venerdì 14 febbraio 2020

L'ultima casa a sinistra (1972): Benvenuti a Craven Road

Non posso stare a lungo senza una rubrica monografica dedicata ad un regista e da tempo sentivo l’esigenza di un bel po’ di sano Horror, la mia occasione per rendere omaggio ad uno dei più grandi registi del genere più sanguinolento. Ecco perché per alcuni venerdì di fila, questa Bara prenderà ufficialmente la residenza al numero 7 di… Craven Road!
Passare nel giro di (relativamente) poco tempo da un divo del muto come Walter Hill a Wes Craven è un discreto salto nel vuoto, perché il regista di Cleveland a differenza di Gualtiero Collina ha sempre avuto la lingua molto lunga e una discreta propensione naturale a parlare di se stesso e del suo cinema, cambiando di volta in volta versione in base al tempo e ai ricordi. Eppure, cosa volete dirgli? Non credo esista un altro regista con una gavetta tanto bizzarra quanto quella dello zio Wes.

Crescere in provincia prevede parecchi problemi logistici, ma forse restare a distanza dai servizi (e le tentazioni) della città, aiuta ad avere tanto di quel tempo libero da utilizzare per coltivare le proprie passioni. George A. Romero è cresciuto della grigia Pittsburgh, città industriale resa grigia dalle fabbriche di pneumatici e, girando nei fine settimane con gli amici, ha portato la rivoluzione al cinema reinventando la figura del morto vivente come perfetta metafora della nostra società, ma è abbastanza risaputo che Pittsburgh nella classifica delle città più brutte d’America arriva sempre seconda, perché è impossibile battere Cleveland.

Cleveland, anche nota come “The mistake on the lake”, l’errore sul lago, un posto che per avere un po’ di gloria (solo sportiva) ha dovuto attendere LeBron James, anche lui comunque in fuga tra posti ben più assolati tipo Miami e Los Angeles. Dev'essere qui che Wes Craven ha iniziato ad accumulare il gusto per l’orrido che nel suo cinema non è mai mancato, ma anche la formazione familiare ha giocato un ruolo fondamentale.

Ricominciamo con le tradizioni: I titoli di testa del film!
Cresciuto in una famiglia Battista, Wes Craven per tutta l’infanzia e buona parte dell’adolescenza non ha mai visto un film. Stando alle sue (numerose) interviste, a casa Craven i film erano roba vietata, qualunque film, figuriamoci gli horror per cui Wes non ha mai davvero provato interesse, fino al momento in cui si è ritrovato ad essere una delle voci più interessanti del panorama Horror, ma andiamo per gradi, perché una buona famiglia prevede una buona istruzione e quella di Craven è ottima: una laurea in Inglese e psicologia al college di Wheaton nell’Illinois e un master in filosofia e scrittura presso l’università Johns Hopkins di Baltimora.

Con un curriculum del genere Wes Craven segue tutto l’iter classico, diventando insegnante di Inglese al Westminster College e successivamente professore di discipline umanistiche alla Clarkson University. Si sposa, mette al mondo un paio di pargoli e... Insomma, sembrava ormai ben avviato sui binari di una vita di tutto rispetto da stimato professore universitario fino al giorno in cui scopre finalmente il cinema e, per dirla come diremmo noi ragazzi di provincia, ci va sotto bevendo dall’idrante.

Il professor Craven, avessi avuto lui a scuola, sarei stato di sicuro uno studente più attento alle lezioni.
Si compra una macchina da presa a 16mm per girare un po’ di tutto mentre consuma film uno via l’altro recuperando il tempo perso, il giorno in cui si è presentato dal rettore dell’università per consegnare le dimissioni dicendo che voleva fare del cinema, gli hanno riso in faccia (storia vera). Ma zio Wes è motivato e matto in parti uguali, non sa niente di cinema, ma ha un cuore che scalpita per imparare e per farlo raggiunge l’amico Steve Chapin (fratello del cantante folk Harry Chapin) a New York e trova un lavoro nella società di produzione cinematografica con l’amico, il suo primo impiego? Fattorino, pagato 70 dollari la settimana (storia vera).

Eppure, Wes Craven ormai ha il fuoco del cinema che gli arde nelle vene e osserva tutto, più osserva più impara e si guadagna i primi lavoretti come montatore sì, ma di film porno! Lui, lo psicologo con laurea in lettere monta (ah-ah) e finisce anche a dirigere alcuni film porno usando uno pseudonimo, ma la svolta arriva e si chiama Sean S. Cunningham.

Il futuro regista di Venerdì 13 propone a Craven di girare un Horror, se accetta ci sono sul tavolo poco meno di 90.000 fogli verdi con sopra le facce di altrettanti presidenti defunti e la possibilità che il film una volta terminato, verrà proiettato in pochi cinema, il che lascia comunque la libertà creativa per poter fare quello che si desidera e Wes Craven desidera esagerare dando fondo a tutta la sua furia cinematografica.

Quando nella vita vi diranno cosa potete e non potete fare, ricordatevi del ghigno soddisfatto di zio Wes.
Qui la situazione diventa molto simile a quella del primo western diretto da Sergio Leone, però per certi versi amplificata: un regista che si lancia in un genere per lui nuovo, una produzione scapestrata con un pugno di attori e ancora meno dollari e la prospettiva per cui "tanto chi lo vedrà mai un filmetto così?". Leone ha copiato da Akira Kurosawa trovando la sua “voce” da regista nella testa, Wes Craven pesca a mani basse da Ingmar Bergman, il suo film cambia diversi titoli nel corso della produzione e poi esce con quello definitivo di “The Last House on the Left” di fatto è un remake non autorizzato di La fontana della vergine, inutile girarci troppo attorno, Lucius lo ha raccontato benissimo nel suo post che vi consiglio caldamente.

Con il tempo (e il successo) Wes Craven ha un po’ preso le distanze dal film, ma siccome zio Wessy ha sempre avuto la lingua piuttosto lunga e una certa propensione naturale a imbellettare i ricordi degli eventi, nel tempo ha cercato anche di accampare spiegazioni sul fatto che la violenza del film fosse un modo per riflettere sugli orrori della guerra del Vietnam (di cui mancano anche i minimi riferimenti nella pellicola), oppure che, in fondo, l’ispirazione vera fosse la comune fonte, ovvero la leggenda svedese alla base anche di La fontana della vergine, ma non cambia il fatto che nei titoli di testa del film non ci sono riferimenti né al folclore svedese né tanto meno a Ingmar Bergman, un’appropriazione indebita comprensibile per una produzione spiantata che non avrebbe potuto comunque pagare i diritti, ma almeno un ringraziamento a Bergman nei titoli di coda sarebbe stato più onesto.

Piccoli Krug(er) crescono (omaggiando scene girate da Bergman)
Eppure, Wes Craven ha bisogno proprio di questa storia per esplodere in tutta la sua potenza e se la sceneggiatrice Ulla Isaksson aveva aggiunto violenza alla leggenda originale e Bergman l’aveva diretta con un realismo in grado di inchiodarti allo schermo, Wes Craven porta tutto ad un altro livello, in un'epoca post 1968 che non può più essere innocente e candida come la Karin di Bergman.

“The Last House on the Left” con quella sua aria da film quasi amatoriale, inizia con le protagoniste pronte ad andare in città a vedere uno spettacolo grondante sangue e continua con i genitori della protagonista Mary Collingwood (Sandra Cassel) che parlano di assenza di reggiseni e relativo contenuto di essi, uno spirito sessantottino coronato dalla medaglietta della pace che viene regalata alla ragazza, insieme all’augurio di stare attenta in quella città brutta sporca e cattiva.

"Marine, cos'è quel distintivo sul giubbotto?" (cit.)
Wes Craven dà fondo a tutte le sue origini di Battista di provincia, per un film che definire bacchettone e conservatore sarebbe ampiamente riduttivo, ma lo fa con lo spirito critico del professore laureato in psicologia che capisce quello che tante signore Lovejoy (e benpensanti) ancora oggi non hanno capito: i film dell’orrore sono una finestra aperta sulle parti peggiori della società, ma soprattutto dell’animo umano, Craven arriva a definirli dei momenti di “follia tollerabile” che permettono alla gente di dare libero sfogo a tutta la pazzia e rabbia che normalmente reprimiamo. Per questo il cinema di Craven ha sempre scavato nell’animo umano e nelle sue paure più profonde, uno psicologo, un filosofo colto prestato al cinema del sangue finto e della budella esposte.

“Lo dici perché non ci sei tu nel film, comodo filosofeggiare quando sei in poltrona”
Secondo voi qual è il Paese che se ha l’occasione di fiutare qualcosa di anche solo vagamente bacchettone, ci dà dentro mettendoci sopra il carico? Vi do un indizio: è strambo e fatto a forma di scarpa. Infatti in Italia “L'ultima casa a sinistra” esce tagliato di un minuto rispetto agli 81 della versione americana (già censurata, 90 in quella integrale) con una vistosa scritta rossa iniziale, una pacchianata che recita deliri per cui questo film viene proiettato nelle università americane per spiegare ai giovani gli effetti negativi del sesso, della violenza e della droga. Una cagata totale che solo qui in Italia potevamo inventarci, che fa leggerissimamente a cazzotti con la locandina italiana del film, ripiena di frasi ad effetto («Se non volete svenire continuate a ripetervi: È solo un film, è solo un film»).

Ma il contributo italiano all’edizione nostrana del titolo non si è limitato a questo, guardando il film doppiato, ci troverete un vocabolario adorabilmente fuori moda pieno di “Squinzie” e “Trampoli” (per indicare le gambe), ma troverete completamente piallato il rapporto di parentela tra il capo della banda, il perverso Krug Stillo (David Hess) e Junior (Marc Sheffler) che in originale sono padre e figlio, mentre nella versione italiana semplici complici, trovata che fa perdere quasi del tutto l’effetto freudiano di fondo al loro ultimo scontro.

I tre briganti di Bergman, aggiornati nella versione di Craven.
Ma dimenticandoci per un attimo dei danni fatti dalla versione italiana della pellicola, la storia scritta e diretta da Craven ricalca in tutto e per tutto La fontana della vergine, solo che le ragazze non attraversano un bosco, ma la giungla di cemento della città e non di certo per portare ceri alla vicina chiesa, ma per comprarsi un po’ d’erba.

Il numero di malviventi aumenta, contando tra le sue fila anche una donna, Sadie (Jeramie Rain) dovrebbe essere la quota della donna selvaggia che nel film di Bergman era rappresentata decisamente meglio dalla bella Ingeri. Ma in generale a Craven non interessa minimamente farci provare empatia per gli aggressori che sono uno più viscido e stereotipato dell’altro, a partire dal sempre “su di giri” Fred "Faina" Podowski (Fred J. Lincoln).

“Io ho fiuto per certe cose”
Mary e la sua amica vengono prese e trascinate nella fuga dei criminali fino al vicino bosco (per ricucire la distanza con il film di Bergman) ed è qui che “The Last House on the Left” e Wes Craven non prendono più prigionieri. Il modo naturale, quasi documentaristico che il regista sceglie per mostrare la violenza, va di pari passo con l’efferatezza delle immagini, tanto che all’uscita del film, molti non sono riusciti a capire se si trattava di un horror semplicemente troppo violento anche per la media del genere, oppure un’opera arguta in grado di riflettere sulla violenza stessa nei film.

Sta di fatto che ancora oggi in Inghilterra il film non può essere proiettato in nessun cinema (storia vera), dalla sua uscita il titolo è ancora nelle liste dei “Video Nasty” malgrado con il tempo sia stato rivalutato e riconosciuto come un classico. Il massimo della concessione fatta al popolo di Albione è stata l’edizione in DVD del 2003, con i 31 secondi più forti del film, presenti solo in forma di fotografie, nei contenuti speciali del disco.

Wes Craven si iscrive alla storia del cinema con una carneficina.
Ricalcando in tutto e per tutto la storia del film di Bergman (anche l’omicidio di una delle ragazze avvenuto di spalle e in prossimità di una fonte d’acqua), Wes Craven trova la sua voce come regista e alza il livello della radio quando si tratta di violenza. Qui non siamo davanti allo stupro inequivocabile, ma tutto sommato breve diretto da Bergman, le due ragazze passano attraverso un martirio fatto di violenze sessuali, soprusi, umiliazioni e violenze fisiche davvero brutali, la scena del nome inciso a coltellate sul petto fa ancora friggere noi spettatori comodamente in poltrona oggi, figuriamoci nel 1972.

Ophelia (Millais) il quadro di John Everett Millais da cui zio Wes ha dichiarato di essersi ispirato per la scena.
Wes Craven fa alzare così in alto l’asticella della violenza in un film di exploitation, portando il genere “Rape & Revenge” ad un altro livello, non è un caso se il più famoso titolo di questa categoria, “Non violentate Jennifer” (I Spit on Your Grave) uscito nel 1978, abbia dovuto essere ancora più crudo e realistico. Zio Wessy è arrivato in città, le cose non saranno mai più le stesse.

Dopo averci annodato così bene le budella con la parte “Rape”, Craven fa proseguire la sua storia con l’inevitabile “Revenge” e se i vagabondi di Bargman finivano a casa dei genitori di Karin, qui accade lo stesso e Krug e soci finiscono a cena dai coniugi Collingwood. Pur continuando a replicare lo schema, Craven qui inizia a dire la sua sull’argomento, ma prima trattiamo due cosette che mi stanno a cuore, nomi e facce note.

Indovina chi viene a cena? (e non sopravvive fino al dolce)
Penso che vi sarà caduto l’occhio sul nome del capo dei violentatori, uno di nome Krug in un post su Craven non può che far pensare al suo personaggio più famoso, Kruger (inteso come Freddy). Mettiamola così: il nome del celebre assassino sfigurato è un argomento che mi tengo nel taschino per quando sarà il momento (non vedo l’ora!), ma diciamo che l’inconscio di Craven stava lavorando forte, oppure era già orientato al suo futuro cinematografico. Tra le cose nell’immediato che, invece, stonano parecchio nel film, ogni volta che vado a rivedermelo (mai a cuore leggerlo visto il contenuto) trovo lo sceriffo pasticcione e il suo aiutante tontolone che ammazzano il ritmo ed entrano ogni volta in scena con una musichina del tutto fuori luogo stile episodio di “Hazzard”, proprio non li sopporto. Craven ha dovuto inserirli per provare a stemperare l’atmosfera pesante della sua pellicola, ma sono l’equivalente di premere il freno con entrambi i piedi, ammazzano proprio il ritmo del film e nemmeno il fatto che il vice sia interpretato dal mitico cattivo maestro Martin Kove (ben prima di diventare famoso con Karate Kid) riesce a farmeli apprezzare di più.

Martin Kove fa l'imitazione di Carlo Verdone quando dice "In che senso?"
Se Bergman ci mostrava un po’ dell’umanità del più giovane dei suoi malviventi, facendoci vedere il ragazzino stare male davanti alla tavola piena di cibo, Wes Craven per Junior opta per la crisi d’astinenza e se Bergman puntava tutto sullo scontro interno alla civiltà svedese tra Paganesimo e Cattolicesimo, Craven si gioca i suoi studi di psicologia raccontandoci come con la giusta spinta (verso il basso), anche i borghesi signore e signora Collingwood possono abbracciare la belva dentro di loro, rispondendo alla violenza con altra violenza, proprio loro che si preoccupavano per lo spettacolo troppo truculento che la loro figliola voleva andare a vedere laggiù in città.

Estelle Collingwood (Cynthia Carr) sfrutta le arti femminili per attirare fuori di casa l’arrapatissimo Faina e poi con la promessa di un po’ di sesso orale, gli porta via i gioielli di famiglia (e qui si vede che Craven era sicuramente un freudiano). Mentre il Dott. John Collingwood (Gaylord St. James) opera utilizzando un genere di strumento molto meno raffinato del solito: una motosega.

Texas Cleveland Chainsaw massacre.
Nell’ultima scena persino lo sceriffo e il suo vice risultano utili (nel loro essere inutili), arrivano a casa dei Collingwood quando ormai è tutto finito, primi testimoni oculari della tesi del professor Craven: spingi un uomo al limite e quello tornerà a tirare fuori la belva che si porta dentro. Un tema che diventerà caro a zio Wes e che tonerà anche nel resto della sua filmografia e di questa rubrica.

“The Last House on the Left” fa parlare di sé così tanto che i piccoli cinema che inizialmente dovevano proiettarlo non fanno più fronte alla richiesta del pubblico di vedere il film, in un attimo l’ex professore, diventato fattorino e regista di film porno, ora é un regista horror, per altro uno dei più efferati in circolazione e non sono in tanti i registi (di tutti i generi cinematografici, forse anche quelle porno) ad aver azzeccato un titolo di culto alla loro prima regia, molti di questi passano il resto della carriera a sentirsi fare i confronti con il loro film d’esordio, ma non Craven, per lui è stato solo l’inizio.

“Cosa vuol dire che è solo il primo capitolo della rubrica?! Sono già a pezzi!”
“L'ultima casa a sinistra” ha fatto scuola, abbiamo avuto un rifacimento italiano “L'ultimo treno della notte” (1975) di Aldo Lado e un remake Yankee uscito nel 2009 e per altro prodotto dallo stesso Craven. Il primo è un titolo di culto che porta avanti la lezione di zio Wes, il secondo una roba di rara inutilità che non merita di essere ricordato, merita, invece, il post del Zinefilo, in cui trovate anche tutti i figli e figliastri del film di Craven (ma soprattutto di Bergman).

Per gli altri film di Wes Craven ci vediamo tra sette giorni, come sempre al numero 7 di Craven Road. Citofonare ore pasti!

Intanto, non perdetevi i crediti Italiani del film, direttamente dalle pagine del Zinefilo!

24 commenti:

  1. Questo sì che è un modo per iniziare il venerdì ^_^
    Spettacolare nuova rubrica e nuovo viaggio tematico con un mito come compagno di viaggio. Ti ringrazio delle citazioni e questo film dimostra l'antico detto "il mediocre copia, il genio ruba": quando si ha il talento di reinterpretare e di aggiungere strati metaforici alla storia, copiare è cosa buona e giusta :-P

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    1. Un dovere, il tuo post è spettacolare e al pari di Leone che è partito da Kurosawa per diventare uno dei grandi, Craven ha fatto lo stesso con Bergman, se non altro avevano ottimi gusti cinematografici ;-) Inoltre oltre a sentire il bisogno di una rubrica su un regista Horror, volevo completare le tre “C” fondamentali: Carpenter, Cronenberg, Craven. Per la quarta ovvero Cameron, ci sarà sempre tempo ;-) Cheers!

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  2. Non mi dilunghero' molto, dato che hai gia' detto tutto nel tuo post, Cass. E in maniera esaustiva.
    Complimenti.
    Mi levo giusto due sassolini dalla scarpa, che sono identici ai tuoi.
    Il primo e' la scritta iniziale nella versione italica. Quando l'ho vista mi sono detto E' UNO SCHERZO, VERO?
    E poi lo sceriffo pasticcione col suo vice impedito, con tanto di musichetta scema. Per carita', vedere Sensei Kreese e' sempre un piacere (anche in tempi non sospetti, ma...non c'entrano una beneamata mazza col resto.
    E oltretutto, nel dvd che ho visto io...quella cavolo di musica l'hanno messa pure nella schermata dei titoli!!
    Film di culto, che col senno di poi risulta profetico sotto tanti aspetti.
    Il nome Krug (che pare fosse quello di un bullo che terrorizzava Wes da piccolo), la motosega, e il fatto che gente debole ed incapace di difendersi tiri fuori gli artigli, se messa alle strette. Come una famigliola alle prese con un'altra congrega di cannibali...
    I coniugi vogliono vendicare la figlia, ovvio. Ma penso che il terzetto di balordi (Junior non lo conto neanche, e' una vittima) avrebbe finito col trucidare pure loro, prima di levare le tende.
    Legittima difesa, quindi. E pure preventiva.
    E parlando di ispirazioni...Stillo si dimostra un prototipo di maniaco inarrestabile e semi - indistruttibile come i piu' blasonati Jason e Michael. Mi sembra che resista pure alle scariche elettriche.
    E c'e' dell'altro.
    T - shirt bianca, blue jeans e capelli neri e scarmigliati.
    Ditemi se Krug non somiglia a un certo pellegrino in villeggiatura forzata a casa L' Angelle, prima di che gli appioppassero la santita' (maronne...).
    Mi azzardo a dire che Sadie, con quei capelli che sembrano tagliati con l'accetta, e poi Faina sembrano proprio Tulip e Proinsias, alla lontana.
    Ma mi sa che sto sparando un'eresia.
    Ma credo che il buon Garth lo ha visto.
    Lascia il segno ancora oggi. Non tanto per le scene gore (vuoi il tempo, vuoi l'accadi'...ma indubbiamente certi effettacci ne risentono), ma per l'atmosfera di crudelta' generale che esprime.
    E quella non ha perso un briciolo, del suo smalto.
    In certi punti fa davvero sudare freddo. E lascia un forte senso di disagio che rimane anche dopo averne terminato la visione.
    E' un film cinico. E da trattare con cautela, perche' puo' fare ancora male.
    Bei tempi quelli, comunque. Dove se avevi il coraggio e la faccia tosta di presentarti da un produttore, quello ti buttava una manciata di dollari e ti diceva FORZA, STUPISCIMI.
    Oggi non e' piu' possibile. Se qualcosa non genera introiti, viene soppresso. O te la fanno finire il prima possibile, col tono di chi si aspetta persino un grazie per averti concesso di tirarla cosi' a lungo (si, parlo di Bojack. E di Tuca & Bertie).
    Questi film hanno fatto la fortuna di Hollywood.
    Che in quei periodi, terminata l'eta' dell'oro del dopoguerra, versava nella crisi piu' nera.
    C'era la televisione, e la gente non aveva piu' voglia nemmeno di alzare il sedere dalla poltrona.
    Come fare? Semplice.
    Mostrare L' IMPOSSIBILE su grande schermo.
    Quello che nessun network televisivo poteva far vedere senza incorrere nelle ire dei comitati di genitori e benpensanti.
    L'horror ha dato una grossa mano, al cinema di quegli anni.
    Molti iniziavano proprio con quello perche', di fatto, era l'unico genere a garantire incassi sicuri.
    E poi ci si stupisce se quando e' arrivato Tarantino con Kill Bill o Miller con Fury Road hanno sbaragliato tutti.
    O anche solo il buon Jimmy con Titanic.
    Il cinema serve a questo, ragazzi.
    La gente vuole ROBA FORTE.
    Schizzi di sangue con arti e teste tranciate. O orde di pazzi motorizzati in corsa a rotta di collo verso il nulla. O un transatlantico QUASI VERO che affonda.

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    1. Grazie capo! Un film così tosto, che alla fine, il suo formato così grezzo anche per la media dei film dello stesso decennio, alla fine lo trovo un valore aggiunto, “L’ultima casa a sinistra” è tutto un bordo spigoloso e tagliente su cui puoi farti male, per forma e per contenuti, quindi mi piace proprio che sia così, deve fare male agli occhi, la furia del professor Craven al suo meglio ;-) Cheers!

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    2. Grazie aancora te, Cass.
      Piuttosto...non vorrei aver parlato troppo riguardo al nome di Stillo.
      Magari avresti voluto affrontare tu l'argomento, giustamente.
      Lungi dal voler scavalcare, ci mancherebbe. E' che quando mi metto a parlare di un film che mi piace finisco col lasciarmi trasportare, mannaggia.
      Un'ultima cosa: il finale, complice la musica, e' quasi triste.
      Dopo tanta violenza, si prova quasi un senso di smarrimento.
      Che si puo' leggere negli sguardi vacui e spenti dei due coniugi.
      Per carita', si faceva il tifo per loro, tutti quanti.
      E Stillo e i suoi compari hanno avuto la fine orribile che meritavano.
      Ma i due carnefici sono finiti in balia del lato peggiore di loro stessi, che neanche sospettavano di avere.
      Unito alla consapevolezza che la loro povera figlia' e' perduta per sempre. Ed anche aver fatto piazza pulita dei suoi assassini non la riportera' indietro.

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    3. Infatti nel finale Martin Kove viene usato finalmente come si deve, lo sguardo che fa al dottore parla più di mille parole. Ho introdotto l'argomento perché tanto non è certo questo il post per affrontare la questione del nome, sarebbe stata solo inutile fretta ;-) Cheers

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  3. Grandissimo film, fino a pochi anni fa avevo visto solo il remake, che detesto abbastanza. Questo invece é proprio un gran film

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    1. So che tanti apprezzano il remake, ma io lo trovo insipido da morire, una robetta che non mi dice proprio niente. Questo invece ha dentro una furia impareggiabile. Cheers!

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  4. Gran bel inizio di Venerdì. Craven non lo conosco così a fondo, seppur molti dei suoi horror li ho visti, ammetto che mi mancano alcuni titoli come questo di oggi. A sto punto leggo la bara e recupero.

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    1. Avevo una voglia di sangue e budella che solo Craven poteva accontentare, spero di riuscire a trovare anche i suoi lavori meno famosi, anche se non sono semplici da reperire. Sono molto felice che l’idea di una rubrica dedicata al maestro di Cleveland riscuota interesse, mi sto divertendo molto a rivedere i suoi film, e anche io ne ho almeno uno che non avevo mai visto, ne parleremo ;-) Cheers!

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  5. Sai che quel quadro Ophelia ha ispirato anche il videoclip di Nick Cave & Kylie Minogue per la splendida Where The Wild Roses Grow? Infatti si vede Kylie che giace strangolata nell'acqua come nel quadro. Forse era anche la copertina del disco.
    Una delle mie canzoni preferite.

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    1. No, ma vado subito a cercarlo, mi piacciono entrambi sia Nick Cave che Kylie Minogue (per motivi diversi, lo ammetto) quindi sono curioso, grazie per la dritta! ;-) Cheers

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    2. Dalle mie parti ne ho parlato tempo fa, dato che chiacchiero anche di musica, come sai. Buona visione e ascolto

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    3. Bellissimo, ho appena finito di vederlo, appena avrò un secondo passerò anche a leggerti, grazie! ;-) Cheers

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  6. Ciao , complimenti per questo bell'articolo.
    Mi piacerebbe recuperare sia il film di Bergman che questo e vederli uno dopo l'altro.
    L'ultimo treno della notte l'ho visto..anche se per il mio personale modo di intendere , non lo considero un Rape & Revenge , ma questo vale anche per tanti altri titoli eh..!
    Diciamo che per tanti film non son d'accordo sul Revenge , vedi appunto il film di Lado dove la donna che in pratica ha "organizzato e manipolato tutti" alla fine la fa comunque franca , quindi revenge i me coioni scusami :)
    Ottima vetrina quella che farai su Craven , ti confesso che dei suoi film quelli che mi piacciono meno sono i due Nightmare (almeno fra quelli che ho visto).
    Mi unisco a Redferne e il suo: La gente vuole roba forte...chissa'!?
    Ciao

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    1. Grazie capo gentilissimo ;-) Mi piace la teoria del professor Craven, laureato in filosofia e psicologia mica per niente, gli horror sono follia tollerabile, ci permettono di esplorare quelle pulsioni innate che è bene sfogare solo nell’immaginario, per quello sono così importanti, la roba forte di cui sopra. Cheers!

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  7. Di questo film da aggiungere proprio niente, potrei parlare del remake, ma ci sarebbe troppo da dire, in negativo ovviamente..

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    1. Non ha un grammo della furia belluina di questo film il remake, non vale proprio la pena di perderci tempo. Cheers!

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  8. Ripensando a quanto scrivi nel post e anche a quello che dice Redferne, sembra che nel suo film d'esordio zio Wes avesse già seminalmente le basi per i suoi incubi futuri, tipo Sotto shock con Mitch Pillegi immune all'elettricità, perché lui stesso divenuto parte della corrente elettrica. Purtroppo ho avuto solo il (dis)piacere di vedere il remake, quello con Garret Dillahunt, un attore che di solito mi piace ma in che quell'occasione era completamente fuori parte e spaesato. L'unica scena che meritava era quando il cattivo finiva nel microonde... Comunque ora che mi hai illuminato sulla formazione di zio Wes, capisco perché il suo cinema è sempre stato di un livello superiore alle produzioni del periodo. Sicuramente si percepivano uno studio e anche un'ironia che difficilmente si trovavano nello stesso genere. Anche solo l'idea di fare un film dove si racconta di una troupe che gira un film su Freddy Krueger non sarà originalissima ma al tempo la trovavo geniale. Buon fine settimana

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    1. Il remake per me è una cosetta di rara inutilità, però si, Wes Craven era spinto da una voglia di fare cinema unica, mescolata ad una cultura molto alta, si è ritrovato ad essere un maestro dell'Horror, quasi senza volerlo, per quello i suoi film sono così unici, riescono ad essere furiosi e lucidi allo stesso tempo. Buon fine settimana anche a te! ;-) Cheers

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  9. A differenza di altri registi si prova amore-odio per la filmografia del compianto Wes Craven.
    Questo devo dire che ho paura di vederlo perché è troppo esplicito e truce. XD Devo invece ancora recuperare "Le colline hanno gli occhi".

    "Tra le cose nell’immediato che, invece, stonano parecchio nel film, ogni volta che vado a rivedermelo (mai a cuore leggerlo visto il contenuto) trovo lo sceriffo pasticcione e il suo aiutante tontolone che ammazzano il ritmo ed entrano ogni volta in scena con una musichina del tutto fuori luogo stile episodio di “Hazzard”, proprio non li sopporto."

    Tutte quelli parti leggere o giù di li in un certo cinema di genere anni 70 sono tremendamente invecchiate male in effetti a parte qualche eccezione.

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    1. Idem, è un regista che ha fatto anche film che non mi sono piaciuti per niente (ne parleremo) per questo penso di essere nelle posizione migliore per curare una rubrica su di lui, per mio gusto Craven arriva dopo Carpenter, Cronenberg e Romero, infatti sto seguendo l'ordine di gradimento anche nelle monografie, ma non cambia il fatto che è stato uno dei più grandi maestri del cinema Horror, gli dobbiamo moltissimo. L'idea della musica allegrotta non credo sia un problema di invecchiamento del film, ma di pessima idea fin dall'inizio, la musica contesto è difficile da usare, credo che allora Craven non avesse ancora l'esperienza giusta per farlo. Infatti Martin Kove funziona benissimo alla fine, nell'ultima scena quando guarda il massacro, non a caso senza musichetta allegra. Cheers!

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  10. Su un lungovarticolo che ho letto non so dove, forse in un almanacco di Dylan Dog, si parlava del minutaggio mai arrivato nei cinema, che pare fosse davvero insostenibile. Uno degli attori dichiarò "se la gente vedesse quello che abbiamo davvero girato in quei boschi, gli schizzerebbero gli occhi dalle orbite". Non oso immaginare che roba fosse, il film è già spaventoso così....

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    1. Normalmente il materiale girato prima del primo montaggio è sempre tantissimo, quindi penso che gli attori facessero riferimento a quello. Ma con Craven di mezzo bisogna sempre tenere conto della sua enorme capacità di romanzare i fati legati a se stesso e ai suoi film, ma in ogni caso il succo non cambia, un film davvero crudele nel contenuto, il professor Craven non prende prigionieri. Cheers!

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