecco perché per salvare Tia Carrere, Dolphone nostro entra in azione sparando, rifilando pugni e calci ma se serve, anche ribaltando un’automobile sollevandola solo di braccia.

Credo che all’Ikea vendano un modello di tavolo chiamato Dolph.
I settantotto minuti di “Resa dei conti a Little Tokyo” contengono tutto quello che chi come noi, cresciuto con le repliche dei film d’azioni su Italia 1 e sulle varie tv private, vorrebbe sempre trovare in un film: sparatorie, risse, sicari con i baffi fatti a forma di Al Leong, Tia Carrere sexy in vestaglia e fucile a pompa, ma anche Brandon Lee che incredibilmente si prende il palcoscenico, il suo scontro a colpi di bastone con Toshishiro Obata finisce con la battutaccia più clamorosa del film, dopo un calcio volante e un volo in un vascone pieno di acido, arriva anche la lettura dei diritti più sfacciata di sempre: «… Hai il diritto di rimanere morto».

“Frasi maschie” e dove trovarle.
Persino le scelte esteticamente sbagliate di “Showdown in Little Tokyo” lo rendono un film mitico, come prendersi gioco della scena della tortura elettrificata di Rambo 2 moltiplicando il numero dei protagonisti messi sulla graticola («Finalmente, è stracotto!»), oppure la vestizione dell'eroe prima di entrare in azione, un attimo prima di andare ad affrontare la resa dei conti del titolo, Dolph indossa un’imbarazzante fascia in testa tipo concorrente di un episodio a caso di “Mai dire Banzai”, indossata sopra una sorta di sexy kimono che sembra uscito da uno di quei negozi tutto ad un Euro. Sarà pure una trovata assurda trasformare Dolph nel Giapposvedese, però se non vi esaltate per una scena così, non vi conosco, non vi voglio conoscere e penso che voi abbiate anche sbagliato blog!

Il bicipite del Giapposvedese terrorizza Little Tokyo.
Nel suo essere completamente derivativo, “Resa dei conti a Little Tokyo” sfrutta tutti i suoi elementi nel modo migliore possibile, il suo lascito forse è quello di avere vagamente aperto la strada a film che hanno avuto molto più successo al botteghino come “Rush Hours” (1998), ma il più delle volte è ricordato come una nota a piè di pagina, confuso con il più celebre (ma altrettanto sfortunato al botteghino) Grosso guaio a Chinatown, oppure nei casi migliori, ricordato come quel film che Brandon Lee aveva fatto prima di diventare famoso (e perdere la vita) con Il Corvo.

Eppure dove lo trovate un altro film che non si fa problemi a far spuntare un paio di Katane nel mezzo delle celebrazioni per strada, mettendo Dolph Lundgren e Cary-Hiroyuki Tagawa uno contro l’altro, tra lame taglienti e fuochi d’artificio? («Ok, kick his ass samurai!»).

Anche meglio di quando faceva a spadate con Frank Langella.
“Resa dei conti a Little Tokyo” è il tipo di film che chi è cresciuto con i film d’azione vorrebbe sempre vedere, ha persino il finale classico di questo tipo di film, l’equivalente anni ’90 della cavalcata verso il tramonto dell’eroe, che qui si traduce nel protagonista che cammina ferito ma ancora gagliardo verso l’orizzonte, abbracciato alla sua bella e scambiando battute con il suo compare, quante volete avete visto questo finale? Non è sempre bellissimo? Proprio come vedere il film di Mark L. Lester a ripetizione, credo di averlo fatto per tutta l’infanzia, buona fetta dell’adolescenza e ancora oggi, quando lo passano in tv, non lo perderei per nulla al mondo!

26 commenti:

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    1. Ecco bravo, mi sembra proprio la selezione più azzeccata di parole ed espressioni possibile. Cheers!

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  2. Quando anche i peggiori filmacci avevano riuscivano a diventare mitici!

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    1. Un film che non ha voglia di raccontare quello che il pubblico già conosce, quindi si concentra sull'elemento esotico e su un ritmo forsennato, ci sarebbe da metterci la firma se i risultati fossero sempre questi ;-) Cheers

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  3. lo vidi mille anni fa.

    mi piaque ma mi ricordo pochissimo.

    rdm

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    1. Fai sempre in tempo a ripassarlo, per fortuna lo replicano ancora abbastanza spesso in tv ;-) Cheers!

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  4. Mea culpa mea grandissima culpa, non aver mai visto questo film è grave, Lundgren-Lee-Tagawa + Carrere, nient'altro da aggiungere.

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    1. Sono qui per ricordarti cosa riguardare, ci tengo a non lasciarti senza nulla da vedere ;-) Cheers

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  5. Un giorno lo rivaluteranno, il buon Lester.
    I suoi film sono come un salto al fast - food. O al kebabbaro. O al rivenditore di ghiros (mmmhh…).
    Te ne spari uno al volo, te lo sbrani in due secondi e poi ti lascia la bocca talmente buona che quasi te ne rispari subito un altro uguale.
    I filmoni te li rivedi più e più volte. Ma un film come Commando te lo potresti rivedere da capo subito dopo averlo visto!
    Ottanta minuti di film che filano via talmente lisci che sembra duri mezz'ora.
    Lester ha il dono della sintesi e del ritmo.
    E poco importa se la storia sia già vista, e magari raccontata pure meglio.
    Qua ci sono tutti gli ingredienti che noi appassionati amiamo: due protagonisti tosti e cazzuti, cattivacci con la faccia giusta al posto giusto e la Carrere...che era uno splendore. E non aveva ancora due spigoli al posto degli zigomi.
    E poi botte da orbi, esplosioni, sparatorie, schizzi di sangue...tutto quel che occorre.
    Che dire dei due sbirri? Lundgren che oltre al fisico statuario ha un cervello di prim'ordine (cosa di cui spesso la gente si dimentica), e poi oltre a menare sullo schermo può farlo benissimo nella realtà.
    Campione europeo di Kyokushinkai a squadre, gente. Uno degli stili più duri che esistano.
    Andate a vedere una cosuccia chiamata LA PROVA DEI CENTO COMBATTIMENTI e poi mi dite.
    Su Brandon Lee...aollra, qui la faccenda é delicata.
    Spesso storco il naso, di fronte ai figli d'arte.
    Forse il fatto di avere un paparino così (oltretutto deceduto in circostanze misteriose) gli ha indubbiamente spianato la strada. Ma qui il figlio di Bruce dimostra insospettabili talenti nascosti.
    Non cerca un confronto improponibile con l'illustre genitore, ma...ci mette del suo. E lo fa benissimo.
    Cavolo, se ha i numeri.
    Eh...buon sangue non mente.
    E' morto davvero troppo, troppo presto. Poteva diventare un'icona a sua volta.
    Poi lo é diventato, in un certo senso. Ma avremmo preferito un altro modo, davvero.
    Alle volte credo che seguire le orme dei propri genitori porti inevitabilmente allo stesso, tragico destino.

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    1. Merito di quel genietto di Steven E. de Souza, ma anche Lester in buona sapeva il fatto suo ;-) Ma mica tanto, non è che papà abbia mai avuto la strada spianata ad Hollywood e anche il figlio un po' di gavetta l'ha fatta. Cheers!

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    2. Volevo scrivere qualcosa anche io ma hai già detto tutto quello che volevo dire, caro Redferne.
      Su Brandon Lee concordo sul fatto che non ha mai cercato la strada spianata, avrebbe potuto, ma è sempre stato umile cercando di "farsi da sé", forse anche per rispetto nei confronti della figura paterna. E se qui già si intravedono delle capacità attoriali non dico di primordine ma comunque interessanti, in Drago d'Acciaio e poi nel Corvo dimostrerà tutte le sue qualità.
      Discorso arti marziali: Brandon Lee ha una naturalezza nell'esecuzione delle "combo" che a mio avviso nessun altro attore ha mai dimostrato, ad eccezione, ovviamente, del suo papaLino.
      Dolph ha effettivamente una formazione da artista marziale eccezionale, forse seconda solo a Chuck Norris, però appare sempre legato, macchinoso, come sostiene giustamente Cass. Certo per uno con un fisico così è abbastanza difficile sembrare sciolto, per quanto si veda che tecnicamente è un mostro.
      Aggiungo anche un particolare: non è che Brandon Lee fosse così piccolo, era un metro e ottantatre, quindi aveva già una discreta altezza, calcolando anche che il papà era poco più di un metro e settanta.
      Ad ogni modo un film che è nella mia lista di preferiti e che non mi stancherei mai di rivedere. Anzi devo scrivere a chi gestisce il palinsesto di Italia1 per ricordare che è da un pò che non lo ripropongono!!

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    3. Sembrava piccolo solo accanto a Dolph, ma quello è un problema che credo che abbia un po' tutto il mondo ;-) Cheers

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  6. Veloce e essenziale non si perde in stronzate, solo action a palate e smargiassate(notare nella scena del "hai diritto di rimanere morto" il detective interpretato da Lee fa il fenomeno e poi per poco non piglia fuoco lui, e il non prendersi sul serio è uno dei segreti di Lester). Va detto che Dolph e Brandon sprizzavano carisma e azione da ogni orifizio, trovare una coppia così funzionale è raro. Un esempio di come si dovrebbero fare i film d'azione, sempre sia lodato il Lester

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    1. Esatto, fa dell'essenzialità un punto di forza e del fatto di essere derivativo un vantaggio, perché in questo modo non è costretto a dover raccontare ancora dinamiche che sappiamo già a memoria, un azzardo, ma un azzardo che ha pagato dividendi ;-) Cheers

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  7. Quanti ricordi...
    Per un pelo non l'ho visto al cinema, ma quanto uscì in videoteca fu subito mio. I difetti c'erano tutti e nessun tentativo di nasconderli, ma come si può non volergli bene? Appena la Warner ne ha sfornato il DVD è stato subito mio (una splendida edizione, anche se purtroppo priva di speciali) e da vent'anni sta lì a separare i film di Dolph da quelli di Brandon :-P

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    1. Direi che ho visto DVD "fermaposto" peggiori, di solito si usano quelli dei film che si guardano poco, questo invece sarà sempre lungo la tratta mensola-lettore ;-) Cheers!

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  8. L'ho visto qualche mese fa e l'ho commentato da Lucius (non mi ricordo se ho commentato questo film o sotto un altro... Boh!). Prima cosa: 78 minuti che sembrano 20. Film lampo! Velocissimo. Ogni cosa superflua è scremata via senza rimpianti e senza guardarsi indietro. Risultato? Zero tempi morti, zero fumo e tutto arrosto. Un film dritto e teso come una katana.
    Secondo. Se prendi singolarmente i segmenti o gli elementi del film si passa da cose fighissime (la lotta alle terme, Tia Carrere, le frasi maschie, le botte e le sparatorie, Tia Carrere,...) a cose quantomeno discutibili (i cattivi cattivissimi che fanno sesso con donne decapitate, l'abito finale di Dolph, le battutacce sull'attrezzo di Dolph,...). O bianco o nero, senza sfumature. Il risultato è comunque bellissimo e godibilissimo pure oggi. E poi, dai, in tutta onestà cosa vuoi dirgli? Questi ti sbattono in faccia Dolph vestito come un cretino ma al posto di vergonarsi o tentare di nasconderlo te lo mostrano fierissimi. Dopo i primi attimi in cui il tuo cervello capisce che c'è qualcosa che non quadra (ma è giusto un battito di ciglia), il nostro parte in una "resa dei conti" fatta di spari, botti, katane e morti ammazzati male. La cosa fa il giro doppio e diventa mitica!

    Film imprescindibile per tutti.

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    1. La stava aspettando con il suo entusiasmo signor Portillo (disse Cassidy sulla sedia rotante accarezzando il gatto nella sua migliore interpretazione del capo della Spectre) ;-) Cheers!

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  9. Ovviamente, anche per me film stracult.
    Mi riconduce a una vacanza estiva a casa di alcuni zii, tra l'altro.
    Bellissimo, ogni cliché c'è e va bene così, senza problemi, a partire dal citato taglio del dito.
    Bella l'inversione dei ruoli america-giappone quando appunto nessuno dei due è né americano né giapponese^^

    Moz-

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    1. Esatto! Mi ha sempre fatto ridere questa cosa, un film tutto Giapponese e i due protagonisti sono tutto tranne che Giapponesi ;-) Cheers

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  10. Non ne sono certo, dal titolo non mi dice molto, ma ho come la strana sensazione, leggendo la tua recensione, di averlo già visto qualche anno fa. Per averne conferma, però, dovrei proprio rivederlo!

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    1. Di solito si confonde con "Grosso guaio a Chinatown" per via del titolo, ma sono sicuro che lo hai visto è famosissimo ;-) Cheers

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  11. Questo lo avevo proprio rimosso... uno di quei film che amavo rivedere ad ogni passaggio ma che oggi non riesco manco ad avviare.
    Dici che è andata così per la scelta di titolo e ambientazione? 😅
    Un mezzo cinese che interpreta un mezzo giapponese... 😆

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    1. Questa è l'idea che mi sono fatto, un titolo generico ma Figo. Per non parlare dello Svengiapponese! ;-) Cheers

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