Terzo ed ultimo capitolo della “Trilogia delle terre
selvagge” firmata da Quinto Moro, lascia la parola a lui mentre a voi auguro
buona lettura!
Mi sono sempre chiesto se un film del genere sarebbe mai uscito senza il successo di Into the wild. Forse sì, perché il canadese Jean-Marc Vallée è lo stesso regista di “C.R.A.Z.Y.” (2009), “Dalla buyers club” (2013) e “Demolition” (2015). E siccome i cineasti canadesi – di solito – non hanno l’ansia da prestazione di correr dietro ai colleghi a stelle e strisce, le loro storie finiscono per raccontarle come e quando gli pare. Vallée è interessato alle vicende che scavano a fondo nei personaggi, e nel raccontarle sta in bilico tra delicatezza e immediatezza, senza fronzoli.
Uscito nel 2014, potendo contare sul talento e il nome di Reese Witherspoon, “Wild” è stato ed è tuttora uno dei pochi racconti di formazione al femminile che si sia visto al cinema, almeno nel nuovo millennio. Peccato che tra i riferimenti culturali femminili al cinema (mi metto un parruccone biondo per supporre quali possano/debbano essere) una Captain Marvel abbia tutta la risonanza mediatica che un “Wild” non avrà mai, nemmeno ai tempi del #metoo. È un film da riscoprire perché il suo impatto culturale mi è sembrato flebile. Nonostante sia ben più di un “Into the wild” al femminile, non gode della stessa fama, nonostante sappia raccontarci tutta l’autenticità del viaggio. Le inquadrature non puntano con insistenza ai meravigliosi scenari come nel film di Penn, si concentrano più sulla protagonista, la sua stanchezza più della sua meraviglia, e il bisogno – sia fisico che mentale – di andare avanti per scrollarsi di dosso il passato, e riappacificarsi con esso.
Dare un calcio al passato: metodo Reese Withespoon (e Cheryl Strayed)
“Wild” racconta la storia (vera) di Cheryl Strayed, che dopo un lutto e un divorzio, e mentre cerca di uscire dalla dipendenza dall’eroina, senza alcuna esperienza di escursionismo decide di intraprendere il cammino della Pacific Crest Trail, un percorso lungo 4.000 fottuti chilometri (escono dalle montagne, i chilometri escono dalle fottute montagne!). Una roba da far impallidire quattro volte e mezzo il Cammino di Santiago di Compostela, e tre volte il Cammino delle Torri della Sardegna. Se poi la vostra idea di escursionismo è arrampicarvi fuori dalla poltrona per raggiungere il frigorifero con seri interrogativi sul ritorno sani e salvi al dolce abbraccio del cuscino ai vostri glutei, capirete che l’impresa non è mica da ridere. E Cheryl non è un’idealista né una sognatrice, affronta il viaggio spinta dalla sola volontà, col preciso scopo di sfidare se stessa, donna fallibile ma non fallita.
Nonostante non manchino i passaggi buonisti, questi appaiono molto più credibili rispetto a Into the wild, grazie all’approccio di Jean-Marc Vallée che guarda sempre i suoi protagonisti da vicino e senza nasconderne contraddizioni e debolezze, mirando al modo in cui affrontano le difficoltà, quasi più del modo in cui le superano o le accettano: l’omosessualità in “C.R.A.Z.Y.” e l’Aids in “Dallas Buyers Club”, la dipendenza e l’elaborazione del lutto in “Wild” e poi in “Demolition”.
“Cammina, cammina, quante scarpe consumate – Quante strade colorate, cammina, cammina” Augusto Daolio, e Cheryl Strayed
Questo film mi ha conquistato subito con una scena semplicissima: Cheryl sofferente coi piedi sanguinanti perché indossa gli scarponi sbagliati. Avete mai provato a fare anche solo 10 chilometri con le scarpe sbagliate? Magari d’estate, andando su e giù per sentieri di montagna. Mai sentite quelle fottute vesciche sotto i piedi che vi fanno desiderare una morte rapida, mentre vi tocca ancora il viaggio di ritorno, magari zoppicando a lungo prima di riabbracciare un paio di pantofole. Già qui, a meno di un minuto dall’inizio che “Wild” ha già tirato un cazzotto, un uppercut degno di una finale dei pesi welter al suo gemello più famoso “Into the wild”. Chi l’ha mai visto il buon Alexander Supertramp soffrire per le vesciche ai piedi? Realismo 1 - Didascalismo 0.
La prova della Witherspoon è molto fisica, lei così esile, le ginocchia magre, lo zaino troppo pesante che rende un’impresa ogni scollinamento, danno l’idea del viaggio come vera sfida e non un’allegra scampagnata per le terre selvagge.
Il passato è il fardello più pesante. Beh, quasi…
“Wild” è una storia intimista in cui niente viene spettacolarizzato, tutto è ridotto ai termini dell’esperienza umana. È lo scavo costante nelle memorie mentre le avversità del percorso si fondono con i problemi umani dentro e fuori dalla società: la diffidenza verso tutte le persone che Cheryl incontra lungo il viaggio, ci dà la dimensione di quello che può aver significato un viaggio simile per una donna, tra la paura di uno stupro e l’altro. Un concetto semplice, ma una preoccupazione a cui un uomo non deve mai calcolare, almeno finché non piscia sui mocassini di uno sbirro texano e viene spedito alle patrie galere. Perciò tanto di cappello a questa parabola al femminile, che non ci prova nemmeno ad essere manifesto di liberazione sessuale, anche perché Cheryl non è certo un’icona d’innocenza. Niente progressismo spicciolo, ma tanti sguardi lucidi e spesso amari che rimbalzano dalla protagonista alla madre, per un ritratto che finisce per abbracciare un po’ tutte le sfaccettature della vita al femminile: “non sono mai stata me stessa, solo una madre e una moglie” (tratto dal manuale su come riassumere una condizione secolare, edito da Laura Dern, e Cheryl Strayed).
“Sono una donna pronta a tutto… ma non in quel senso!”
La sceneggiatura è dello stesso Nick Hornby di “An Education” e “Brooklyn”, che adatta a meraviglia le imprese di Cheryl piazzando una buona dose di dialoghi e frasi che lasciano il segno, soprattutto nei flashback sul rapporto madre-figlia. Madre che ha il volto e la bravura di Laura Dern e assume via via il ruolo di coprotagonista, e permette di ampliare non di poco i temi del film: la maternità e il tempo che passa, elementi estranei o abbozzati per una Cheryl ancora giovane e sbandata.
Il finale dà soddisfazione nel suo non essere celebrativo, quasi anticlimatico come spesso nei film di Vallée, perché il percorso di Cheryl non mira all’esaltazione dell’impresa quanto alla consapevolezza della resistenza, perché sarà pure vero che “la felicità è reale solo se condivisa”, ma “la vera sfida, è vivere”.
“Tougher than the
rest” Bruce Springsteen, e Cheryl Strayed.
P.S.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Vi invito tutti a passare a scoprire qualcuno dei suoi lavori, che potete trovate QUI.
Invece qui trovate il primo, e il secondo capitolo della sua “Trilogia delle terre selvagge”.
Ammetto che non l'ho mai visto. Anzi, le volte che lo beccavo in tv cambiavo senza nemmeno dargli una possibilità. Ora ho una buon motivo per recuperarlo! Bravo Quinto Moro.
Bisogna dire che Reese Witherspoon non ha proprio una filmografia da farti urlare: «Siiii il suo nuovo film!» anche se comunque mi è simpatica a qui è davvero brava. Cheers!
Da recuperare assolutamente. E' passato in sordina, e forse l'etichetta di "Into the wild al femminile" all'epoca gli fece più male che bene. Vero anche che la Whiterspoon è sì famosa, ma più in patria che da noi, e questa è una delle sue prove migliori.
E' un film diverso dalla versione "maschile", tuttavia simile, cosicché la differenza c'è e si vede, in termini d'impatto e quant'altro, comunque non male ;)
Non so perché ricordo del film, malgrado a memoria direi che mi è piaciuto. L'Archivio Etrusco mi informa che l'ho visto nel giugno 2015 e gli ho dato 5, una cosa media, un voto che do ai film che non mi sono propriamente piaciuti ma neanche dispiaciuti. Quindi il non ricordare molto potrebbe dipendere da quello... Nell'unica escursione che ho fatto in vita mia mi sono lamentato così tanto che volevano buttarmi giù dal sentiero, ma posso dire d'aver condiviso un aspetto della trama: ero del tutto mal equipaggiato e impreparato alla sfida. Però non ho fatto 4000 chilometri, già dopo quattro passi ero in modalità "Quando arriviamo?" :-D
Sa che non l'ho visto? Vero, non sono molti i film di formazione declinati al femminile (mi viene in mente solo Thirteen e poco altro). Cavolo, 4 mila chilometri da drogata... è davvero volenterosa la ragazza :)
Non mi dia del lei che mi sento già vecchio… diamoci del voi :-) "Thirteen" è più legato al genere teenager/scolastico e al femminile ce ne sono molti di più, questo è unico nel suo genere perché di storie simili ce ne sono poche.
Anche questo non mi sembra affatto male, anche perchè la protagonista non mi è mai dispiaciuta dai tempi di quella commedia con Mark Ruffalo e soprattutto Dallas Buyers Club è effettivamente un ottimo film, quindi il regista è sicuramente in gamba.
Il ragazzo sa il fatto suo, ti dirò che ho preferito questo a "Dallas Buyers club" era aveva due buone prove di attori che però monopolizzavano tutto, questo è meno arraffapremi e con più cose da dire secondo me. Cheers!
Ammetto che non l'ho mai visto. Anzi, le volte che lo beccavo in tv cambiavo senza nemmeno dargli una possibilità. Ora ho una buon motivo per recuperarlo! Bravo Quinto Moro.
RispondiEliminaBisogna dire che Reese Witherspoon non ha proprio una filmografia da farti urlare: «Siiii il suo nuovo film!» anche se comunque mi è simpatica a qui è davvero brava. Cheers!
EliminaDa recuperare assolutamente. E' passato in sordina, e forse l'etichetta di "Into the wild al femminile" all'epoca gli fece più male che bene. Vero anche che la Whiterspoon è sì famosa, ma più in patria che da noi, e questa è una delle sue prove migliori.
Eliminanon l'ho visto e credo che non lo vedrò ma ti chiedo: tacks attraverso il deserto l'hai visto?
RispondiEliminagrazie
rdm
Nope, ma ora che ho visto il trailer e c'è Mia Wasikowska vedrò di recuperarlo. Ma fatti un favore, dai una chance a questo "Wild"
EliminaE' un film diverso dalla versione "maschile", tuttavia simile, cosicché la differenza c'è e si vede, in termini d'impatto e quant'altro, comunque non male ;)
RispondiEliminaNon so perché ricordo del film, malgrado a memoria direi che mi è piaciuto. L'Archivio Etrusco mi informa che l'ho visto nel giugno 2015 e gli ho dato 5, una cosa media, un voto che do ai film che non mi sono propriamente piaciuti ma neanche dispiaciuti. Quindi il non ricordare molto potrebbe dipendere da quello...
RispondiEliminaNell'unica escursione che ho fatto in vita mia mi sono lamentato così tanto che volevano buttarmi giù dal sentiero, ma posso dire d'aver condiviso un aspetto della trama: ero del tutto mal equipaggiato e impreparato alla sfida. Però non ho fatto 4000 chilometri, già dopo quattro passi ero in modalità "Quando arriviamo?" :-D
Tutta questa natura non farà male? Troppo sole, troppi insetti, la connessione wi-fi, mancano i prerequisiti per la vita :-P Cheers
EliminaSa che non l'ho visto?
RispondiEliminaVero, non sono molti i film di formazione declinati al femminile (mi viene in mente solo Thirteen e poco altro). Cavolo, 4 mila chilometri da drogata... è davvero volenterosa la ragazza :)
Moz-
Non mi dia del lei che mi sento già vecchio… diamoci del voi :-)
Elimina"Thirteen" è più legato al genere teenager/scolastico e al femminile ce ne sono molti di più, questo è unico nel suo genere perché di storie simili ce ne sono poche.
Anche questo non mi sembra affatto male, anche perchè la protagonista non mi è mai dispiaciuta dai tempi di quella commedia con Mark Ruffalo e soprattutto Dallas Buyers Club è effettivamente un ottimo film, quindi il regista è sicuramente in gamba.
RispondiEliminaIl ragazzo sa il fatto suo, ti dirò che ho preferito questo a "Dallas Buyers club" era aveva due buone prove di attori che però monopolizzavano tutto, questo è meno arraffapremi e con più cose da dire secondo me. Cheers!
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