martedì 11 giugno 2019

Il Traditore (2019): “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, sui giornali, o al cinema. Però parlatene”

Torna Quinto Moro il collaboratore di giustizia di fiducia della Bara Volante, vi lascio alla sua confessione mentre vi auguro buona lettura!

Non sono arrivati ancora i testimoni né i giudici. In effetti mi sento un po’ un intruso, guardo così pochi film italiani che trovarmi a parlarne bene mi fa sentire un po’ come un pentito. E mi fa venire un po’ di cadenza, di parlata popolare, ché cianciare di morti ammazzati, boss e pentiti, diventiamo tutti un po’ più sporchi, a cominciare dalla lingua. Perciò pigliatevi ‘sto commento parlato alla come viene.

“Ssssh! Parla piano, che i mafiosi ci sentono”
Lo confesso Signor Giudice, mi richiede sforzo guardare i film italiani. Non è razzismo, né pregiudizio. Anzi, ritratto Signor Giudice, un po’ di pregiudizio sì che c'è, ma non è colpa mia se m'hanno educato quelle commedie pecorecce degli anni '80 e '90 a guardare il cinema nostrano con sospetto. Io su quelle mi sono formato un (dis)gusto, ero ignorante e ignorante sono restato finché sono cresciuto, scoprendo i piezz'e novanta: i Leone, i Fellini, i Corbucci e le leve nuove dei Tornatore e dei Salvatores da grande. Che se poi questi dei gran nomi da boss, Signò, un motivo ci dev'esse. Io comunque testimonio e giuro che “Il traditore” di Marco Bellocchio mi è piaciuto perché è fatto, come diciamo al paese mio, "come si spetta".

Pronti via, c'è questo contatore che corre, ma quanto corre 'sto contatore! Veloce come i morti ammazzati nella "seconda guerra di mafia" degli anni '80. E non si chiama guerra per scherzo, con 600 morti tra l’81 e l’83. È quella guerra che non t'insegnano a scuola, non ne parlano né i professori né i politici né i giornalisti alla tivù. Stiamo qua tutti gli anni a dire l'anniversario dell'11 settembre, l'anniversario delle stragi di Londra e Parigi perché c’erano i maniaci religiosi stranieri, ma gli anniversari dei massacri di casa nostra, quelli ce li scordiamo. 'So cose nostre, malavita, che vuol dire vita messa male Signò, e ci siamo abituati un po’ tutti, e quello cui siamo abituati, notizia non ne fa.

“Giuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità… finché mi conviene…”
Ma mi sto dilungando troppo, Lei vuol sapere innanzitutto com'è che mi trovavo sul luogo del fatto. Sì, io ci vado a vedere i film italiani, quando penso che le storie m'interessano. Non è solo per la mafia, che l'Italia non è tutta mafia e stiamo pure d'accordo. Ma tra dire che non è tutta mafia e che di mafia non ce n'è, è un altro paio di maniche. Perché pare che siccome st'Italia non è tutta mafia si fa peccato a parlarne per quella mafia che c'è. E comunque, non è colpa mia se i film di mafia sono quelli che ci vengono più bene, o quelli di cronaca, di storia vera 'nsomma. Ché le commedie non fanno ridere, e i drammi 'so sempre chiagnoni.

Marco Bellocchio a quasi 80 anni il bell'occhio sulla scena ce l'ha ora più che mai, senza mezza cataratta, ché tutte le inquadrature stanno al posto giusto e il film ha un ritmo invidiabile, con momenti intensi e picchi di tensione. La fotografia è come quella d'un documentario che sembra ti stai guardando la scena come se succede adesso, coi volti tutti segnati dalle rughe del dramma e dello sfinimento di 'sta vite'mmierd, e quell'ombre tutte accigliate dei figli e'mignotta che ammazzano a destra e a manca.

Ai tempi di “cosa loro” c’erano scudi più potenti di quello di Capitan America.
Quello di Buscetta è stato un nome macchiato d'infamia per trent'anni, ma se chiedi oggi a un ventenne forse non l'ha mai sentito, e chissà che non è questo il successo vero della mafia, di seppellire non solo i morti suoi e nostri, ma pure la memoria dei pentiti, lasciando gloria e mito ai boss sanguinari. Restano a galla un po’ Falcone e un po’ Borsellino, ma chissà per quanto ancora, int'a sta Gomorra d'incazzati cronici, che coi mafiosi non s'incazza mai davvero mentre sputa sui magistrati che siccome non li ha eletti nessuno, come si permettono a fare il loro lavoro?
“Signor Giudice, deve decidere chi deve morire prima, se io o Lei”, “Buscetta, la penna è più potente del tritolo”
Nei primi dieci minuti del film c'è tutta la mattanza degli anni '80, l'ascesa sanguinaria dei corleonesi e della “belva” Riina. E c'è Don Masino Buscetta che tra festeggiamenti e strette di mano se ne scappa in Sudamerica, perché Palermo gli diventa troppo stretta, salvo poi tornare perché gli scannano mezza famiglia.

Oh, poi 'sto film ci fa pure mancare qualcosa: c’è poco Falcone e zero Borsellino, e si ferma alla superficie della risonanza mediatica di testimonianze e processi. Ma ci sta, questo film è tutto per Don Masino, è “la sua verità”, filtrata dal suo punto di vista. La “cosa bella” - in tutta 'sta sozzura di "cosa nostra" - è portarci dentro alle angosce di Buscetta, con uno sguardo intimo fin dentro i suoi incubi: lo spettro dei figli morti ammazzati, tutti i parenti e i picciotti, amici veri e falsi che lo perseguitano. Sono gli attacchi di panico e questa angosce a scandire gli anni da collaboratore di giustizia (pentito mai), mentre attraverso lui assistiamo alla distruzione della mafia mitizzata: quella che il pentito venerava e difendeva viene smantellata pezzo per pezzo non solo dalle sue testimonianze, ma anche dalla scoperta di tradimenti e omicidi che vengono a galla col moltiplicarsi dei pentiti.

“Sorridi, sei su Screzi a parte”
Lo spazio concesso a Falcone è poco ma importante, perché se pure Fausto Russo Alesi a Falcone non ci somiglia come Ennio Fantastichini o Michele Placido, il carisma del Giudice lo incarna tutto quando s'incazza e sbugiarda il mito della “mafia buona”. Vedere l’auto di Falcone che vola e si schianta è un colpo al cuore, mentre gli sputi dei mafiosi alla tv con le immagini della strage è come stare a prendersi quegli sputi in faccia uno ad uno.

Le scene tra Falcone e Buscetta sono poche, e forse non ci raccontano abbastanza quel rapporto complesso che nacque nell'Istruttoria del Maxi Processo, ma questo è il film sul pentito e non sul Giudice. Anche se fa strano che il superpentito abbia avuto la distribuzione al cinema e la passerella a Cannes, mentre ai Giudici morti ammazzati restano le miniserie tv nazionalpopolari, che pure fanno cultura, ma che forse non hanno lo stesso peso d'un film nell’economia del tempo che passa.

“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola” (cit. Giovanni Falcone)
Pierfranceso Favino ha reso alla grande tanto l’uomo quanto il “personaggio” Buscetta, l’atteggiamento in bilico tra fierezza e strafottenza, e il peso delle sconfitte che porta. Ha lavorato bene sull'accento e non sembra mai una caricatura di siciliano, replicando la parlata del vero Buscetta. Il ruolo gli calza a pennello con quella faccia tirata e stanca da sciupafemmine in disgrazia. La scelta discutibile è mantenere la linea di autoassoluzione di Buscetta, il film non lo assolve e non lo condanna, anche se il colpo di coda del finale è un tocco di classe. In generale il film non osa, anzi, glissa veloce come sul Processo Andreotti, ma così rispecchia anche la realtà storica dell'impatto mediatico che i processi con Buscetta testimone ebbero all'epoca (almeno a mia memoria). Perché da star del Maxi Processo, dopo i Giudici fatti saltare in aria e senza che gli si desse più tanta corda, le sue testimonianze sono diventate sempre meno rilevanti, la sua figura sempre più indistinta.

“Pri-ci-so!” (cit.)
Il film segue il "mito" di Buscetta, come lui stesso ammette nel racconto, attraverso le epoche della sua vita con un uso dei flashback non sempre brillante e a volte gratuito (giusto per fare folklore, come quando ce lo mostra amatore carcerario). Eppure la storia appassiona, come sanno sempre fare le storie di mafia, con le loro faide, lotte intestine e drammi famigliari, i lutti e i tradimenti. Ottima la ricostruzione del maxi processo con le decine di detenuti nelle gabbie che trasformano il tutto in un circo fatto di follie, scherni e insulti. E Buscetta che si misura coi suoi avversari ex compari è l'elemento più interessante della sua parabola: un uomo di mafia, a cui la mafia stessa ha tolto tanto, quasi tutto, e che tramite la legge riguadagna un nuovo tipo di dignità ed una diversa forma di vendetta (anche se lui, non la riteneva tale).

“Quinto Moro? Non lo conosco, però troppo parla, è ora di far scendere quella bara volante a terra. Sotto terra.”
"Il traditore" non ci racconta tutto del “boss dei due mondi” come Buscetta era chiamato, anzi decide proprio di non mostrare il suo lato criminale seguendo l'ostinato visione "romantica" della mafia contrapposta alla brutalità dei corleonesi di Riina.

Le scene del processo sono state ricostruite con precisione documentaristica, e sono il vero climax della pellicola, con apici di tensione e incredibili verosimiglianze (la voce del giudice che interroga è praticamente identica a quella dei filmati storici!).

Favino a parte, è tutto il cast a dare ottima prova di sé, in particolare Fabrizio Ferracane che incarna alla perfezione l’aura sinistra di Pippo Calò, e Luigi Lo Cascio un po’ sopra le righe ma sempre efficace.

È uno di quei film da vedere per coscienza storica e consapevolezza del nostro non-così-bel-paese. Come diceva Borsellino di mafia se ne dovrebbe parlare, perché “se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. Ma se per negare il consenso devi conoscere e ricordare, per darlo è sufficiente tacere e ignorare.


P.S.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Vi invito tutti a passare a scoprire qualcuno dei suoi lavori, che potete trovate QUI.

14 commenti:

  1. Film che mi incuriosiva molto ma non ho avuto tempo di beccarlo in sala. Vedo di recuperarlo perché condivido in toto la riflessione sulla nostra memoria storica da preservare.

    Bel pezzo Moro!

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    1. Il bello di aver visto il film e di non avere un pezzo da scriverci su per forza, è stato anche quello di potermi leggere i commenti in rete che di solito rimando a quando ho già scritto il post, per non farmi influenzare nel giudizio. Dal mio posto comodo di “spettatore non pagante” posso dire Quinto Moro ha alzato l’asticella, felicissimo di averlo su questa pagine ;-) Cheers

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    2. Il tema della "memoria storica" me l'ha reso caro anche il cinema. Ho imparato più della Storia al cinema che a scuola. E io avevo 9 in storia, dalle elementari alle superiori, non ero un somaro. Ma la storia che il cinema racconta è quella che non si studia quasi mai, e spesso è quella più determinante perché più vicina nel tempo. Quella che ti insegna a capire il mondo che ti circonda.
      Ci sono voluti 20 anni per un film su Buscetta. Ci vogliono sempre dai due ai tre decenni nel nostro Paese per avere dei film che raccontino eventi che hanno segnato la nostra società. E tante storie non vengono raccontate. Guardo pochi film italiani anche per questo, ma quelli che parlano del nostro Paese per davvero, cerco di vederli sempre. Ero solo un bambino all'epoca dei fatti de "Il Traditore", ma li ho vissuti e respirati attraverso i telegiornali, i discorsi degli adulti, in quel misto di incoscienza e sgomento, che poi mi ha accompagnato sino all'età adulta. Perché anche se avevo solo sei anni mi ricordo esattamente dov'ero quando il tg disse che era stato ucciso il Giudice Falcone, e ovviamente non sapevo chi fosse ma ricordo il sentimento che suscitò in me e in chi mi circondava, e il clima di rassegnazione che regnò intorno alla notizia della morte di Borsellino. Non sono solo cresciuto in un Paese in cui era quasi normale che la mafia ammazzasse i giudici, ma anche che la gente, dopo Buscetta, cominciasse a dire che "i veri pentiti erano solo i primi" e che poi gli altri lo facevano solo per convenienza. E certo, perché se vuoi che il tuo contribuito alla lotta alla mafia sia riconosciuto devi prima farti ammazzare, e se sei un pentito lo fai solo per convenienza. E a un certo punto a nessuno importa più sentire cos'hai da dire (come accadde con Buscetta), se in fin dei conti sei solo un criminale...

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  2. Film come questo "Traditore" o il "Dogman" di Garrone dello scorso anno, mi fanno credere che in fondo in fondo tra una commedia a base di piscio e merda e l'ennesima storiella con Bova, il cinema italiano esiste ancora. A mio avviso un po' troppo lungo, c'è una parte che viene per forza di cose messa in scena ma non approfondità in quanto ci sarebbe voluto un film a se steante, parlo del processo Andreotti, che gira un pochino a vuoto fidandosi della memoria storica (siamo in Italia, memoria storica, ma stiamo scherzando XD), di chi guarda risultando un po' depotenziata nell'economia globale del film. Il finale è da antologia, con quella luna nel cielo.

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    1. Il film su alcune parti deve impostare “l’avanti veloce”, perché la porzione di storia da raccontare è parecchia, ma in generale l’ho trovato davvero ottimo. Capisco che le commedia cretina facciano cassa, ma il meglio il cinema Italiano in questo momento, lo sta sfornando quando parla della nostra storia anche recente (questo film, “La paranza dei bambini” oppure “Sulla mia pelle”) oppure quando abbraccia il cinema di “genere” a tutti gli effetti (“Lo chiamavano Jeeg Robot”, “Il primo Re” e ci metterei anche “Smetto quando voglio”). Cheers!

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    2. Come ho detto nel commento, penso che il film rappresenti molto l'epoca che racconta, perché se il Maxi Processo fu epocale, quello su Andreotti non ebbe la stessa risonanza e iniziava a serpeggiare una specie di malcontento/disprezzo verso i pentiti, e più in generale un disinteresse verso i grandi processi. Tra Maxi Processo e Tangentopoli, la disillusione ha portato al disinteresse. Poi il processo Andreotti dovrebbe essere l'incipit di un altro grande racconto, quello sulla trattativa Stato-Mafia, ma per quello dovremo aspettare credo altri 20 anni, se penso che il Processo si è tenuto in questi anni nel generale disinteresse.

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  3. Ottima lavoro Cassidy, come sempre.

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    1. Ah io non ho fatto nulla, tutto merito di Quinto Moro, i complimenti vanno tutti a lui ;-) Cheers

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    2. (Leggasi con accento sìculo)
      Tutto Cassidy fece, io nulla feci, non ci conoscevamo nemmeno, sulla sua Bara per caso salii, ma mai presi il decollo, ché tanto tutti al Comandante guardavano, tutto lui faceva. Io niente vidi, niente dissi e niente saggiu.

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    3. Qui alla Bara Volante nessuno ha visto, sentito oppure fatto nulla. Nulla sappiamo! Baciamo le mani, meglio noto come Cheers!

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  4. Mi spiace ma a questo giro Quinto Moro non lo leggo, il film lo devo ancora vedere - ancora un po' che aspetto fanno che lo tolgono dalle sale... - e spero sia davvero bello come in molti dicono

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    1. Oh, io non faccio spoiler, anzi il commento vorrebbe invogliare alla visione...
      "Bello come molti dicono" dipende anche dal genere di film che ti piace vedere. Questo è un film molto "italiano" nel senso migliore del termine, ovvero è un film di genere, che punta a una ricostruzione storica, non pesante ma piuttosto a far respirare l'epoca di cui parla (e per me ci riesce).

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  5. Il film ha delle inesattezze storiche ma nulla di sconvolgente o che porti verso il trasfiguramento della realtà. Alcuni nomi importanti per la guerra di mafia, penso al boss Michele Greco detto il papa, sono solo accennati nonostante siano stati fondamentali per l'ascesa al potere di Riina. Più che altro credo che Bellocchio abbia voluto far assumere a Pippo Calò il ruolo dell'opportunista senza scrupoli e che quindi, gli analoghi "uomini d'onore" che fecero quella scelta sono stati marginalizzati. Mi ha stupito, ad esempio, il pochissimo spazio concesso a Riina (che forse neanche pronuncia una battuta). Superfluo il ruolo di Lo Cascio anche se la sua scena al tribunale (da palermitano quale sono) mi ha fatto piegare in due dalle risate.
    Molto interessante il modo in cui per quasi tutto il film Buscetta viene quasi presentato come un uomo positivo e poi, tra il processo Andreotti e il finale del film emerge che, come tutti i mafiosi, anche lui era una belva nonchè un oppportunista. Perchè, e nel film mi sembra sia sottolineato più volte, sembra che Buscetta decida di collaborare non in base a un distorto senso della giustizia ma per impartire una lezione e portare avanti una vendetta nei confronti di chi lo aveva tradito in primis Calò. Ciò che manca è anche solo l'accenno alla politica e alle relazioni che i mafiosi riuscirono a sviluppare. Insomma il film dà per scontato che lo spettatore sappia già un bel po' di cose.
    Sulla memoria storica sfondate una porta aperta ma sui 20 anni che devono passare prima di vedere un film non mi trovate d'accordo. Le mani sulla città, il caso Mattei, un eroe borghese, il giudice ragazzino, Pasolini e tanti altri per fortuna sono usciti prima dei 20 anni trascorsi. C'è da dire, invece, che se accantoniamo i cento passi, il cinema italiano degli ultimi 20 anni poco o nulla ha prodotto come pellicole d'inchiesta quando, invece, proprio i nostri registi erano maestri in questo. E questo, parere personale, è dovuto ad una canonizzazione di un certo modo di raccontare la nostra storia la cui summa è robaccia come la meglio gioventù o, e davvero non capisco come giordana abbia potuto dirigere un film con una tesi così poco suffragata, romanzo di una strage di cui, non a caso, si salvava solo Favino nel fare il povero Pinelli.
    C'è stata una voglia di banalizzazione del nostro recente passato, con un livello di conformismo davvero preoccupante che quasi più non esiste chi prova a tirare fuori una voce fuori dal coro. E questo, probabilmente, è dovuto anche alla difficoltà a trovare finanziamenti. Basta vedere come Bellocchio, non l'ultimo arrivato, per mettere su questo film ha dovuto accettare una coproduzione italia/brasile/germania/francia

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  6. La marginalizzazione di certi nomi ha stupito anche me, ma visto che il film ruota tutto attorno a Buscetta si è scelto Calò come antagonista principe, più di Riina che già faceva parte "dell'altra mafia", sappiamo che è il cattivo, mentre Calò è una figura ambigua ed è quella che più di tutte rappresenta il crollo degli ideali sbandierati dallo stesso Buscetta.

    Sugli anni che devono trascorrere perché si facciano certi film mi riferivo agli ultimi 30 anni di storia. Dopo i grandi eventi degli anni '80 e '90, le stragi di mafia e la caduta della Prima Repubblica, c'è stata una rinuncia al racconto del passato più recente, quando avrebbe dovuto essere il contrario. Penso che in Italia, a livello di mentalità nella produzione, ci sia scarsa fiducia nel cinema come mezzo culturale e di memoria storia. Gran parte dei film "importanti" esteri parlano di personaggi o eventi storici, da noi molto raramente, e non perché non ne abbiamo avuti.

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