martedì 16 giugno 2020

Da 5 Bloods (2020): le vite dei (soldati) neri contano

Spike Lee ha deciso di mettermi in difficoltà, si perché come titolo a questo post ci sarebbe stato benissimo: “Il tesoro della Sierra Motherfucka!”, che però avevo già utilizzato per un film di Walter Hill. Quindi ho optato per un titolo che sembra una paraculata lo so, anche se è quello che Lee racconta con il suo film, d’altra parte, non ha mai smesso di farlo dall’inizio della sua filmografia.

“Da 5 Bloods” (con l’aggiunta del solito sottotitoli Italico inutile, “Come fratelli”) avrebbe dovuto essere presentato a Cannes, il titolo con cui il celebre festival francese avrebbe firmato la fine delle ostilità con Netflix, che il film lo ha prodotto e distribuito qualche giorno fa sulla sua piattaforma di streaming. Ennesima conferma che se i tipi della “Grande N” usassero i loro capitali (apparentemente infiniti) per attirare tutti gli autori e i registi là fuori, che sono rimasti a spasso, il catalogo di Netflix svolterebbe.

Con il titolo originale di “The Last Tour”, questo film avrebbe dovuto essere la nuova fatica di Oliver Stone, ovviamente ambientata in Vietnam come da tradizione del regista, ma dopo un cambio di mano la sceneggiatura è arrivata a Spike Lee che con l’aiuto di Kevin Willmott, co-sceneggiatore del suo BlacKkKlansman, ha riscritto tutto dal punto di vista dei soldati di colore. Questo spiega come mai la storia sia un grosso rimasticone che in più di un passaggio, non sembra ben chiaro dove voglia andare a parare, per assurdo il film funziona meglio quando affronta un argomento alla volta restando concentrato, quindi a mia volta, andrò per gradi per analizzarlo.

Spike Lee e i suoi "Da players" (come da sempre chiama il suo cast nei titoli di coda dei suoi film)
La storia è quello di un gruppetto di veterani del Vietnam, che decide di tornare laggiù per chiudere i conti con il passato. La loro nuova missione (organizzata e auto finanziata) ha due scopi: recuperare le spoglie del loro compagno caduto, il carismatico “Stormy” Morgan (nella versione doppiata “Tornado” Morgan, interpretato da Chadwick Boseman), ma soprattutto riportare a casa una cassa piena di oro Vietnamita, perfetta per garantirsi una serena pensione.

Si, lo so a cosa state pensando, Oliver Stone prima, e Spike Lee poi, qui si sono messi in testa di rifare alla loro maniera il capolavoro di John Huston “Il tesoro della Sierra Madre” (1948), con la sfiga che nel frattempo proprio Netflix, aveva già sfornato Triple Frontier che aveva la stessa fonte d’ispirazione.

Poco male, Spike Lee lo conosciamo, è il grillo parlante d’America (in cui la parola chiave è “parlante”, visto che è impossibile farlo star zitto, infatti si mette nei casini da solo con quella sua linguaccia) che dall’inizio della sua carriera porta avanti la sua protesta militante nei confronti del suo Paese, sempre pronto a sfruttare i “fratelli”, che siano quando devono giocare a pallacanestro, figuriamoci nelle forze armate.

Per la sua banda di “5 Bloods” Lee arruola un sacco di suoi veterani, Norm Lewis interpreta Eddie con i suoi strambi piedi storti, il mitico Clarke Peters (arrivato dritto da “The Wire”) è il grande vecchio Otis, non può mancare Isiah Whitlock Jr. (con la sua frase simbolo: «Shiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiit!») nei panni di Melvin, anche se quello con più spazio di tutti è Delroy Lindo, al quarto film con Spike Lee se non ho sbagliato i conti.

"Non mi avevano detto che in Vietnam ci saremmo dovuti tornare a piedi, mi sento un hobbit!"
Il suo Paul è forse quello con più spazio e con la storia personale più travagliata, in questa missione si ritrova insieme al figlio David (Jonathan Majors)e se non bastassero i suoi infiniti monologhi (anche guardando dritto in camera) a renderlo piuttosto facile da notare, non potrete certo mancarlo, è quello che va in giro con il famigerato berretto rosso “Make America great again”, rendendo il personaggio una critica semovente all'attuale presidenza. Ma a ben guardare anche un modo urlato di far arrivare i messaggi al pubblico, anche perché da Spike Lee ho smesso di aspettarmi la critica affilata e pungente, quella quando arriva, di solito coincide con i suoi capolavori, in questo caso invece Lee, come Radio Raheem alza il volume per fare più casino possibile.

I protagonisti del film, tutti assegnati agli attori giusti, sono la vera forza di “Da 5 Bloods”, con il loro chiacchierare, diventano subito familiari al pubblico ed è abbastanza impossibile non appassionarsi alla loro missione, Spike Lee poi fa una scelta narrativa opposta a quella dell’altro regista Newyorkese, Martin Scorsese, che con i soldoni di Netflix ha pensato che fosse giusto far ringiovanire il suo cast di attori per The Irishman. Spike Lee invece nelle scene flashback ambientate durante il conflitto degli anni ’70, modifica il formato introducendo le bande nere laterali del 4:3, ma non fa nulla per ringiovanire il suo cast, risultato finale? Affianco ai quattro protagonisti (con rughe), recita Chadwick Boseman nei panni di Norman. Può sembrare una scelta strana, ma rende molto bene l’idea dell’amico rimasto “Forever young”, per citare Bob Dylan.

Per certi versi l'anti-The Irishman.
Lee poi azzecca l’utilizzo centellinato di Chadwick Boseman, attore carisma-leso qui chiamato nella parte del commilitone in grado di scaldare le coscienze dei suoi compagni, quello con il passo del grande leader nero. Bisogna dire che Boseman è più azzeccato qui, nei pochi minuti in cui compare nei panni della pantera nera, che in un intero film nel ruolo di beh… Pantera Nera.

Guarda che il pugno dovresti sollevarlo in aria, altrimenti fai il saluto ufficiale della Bara Volante.
I 154 minuti di “Da 5 Bloods” non sono tutti perfettamente equilibrati, alcuni passaggi sono piuttosto ridondanti, in particolare quelli legati allo stress post traumatico di Paul, mentre altri sembrano girare abbastanza a vuoto, come l’introduzione di Mélanie Thierry, la volontaria a caccia di mine anti-uomo da disarmare e i suoi non proprio adorabili compari, tra cui spunta il Paul Walter Hauser visto nell’ultimo Eastwood.

Sarà sicuramente un mio problema, ma quando sento di Spike Lee alle prese con dei soldati afro-americani, io penso a quell’incidente in galleria che era “Miracolo a Sant'Anna” (2008) e mi preoccupo. Ancora una volta Lee pensa bene di recuperare l’idea del “DJ radiofonico” che manda messaggi politici ai soldati neri, per convincerli che il vero nemico è l’oppressore bianco. La DJ qui, complice forse lo sfondo rosso, sembra una versione malriuscita della speaker che minacciava a distanza i Guerrieri di Walter Hill (che continua ad aleggiare su questo post). Dubito fortemente che nel Vietnam degli anni ’70, una Vietnamita disponesse di tutte quelle informazioni sulle ingiustizie subite dagli afro-americani in patria, ma è il modo un po’ esagerato con cui Spike Lee ama far arrivare le sue critiche.

"Buongiorno a voi super muscoli. La caccia ai Guerrieri è aperta" (quasi-cit.)
In “Da 5 Bloods” ci sono momenti in cui capisci perché Spike Lee è così controverso, nel suo essere democratico, risulta un estremista della democrazia, infatti è così concentrato sui suoi personaggi e nel raccontare le ingiustizie subite dagli afro-americani, anche (e soprattutto) tra i ranghi dell’esercito del Paese per cui hanno servito e sono morti, da dimenticarsi il punto di vista dei Vietnamiti, che tutti questi soldati se lo sono visti recapitati dritti a casa. Quando Paul dichiara «[Io e i miei fratelli] abbiamo combattuto una guerra immorale per diritti che non erano nostri», uno dei Vietnamiti (inascoltato) gli fa notare che quelli che ha ucciso, erano i SUOI fratelli.

Quello che funziona del film, sono sicuramente i tocchi satirici, la critica aperta e il modo in cui Lee riesce a gestire l’iconografia cinematografica del Vietnam. Il regista di New York strizza l’occhio a John Huston e a Francis Ford Coppola (ci sono riferimento ad “Apocalypse Now” usati in maniera volutamente leggera e ironica), ma in generale gioca parecchio con il cinema, ad esempio nel finale, vedere Jean Reno con una granata in mano, non può che far accendere più di un campanello in testa al cinefilo.

"Andavamo sempre in giro, a cercare un certo Charlie" (cit.)
Inoltre è inevitabile nel vedere un soldato nero, dare di matto mentre vaga solo nella giungla, non pensare a Predator, omaggiato anche in parte nei titoli di coda, quelli che piacciono tanto a me, con attore e nome del personaggio presentati in una lunga carrellata.

Quello che ho trovato poco riuscito sono i momenti d’azione, non che manchino le sparatorie (anzi!) ma la messa in scena generale sembra ben poco attenta nel renderle sullo stesso piano del resto del film, quando invece dovrebbero esserlo, visto che proprio durante i momenti d’azione accadono le svolte più importanti. Anche se devo dire che il secondo atto del film è quello che ho apprezzato di più, Spike Lee riesce a mettere molta enfasi nei momenti chiave della missione dei veterani, in una scena in particolare poi, si tifa spudoratamente per i personaggi, alle prese prima con la “Ecstasy of gold” (passatemi la citazione) e poi alcune mine anti-uomo.

I fratelli nella notte di Spike Lee.
Quello che ho gradito un po’ meno è stato il proliferare dei finali, ognuno necessario a raccontarci il destino dei personaggi ma non tutti satirici come ci si aspetterebbe da un film incazzato come questo. Insomma guardando “Da 5 Bloods” la rabbia di Spike Lee arriva tutta, ma è talmente urlata in così tante direzioni da non essere a volte abbastanza a fuoco, come invece accade nel secondo atto che infatti fila via, bello concentrato sui personaggi e su quello che hanno da raccontare.

Innegabile però che “Da 5 Bloods” sembri un film girato sabato scorso, montato domenica mattina e uscito in sala su Netflix con un tempismo impeccabile. Proprio ora che gli Stati Uniti sono in rivolta dopo l’omicidio di George Floyd, Spike Lee come un Han Solo nero torna indietro ad aiutare i suoi compagni. Sono sicuro che tanti che a differenza mia, vengono pagati per scrivere di cinema, con un film così, uscito proprio in questi giorni, avranno modo di sbrodolare e spaziare in lungo in largo, magari chiudendo anche più di un occhio su alcuni difetti della pellicola.

Ecco bravi, spiegati a Chadwick Boseman come si fa, Pantera Nera quello? Tzè!
Da parte mia, dopo una vita passata a vedere film di Spike Lee, preferisco essere diretto: “Da 5 Bloods” è un film che ha molto di buono ed è parecchio incazzato, perché il suo regista è parecchio incazzato, ormai da tanti anni. La situazione negli Stati Uniti (vero barometro del mondo occidentale) non è mai cambiata, dal Vietnam fino a George Floyd, le vite dei (soldati) neri contano e Lee lo ribadisce con la forza con cui lo ha sempre fatto.

Non stiamo parlando di un essere umano che brilla proprio per coerenza (gli esempi sarebbero tanti, prendiamo solo l’ultimo, le affermazioni di Lee, prima a favore e poi contro Woody Allen), quindi i miei colleghi stipendiati per scrivere di cinema dovrebbero far notare, che non è Spike Lee ad essere cambiato, la sua filmografia è da sempre un monito ad un Paese che non si è mai curato di una certa parte di popolazione, se qualcosa cambierà in meglio negli Stati Uniti (e si spera quindi anche da noi), lo scopriremo con il tempo, ma state sicuri che Spike Lee sarà ancora lì a lamentarsi, come fa con i giocatori della NBA che hanno la sfortuna di giocare contro i suoi New York Knicks al Madison Square Garden, che ad ogni partita se lo ritrovano nelle orecchie (e a volte direttamente con i piedi in campo): Radio Spike Lee trasmette 24 ore su 24, come eterna memoria di chi vorrebbe dimenticare.

18 commenti:

  1. Dovevo guardarlo ieri sera ma alle 21.45 stavo ronfando con la bava... Ci riprovo oggi sperando di essere meno a pezzi di ieri.
    Quindi non leggo nulla... A domani Capo!

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    1. Il post di domani potrai leggerlo di sicuro, intanto buona visione ;-) Cheers

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  2. Spike Lee ho visto l'intervista da EPCC, regista ed uomo di spessore, come i suoi film e le sue ficcanti parole ;)

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    1. Ha una cattedra di cinema alla New York Film University, non l'ultimo della pista. Certo poi bisogna stare al passo con le sua affermazioni, una capacità di mettersi nei casini con quella sua linguaccia davvero rara. Cheers!

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  3. Che forza vedere Delroy Lindo ancora gagliardo! E' come Danny Glover, un highlander che non invecchia mai :-D
    Quella scena sulla barchetta sul fiume mi ricorda quella simile di "John Rambo", dove i giovani mercenari parlano di guerra e il vecchio Rambo - che È la guerra - li ascolta in silenzio. Qui ci sono vecchi guerrieri con un giovane vietnamita che li ascolta ma il concetto sembra essere lo stesso: ci si dimentica di chi erano davvero le vittime.

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    1. Esatto, in questo senso il film funziona, poi in alcuni passaggi però Spike Lee ha troppo da dire (e di cui lamentarsi) quindi si perde un po', nel mucchio cita anche "Rambo" e "Quei film con quello di Walker Texas Ranger" quando parlano di prigionieri lasciati indietro, ignorando anche lui "Fratelli nella notte" (1983). Delroy Lindo sembra l'assoluto protagonista ma anche quello invecchiato meglio del gruppo, ora ho un'idea: Highlander con Lindo e Glover in versione blaxploitation! ;-) Cheers

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    2. Gli statunitensi tendono a dimenticare che furono i vietnamiti a pagare il costo più alto della guerra (ma guarda un po') in Vietnam.
      Un libro interessante che ho letto, Il simpatizzante, di Nguyen Viet Thanh (o qualcosa di simile), fa una ben poco velata critica a Apocalypse Now e al suo registro e proprio in questo senso!

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    3. Vero, per gli americani la guerra del Vietnam è quella che hanno raccontato in mille film, per i Vietnamiti la guerra in Vietnam é quella che hanno combattuto contro i francesi, quella contro gli americani, era solo la guerra per liberarsi degli invasori americani. Secondo me questo punto di vista offre una diversa prospettiva su tutto. Cheers!

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  4. Non sono particolarmente appassionato di Spike Lee, ma qualche suo film mi piace. In realtà sei uno dei primi che leggo che parla abbastanza bene di questo film, che purtroppo ho la voglia di vedere sotto ai piedi...

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    1. Spero di essere riuscito a mettere i puntini sulle "i", il film ha molti dei difetti soliti di Spike Lee, ma anche molto di buono, in particolare nel secondo atto. Cheers!

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  5. Ho cominciato a leggere volendo commentare del cambio di dichiarazioni poco felice riguardo a Woody Allen Manuel finale ne hai scritto te... Evidentemente i produttori chiudono i rubinetti se te ne esci a difendere gli adesso indifendibile, e pure Spike Lee, inca**ato quanto vuoi, ne deve tenere conto.
    Non sapevo dei rimaneggiamenti di sceneggiatura e cambi di regia, ora mi spiego l'accoglienza poco entusiastica. Ma mi spiego anche la tua recensione positiva, Lee è un monumento di quelli da non buttare giù, nemmeno se sbaglia (Miracolo a Sant'Anna... Sigh...)!

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    1. Uscite (con retromarcia) come quelle su Allen sono da mettere in conto con Lee, come "Miracolo a Sant'Anna" ormai lo so che ogni tanto Lee scivola male ("Oldboy" non lo considero nemmeno), però ho una predilezione per i registi controversi, lui lo é sicuramente ;-) Cheers

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    2. Oldboy io mi sono proprio rifiutato di guardarlo, odio questa ossessione statunitense di fare remake per vedere film stranieri...

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    3. Si, ma poi quella é una storia che fuori dalla Corea non ha troppo senso raccontare ancora, basta il film originale. Cheers!

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  6. Film anarchico, molto politico, quasi primitivo... Non troppo riuscito. In alcuni momenti (le scene di combattimento fatte un pò a casaccio, con montaggio alla film di Chuck Norris) sembra una parodia del genere, in altri non si capisce dove si voglia andare a parare. Anche la colonna sonora sembra essere stata messa lì senza un vero motivo. Insomma, un grande boh con alcuni bei momenti e qualche bel personaggio. Da Spike Lee mi aspetto sempre più di così.

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    1. Le scene d'azione trasudano una sensazione di "poracciata", Lee spara in aria in tante direzioni per portare avanti la storia, infatti ho apprezzato il secondo atto, dove finalmente si concentra su qualcosa e il film ne giova. Pregevole la presa di posizione, ma non rientra certo tra i migliori di Spike Lee. Cheers!

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  7. Ti leggo con ritardo ma mi ritrovo in pieno in tutto.
    Una sforbiciata, un approfondimento, più coesione avrebbero sicuramente giovato al film.
    La fortuna di Spike è di dire sempre le cose giuste, in questo caso anche nel momento più giusto, e allora anche se ho faticato, anche se ho odiato un po' tutti, va bene così.

    Con le sue ultime colonne sonore, pompose ed fuori traccia, ho molti più problemi, invece.
    Sono aperte le scommesse su quanto Oscar si porterà a casa grazie a quella politically correct dell'Academy.

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    1. Sarebbe clamoroso, essere premiato dall'Accademy che lui aveva attaccato poco tempo fa perché "So white", eppure sarebbe come il personaggio di Lindo in questo film, un paradosso. Prince avrebbe cantato "Sign o' the Times" per stare in tema musicale. Cheers

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