venerdì 21 giugno 2019

Geronimo (1993): Gli americani, quelli veri

Avete presente quei film che si amano prima di diventare cinefili senza ritorno, prima di passare le giornate a caccia di film imparando a memoria nomi, date e filmografie? Uno di quelli è il protagonista di oggi della rubrica… King of the hill!

Invoco il vostro perdono fin da subito, per arrivare a parlare del film di oggi dovrò partire non da lontano, ma da lontanissimo, oggi siamo seriamente a rischio della più lunga premessa mai inchiodata su questa Bara, mettetevi comodi, non sarà una cosa breve.

La passione per il western mi è rimasta incollata addosso per tradizione paterna, qualcuno eredita il tifo per la squadra del cuore, noi a casa Cassidy siamo sempre stati appassionati solo del re di tutti i generi cinematografici, quello che sta al cinema come il Rock alla musica. Prima di andarci sotto come tanti della mia generazione ed imparare nomi di dinosauri come se esistesse la concreta possibilità di vederne uno dal vivo, ero già fanatico della storia dei Nativi americani che, poi, parliamoci chiaro: sono gli unici Americani degni di questo nome, quelli veri.

Questa forma di lucidissima malattia mentale è stata alimentata da un libercolo, un vecchissimo tascabile western, dalla copertina verde consumata, le pagine ingiallite e l’aria di chi ha attraversato mille battaglie e altrettante letture. Un libro di Forrest Carter che, in realtà, erano due libri di Forrest Carter, la prima parte s'intitolava “Geronimo” e non credo serva spiegare di chi raccontava la storia, la seconda “Cercami sulle montagne” era la cronaca della resistenza del più fiero guerriero della storia americana, del modo in cui per decenni ha preso per il naso le divise blu che lo cercavano in lungo in largo, senza riuscire a scovarlo mai.

Direttamente dall'archivio di casa Cassidy (ringraziate il signor Cassidy senior)
Quando ho iniziato a leggerlo e rileggerlo io quel libro, era già seriamente provato dalle svariate letture del signor Cassidy senior, sono certo che quel glorioso tomo sia ancora a casa su qualche mensola, con le pagine miracolosamente ancora tutte (abbastanza) insieme. Per anni fantasticavo sul chiamare un mio ipotetico figlio Geronimo, ho cambiato idea quando ho scoperto che Ignazio La Russa aveva già fatto lo stesso (storia vera).

Forrest Carter e la sua biografia (occhio che tra poco arriva il colpo di teatro)
Volete qualcosa di ancora più compromettente? Sono abbastanza certo che senza quel libro di Forrest Carter in giro per casa, la mia passione per la lettura non sarebbe mai sbocciata, quindi ho sempre associato quel nome e quel cognome a qualcosa di bello, solo anni dopo ho scoperto che da una storia di Carter (“The rebel outlaw: Josey Wales” 1972) è stato tratto uno dei miei film di (e con) Clint Eastwood del cuore, ma che ha anche scritto “Piccolo albero” ancora oggi uno dei libri per bambini più amati credo di sempre. Problema: lo scrittore di (presunte) origini Cherokee, in realtà, non è mai esistito. Perché Forrest Carter altro non era che lo pseudonimo di Asa Earl Carter, segregazionista convinto, antisemita e tra i membri fondatori negli anni ’50 di una setta di signori bianchi che amavano indossare cappucci a punta dello stesso colore. Vi lascio immaginare la risata che mi sono fatto quando ho scoperto che devo il mio amore per la lettura in parti uguali ad un vecchissimo tascabile, a mio padre e ad uno dei membri fondatori del Ku Klux Klan (storia vera). Ma per sapere tutto sul libro in questione, fate un salto sulle pagine di Gli Archivi di Uruk, Lucius ha fatto un gran lavoro di archiviazione!

The KKK took my baby away (Cit.)
Ho amato “Geronimo” dal suo primo passaggio in tv da qualche parte negli anni ’90, ho consumato la vhs su cui mio padre (ovviamente) l’aveva registrato, non dico quanto il romanzo di Forrest Carter, ma quasi, a volte rivedevo il film per intero, spesso lo mettevo su per guardarmi giusto qualche scena. Ancora oggi quando vedo Wes Studi in un film (cosa che accade piuttosto spesso visto che l’attore ha una filmografia infinita) urlo «GERONIMO!» nemmeno fossi un paracadutista. Crescendo, con l’esplosione della mia passione cinefila Walter Hill è diventato uno dei miei preferiti, uno di quei registi che ha formato il mio (dis)gusto in fatto di film, scoprire che nella notevole filmografia di Gualtiero c’era anche questo film, è stato come tornare a casa.

Tema: “Il mio personaggio storico preferito”. Svolgimento: Guardatelo in foto e ditemi perché dovrei preferire chiunque altro!
Anche perché da parecchio tempo il nostro Walter accarezzava l’idea di tornare al western puro, come ai tempi di I cavalieri dalle lunghe ombre (guarda caso, altro titolo che ho “ereditato” dal lato paterno della famiglia), forte della sua collaborazione con la Carolco, Hill pensava di portare al cinema la vita di Cavallo Pazzo, prima di rendersi conto che poteva essere molto complicato anche per lui, riassumere la vita del capo degli Oglala Lakota. L’alternativa poteva essere solo Geronimo, la cui vita non era ancora stata raccontata al cinema, non nel modo giusto almeno.

Mentre è al lavoro sul set di Johnny il bello, riceve una sceneggiatura scritta da Larry Gross e da un signore che ha fatto un paio di film della mia infanzia (anche quelli, eredita paterna) di un certo spessore, un vecchio amico della Bara Volante che ha già fatto capolino durante la rubrica dedicata a Walter Hill e che, come vi dicevo, era destinato a tornare, ridate il benvenuto a John Milius e alla rubrica… Un Milius alla volta!


«I like Geronimo just as he was, a human predator».
Queste sono la parole del grande John e, dài, ammettiamolo, se Milius non esistesse bisognerebbe inventarlo! Anche perché non è difficile capire perché Geronimo sia materia per il cinema di Milius, stando alle sue parole Geronimo è stato un uomo che ha visto la storia della sua gente spazzata via, tra tutti gli Apache lui è stato quello più famoso, l’essenza del ribelle che non si sarebbe mai arreso, per certi versi anche un piantagrane per la sua gente. Un po’ come John Milius, aggiungo io.

Nel 1992 i diritti del film e della sceneggiatura di Milius passano dalla Carolco alla Columbia pictures che capisce che i tempi sono maturi, “Balla coi lupi” (1990) e “L’ultimo dei Mohicani” (1992) sono grandi successi che hanno anticipato un decennio, quello degli anni ’90, dove il Western non è mancato di certo, sto pensando a titoli come "Gli spietati" (1992), il mio amatissimo "Tombstone" (1993), "Wyatt Earp" e "Maverick" (1994), ma anche "Pronti a morire" (1995).

Gualtiero con lo sguardo rivolto ad ovest, anzi, al West.
Con un cast pescato da tutti i film che ho citato qui sopra, ad esclusione di Jason Patric (preferito ad Alec Baldwin), il quasi esordiente Matt Damon (che ha mollato l’università per diventare un attore) e Robert Duvall (che ha definito il film “Una vacanza pagata” per quanto si è divertito), si va tutti a girare nello Utah, in Arizona e nel deserto della California. Forte di un budget di 35 milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti presidenti defunti, Hill ha l’occasione di dirigere nei luoghi del cinema di uno dei suoi eroi, John Ford.

Con un vecchio trucco di sceneggiatura, Milius racconta la storia del punto di vista dell’unico personaggio con cui il pubblico può immedesimarsi, il giovane soldato Britton Davis (lo sbarbatissimo Matt Damon) che nel 1885 si ritrova accanto al tenente Charles B. Gatewood (Jason Patric) a gestire la resa di Geronimo (Wes Studi) capo degli Apache Chiricahua, anticipato dalla sua fama, ma, comunque, rispettato da tutti, da Gatewood sicuramente, ma anche dal generale di brigata George Crook (Gene Hackman) davanti al quale dovrebbe arrendersi.

Come da tradizione della rubrica, i titoli di testa del film.
A Walter Hill il titolo originale del film “Geronimo: An American Legend”, da noi piallato semplicemente nel più diretto “Geronimo” non piaceva proprio. Per lui il titolo giusto avrebbe dovuto essere “The Geronimo war” perché il suo film non è solo una biografia sul grande capo dei Chiricahua, ma la cronaca degli uomini coinvolti nella lunga trattativa, resa, tentativo di vita pacifica nella riserva e successiva rivolta (la prima e la seconda) con conseguente caccia all’uomo durata anni ed anni, insomma un film corale, sfaccettato, fatto di uomini che devono combattersi per dovere, per il bene del proprio popolo, ma che non odiano il loro nemico, anzi il più delle volte lo rispettano. Insomma difficile non notare lo zampino di Milius in tutto questo.

Altri guerrieri per la filmografia di Walter Hill.
Ecco perché Jason Patric interpreta un ex ufficiale sudista (quindi uno che ha combattuto a favore dello schiavismo) che, però, ammira Geronimo e parla regolarmente la lingua degli Apache. Ecco perché Matt Damon che qui a lungo interpreta la parte del tonno (“Meeeeit Deeeeimon” Cit.) nel finale alla domanda «È più importante una promessa fatta ad un selvaggio che il tuo Paese?» non ha dubbi.

Gene Hackman è l’unico a cui Geronimo concede di rendere le armi, perché si è guadagnato il rispetto dei Chiricahua e il soprannome di capo Lupo Grigio. Mentre Robert Duvall ha forse il personaggio più bello anche se quello assolutamente minore in un film su Geronimo, ovvero quella vecchia volpe di Al Sieber, profondamente convinto che i Musi Rossi debbano stare al loro posto, che comunque non si fa problemi a stringere amicizia con lo scout apache Chato (Steve Reevis), uno che si è arruolato seguendo l’esempio di pace e collaborazione iniziato proprio da Geronimo con la sua resa.

“Eccoli laggiù gli indiani cattivi”, “Sei sicuro che siano loro i cattivi?”
Perché da Europei siamo abituati a pensare che la conquista del West sia stata qualcosa di eroico, oppure un fottuto massacro di poveri Pellirossa (a seconda della vostra forma mentale) durato relativamente poco, il tempo per dare a John Wayne materiale per i suoi film. Milius aveva già in parte raccontato il difficile processo di coesistenza tra Americani e... Ehm, veri Americani in un’altra sua sceneggiatura, ma qui firma un film che ha tutto della sua poetica fatta di uomini duri capaci di rispettarsi anche a discapito degli schieramenti opposti (altro tema Miliussiano classico), tutta roba che in mano a Walter Hill, è un po’ come chiedere alla gazzella di correre, perché di tipi tosti e una definizione non manichea tra “Buoni” e “Cattivi” il nostro Gualtiero è sempre stato grandissimo interprete.

Il fantasma degli “America FUCK YEAH!” passati.
Potete solo scegliere i momenti preferiti di questo film, io ne ho tanti, l’entrata in scena di Geronimo, ad esempio, è notevole, Wes Studi sul cavallo bianco ha tutto l’orgoglio che ti aspetti dalla fama del grande guerriero e tutto il film è costruito per rendere omaggio ad ogni aspetto del personaggio. Perché la sua fama ha travalicato il tempo diventando patrimonio culturale, urlo di guerra di Dottori con il papillon, o il testo per tormentoni pop, ma il fascino del personaggio è già tutto in questo film.

Walter Hill rende perfettamente onore ad un guerriero che ha provato ad accettare il sistema delle riserve, prima di arrivare a considerarlo semplicemente disumano per il suo popolo e fare l’unica cosa sensata quando sei un uomo responsabile: ribellarti.

Nel 2020 Wes Studi riceverà l’Oscar alla carriera. Per me aveva già vinto tutto negli anni '90.
La scena dell’uccisione dello sciamano ribelle è una delle più potenti, Hill la dirige con l’enfasi giusta perché è il momento chiave della prima ribellione di Geronimo. Uno il cui nome è stato per sempre associato ad una fama da feroce guerriero, anche se non era nemmeno il suo nome, era quello che gli è stato appioppato dai Messicani, con i quali ha combattuto a lungo e che se lo vedevano piombare addosso schivando i proiettili finendo così per appellarsi ai santi come San Girolamo, ed urla con accento messicano oggi «Jerónimo!», urla domani, che poi finisce per diventare il tuo vero nome, un po’ come per Forrest Carter, ma con decisamente più messicani uccisi.

Per la sua gente “Geronimo” era solo Goyaalé che in lingua Apache vuol dire “Colui che sbadiglia” (storia vera), ma anche “Il sognatore” per la sua capacità (si vocifera) di predire il futuro attraverso i sogni, insomma un pantofolaio che vorrebbe solo stare a casa sua a cui è meglio non far girare le palle e che ogni cosa che abbia fatto, l’ha fatta solo per il bene del suo popolo, anche arrendersi al massimo della sua fama, era l’unico modo per lui per ottenere il trattamento migliore per gli uomini, le donne e i bambini di cui era responsabile.

Born in the U.S.A. (prima che si chiamassero con un acronimo)
Spero non vi sfugga l’ironia, molto Milliussiana, di essere riuscito nella stessa carriera a rendere protagonista di due film distinti, prima un musulmano testardo in lotta con un grande impero e poi un apache ribelle che per anni ed anni ha fatto fare una figura di niente all’esercito americano, quando era semplicemente nascosto su una montagna a ridere dei suoi nemici. Un conservatore ultra repubblicano come Milius, per due volte ha raccontato la storia di due “Bin Laden” ante litteram (nome dell’operazione militare con cui è stato ucciso il famigerato terrorista? “Operazione Geronimo” visto che tutto torna?) con la lucidità di chi non ragiona per schieramenti, etichette e dicotomie facili, il genere di paradosso che non manca mai quando si parla di Millius, ma anche il genere di paradosso che scaturisce, dall'imparare ad amare i libri, dalla storia di un grande ribelle scritta però dal fondatore del KKK ora che ci penso.

Tutto questo nel film di Walter Hill arriva forte e chiaro, in 115 minuti in cui la sua regia diventa la più ampia e di grande respiro, si sia mai vista in un film del nostro Gualtiero. Eppure, ancora oggi “Geronimo” è considerato un film noioso, il fatto che abbia incassato solo 18 milioni di dollari al botteghino, al pari del suo protagonista non ha certo aiutato la sua fama.

“Geronimo: An American Legend” è un film volutamente anti spettacolare, fedele alla storia e ai fatti, facendo giusto qualche concessione al mito di Geronimo. Perché proprio John Ford ci ha insegnato che nel West se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda. Walter Hill ha sempre usato il cinema per migliorare la realtà, ma qui firma il suo film più vicino alla realtà della sua filmografia, non a caso accolto con gioia dai nativi americani.

Per il nostro Gualtiero, il western è sempre il modo migliore per migliorare la realtà.
A ben guardarlo, “Geronimo” potrebbe essere più vicino per sensibilità ai grandi Western revisionisti degli anni ’70, quelli che hanno contribuito a riabilitare l’immagine dei veri Americani, che per molti anni il cinema ha dipinto come selvaggi rapitori assetati di sangue. Non riesco proprio a trovare niente di noioso nella storia di un eterno ribelle, allo stesso tempo incredibilmente responsabile nei confronti del suo popolo e di uomini che hanno giurato fedeltà alla divisa, ma non per questo dimenticano cosa sia il rispetto per la vita umana.

Se poi ci mettiamo momenti davvero mitici come la mira infallibile di Geronimo («bel colpo!», «Non tanto, avevo mirato alla testa») e le musiche di Ry Cooder che sono epiche, ma dimesse, quasi a mettere in musica il destino segnato, come i binari del treno le cui visioni perseguitano il protagonista, da cui non si può scappare. No, sul serio io di noioso in “Geronimo” non trovo davvero niente.

“Laggiù vedo uno che trova noioso questo film”...
...“Fuoco a volontà!”
Ci trovo tanto del suo regista, invece, uno che non rilascia interviste, che ama il western classico e sa esattamente come dirigerlo e che, per altro, ha una malinconia da “Sono un uomo, faccio quello che devo costi quel che costi” che traspare in tanti suoi finali, sicuramente in quello di questo film. No, sul serio, quando ami il lavoro di un regista, ancora prima di sapere che un film è stato diretto da lui, quando già andavi pazzo per il romanzo da cui questo film NON è stato tratto, non c’è davvero niente di noioso, anzi sarebbe ora di riscoprirlo e rivalutarlo questo film in cui la violenza esplode fulminea come in un film di Fuller ed è stato scritto, pensato a diretto, ancora una volta fuori da ogni moda, ribelle fino in fondo.

Non mettete via cappello e speroni, si resta nel West perché dopo aver raccontato la leggenda di Geronimo con un approccio storico, è il momento di fare lo stesso con un’altra leggenda, tra sette giorni qui, non mancate!

14 commenti:

  1. ottima recensione grazie.lo vidi ma proprio non mi ricordo nulla.

    che gli dei del cinema mi possano perdonare : per me wes studi rimane queelo di aliens ressurection no aspetta er event horizon........

    ci sono wes studi per me è l'attore che ha recitato in Deep Rising!!!!!!

    vado a colpirmi col cilicio



    rdm

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    1. Grazie capo, è un filmone anti spettacolare, per quello è così poco famoso, ma è un anti spettacolare bello ;-) Wes Studi è un mito, oltre a “Deep Rising” ha fatto un sacco di film di culto (per dirne uno “L'ultimo del Mohicani”) quando l’ho rivisto in “Hostiles” (2017) ero davanti allo schermo ad urlare: GERONIMO! (storia vera). Cheers!

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  2. Carabara, qualche tempo fa Walt era - come spesso capita - ospite del mio buon amico Geroboamo Gattamelata che da anni anima il Contro Festival del Cinema Indie di Lido degli Estensi ( FE ) e Gero aveva esagerato con la doppio malto ( su di lui è modellato il personaggio del libraio che mette alla porta Celine in Pulp di Charles Bukowski ndr ) e ha cominciato a dire a Hill che la prima volta che ha sentito la battuta sullo sbagliare mira era in un telefilm di Charlie's Angels. Walt non aveva ancora digerito il floppissimo e temevo che passasse alle vie di fatto, ma è stato splendido come al solito e si è allontanato a discutere con Guccini della possibilità di girare un corto sulla Avvelenata come fosse il libello di un apache che sale su di una cassetta di legno in un parco e si mette a raccontare.
    Io ti dico onestamente - scusa il downgrade - che nei suoi ultimi gg mia nonna materna mi ricordava Geronimo. Stessa espressione. Ho scritto un low budget movie in cui Geronimo è un sindacalista prima dei cobas disorientato sulla direzione da prendere mentre una multinazionale fagocita la realtà in cui avevano lavorato i suoi genitori ed i suoi nonni. Ivano Marescotti era interessato. Pupi Avati mi ha detto che lo avrebbe diretto volentieri se qualcuno lo avesse proposto al tempo delle finestre che ridono o almeno di Zeder. Pazienza. Ciao ciao

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    1. L’unico modo per migliorare l’Avvelenata (per altro uno dei miei pezzi preferiti di Guccini) appure gli Apache sarebbe di abbinarli insieme, un corto così lo vedrei sicuro! In effetti alla fine la lotta sindacale di Geronimo ha molto rotto i coglioni agli amici Yankee, con la differenza che quelli in divisa blu non erano operai ma soldati, se posso azzardare suggerirei il titolo per il progetto: La classe chiricahua va in paradiso. Cheers!

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  3. Lo vidi al cinema all'epoca. Ero affascinato dalla storia e dal personaggio, ma ho il vago ricordo che anch'io lo trovai un po' noioso .... ;-)

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    1. Occhio a che affermazioni fai, perché quei due lassù hanno un’ottima mira, almeno nasconditi prima dietro a qualche roccia ;-) Scherzi a parte, è volutamente anti spettacolare, e secondo me è anche un film che migliora con il tempo e le visioni, secondo me sapendo a cosa vai incontro, rivedendolo ti potrebbe piacere di più. Cheers!

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  4. Il film l'ho visto appena passò in tv ma lo ricordo poco. Era un periodo in cui stavo abbandonando il western, ma negli anni precedenti le storie di Tex "alla Geronimo" erano quelle che mi piacevano di più ;-)
    Incredibile la storia di Carter! Io devo avere un suo libro schedato in Uruk: devo aggiungere questa chicca!!!

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    1. Si, è un film che per il suo stile dimesso non regala un singolo momento memorabile, ma è una serie di scene belle, tipo il treno alla fine, sembra non uscire mai dall’inquadratura, è un po’ tutto così il film. Vero che è una roba pazzesca? Pensa che lo scoperta scrivendo il post, avevo già decido si partire dal romanzo di Carter, da lì in poi è venuto fuori tutto facendo ricerche. Su Uruk avevo cercato tempo fa, forse avevi un altro suo libro, anche perché ricordo di aver provato a cercarlo. Cheers!

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  5. Il finale sul treno è spettacolare. Certo, poi ci sono tutti gli "attori" che hanno fatto i Lakota in balla con i lupi nella veste degli apache e a me fa un po' sorridere. Ma quando usano le lingue originali dei Nativi io vado in brodo di Giuggiole. Per me è un gioiello questo film. lo avevo in Vhs (che si è consumata). Wes Study ormai è imbattibile in questi ruoli (ultimamente è apparso in Hostiles). Un film molto veritiero anche dal punto di vista storico, con un Hackman stranamente umano, lui che di solito interpreta sempre ruoli cattivi.

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    1. Quello é un gran finale perché inevitabile, il protagonista lotta tutta la vita ma lo sa di avere la strada segnata. Si hanno riciclato in massa tutti quelli che avevano già recitato in "Balla coi lupi" ma non importa, sembra quasi un Western revisionista degli anni '70, uscito un pieni anni' 90, quando ho rivisto il vecchio Wes in "Hostiles" mi sono esaltato tantissimo! Invece Gene Hackman mi manca, é sempre stato uno dei miei preferiti perché donava carisma a personaggi che riuscivano sempre ad essere realistici. Grazie per il commento, torna pure quando vuoi sei il benvenuto! :-) Cheers

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  6. Il preambolo con la tua storia legata al libro di Forrest Carter mi è piaciuta tantissimo, anche se personalmente non apprezzo moltissimo il genere western. A volte sono proprio i libri più strani a colpirci dritti al cuore.

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    1. Ti ringrazio, è stato un percorso di scoperta personale, proprio il suo libro è stato molto importante per me, scoprire qualcosa sul suo autore, una sorpresa anche per il sottoscritto ;-) Cheers

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  7. Magniloquente senza ostentarlo e dai toni sommessi senza essere didascalico che vuole, come detto, parlare di uomini e delle loro ragioni, giuste o sbagliate che siano. Da ragazzino stupì anche me per il tono anti-spettacolare dove però le scene d' azione sono comunque d' impatto. Anch' io ci sono rimasto quando ho scoperto che era diretto da Walter Hill e scritto da John Milius!
    Chissà perché "Balla coi lupi" e "Gli spietati" sono stati dei successi di pubblico e critica e questo no del primo e solo in parte del secondo nonostante usi gli stessi toni.
    Belli e spiazzanti quei flash in bianco e nero che fanno da contrasto ai colori caldi del deserto con un marrone che a volte riempie lo schermo.
    L' ideale canto del cigno di Hill e Milius?
    Aha, però riguardo l' autore del libro! O_O

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    1. L'autore del libro è stato un colpo anche per me ;-) Il suo essere anti spettacolare e realistico nelle azioni dei protagonisti, è puro Hill ma allo stesso tempo puro Milius, due che non sono mi stato tenuti in palmo di mano di Hollywood, per me è davvero tutto qui il problema, non nel film, che è ancora fantastico ;-) Cheers

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