Visto che questa bara sta facendo un volo tra i titoli più
rappresentativi degli anni ’90, oggi sarà un volo d’uccello, anzi, di corvo. La
parola quindi al nostro emissario Quinto Moro, solo per l’occasione calato nel
ruolo di Quinto Mor(t)o, per stare in tema con il film.
Preludio
Avevo 12 anni e me ne stavo a letto con la febbre. Da
pre-cinefilo era ovvio che non bastassero le normali cure, ci voleva anche
qualche film per passare le ore di febbre. Cosi tra due supposte e due
pastiglie arrivarono anche due vhs. Una era Zombie di Romero, tanto per
gradire. [Riflettiamo in silenzio sull’essere genitori/adulti responsabili
oggi, alle piogge di commenti delle mammine pancine sui social network se diceste
di aver fatto vedere film del genere a un dodicenne. Per inciso, se ci fosse un
concorso io vi voterei come genitori dell’anno.]
L’altra vhs, non vi scandalizzate, era pirata, e
dentro c’era “Il Corvo”. Il film era uscito due anni prima e non ancora apparso
in tv. All’epoca si aspettava dai 2 ai 5 anni tra l’uscita al cinema di un film
e il suo passaggio in tv. Prima di internet e della pirateria “liberal-democratica”
in streaming, era dura essere cinefili se nessuno ti portava al cinema. Ma
erano gli anni ’90 e pur con meno canali i palinsesti davano ai film una loro
dignità. La mia infanzia è stata un susseguirsi di lunghe attese fra i trailer promozionali
e le prime tv televisive. Il che mi ha reso una persona molto paziente e molto
grata di poter vedere un film in sala, o di pagare con moneta sonante l’uscita
di un film in home video. Cosa che ovviamente ho fatto per Il Corvo, anche se la
vhs dopo tante visioni comincia a sfarfallare e ronzare. Ho pure il CD
originale della colonna sonora, piccolo crocevia che mi ha fatto scoprire i
Cure e una cifra di pezzi hard rock, buoni per la rubrica Rock ‘N’ Blog della
Bara.
Schiacciate play e buona lettura
Tanta
nostalgia degli anni ’90, quando il mondo era l’arca e noi eravamo Eric Draven
Il Corvo è una storia di vendetta, con elementi
fantasy che si sposano con l’estetica dark gotica all’apice degli anni Anni ’90.
Era il film giusto al momento giusto. Anno di grazia 1994. Due anni dopo,
l’action violento era in pieno declino, coi vecchi divi dai muscoli d’acciaio e
palle di piombo che vedevano sgonfiarsi bicipiti e incassi. Ma “Il Corvo”
arrivò in perfetto orario, come il ritardatario che prende il treno con un
balzo dall’ultimo centimetro della passerella. I sequel poi cercarono inutilmente
di spremere qualche dollaro da una “saga” che non aveva ragione di esistere,
anche se forse nasceva per essere tale (poi ci torniamo). Perciò lasciate
perdere Il Corvo 2 o 3. Per anni si è discusso di remake e forse non c’è
speranza: lo faranno comunque. I papabili per il protagonista sono passati da Luke
Evans a Tom Hiddleston, e sembravano approdati a Jason Momoa, che l’ha fatto
naufragare un’altra volta. I sequel hanno ben dimostrato che nessuno sente la
necessità di altre incarnazioni del Corvo, se non quella di Brandon Lee. Ma
finché le case bruciano e le persone muoiono, i remake andranno avanti per
sempre… Sigh!
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Brandon se la ride lassù, pensando a chi dovrà riprendere il suo ruolo |
Dellamorte,
Dellasfiga
Per il ruolo del protagonista Eric Draven furono
presi in considerazione Christian Slater, Bon Jovi, persino Johnny Depp, ma
O’Barr fu conquistato dall’aspetto di Brandon Lee, cui fu pure data la libertà
di truccarsi da sé. Sembra una cazzata, ma non è un caso se nei sequel la
maschera sembrava così posticcia e forzata, anche perché era legata alla
vicenda personale di Eric, veniva da un ricordo, un dolore del suo passato,
perciò non replicabile.
La morte Brandon Lee diede un’enorme risonanza
mediatica al film. Il figlio del leggendario Bruce che come Lui moriva giovane
e “in circostanze misteriose” durante la lavorazione di un film, mentre si
faceva strada nel cinema a suon di cazzotti come il padre. Come Eric Draven,
Brandon Lee morì poco prima di sposarsi, infatti la dedica finale a è Brandon
ed Eliza, sua promessa sposa. Tutte cose che contribuirono a certificare l’aura
da “film maledetto”, già perseguitato da una sfilza infinita di incidenti
occorsi alla troupe. Lo sconcerto per la morte di Brandon fece abbandonare il
film alla Paramount che lo stava producendo e a parte del cast. La produzione
tuttavia riprese spinta anche dei familiari di Brandon. Alex Proyas accettò di
completare il film per dedicarlo all’attore.
La pellicola doveva finire sul mercato
direct-to-video, ma la Miramax fiutò l’affare, finanziando 8 milioni perché le
scene mancanti fossero completate usando controfigure e CGI, e spinse per il
rilascio nei cinema che ripagò l’investimento con gli interessi. A pensar male
si fa peccato ma spesso ci si azzecca, e non credo che la Miramax avrebbe
sganciato i dindini se non avesse sentito che il pubblico avrebbe risposto al
richiamo del “film maledetto”. È il morboso attaccamento verso la morte, di
tutti noi. Non posso dire d’esserne immune io stesso.
Alla fine fu un successo, e c’è da esser grati che
soldi e pixel siano stati spesi.
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Come guarire dai buchi di sceneggiatura |
Non
tutti i tagli vengono per nuocere
La post produzione fu un lavoro di taglia e cuci lungo
un anno. Il montaggio fece la vera differenza nella ricostruzione della storia,
che dovette cambiare direzione e ritmo. Il flashback con la morte di Eric fu
prima tagliato e poi rigirato con controfigure e maggior delicatezza nella
scelta delle inquadrature, dal momento che Lee c’era morto davvero in quella
scena, e il negativo originale era stato distrutto. Altri passaggi importanti,
come il ritorno a casa di Eric, le corse sui tetti e varie scene di raccordo
furono girate con le controfigure.
Altro materiale “finito” fu invece messo da parte, affinando
l’estetica e il montaggio sono. Il mio maggior motivo di rispetto per Alex
Proyas sta nell’aver lasciato fuori varie scene “buone” con Lee, tagliando dove
serviva, senza voler indugiare sulla presenza dell’attore ma pensando sempre e
solo al film.
Fu eliminato il personaggio di Skull Cowboy che doveva
essere la guida spirituale nel percorso di vendetta di Eric, impedendogli di
interferire con le faccende dei vivi a rischio della dannazione eterna, cosa
che avrebbe cambiato senso al finale, forse costringendo Eric a restare tra i
vivi per altre avventure da giustiziere. Infatti una buona accoglienza del film
avrebbe facilmente portato a qualche sequel con protagonista Eric Draven. La
morte di Brandon fece naufragare l’idea di affidare il personaggio ad un
diverso attore, virando così su nuovi personaggi legati solo alla figura del
corvo. Madornale errore.
Il taglio di Skull Cowboy rendeva più stretto il
legame tra Eric e il Corvo, legandoli uno all’altro in un misterioso e
affascinante dittico (chi dice diade
sarà espulso dalla Bara mentre si trova in volo ad alta quota).
Skull Cowboy aveva solo una fugace apparizione nel
fumetto, e nella serie tv del 1998 (sì, esiste. Vidi i primi due episodi credo,
riacquistai la vista in seguito…)
Per la cronaca: sotto la maschera del Cowboy c’era Michael
Berryman, ma senza metà dei dialoghi con Brandon, fu tagliato interamente. Per
come il Cowboy sembrava concepito avrebbe sì rafforzato la ripetitività della
storia (aprendo meglio ai sequel), poteva diventare il protagonista occulto in
quanto traghettatore di anime tormentate, ma avrebbe esagerato l’aspetto
fantasy del film e tolto fascino al legame tra Eric e il Corvo. Che va
benissimo così: Eric non sa quasi niente dei suoi poteri, e ci vengono evitati
brutti spiegoni.
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Skull Cowboy avrebbe fatto molta più paura senza maschera |
Nascita
vita e morte del film-fumetto
Mettiamo da parte la morte di Brandon, della
sfigatissima dinamica potrete leggerne altrove. Parliamo del film, che nasce da
un fumetto, ma all’epoca nessuno si sognava di chiamarli cinecomic. E oggi
nessuno si sogna di ricordarsi che gli Anni ’90 furono IL decennio buono per
l’incrocio tra la nona e la settima arte. Sorvoliamo (letteralmente) sui filmdi Superman. Il Batman di Burton arriva nell’89, poi i fumetti iniziano a
presentarsi in sala con regolarità crescente dalle robe più caciarone (Tartarughe
Ninja, Spawn) a quelle più leggere (Casper, The Mask) fino a quelle autoriali
(Ghost World, Dick Tracy).
Per macabro destino, la storia del Corvo nasceva
dalla tragedia reale di James O’Barr, autore del fumetto. Era una personale
elaborazione del lutto unita a una storia di vendetta. Il film cercava di
raccoglierne l’eredità sporca e cattiva ma anche delicata e struggente, omaggiando
l’estetica senza fermarsi alla mera clonazione delle tavole.
Se con Rodriguez (Sin City) e Snyder (300, Watchmen)
ci siamo ritrovati coi copia-incolla di vignette e dialoghi, Alex Proyas aveva
fatto la cosa più sensata per un regista: adattare per lo schermo. Che non vuol
dire replicare ma restituire le atmosfere e l’estetica cartacea portandola nel
mondo reale. E Proyas ci si è impegnato a rendere iconico il protagonista e la sua
maschera, con inquadrature che valorizzano ogni singola entrata in scena di
Eric. Sono una più bella dell’altra, fateci caso.
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Un’entrata a effetto ad ogni cambio scena |
Straziami
ma di sangue saziami
Shelly Webster ed Eric Draven vengono assassinati il
giorno prima delle nozze, durante la Notte del Diavolo, triste ricorrenza che
precede la notte di Halloween nell’immaginaria città del film. Eric vede Shelly
stuprata e uccisa sotto i suoi occhi, giusto prima di volare giù dalla finestra.
Un anno dopo un corvo riporta in vita Eric perché faccia giustizia, dal momento
che tutti i responsabili sono rimasti a piede libero.
La scena iniziale ci proietta subito in un mondo
cupo, da favola nera, con la voce fuori campo che ci racconta del corvo
leggendario, custode delle anime tormentate.
Pur mettendo subito in chiaro questi elementi
surreali, con la resurrezione di Eric e il suo legame con l’animale leggendario,
il mondo in cui si muovono i personaggi è realistico e credibile. Il contesto
Anni ’90, in cui di droga si parlava e della droga si aveva paura e ci si
moriva (per una ragione o per l’altra), fece la sua parte nell’impressionare il
pubblico dell’epoca.
Ma la violenza e il racconto di vendetta non sono
fini a se stessi, e i personaggi che appaiono anche per pochi minuti risaltano,
macchiettistici ma vari, prigionieri di una storia che ha una sua coerenza
costante.
La fotografia dai colori desaturati sin quasi al
bianco e nero, con forti contrasti e un uso sapiente di luci ed ombre rispetta
il fumetto senza copiarlo in modo sterile. E se il fumetto manteneva
un’impostazione drammatica e usava toni poetici per raccontare la violenza, il
film risulta anche più fumettoso. Benché Eric sia un’anima lacerata e rabbiosa,
si gode la sua vendetta con momenti di allegro sadismo, sin dal primo scontro
con Tin Tin. Alterna i residui di umanità al tormento dei ricordi al delirio di
onnipotenza della vendetta. Si passa dal godersi uno scannamento e
un’esplosione a un momento di rimpianto, da una sparatoria furente a malinconia
e tenerezza. Il tutto condito da un pizzico di humour nero (neanche poco) che
non guasta mai.
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Essere uno spirito. Avere spirito. Fare dello spirito. |
La trama non è il primo aspetto che salterebbe agli
occhi in un film di vendetta, ma l’intreccio ha una coerenza semplice ed
efficace [SPOILER: Eric e Shelly non
vengono aggrediti dai balordi in modo casuale, l’aggressione è pilotata dal
boss di zona per interessi economici. Sembra banale ma non lo è nella messa in
scena. Così la vendetta da elemento principe diventa collaterale. Non è più
solo la vendetta per i colpevoli, ma contro il sistema che li ha scatenati, un
sistema che inghiotte e divora la gente comune, e infatti l’ultimo scontro per
salvare la bambina non ha più a che fare con la vendetta, ma con una giustizia
più nobile: Eric deve salvare l’innocenza dalla corruzione rappresentata dal
Boss. Poi l’arrivo di Albrecht che fa la cavalleria come in un buddy movie anni
’80 mi ha sempre gasato.]
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“Fuoco e fiamme! Fuoco e fiamme!” |
Highway
to hell: Game of Death 2
Una cosa che mi aveva colpito sin dalla prima
visione era quel tocco di personalizzazione dato ai cattivi: Tin Tin il nero lanciatore
di coltelli, monodimensionale, malvagità fine a se stessa, e infatti lo
troviamo tra i rifiuti, praticamente nelle fogne. Gideon sembra stare un
livello più in alto, è il grasso e avido rigattiere, la meschinità dell’uomo
comune. Funboy è il biondo puttaniere dal grilletto facile che sguazza
nell’apatia, appare come il più drogato di tutti. T-Bird è il capobanda, una
sorta di Charles Manson guru degli esplosivi. Il Boss dai lunghi capelli corvini
(pure lui un po’ Manson) è l’aristocratico del crimine, al confronto con gli
altri vive sull’Olimpo ma è insoddisfatto e quasi un asceta. Poi c’è la
sorellastra del boss, coi suoi tratti orientali, pronta a cogliere il
soprannaturale che tutti gli altri non vedono (e lei che “vede” più degli altri
ha la fissa per gli occhi). Ah, e poi c’è Skank, “le checche per ultime”, il
più patetico ma per bilanciare la sua mediocrità Eric dovrà sudare per arrivare
a lui.
[SPOILER:
Eric rivolge contro i cattivi i loro stessi peccati: il lanciatore di coltelli
fa la fine di un puntaspilli, l’avido Gideon vede andare in fumo tutti i suoi
beni, il drogato Funboy ucciso con la droga, T-Bird con gli esplosivi, la
maniaca degli occhi finisce accecata. Tutto torna!]
I cattivi del film hanno ciascuno un aspetto peculiare
e un diverso carattere, con un’arma e uno scenario che li contraddistingue.
Fateci caso perché questo non c’era nel fumetto, in cui tutto si risolveva più
spesso con un colpo di pistola. La varietà degli scontri è tutta valore
aggiunto dal film, e che sia voluto o meno (mi piace pensare che lo sia), se a
dare il volto del buon Eric Draven c’era Brandon Lee figlio di Bruce, non posso
che pensare al Corvo come ad un “Game of Death” di padre in figlio.
Bruce morì mentre realizzava Game of Death,
storia di un combattente che deve risalire una torre sconfiggendo nemici molto
diversi tra loro (sto semplificando Bruce, perdonami, lo so che dietro c’era
tutta una filosofia).
[SPOILER:
Eric scala la sua torre affrontando nemici ben diversi tra loro, scatena tutta
la sua forza, poi dovrà battersi anche privo dei poteri del Corvo. Il fatto che
sconfigga il Boss non con le sue sole forze, ma con le sofferenze passategli
dallo sbirro, è un altro buon punto: Eric ritrova la sua dimensione umana,
quella della sofferenza, ed è quella che gli permette di cavarsela].
Se l’idea di un Game of Death 2.0 vi sembra campata
per aria pensate che: Eric incontra Tin Tin in un vicolo buio; il rifugio di Funboy
al primo piano del night; Skank è in cima al palazzo del Boss e il duello
finale è sul soffitto della chiesa. È una scala per la vendetta. È il “Game of
Death” di Brandon Lee.
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Un’altra brutta faccia per la rubrica “B-b-bad to the bone” |
La struttura del film aiuta a mantenere l’empatia e
l’umanità del personaggio. Ogni episodio del percorso di vendetta aggiunge un
flashback o un incontro affinché Eric non appaia solo come un assassino
vendicatore.
Il resto del cast fa la sua bella figura per gli
ottimi caratteristi. C’è David Patrick Kelly che dimostra di non aver imparato
la lezione: non si provoca mai un guerriero della notte. Michael Wincott è un
Boss carismatico, un santone che con una battuta ridicolizza legioni di cattivi
del cinema: “vedete signori, l’avidità è una cosa da dilettanti… il disordine,
il caos, l’anarchia, là è la vera grandezza!”
Se sentite un certo prurito al naso e comincia a
suonarvi roba già sentita forse vi siete esaltati per il Joker anarchico di Nolan, che non è tutta farina del suo sacco. Apro parentesi: uno dei maggiori
talenti di Nolan è lo studio e replica di tante piccole cose che hanno
funzionato nel cinema Anni ’90, a volte piccoli dettagli e idee, scene,
atmosfere e personaggi che poi ha messo nei suoi film.
Brandon Lee si mangia ogni scena, aiutato anche da
un campionario di frasi maschie che ti gasano da morire mentre lo vedi avanzare
cazzutissimo verso la sua vendetta (“Vittime,
non lo siamo tutti?”). Ma oltre alla grinta nelle scene d’azione, incarna
bene tutti gli aspetti di Eric, giocando con la sua condizione di spettro e di
pagliaccio vendicatore, ci si diverte come un matto e passa con facilità dallo
scherzo al ghigno rabbioso, allo sguardo perso e malinconico.
Ho sempre trovato struggente e metacinematografica
la scena dei ragazzini con le maschere di Halloween che illuminano il volto di
Eric. È l’unica scena in cui vediamo Eric ridere spensierato, quei ragazzini
sono lì perché lui ha fermato la Notte del Diavolo restituendo un po’ di
normalità alla città (sarà una forzatura ma ci sta). Io però l’ho sempre visto
come una specie di requiem per Brandon Lee, con la scena che si chiude a fermo
immagine come la foto in bianco e nero su una lapide.
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“Se te ne devi andare, và con un sorriso” (Cit.) |
Suonala
ancora Eric
La colonna sonora contribuisce alle atmosfere e al
ritmo del film. Tante sequenze iniziano o arrivano all’apice con un brano,
passando per diverse gradazioni di rock più o meno duro e sporco.
Alex Proyas veniva dalla gavetta dei videoclip, e
quell’impronta si vede tutta nelle ripetute scene a sfondo musicale, nel
montaggio video e sonoro, reso ancor più sensato dal fatto che il protagonista
sia un musicista. La resurrezione di Eric culmina con “Burn” dei Cure, che
furono d’ispirazione allo stesso O’Barr per Eric Draven (capellone alla Robert
Smith, ma decisamente più in forma).
Le musiche erano così tanta roba da dedicargli un
intero Rock ‘n’ Blog da leggere e ascoltare a parte. Ma è doveroso parlare
della scena più maestosa: la sparatoria nel covo dei criminali sorretta dalla
cazzutissima “After the flesh”, in stile di John Woo con pistole a due mani,
montaggio forsennato, un po’ di arti marziali e quintali di piombo (John Wick vent’anni
prima).
[Non a caso Chad Stahelski era stuntman e attrezzista sul
set di questo film. Nota Cassidiana]
Le scene più calme danno profondità ai personaggi,
anche quelli secondari, dalla vita di tutti i giorni della piccola Sarah alle
indagini di Albrecht. Tutti con le loro vite un po’ così, in una città maledetta
in cui la ricomparsa di Eric getta un barlume di speranza.
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“Madre è l’altro nome di Dio sulle labbra e sui cuori di tutti i nostri figli” (troppo bella per non citarla) |
Ma insomma. È un capolavoro? Eh, queste brutte
etichette. Di difetti ne ha, ovviamente, ma da parte mia c’è assoluta
indulgenza. Gli effetti digitali a un occhio attento appariranno posticci ma
non stonano troppo data l’estetica generale e il modo con cui sono stati
gestiti. Ci vuole coraggio nello spendere tanti soldi per così pochi secondi di
girato in cui presentare il volto di Lee e tagliare di fretta, prima che
l’effetto stonato salti all’occhio dello spettatore.
Il montaggio ha dei tagli fatti con l’accetta che
sono frutto della necessità, ed è il montaggio che ha salvato il film, così
come vari passaggi abbozzati nella sceneggiatura. Quei segmenti di raccordo tra
un assassinio e un dialogo (le schitarrate di Eric sul tetto, le sue corse sui
tetti) servono a mandare avanti una storia che non poteva e non voleva fare a
meno del suo protagonista. Potrà anche stonare l’eccesso di melassa nella scena
della “redenzione” di Darla (che serve più a convincere la figlia della
resurrezione di Eric, che non alla stessa Darla), o la facilità con cui viene
accettato l’elemento sovrannaturale dai cattivi, ma rientra nel tono da favola
nera.
Sì, i difetti li ha, e chi non ci è cresciuto e lo
vede oggi per la prima volta forse li noterà di più. Ma considerato il rischio
di naufragio del progetto, la coerenza narrativa e il ritmo ottenuti sono
tanta, tantissima roba.
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Qui c’è qualcuno che non ha visto questo film. Buttatelo dalla finestra. |
Lo scontro finale col cattivo (che si chiamerebbe
Top Dollar, ma nel film non viene mai fatto il suo nome), in cui Eric viene
piegato e torna a sanguinare come un uomo, aumenta l’affezione dello spettatore
all’eroe, non più disumano, ma fallibile, che deve fare appello alla sola
volontà senza poter più contare sul dono sovrannaturale. Tanto basta a rendere
il finale così emotivo e pure spettacolare, sotto la pioggia battente, su di un
tetto scivoloso con fulmini che piovono sullo sfondo.
Il duello finale va a chiudere il percorso di
ammazzamenti e armi che non è mai banale: si esplora ogni possibile oggetto
mortale, contundente o esplosivo per massacrare i cattivi. Nessuno muore due
volte allo stesso modo. Dopo accoltellamenti, esplosioni e sparatorie, il
duello con le spade è l’apice.
Ai più critici il film potrà anche sembrare un forzato
collage di scene con qualche pezzo rock e uno stile visivo accattivante. Vero
che al confronto delle “grandi produzioni” d’azione odierne è cinema di serie B.
Ma questo cinema di serie B anni ’90 era (è) la serie A di genere, ricco della
volontà di raccontare una storia semplice nel modo più figo possibile.
Alex Proyas non è diventato un gran regista, ma ha
dato coerenza e fascino a una favola nera girata come un videoclip di 90 minuti,
nonostante per tutta la produzione sia piovuto sul bagnato. Immagino abbia
tenuto duro ripetendosi di giorno in giorno che non può piovere per sempre.
P.S.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Ci tenevo ad aggiungere solo un breve contenuto: Per la sua capacità di influenzare l’umore, gli amori e le affermazioni in caso di giornate piovose di almeno un paio di generazioni, più tutte le considerazione sulla sua unicità ben descritte da Quinto Moro, rendiamo onore ad Eric Draven, facendolo entrare nel club dei Classidy.
Ultima prima di andare, vi invito tutti a scoprire qualcuno dei lavori di Quinto Moro, che potete trovate QUI.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Ci tenevo ad aggiungere solo un breve contenuto: Per la sua capacità di influenzare l’umore, gli amori e le affermazioni in caso di giornate piovose di almeno un paio di generazioni, più tutte le considerazione sulla sua unicità ben descritte da Quinto Moro, rendiamo onore ad Eric Draven, facendolo entrare nel club dei Classidy.
Ultima prima di andare, vi invito tutti a scoprire qualcuno dei lavori di Quinto Moro, che potete trovate QUI.
Visto che oggi siamo usciti entrambi di casa vestiti come
Eric Draven, non perdetevi il post del Cinefilo pigro! Invece per un approfondimento sul fumetto originale di James O’Barr, passate a trovare Il Zinefilo.
Quando ho rivisto la pellicola insieme a un paio di vecchi amici qualche settimana fa Cassidy, abbiamo fatto un lungo amarcord dei tempi passati della nostra giovinezza.
RispondiEliminaBei film che facevano un volta.
Quinto Moro è stato bravo a sottolineare il lavoro di pre e post produzione del film. Il secondo in particolare sarà anche stato dettato dai tragici eventi, ma realizzato con la testa ben piantata sulle spalle. Sulla lunga distanza ancora il film ne beneficia, poi la sua popolarità ha fatto più danni della grandine (per stare in tema meteorologico) ma questo non cambia il fatto che il film faccia ancora il suo dovere. Cheers!
EliminaNon ho mai visto i seguiti e non lo farò mai perché di questo film ho un ottimo ricordo.
EliminaSai che le gif in bianco e nero mi fanno pensare che sarebbe stato ancora meglio se girato così?
È già, Bobby.
EliminaIl film si avvicina molto al bianco e nero, molti chiaro scuro, l'illuminazione e i lampi tra temporale o lampade impazzite accentuano molto questo look visivo. Uno stile fumettistico non urlato, sporco ma al tempo stesso elegante.
EliminaIn effetti Alex Proyas voleva girare il film in bianco e nero per omaggiare il fumetto, ma la produzione si oppose. Per ottenere un effetto simile decise quindi di adottare toni scuri e ridurre al minimo i colori vistosi.
EliminaGran film, anche se continuo a pensare che la trovata pubblicitaria migliore, ahimè...sia sta quella totalmente involontaria.
RispondiEliminaLa morte di Brandon figlio di Bruce, appunto. Come quella del padre, avvenuta in circostanze poco chiare. Temo che la verità non la sapremo mai.
Forse é stato anche per quello che sono riusciti a realizzarlo così. Fosse anche solo per rispetto e per onorare la sua memoria.
Mi é piaciuto il paragone con Nolan, e non solo per via dei risvolti tragici che vanno ad accomunare questo film con Il Cavaliere Oscuro.
Molti hanno definito il Corvo "Il film di Batman che avremmo voluto tutti vedere al cinema".
Probabilmente riferito a quello di Schumacher, visto che Burton aveva un gusto tutto suo per il dark che non era mica male. Anche se tendeva a dirottarlo più sul fiabesco.
Visivamente é stupendo. Ci sono poi delle evidenti differenze col fumetto, che resta comunque superiore.
Hanno mitigato senza dubbio la crudezza dell'opera originale. Ed il risultato, a conti fatti, risulta un po' melenso.
Le frasi snocciolate da Eric, che nel fumetto rimangono impresse, su pellicola fanno un po' l'effetto di scritta da Baci Perugina.
Hanno poi modificato alcuni personaggi, dandogli più spazio. Tipo la ragazzina, che qui diventa la classica ragazzina sfrangi - maroni. E poi il detective.
Ma era logico. Nel trasporlo é cambiato il pubblico di riferimento, e si é cercato di amplaire il bacino di spettatori.
In fin dei conti l'opera originale di O' Barr era puro underground.
Hanno rimescolato i ruoli dei cattivi. Nel fumetto il capo era T - Bird, ma lì si trattava di una gang di teppisti. Per quanto vasta.
Qui T - Bird é uno scagnozzo come tanti, ed il capo é Top Dollar. Ma in questo caso abbiamo a che fare con un autentico boss della malavita. Eric si va a scontrare con un'intera organizzazione. Si mette contro un ordine costituito malato, basato sulla violenza e sulla sopraffazione. E che tiene sotto scacco un'intera città.
Tin Tin e Sanchez (qui Skank) rimangono invariati. Ci perde tantissimo Fun Boy, che nel fumetto era un personaggio molto più complesso di quanto aparisse.
Era un rifiuto umano. Ma perfettamente consapevole di esserlo. E quindi non cercava scusanti o pietà. Capisce che é arrivato il momento di pagarla e lo accetta. Chiede ed ottiene una fine rapida, perché ha guardato Eric negli occhi e capisce cosa farà al suo capo quando lo avrà tra le mani. e ha una paura fottuta.
Eric lo accontenta, in cambio di un favore.
"Vuoi sapere perché ho fatto quello alla tua ragazza, amico? Non lo so. Ero fatto marcio, amico. Poso solo dirti che mi spiace, per quel che vale. E che non avevo nulla, contro voi due."
"E allora andrai dal tuo capo e gli diari che sto per andare a prenderlo."
"E poi...mi ucciderai, vero?"
"Sei morto dal momento in cui hai toccato la mia ragazza."
"Promettimi...promettimi solo che lo farai velocemente."
"Si. A te lo prometto. NON A T - BIRD."
Alcune modifiche le ho gradite, eh.
Tipo il corvo. Che nel fumetto c'é solo all'inizio. Qui diventa gli occhi di Eric, e la fonte del suo potere.
Ed il suo punto debole.
"Uccidi il corvo. E ucciderai l'uomo."
Nel fumetto ai cattivi non viene data possibilità di scampo. E direi.
Qui, per quanto remota...c'é.
Insomma...per fare una bella storia, ai cattivi dovrebbe venire sempre concessa un'opportunità di farcela.
Anche se poi perderanno.
Myra. la strega che é amante e pure sorellastra del boss, é l'unica a capire come va affrontato Eric. E quindi é il personaggio più pericoloso.
Remake, dite? ma anche no.
Lasciatelo dov'é. Sta bene dove sta.
Quando lessi il fumetto mi stupì molto Funboy, che nel film fu quello che avevo più odiato. Nel fumetto il rapporto che sviluppa con Eric è una delle cose più interessanti, ma nell'economia del film tutti i cambiamenti sono riusciti e intelligenti, qui è il boss ad essere un personaggio più sfaccettato.
EliminaCome è scritto non è un capolavoro, ma è difficile anche non ammettere come questo film sia un culto plurigenerazionale. Certo gli effetti speciali digitali sono invecchiatti maluccio, ma non erano il massimo nemmeno all'epoca, però l'atmosfera, le muscihe il montaggio che fa di necessità virtù, rendono "Il Corvo" un film unico e indimenticabile.
RispondiEliminaAdesso ti aggiungo alla fine del post, anche perché abbiamo decido che è la giornata mondiale dedicata a questo film ;-) Cheers
EliminaIl look sporco "salva" il film dai difetti oggettivi del digitale, che si nota pochissimo perché il montaggio taglia veloce, per evitare che l'effetto posticcio sia troppo visibile.
EliminaE' stata la cosa più intelligente: hanno speso un botto per quei pochi fotogrammi, altri registi avrebbero indugiato più a lungo, qui è stato scelto di usarli il minimo indispensabile, pochi secondi sparsi in tutta la durata del film.
Ad esempio la scena iniziale della morte di Eric, visibilmente posticcia, rientra nella logica di un flashback, e quello stesso effetto è stato mantenuto nelle successive cadute nel vuoto come per citare quella scena, con una fotografia, inquadratura e rallentamento molto simili.
E' deciso, presto, prestissimo, me lo rivedo ;)
RispondiEliminaL'ho rivisto poco tempo fa, mostra un po' le rughe del tempo ma resta affascinante come la prima volta ;-) Cheers
EliminaBravissimo Quinto Moro, hai colto i punti salienti del film, ciò che lo hanno reso grande e immortale. La decadenza, la mancanza di prospettive e di speranze ben rappresentano gli anni '90, un periodo travagliato, cupo quasi quanto i film che lo rappresentavano. Non c'era (quasi) mai redenzione per gli eroi, tutti dovevano patire grandi sofferenze ed enormi perdite, l'ottimismo sale della vita era veramente un'utopia. Dopo l'edonismo esasperato degli anni '80, con i suoi colori sgargianti e le infinite possibilità per chiunque, dove il self made man poteva davvero ambire a grandi vette sociali e professionali, gli anni '90 ci riportano alla (triste) realtà, alla sfiga compagna quotidiana, alla disoccupazione e alla povertà (queste si intrecciano anche con mie vicende personali, ma sono comunque frutto di un periodo convulso).
RispondiEliminaIn ogni caso è il film che spinse a farmi crescere i capelli e che con la sua malinconica tristezza mi rappresenta(va) appieno.
Brandon Lee un grande, un bravo attore con delle capacità acrobatiche non comuni, frutto sicuramente della pesante parentela (basta vedere Resa dei conti a Little Tokyo per rendersene conto). Peccato veramente perché questo film sarebbe stato il trampolino di lancio per la carriera del buon Brandon, lo avrebbe proiettato finalmente nell'olimpo degli attori action dove meritava di stare. Un talento scomparso troppo prematuramente che molti (me compreso) rimpiangono.
Ciao
Brandon qui aveva dimostrato di essere un attore vero, non solo di essere bravo a tirare calci: la sua prova è una continua altalena di espressioni e di emozioni, va sopra le righe come un giullare, a volte è una maschera di tristezza.
EliminaE' il mio primo commento ad entrare nei Classidy! Sto facendo carriera :-)
RispondiEliminaA differenze di “Heat” e “Shining” di cui un giorno (imprecisato) mi occuperò, per “Il Corvo” ci stava la nomina tra i “Classidy”, per me questo è il post definitivo sul film di Alex Proyas. Cheers!
EliminaFilm che anche per me arrivò al momento giusto. C'avevo l'età giusta (15 anni), ascoltavo la musica giusta, mi piaceva l'atmosfera malata ma romantica del film,... Insomma a me e alla mia compagnia (anni '90 belli!) il film ci investì come un treno in corsa. Carnevale? Tutti pittati come Eric. Serata fuori? Via col cappotto, t-shirt nera e anfibi. I più temerari iniziarono pure a farsi crescere i capelli. La frase "Non può piovere per sempre" veniva usata di default come tecnica di rimorchio. La botta ci passò solo un paio di anni dopo.
RispondiEliminaNon è un film perfetto, anzi. Rivisto in età adulta perde un sacco e, come dice benissimo Moro, i tagli con l'accetta di vedono tutti. Così come i buchi di sceneggiatura e i salti illogici. Ma per chi l'ha vissuto in quegli anni, il film rimane grandioso.
Il fumetto lo recuperai immediatamente (ce l'aveva un amico ricco) ma sono sincero: non me lo ricordo! I seguiti mai visti.
Di tutte quelle elencate, ho fatto solo i capelli, ma non per questo film, però ti capisco perfettamente, l'atmosfera generale era proprio quella ;-) Cheers
EliminaAll'epoca lo vidi al cinema insieme ai miei amici spinti dalla morte di Brandon Lee più che per il film in sé ( facendo congetture su congetture su quale fosse la scena incriminata ).
RispondiEliminaHa segnato uno scorcio della mia giovinezza e di quella dei miei amici, visto che per un po' di tempo fu uno dei nostri cult cinematografici.
Non ho mai letto il fumetto di O'Barr, ma mi piacerebbe recuperarlo, prima o poi.
Il probelma del film è quello della discografia di Nirvana, ascoltato dopo viene quasi automatico cercare i segni, penso sia inevitabile. Il fumetto è molto bello, molto più dolente e malinconico, una lettura che merita. Cheers!
EliminaChe anni, gli anni Novanta, quando si facevano le poste alle videoteche nel tentativo di beccare l'uscita del film atteso, che chissà quando sarebbe passato in TV, magari censurato. Complimenti ai tuoi genitori per aver capito che non esistono film inadatti: solo film fatti bene o fatti male. E quelli fatti bene sono sempre adatti ;-)
RispondiEliminaP.S.
Grazie a Cassidy per il link alla mia ricostruzione del Game of Death ^_^
Figurati grazie a te, è ancora uno dei miei pezzi preferiti del Zinefilo di sempre, quindi va promosso ad ogni occasione utile. Cheers!
EliminaAl cinema sembrò anche visivamente innovativo ai tempi, e in qualche modo lo era. Ero vicino allo schermo, svevo la sensszionr di stare sull'ottovolante.Oggi sembra tutto datato, dopo i primi tre Transformers, poi... Ai tempi divenne subito un cult, Ha sì tanti difetti, ma è comunque roba che resta nel cuore. Lo stesso so può dire per le sfumature in carboncino di O'Barr.
RispondiEliminaLe soggettive del corvo, la bellissima scena della corsa sui tetti, ha scritto bene Quinto Moro, un videoclip bellissimo ;-) Cheers
EliminaIo non ho mai visto né vedrò mai i seguiti. Però questo sì, con tutti i difetti che gli vogliamo trovare, rimarrà sempre un cult, nonché uno dei film più "importanti" per la nostra generazione.
RispondiEliminaIl secondo h qualche faccia nota e poco altro, meglio tenersi stretto questo, uno dei nostri film ;-) Cheers
EliminaVidi il secondo una o due volte, lo registrai dalla tv, ma non durò molto, era un brutto pasticcio, il terzo non sono sicuro di averlo mai visto.
Eliminafilm che amai all'epoca, ovviamente anch'io affascinato dalla sua fama di film maledetto e da tutte le coincidenze che l'hanno caratterizzato. Successivamente ho letto anche il fumetto ma, nonostante questo abbia dei momenti decisamente toccanti, nel complesso ho trovato il film superiore.
RispondiEliminaIl film sta in piedi sulle sue gambe, ha scelto di andare per la sua strada ed è stata una scelta giustissima, dovrebbero sempre essere così le opere tratte da fumetti oppure da romanzi, non delle copie sbiadite. Cheers!
EliminaIl fumetto ha tempi più dilatati, è molto poetico e malinconico, il film gioca molto sul ritmo. Direi che sono due anime della stessa storia.
EliminaEsatto, il fumetto ha il tempo del lutto e del doverlo metabolizzare. Il rischio, come sempre in questi casi, è arrivare al fumetto dopo aver visto il film, aspettandosi le stesse cose, errore gravissimo. Cheers
EliminaAccuratissima recensione davvero interessante! Gran film questo, l'ho comprato in DVD da poco e ancora non me lo sono riguardato, ma ne ho un ricordo indelebile. Avevo pure dei fumetti, credo siano ancora da qualche parte nella mia vecchia camerina...
RispondiEliminaAnche secondo me non è banale che il delitto sia motivato da interessi economici, dà una certa profondità alla vicenda che quindi per me non si può definire come un semplice revenge movie (sia chiaro, non ho niente contro i semplici revenge movie, io Mandy l'ho adorato!)!
Recensione definitiva per quello che mi riguarda, molto orgoglioso di averla su questa Bara ;-) Di fumetti ne sono usciti tanti, specialmente continuazioni del personaggio di O’Barr. I “revenge movie” sono tante roba, ne ho un altro molto simile (anche per motivi affettivi tutti miei) che sta per arrivare, e anche in quello per altro ci sono motivi economici dietro ;-) Cheers!
EliminaInserire i balordi in un contesto criminale più ampio dà alla parte finale una marcia in più. Eric e il Boss si sono in qualche modo disturbati a vicenda, e arrivano ad uno scontro epico. Anche a me piacciono i revenge movie puri e semplici, ma questo ha molte frecce in più al suo arco, e le manda tutte a segno.
EliminaNe approfitto per farti i complimenti per la questione "Game of death", era banale sottolineare i tristi parallelismi con il Maestro Bruce Lee (infatti li hanno fatto tutti) ma notare la struttura a livelli dei cattivi qui, ora non vedrò più altro durante i prossimi ripassi della pellicola. Cheers!
EliminaIl corvo è senza ombra di dubbio uno dei miei cult assoluti. Tanto cult che ho comprato pure la giacca come quella di Eric Draven, che l'ha sdoganata qualche tempo prima di Keanu Reeves in Matrix... Poi vai a spiegare alla gente che non è per Neo che porto quella giacca...
RispondiEliminaAnche questo film è stato depredato dalle Wachowski, uno dei tanti che hanno buttato dentro al loro (bellissimo) minestrone chiamato "Matrix". Cheers!
EliminaBella recensione Fra' Cassidy ������
RispondiEliminaGiro i complimenti a Quinto Moro, autore del post ;-) Cheers
EliminaÈ un signor film, uno dei film più iconici di sempre. Ricordo che da bambino mi fece impressione la scena dove uno dei cattivi viene strozzato da una monetina. Sicuramente lo devo rivedere. Bella recensione.
RispondiEliminaMostra un po' i suoi anni, ma ha un fascino che Quinto Moro ha ben raccontato ;-) Cheers
EliminaChi viene strozzato da una monetina, non ricordo questa scena, ed io l'ho visto un bel pò di volte.
EliminaForse è la scena degli anelli, ci sta che avendolo visto una volta sola Long John potrebbe ricordare così. Cheers!
Elimina"Vero che al confronto delle “grandi produzioni” d’azione odierne è cinema di serie B."
RispondiEliminaMa vero perchi, per cosa... ??!!! Davvero oggi ci sono ancora degli stronzi convinti di queste puttanate!!!
Il cinema di oggi ha la bellezza di un autogrill abbandonato, la profondità di un marciapiede e la competenza di matteo renzi, PIANTIAMOLA una volta per tutrte con 'ste frasi fatte e ormai BOLLITE che "vvecchio cinema = vecchiume oramai superato che sa di muffa e stantio" che non è vero niente, anzi; semmai il contrrario: più si va avanti più la settima arte (e non solo quella) si rtincoglionisce ed offre sempre più occasioni a quella del secolo passato (persino ai film di serie Z) di fargli il culo su tutti i fronti senza lasciargli un attimo di tregua.
Prova a dare un'occhiata alla home page della Bara Volante, e dimmi un po' quanto film del 2020 vedi. Direi che ognuno ha il suo parere, ma quello di questo blog è piuttosto chiaro ;-) Cheers
EliminaDovrei tornare più spesso a vedere i commenti a distanza di giorni...
EliminaMea culpa.
Confermo: è vero che al confronto delle "grandi produzioni d'azione odierne" Il Corvo è cinema di serie B, in un mondo del cinema in cui oggi film dal budget stratosferico realizzati con effetti speciali strabilianti. Ma è lo stesso ragionamento per cui nel mercato dei videogiochi esistono i "Tripla A" visivamente perfetti che non hanno un'unghia del cuore e della creatività degli "indie" a basso budget.
Il senso del mio discorso era che negli anni 2010 può venire considerato come "cinema di serie B" ciò che negli anni '90 era cinema di "serie A", specie dal punto di vista action.
I limiti del film ci sono, e sono forse più chiari per chi è nato e cresciuto 10 o 20 anni dopo la sua uscita nei cinema e non ne ha vissuto l'ondata emotiva. La mia era la considerazione di chi, per amore del film, voleva conservare l'onestà nel riconoscerne i limiti oggettivi, immaginando che le generazioni successive potrebbero non trovarlo così strabiliante (cosa in cui spero sempre di sbagliarmi).
Chi lo recupera oggi non avrà la stessa sensazione del film maledetto, dell'ultimo lascito di un attore. Questi sono elementi che, concorrendo all'aspetto emotivo di chi l'ha vissuto allora, mancheranno a una fetta di pubblico in futuro.
Quanto al "vecchio cinema ormai superato e stantio" sfido chiunque a trovarci quel significato nel commento, così come nel resto dei film visti sulla Bara.
Così come sfido chiunque a sostenere la tesi opposta, che tutto ciò che è nuovo sia merda e tutto ciò che è vecchio sia glorificabile, buono e giusto.
I discorsi sul "cinema di oggi" e il "cinema di ieri" non avranno mai senso se lo scopo sarà quello di ricercare la superiorità di un'epoca sull'altra. Come di un genere su un altro, di un autore, di un film su un altro.
Non è così che funziona.
Non si da valore a un'opera sminuendo altre opere. Le si da valore per i suoi punti di forza, cui si deve anche dare un contesto a volte, aiutando chi il contesto non l'ha vissuto a immaginarlo, per spiegare le ragioni per cui un'opera ha avuto una certa importanza.