Qui alla Bara Volante, seguiamo sempre con molto interesse
la carriera di Bryan “più grande attore del mondo“ Cranston. Oggi a sbirciarlo
ci pensa Quinto Moro. Lascio a lui la parola e auguro a voi buona lettura!
Se l’avessi visto prima l’avrei inserito nella mia trilogia delle Terre Selvagge. Perché non sembra, ma è un film gemello del più famoso e sfavillante viaggio di Supertramp, un estraniarsi dalla società e dalle ipocrisie del mondo, girato con quattro soldi e un attorone come Bryan-migliorattoredelmondo-Cranston (definizione copyright del nostro amichevole becchino di quartiere Cassidy).
Sarà l’astinenza da “Breaking Bad” che ogni tanto mi spinge a vedere cos’ha fatto nella sua carriera quel monumento sottovalutato che è Bryan Cranston, tra una comparsata in Godzilla e un ruolo da protagonista in Trumbo. La vita professionale del nostro buon W.W. non è stata tutta cieli azzurri e squisiti pollos alla messicana, come succede a molti attori/attrici di successo delle serie, solo che non tutti hanno il 200% di carisma in più aggiunto in ogni confezione, con lo sconto del 20% sul costo d’ingaggio come il nostro Bryan.
Wakefield poteva essere una di quelle produzioni Netflix da sparare in streaming mondiale e invece è rimasto un filmetto di nicchia con un incasso che non pagherebbe il caffè allo staff tecnico di un cinecomic Marvel. Eppure, per quanto sia un film quasi televisivo, è riuscito a tenermi interessato per tutta la visione. Il difetto sta nell’essere un film tratto da un racconto che è tratto da un altro racconto di uno scrittore americano dell’800. Ma è anche la sua forza, perché la storia è resa attuale e funziona, strano a dirsi se il plot è tutto qui: un borghese piccolo piccolo americano la cui vita è giunta ad una sorta di punto morto. Tipica storia sulla disillusione del benessere e della (supposta) sacralità della famiglia nel mondo occidentale: un uomo della borghesia medio-alta invischiato nella routine famiglia/lavoro che è diventata una gabbia decide di straniarsene. Il che è reso più efficace e credibile dalla casualità degli eventi, senza prese di posizione né iperboli moraliste. Un giorno, di ritorno da lavoro, Wakefield per scacciare un opossum dalla soffitta si addormenta e passa la notte tra le cianfrusaglie. Da quel momento decide di non rientrare a casa per non affrontare le solite discussioni famigliari. Un po’ schiavo delle sue costruzioni mentali e sociali, e per un freddo calcolo e pure una vena di sadismo, si dà per disperso, vive nascosto nella soffitta del garage a pochi passi da casa osservando lo strazio della moglie e del teatrino che le si muove intorno.
Tutto qui, senza farvi il torto di un maxi spoiler, nel film non succede altro, anche se non vi dirò come va a finire, perché a un certo punto il percorso umano di quest’uomo si fa così astratto, torbido e profondo da non rendere nessun finale scontato. E’ un film “piccolo”, ma scena dopo scena aspettavo di vedere cosa sarebbe successo e come, nonostante la trama sia staticissima.
Se l’avessi visto prima l’avrei inserito nella mia trilogia delle Terre Selvagge. Perché non sembra, ma è un film gemello del più famoso e sfavillante viaggio di Supertramp, un estraniarsi dalla società e dalle ipocrisie del mondo, girato con quattro soldi e un attorone come Bryan-migliorattoredelmondo-Cranston (definizione copyright del nostro amichevole becchino di quartiere Cassidy).
Sarà l’astinenza da “Breaking Bad” che ogni tanto mi spinge a vedere cos’ha fatto nella sua carriera quel monumento sottovalutato che è Bryan Cranston, tra una comparsata in Godzilla e un ruolo da protagonista in Trumbo. La vita professionale del nostro buon W.W. non è stata tutta cieli azzurri e squisiti pollos alla messicana, come succede a molti attori/attrici di successo delle serie, solo che non tutti hanno il 200% di carisma in più aggiunto in ogni confezione, con lo sconto del 20% sul costo d’ingaggio come il nostro Bryan.
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“Vince Gilligan diceva sempre: la carriera è come una scatola di cioccolatini, non sai mai il ruolo che ti capita” |
Tutto qui, senza farvi il torto di un maxi spoiler, nel film non succede altro, anche se non vi dirò come va a finire, perché a un certo punto il percorso umano di quest’uomo si fa così astratto, torbido e profondo da non rendere nessun finale scontato. E’ un film “piccolo”, ma scena dopo scena aspettavo di vedere cosa sarebbe successo e come, nonostante la trama sia staticissima.
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Jennifer Garner in Wakefield-Alias-Voyeurfield |
La narrazione è interamente voce fuori campo e montaggio della vita di Howard Wakefield chiuso nel suo isolamento e nelle sue riflessioni, tra ragionamenti, flashback e incursioni nei bidoni della spazzatura. I flashback sono usati bene. Ok, rileggiamo insieme questa frase: i flashback sono usati bene. Avete presente quanto abusati siano i flashback e quanto ad cazzum vengano appiccicati nei film? È una tecnica che raramente si rivela davvero utile ma qui è vitale per spezzare la monotonia della voyeurismo da soffitta del protagonista, ampliando un poco lo sguardo sulla sua vita e su ciò che l’ha condotto a quell’isolamento.
Mi è piaciuta la riflessione (auto)critica e nient’affatto banale sul matrimonio, sui compromessi, le manie, le ipocrisie su cui si fonda. Ed è interessante anche il modo di relazionarsi la condizione di isolamento, il gusto sadico che Wakefield prova nell’aver incastrato la sua famiglia nel dubbio che lui sia morto o meno, osservando come certi imperativi e pregiudizi sociali possono modificare il senso delle azioni della moglie. Mi è piaciuto ancor di più che il tutto sia raccontato da un punto di vista intimo, viscerale, senza digressioni sui massimi sistemi, o generalizzando sulla società. E soprattutto nessuno è vittimizzato, lo stesso Wakefield riesce ad essere viscido e spregevole il giusto, ma anche uomo onesto e profondo, per un ritratto di umanità autentico. Forse per questo il film mi ha conquistato.
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“Tutti a guardare Breaking Bad… Maledetti! Come se non avessi fatto nient’altro…” |
La prova di Bryan Cranston è fantastica, intensa e molto “fisica”, con l’intensità che pochi attori riescono a dare in assenza di una battuta da pronunciare. Cranston fa una delle cose più difficili: recita sulla voce fuori campo, sempre costantemente sul pezzo dell’emozione o del tormento o dubbio che vuole raccontare in quel preciso istante, mentre la voce racconta le sue emozioni e le sue fisime. Va comunque riconosciuto l’impegno di regia e montaggio nel comporre questo racconto tra l’attore e il testo recitato, ma ci vuole un grande attore per dare forma a quelle emozioni con le smorfie e i gesti. A tratti sembra un documentario, fuso con un monologo teatrale, e il risultato è niente male. Potrebbe risultare noioso per qualcuno, eppure non riuscivo a smettere di guardarlo, volevo sapere come sarebbe andata a finire, cos’avrebbe fatto questo personaggio e dove l’avrebbero condotto le sue (non)azioni. Quasi un voyeurismo meta-cinematografico tra lo spettatore e il film, e tra il protagonista e il suo mondo.
E certo questo è un film piccolo, girato quasi interamente in interni, nel raggio di una soffitta e di un quartiere, con una manciata di attori di contorno, affidandosi alla bravura del protagonista. Anche Jennifer Garner, la moglie abbandonata, è una figura distante e idealizzata proprio come nel racconto di Wakefield. Non le è concesso molto di più.
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“Bryan, è terribile! Oggi tutti vogliono fare i cinecomic ma nessuno ricorda quando ti potevano distruggere la carriera” – “Non disperare Jennifer, fra qualche anno faranno un remake di Elektra, ti chiameranno per una comparsata e i nerd di tutto il mondo applaudiranno. Io l’ho fatto coi Power Rangers, peggio non potrà andarti” |
La colonna sonora è sorprendente, a tratti poetica, adattissima alle atmosfere del film. Vale la pena rimarcarlo se l’autore è Aaron Zigman, onesto mestierante dedito più che altro alle commedie e a qualche film musicale, ma qui sforna qualcosa che è un piacere ascoltare, è immersiva e delicata.
La regia non sforna idee particolarmente brillanti ma il ritmo del film è buono – nei limiti di quanto possa esserlo un monologo – e scorre in un modo che ho trovato appassionante. Ma lo ripeto, per qualcuno sarà noioso, ma se vi lasciate prendere dalla storia, e dalla prova di Bryan Cranston, la visione vale ogni minuto del vostro tempo.
P.S.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Vi invito tutti a passare a scoprire qualcuno dei suoi lavori, che potete trovate QUI.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Vi invito tutti a passare a scoprire qualcuno dei suoi lavori, che potete trovate QUI.
D'accordissimo con il Quinto Moro!
RispondiEliminaSono rimasto attratto dai film "minimal", tutti concentrati in piccoli set ma capaci di raccontare grandi storie, sin da quando ho visto "La parola ai giurati" (storia vera) e "Wakefield" è sicuramente uno di quei filmoni che fan parte di quella categoria.
E' indubbio che il fascino di questo genere di film derivi da una forte ispirazione teatrale - come precisato anche in questa recensione, riguardo il monologo dell'attore - ma questo "Wakefield" gode anche nell'essere una nuova versione aggiornata del cult "La finestra sul cortile". Quando teatro e cinema si uniscono, il risultato tende sempre ad essere splendido! ;)
Saluti! (spiandovi dalla mansarda)
"La finestra sul cortile" riusciva ad avere momenti di grande regia nelle scene appunto ambientate vista appartamento, "La parola ai giurati" invece è un manuale di come si dovrebbe sempre scrivere, dirigere, montare e recitare, da imparare a memoria per tutti quelli che vorrebbero fare del cinema. In comune hanno almeno un grande attore a caricarsi tutto sulle spalle, e anche qui i gradi di separazione con "Wakefield" si riducono ;-) Cheers
EliminaTutta la mia stima se mi citati "La parola ai giurati", filmone immenso che mi ha colpito come pochi. In generale bisogna essere bravi per girare questi film così "chiusi", con pochi personaggi e pochi ambienti, soprattutto nel cinema di oggi. Rispetto a 50 anni fa il cinema si è del tutto emancipato dal teatro, da cui prima traeva la maggior parte della sua linfa.
EliminaQueste storie "piccole" però riescono a raccontare la condizione umana e la società più da vicino e con più efficacia delle storie di ampio respiro.
Piaciuto molto, Cranston straordinario. Peccato sia passato in sordina, la storia mi ha affascinato e rattristato parecchio. Se mi nascondo, chi verrebbe a cercarmi? Me lo chiedo spesso, io come Wakefield.
RispondiEliminaLa forza del film è tutto qui, ti costringe ad immedesimarti, Cranston fa il resto ;-) Cheers
EliminaCranston ha una mimica e una fisica eccezionali, si misura interamente sull'anima del suo personaggio. Wakefield non è mai sopra le righe, anzi è "sotto" le righe, ma in certi passaggi è fantastico vedere come le emozioni (buone o cattive) sul volto di Bryan siano la manifestazione precisa di quel che c'è nel monologo.
EliminaQuesto film è un vero elogio all'idea di attore al lavoro, senza tutti gli orpelli e sovracostruzioni cui siamo abituati al cinema.
Me lo sono perso e mi sa che me lo dovrò recuperare. Tra i film minori, di impronta teatrale, con annesso un grande monologo (ormai un pò sputt@nato visto che per un periodo lo si è sentito ovunque!), bisogna PER FORZA citare "The Big Kahuna".
RispondiEliminaDecisamente, per un po' era davvero ovunque. Cheers!
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