venerdì 15 febbraio 2019

Le cronache dei morti viventi (2007): Mentire ventiquattro volte al secondo

Prima o poi arriva il momento per un regista di riflettere sullo scontro tra realtà e finzione che poi, con un sacco di zombie in più è quello che tratta il nuovo capitolo della rubrica… Lui è leggenda!
«La macchina da presa mente in continuazione, mente ventiquattro volte al secondo»
La massima di Brian De Palma è famosissima, non solo perché riassume l’essenza stessa del cinema, ma tornerà molto ultile per “Diary of the dead”, il quinto film di zombie di George A. Romero… Diciamolo tutti insieme, per cosa sta la “A”? Amore! Oh, bravi, dopo averlo ripetuto in ogni capitolo della rubrica ormai è chiaro a tutti.

La terra dei morti viventi non solo ha ricordato al mondo che il papà degli zombie al cinema aveva ancora molto da dire, ma soprattutto è stato un film che è riuscito a rendere nuovamente i “Blue Collar Monsters” di Romero nuovamente una critica sociale, anzi proprio politica, recuperando una componente sovversiva che avevano perso da tempo nell’horror dei primi anni 2000. Sapete cosa andava forte nello stesso periodo, la tecnica cinematografica del “Found footage” che tra i vari “Paranormal Activity” ci ha sfracellato i maroni (e fatto venire il mal di mare) fino all’altro ieri, in un tripudio di inquadrature tremolanti e protagonisti che urlano «Oh my God!» mentre corrono con la telecamerina in mano, una “novità” che come tutte le novità vendute tra squilli di tromba al pubblico, in realtà è solo una vecchia trovata a cui è stata data una mano di bianco.

In principio fu il classico “Cannibal Holocaust” (1980) di Ruggero Deodato a mescolare snuff movie e finto documentario, ma ancora prima “The Legend of Boggy Creek” (1972) sfruttava un trucco molto simile per raccontarci di un Bigfoot piuttosto incazzato, ma quando si parla di “Found footage” il titolo che tutti conoscono, anche quelli che non lo hanno mai visto è “The Blair Witch Project” (1999) che ha letteralmente sfasciato la diga che per un decennio buono ha allagato i cinema di film di questo tipo. Evidentemente zio George deve aver pensato: «E io chi sono? Il figlio della serva!?», perché anche lui ha deciso di lanciarsi in questa pratica, ma lasciatemi fare ancora un paio di considerazioni.

Zio George indica il punto esatto dello stomaco, dove gli si sono bloccati tutti questi "Found footage".
Il successo commerciale di Land of the dead, avrebbe lasciato intendere che la Leggenda, avrebbe continuato a produrre film magari sotto l’egida di qualche grossa casa di produzione, invece con una scelta, a mio avviso, molto coerente con la sua indole ribelle, Romero nel 2007 fece una scelta diversa, appena tre milioni di ex presidenti defunti stampati su carta verde, per un piccolo film con il 100% del controllo creativo, qualcosa che Romero stesso ha sempre definito come venuto fuori dal suo cuore (storia vera).

Quello che, però, trovo piuttosto chiaro è che sopravvissuto al lunghissimo periodo di bassa marea degli anni ’90, ma in fondo da sempre falcidiato dall’enorme problema di trovare fondi per produrre i suoi film, Romero si fosse rassegnato, con quel misto di cinismo e senso dell’umorismo che lo hanno sempre contraddistinto, al fatto puro e semplice che da lui il mondo volesse solo film con gli zombie. Di questo argomento parleremo anche nel prossimo capitolo (purtroppo l’ultimo) di questa rubrica, ma già in “Diary of the dead” è chiaro che Romero utilizzi i suoi zombie ancora una volta per mettere l’umanità con le spalle al muro e costringerla a rivelarsi per quello che è davvero più mostruosa e meno degna di stima di quei mostri caracollanti che non hanno colpa delle nostre idiosincrasie, insomma, quello che Romero ha sempre fatto dal 1968 in poi, quando la sua rivoluzione cinematografica è cominciata.

Non sembrate proprio l’A-Team, ma dovremmo farci bastare voi.
“Le cronache dei morti viventi” esce nel 2007 e qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa, sono riusciti a vederlo in sala solo una manciata di fortunati che hanno potuto raggiungere le poche sale a Roma dove lo trasmettevano nel 2009, per tutti gli altri è toccato farsi bastare il DVD uscito solo nel 2010, tre anni che ho passato a seguire le vicende di questo film che ancora oggi mi provoca sentimenti contrastanti. Penso che sia uno dei miglior film ad utilizzare la tecnica del finto documentario e che sia molto intelligente (e coerente) nella sua critica alla società, ma allo stesso tempo penso che abbia dei problemi di ritmo notevoli e chi si aspetta un classico film di zombie, potrebbe restare abbastanza deluso.

Sì, perché alla Leggenda non interessa utilizzare il trucchetto della soggettiva in prima persona per creare tensione e far fare qualche salto sulla sedia al pubblico, come accadeva ad esempio in “REC” uscito guarda caso lo stesso anno di “Diary”, ma nemmeno buttarla su una spettacolarità a tutti i costi, ben oltre il senso del ridicolo come accadeva in “Cloverfield” (2008). No, Romero è più interessato a parlarci della realtà e della percezione della realtà, un discorso che al cinema (sempre nel 2007) portava l’autore della frase che ho citato in apertura, Brian De Palma con il suo “Redacted”.

Non ditelo a GIEI GIEI, altrimenti anche questo film entrerà a far parte del Cloverfield-verse!
Romero ci riporta idealmente alla prima notte (dei morti viventi), i suoi amati zombie sono sempre gli stessi, ad essere cambiati in peggio siamo noi umani che ora abbiamo a disposizione una tecnologia che nel 1968 era fantascientifica, mentre oggi è alla portata di tutti, ma il proliferare di macchine da presa, computer e in era più recente Smartphone, ha semplicemente moltiplicato all’infinito i punti di vista e le persone convinte di poter mostrare la realtà, ma di fatto diluendola tra centinaia di punti di vista, tutti ossessionati dal guardare come tanti "Peeping Tom", per citare un classico di Michael Powell.

Fin dai primi cinque minuti del film quelli che, come ripeto sempre, sono quelli che danno tutto il tono alla pellicola, Romero mette in chiaro la sua posizione in modo netto e didascalico, la macchina da presa non potrà mai catturare la realtà dei fatti, finché ci sarà qualcuno a tirare i fili coreografando gli eventi, infatti la prima resurrezione di zombie viene ripresa in diretta, ma il suo pericolo passa in secondo piano, perché l’operatore impegnato a riprendere la scena, da una parte modifica lo scenario che in teoria dovrebbe limitarsi a guardare, facendo spostare un ambulanza che gli rovina l’inquadratura, dall’altra non agisce e lascia che delle persone muoiano spinto da quell’istinto voyeuristico che ci porta a rallentare quando per strada c’è un incidente e con la convinzione di stare salvando la realtà nella memoria di una macchina da presa digitale.

La realtà, o quella che ci viene spacciata come tale.
Per ribadire il concetto è farlo arrivare bello chiaro al pubblico, Romero affida (in apparenza) il ruolo di protagonista, ad un personaggio che più odioso di così sarebbe quasi impossibile, quella calamita per schiaffone che risponde al nome di Jason Creed (Joshua Close) un giovane documentarista con la fissa per gli horror, con l’ossessione di tramandare ai posteri la verità dei fatti, convinto che la verità sia tale, solo una volta colta dalla sua macchina da presa.

Ma sempre citando De Palma, la macchina da presa mente e Jason lo fa a sé stesso, perché la sua ossessione per la realtà a tutti i costi è una bella balla che racconta, visto che lui stesso nel corso di tutto il film interviene alterando gli eventi, costringendo gli altri ragazzi sopravvissuti a confessarsi con il pubblico inquadrati in primo piano, insomma alterando la realtà e inserendo elemento soggettivi, dove dovrebbe solo esserci l’oggettività nuda e cruda dei fatti.

“Perfetto così, fammi un bel sorriso per il primo piano…”.
Questo non potrebbe diventare più chiaro nel momento in cui il gioco diventa ancora più metacinematografico, perché, infatti, le immagini che vediamo, il girato che Jason voleva farci vedere a tutti i costi, in realtà, è rimaneggiato dalla sua fidanzata Debra (la guardabile Michelle Morgan) che, oltre ad essere un clamoroso caso di “Ma trovarti un fidanzato che non sia un cretino, brutto?”, prende “Death of the dead” il film nel film girato da Jason e si occupa di montare insieme le scene, di aggiungerci della musica, insomma alterandolo per trasformarlo in un film, in quello che è l’unico caso a memoria mia, di film “Found footage” con colonna sonora che, in teoria, questi film non dovrebbero MAI avere, trattandosi di girato reale, spiegandoci anche il perché per spaventarci, perché come dice la ragazza, le persone a volte hanno bisogno di essere spaventati per capire davvero le cose. Quasi una dichiarazione d’intenti da parte di Romero, sarà per questo che la Leggenda ha sempre aggiunto ai suoi autografi le parole "Stay Scared" come ideale dedica?

Per questo ringraziate la Boba Fett degli autografi, la più grande cacciatrice di celebrità della galassia, la mia amica Elisa (dite tutti: Ciao Elisa!).
“Le cronache dei morti viventi” ha tutto il cinismo e l’intelligenza di Romero che con una precisione invidiabile per tutti i 95 minuti del film, smonta con il cacciavite tutte le aspettative che ruotano attorno al filone dei film “Found footage”, nel film ci sono intere scene girate con telecamere a bassa risoluzione, oppure inserti di telecamere di sorveglianza e filmati caricati in rete, ma una buona parte della pellicola è girata con una macchina da presa digitale ad alta risoluzione e con una fotografia spesso curatissima, quasi a voler sottolineare la natura fittizia delle immagini che Jason Creed voleva propinarci per reali.

I giochi di parole sul concetto "shoot the dead" si sprecano.
Ma “Diary” è anche uno dei film migliori e, per certi versi, quello che ha saputo riflettere meglio sulla tecnica del finto documentario, perché non scade mai nel ridicolo come accadeva nel già citato “Cloverfield”, qui le batterie delle telecamere non sono eterne, vanno ricaricate, cambiate, si spaccano e vanno sostituite, insomma trovate realistiche in un film che ci ricorda per tutto il tempo che la realtà non può essere tale se manipolata, abbellita con inquadrature migliori e musiche adatte, una riflessione sul modo in cui le notizie ci vengono propinate da chi controlla l’informazione che non potrebbe essere più chiaro di così e che, a ben guardare, è la continuazione della critica sociale che nei film di Romero non è mai mancata.

Questo continuo gioco tra realtà vera e realtà percepita non può che coinvolgere la struttura stessa dei film horror, infatti Romero ci presenta i suoi protagonisti intenti a girare un piccolo Horror con una bionda in fuga e una mummia, fatto per accumulare crediti scolastici e poi chiude il film con la stessa bionda in fuga e lo stesso tipo vestito da mummia, solo che stavolta è anche stato morso e trasformato in zombie, quindi la biondina vorrebbe papparsela sul serio, con la differenza che nel primo caso tutto era ripreso da una macchina da presa, coreografato e musicato (quindi finto), nel finale a riprendere il tutto sono le telecamere di sicurezza, quindi sarebbe reale, anche se sembra una scena di un film, cosa che di fatto è, perché si chiama “Diary of the dead” e lo stiamo guardando. Capitano il giochino, no? Tutto così, per 95 minuti.

L’arte, che imita la vita, che imita l’arte, che imita un film di George A. Romero.
Persino i protagonisti sembrano scritti per prendersi gioco delle aspettative del pubblico, sono dei cliché, fritti in olio di già visto e servito con un contorto di dinamiche da film horror che conosciamo a memoria e, in generale, sono una bella gara a chi risulta meno odioso, ma, a ben guardarli, sono tutti scritti per togliere la sedia dell’abitudine da sotto il sedere allo spettatore: il nerd non è quello pavido che muore subito, la biondina non muore facendo vedere le tette mentre scappa, il “Bello figheiro” di turno non è il cretino scemo, ma, anzi, quello più saggio di tutti è il professore che, in teoria, dovrebbe rappresentare la consapevolezza che solo gli anni e lo studio possono darti, è un ubriacone molesto che gioca a fare l’indiano, nel senso di arco e frecce, non nel senso che fa finta di niente, anche se, a ben guardarlo, fa anche un po’ l’indiano in quel senso.

Quando quello atletico del gruppo va KO, tocca al nerd salvare la giornata.
Quindi ci sta che la gang di neri dall’aspetto minaccioso poi aiuti i protagonisti e che i militari che nei film di zombie di solito vengono invocati come la salvezza (ma mai in quelli di Romero), qui rapinano i protagonisti e anzi torneranno impuniti nel prossimo capitolo di questa rubrica. Ma se la realtà come ci viene propinata è manipolata, allora perché non affidare le voci e le testimonianze dei sopravvissuti al risveglio dei morti che per tutto il tempo si sentono nel corso del film, a coloro che sono i massimi rappresentanti della finzione venduta come realtà, registi, attori e scrittori? Quindi divertitevi a riconoscere le voci di nomi noti che come gesto di stima verso la Leggenda, o anche solo in amicizia, hanno deciso di fare un piccolo cameo vocale nel film, gente come Simon Pegg, Quentin Tarantino, Guillermo Del Toro, Tom Savini e Stephen King, riconoscere le loro voci è uno spasso, ma il migliore resta King, il suo predicatore folle che al telefono intima a tutti di pentirsi per avere salve le loro anime fa scompisciare dal ridere che, poi, è stata proprio la reazione di Romero mentre al telefono registrava l’amico impegnato ad esibirsi in tale capolavoro (storia vera).

Analizzandolo così, usando quella ciccia molliccia e grigiastra, tanto ambito dai golosi zombie che abbiamo tutti dentro il cranio “Le cronache dei morti viventi” è un film estremamente coerente con la filmografia di un ribelle come George “Ammmore” Romero, ma anche un film che rende subito tutti gli altri “Found footage” venuti dopo di lui già vecchi, peccato che i film spesso non siano solo frutto di un giudizio apollineo, a volte funzionano perché intrattengono anche il lato dionisiaco, ecco, “Diary” quando si tratta di intrattenimento, va sotto bevendo dall’idrante.

Tu resta nei paraggi, che la prossima settimana tocca a te.
Quello che Romero già ottiene mostrando, purtroppo si sente in dovere anche di farlo ripetere dalla voce narrante di Debra, quanto di più didascalico e ridonante ci possa essere, dopo l’ennesimo monologo che prevede frasi tipo, incredibile cosa siamo riusciti a diventare in poco tempo, ci eravamo abituati a bla bla bla il film scade in momenti espositivi del tutto superflui, posso capire che siano stati reiterati per sottolineare il concetto di realtà manipolata, ma davvero non erano necessari e, secondo me, ammazzano anche parecchio il ritmo del film.

Devo dire che la scena dell’Amish muto che comunica con i protagonisti scrivendo su una lavagnetta con il gesso, non sono mai riuscito a capirla molto, probabilmente è una delle tappe del percorso di finzione dei protagonisti, ma resta il fatto che la trovo così divertente che ogni volta la riguardo con gusto, certo, risulta fuori luogo rispetto al tono plumbeo della pellicola, ma forse anche per questo funziona, oppure perché nessuno al cinema ha mai “urlato” a qualcuno di scappare dagli zombie in arrivo scrivendo “Hurry” e facendo un cenno del capo.

Il logopedista di willy il coyote.
Devo anche dire che “Diary” fa un sapiente uso di effetti speciali vecchia scuola mescolati a quelli digitali, la scena del clown zombie (quasi un marchio di fabbrica per Romero) e quella dello zombie ucciso con l’acido sono ottenute con tecniche opposte, ma entrambe funzionano alla grande, peccato soltanto che il ritmo del film a tratti sia davvero troppo soporifero, perché ogni volta che finisco per rivedermi questo film, ammiro e condivido la critica fatta da Romero, ma di certo non posso dire che il coinvolgimento sia proprio alla stelle. D’altra parte il perfetto equilibrio tra zombie, critica sociale e coinvolgimento dello spettatore, Romero lo aveva già raggiunto nel 1985, mentre i suoi adorati mostri barcollanti, li aveva già idealmente salutati nell'ultima scena di Land.

Ve lo avevo detto che lo zombie Clown sarebbe tornato.
Ci siamo gente, la prossima settimana questa rubrica arriverà al capolinea, lo so che lo dico tutte le volte, ma credetemi, questa volta mi dispiace un po’ più delle altre. Ma in alto i cuori, non ho ancora finito, per altri sette giorni almeno, sarò ancora in missione per conto di zio George!

27 commenti:

  1. non l'ho visto e credo che non lo vedrò ma mai dire mai.

    entro una settimana invece voglio andare a vedere alita.

    buon week end e grazie

    rdm

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    1. Vedi un po’ se può fare per te oppure no. Quello voglio vederlo anche io, è da quanto ero ragazzino che ne sento parlare, il manga è bellissimo, lo vedrò di certo. Buon week end anche a te! Cheers

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  2. Mi è piaciuto all'epoca, in cui ero sbarcato su YouTube::la realtà cominciava ad essere filtrata dalla webcam e Romero era già lì a darne la sua visione tagliente.
    All'epoca commentai il film da qualche parte con il titolo "Video ergo sum" :-P

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    1. Era per caso questo?

      https://www.thrillermagazine.it/8935/03-diary-of-the-dead-arrivano-i-morti-vedenti

      Potenza di san Google ;-) Appena ho un minuto me lo leggo, per ora sono riuscito solo a scovarlo in rete. In ogni caso hai ragione “Video ergo sum” è la lapide sulla tomba della razza umana, scolpita da zio George. Cheers!

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  3. Ammetto di non averlo visto, ma magari lo recupererò.

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    1. Secondo me merita di essere visto, forse non è coinvolgentissimo come ritmo, ma a livello di contenuti è una critica incredibilmente riuscita. Cheers!

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  4. Film coraggioso, che non ha un buon ritmo, risente infatti dell'età di George Amore , non come quell'incredibile omonimo che alla stessa età ti confeziona un MadMaxFuryRoad da far saltare tutto e tutti, parrucche e parrucconi.
    Però i pregi che hai citato brillano luminosi, quindi è un SI' anche per me, guardatelo gente, non vi dispiacerà.
    P.S. fast zombie sucks! :-)))

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    1. Un film che funziona tutto grazie alle idea che contiene, ne ha così tante da poterle donare ad altri film più sfortunati, però funziona più che altro per quelle, la voce narrante è davvero troppo ridondante, “Furiostrada” resterà un apice inarrivabile ancora a lungo. Voglio anche io la spilla che sfoggiava Romero! ;-) Cheers

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  5. La citazione di Cannibal Holocaust calza a pennello, anche per il finale.
    Chi sono i veri cannibali? Chi sono i veri mostri?
    Dico bene Cass?

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    1. Assolutamente, perfetta per la poetica Romeriana, i veri mostri non sono mai quelli che lo sembrano ad una prima occhiata, ma di solito si rivelano peggio. Cheers!

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  6. All'epoca i maligni sostennero che Romero fosse tornato indietro con la saga perché la scelta di mettere in scena gli zombi intelligenti in "Land of Dead" si fosse rivelata deleteria per il prosieguo della saga e che il regista stesso fosse rimasto a corto di idee.
    A mio avviso, anche se nemmeno io condivido troppo la scelta (finché lo zombi intelligente rimane una eccezione come il mitico Bub ci starebbe anche, ma se diventa la regola si toglie parte del fascino di questi "mostri proletari",secondo me) però Romero anche con questo film smentisce i detrattori alla grande. "Diary" si dimostra una lucidissima critica sia verso il fenomeno della proliferazione incontrollata delle Fake News,sia una cinica analisi sul controllo delle informazioni. Nonché uno dei pochi Found Footage degni di essere visti.
    Semmai i problemi veri sorgeranno col capitolo successivo, ma di questo mi sa che ne parleremo prestissimo! ;)

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    1. Secondo me l'idea dello zombie intelligente era la naturale conclusione dell'evoluzione regalata da Romero ai suoi amati mostri operai, infatti tutto terminava con "Land", se questo è un ritorno indietro, è solo per tornare di nuovo alla radice rivoluzionaria degli zombie, la critica di Romero non molla un colpo, in questo film già gli zombie diventano un pretesto per mettere l'umanità spalle al muro. Il prossimo capitolo arriverà purtroppo a breve, non voglio terminarla questa rubrica!! ;-) Cheers

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  7. Ahimè devo confessare che ne ricordo davvero poco, e metà di questo poco lo devo a questa recensione che mi ha rinfrescato la memoria. Non posso dire che mi dispiacque del tutto a dire la verità (a differenza del capitolo successivo) ma neanche mi entusiasmò purtroppo. Devo riguardarlo per capire se magari una seconda visione (assieme ai tuoi spunti di riflessione) potrebbe farmelo apprezzare di più.

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    1. Un film tutto di testa più che di pancia, più ci ragioni più capisci quanto è intelligente questo film, purtroppo come intrattenimento un po' carente, perché focalizzato al messaggio, secondo me rivedendolo potrebbe piacerti di più ;-) Cheers

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    2. Se solo quella voce narrante fosse stata un po' meno narrante... probabilmente si pensava che quest'espediente aiutasse meglio lo spettatore a riflettere su rischi e conseguenze della manipolazione della realtà, quando invece le azioni dei protagonisti principali per tutta la durata del film parlavano benissimo da sole (senza bisogno di una voce fuori campo a farci da guida).
      P.S. Simon Pegg pure qui? E in cotanta illustrissima compagnia? Beh, ma a questo punto devo proprio rivedermelo in lingua originale! ;-)

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    3. Anche secondo me, la voce narrante va usata con dovizia, per me dovrebbe dare informazioni in più che le immagini non possono darti, purtroppo non è questo il caso. Si va visto in lingua originale, Pegg è forte, ma devi sentire Stephen King, fa morire dal ridere ;-) Cheers!

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  8. A me all' epoca è piacuto .
    Ora... boh?
    Il "sequel" invece è veramente dimenticabile ( e Romero insiste ancora con l'idea degli zombi intelligenti. Preferisco quelli velocisti di Snayder, più sensati, narrativamente )

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    1. Più che intelligenti, offre un punto di vista su due modi (opposti) per gestirli. Questo secondo me è ancora un buonissimo film, ha dei contenuti notevoli, malgrado il ritmo. Cheers!

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  9. L'ho rivisto qualche mese fa (l'estate è la mia stagione zombie), e se da un lato mi è piaciuto meno delle prime 2 visioni (mi era piaciuto moltissimo alla prima), continuo a trovarlo più attuale che mai. Anzi, mi ha colpito una volta di più la lucidità di Romero: l'ha girato nel 2007, quando ancora Facebook non aveva conquistato il mondo e l'espressione "fake news" non era al centro dei più spaventosi incubi dei giornalisti.
    Romero non ha fatto un film horror, ha fatto un viaggio nel futuro, c'è un passaggio lucido come pochi che recita più o meno così: "quanto un milione di voci si sovrappongono, diventano solo rumore", riferito alla molteplicità di fonti da cui arrivano le informazioni sulla rete, e su come la gente non riesca poi a distinguere realtà e illusione. Questo ha dato una rilettura attuale all'apocalisse zombi: nella nostra epoca iperconnessa, un'apocalisse del genere non verrebbe fermata e debellata per l'interconnessione globale, al contrario anestetizzati come siamo tra vero e falso, verremmo assaliti dal morbo risultando impreparati. E perderemmo rapidamente la nostra umanità per questo. E' incredibile come i temi che valevano 40 anni fa per Dawn of the dead possano essere riletti ancora oggi e raccontare ugualmente il nostro disfacimento.
    E in tutto questo, Romero è riuscito a metterci tutta una dichiarazione d'amore per il cinema come mezzo narrativo, che diventa metacinema (i ragazzi che girano l'horror e si ritrovano in una situazione horror, e nel finale ci ritroviamo una fusione tra le due, più altre cosucce sparse).
    Ma ragazzi, se questo film l'avesse girato un ragazzino forse sarebbe stato osannato come un nuovo profeta. Invece l'ha girato una vecchia volpe senza tempo, dimostrando una volta di più il suo occhio lungo.

    p.s. c'è pure Tatiana Maslany prima di Orphan Black...

    Bob.

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    1. Analisi impeccabile, io invece d'estate guardi i film di guerra (storia vera). Girato da Romero sono volate i cori di "É bollito" quando invece è un lavoro di una lucidità incredibile, un film che si ama più per i contenuti che per l'intrattenimento vero, ma molti giovani registi darebbero via un braccio per dirigere un film così. La coerenza di Romero è stata davvero incredibile, uno degli autori più coerenti nel suo criticare ed essere un ribelle, in 40 anni al massimo siamo peggiorati noi umani, Romero aveva già anticipato anche il nostro -incasinatissimo- presente. Cheers!

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  10. IHMO Romero, non avrà certo fatto fatica a immaginare il futuro odierno dove non si capisce più cosa sia vero o falso .
    Da personaggio pubblico, chissà quante falsità sul suo conto o sul suo lavoro avrà letto girando sul web.
    Mi viene sempre in mente quel vecchio episodio dei Simpson con Lisa che crea un suo giornalino ciclostilato che da informazione libera, spingendo tutti gli altri abitanti di Springfield a fare altrettanto .
    Il padre orgoglioso le dice , più o meno " prima l'informazione era in mano a un manipolo di persone che decidevano come dire o meno, ora invece è gestita da un mucchio di stramboidi "
    Ah bè, non so quale sia peggio !

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    1. L'ultima volta che il drago ha mosso la coda, sintetizzando al meglio il futuro, le intuizioni caustiche di zio George sono sempre state coerenti, i suoi anni '90 sono state un calvario, perché Romero chi ha il controllo lo conosce bene. Cheers!

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  11. Senza dubbio solo registi con i contro come Romero e De Palma potevano far loro il "mockumentary" eliminando quelle superficialità d'alta vendita. Hai menzionato dei cali di ritmo, questo è vero ma qui siamo davanti ad una bellissima messa in scena tra fittizio e reale: Zombie & Uomini sulla stessa bilancia. In pratica qui il contenuto prevale sulla forma, tutti gli appassionati dovrebbero vederlo almeno una volta.

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    1. Totalmente d'accordo, nel mare magnum di film di questo tipo Romero e De Palma spiccano, ma tra i due penso che Romero vinca perché nel suo genere, l'horror, ha spiegato ancora a tutti come fare. Cheers!

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  12. Romero ci vuole dire che tutti i notiziari sono "dei film" praticamente e non notizie nude e pure...
    Qui lo zombie lo utilizza in modo diverso rispetto ai 4 film precedenti. Forse è il suo film più teorico, non male ma lontano dai suoi top

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    1. Anche io penso che sia uno dei suoi lavori più brillanti ;-) Cheers

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    2. Ho detto che per me non è tra i suoi migliori, lo collocherei a metà di una sua classifica

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