mercoledì 20 febbraio 2019

Frank Costello faccia d'angelo (1967): Come si dice pietra miliare in francese?

«Non esiste solitudine più profonda del samurai, se non quella della tigre nella giungla».

Inizia con una frase attribuita al Bushidō questo film, recitano così anche i cartelli originali in francese di “Frank Costello faccia d’angelo", bizzarra invenzione del nostro Paese, che oltre a co-produrre il film, è riuscito nell’impresa di farsi odiare tantissimo dal suo regista, Jean-Pierre Melville, uno che non le mandava certo a dire, cosa che non ha certo fatto con gli Italiani, etichettati come «Salauds!», che detta così sembrerebbe una cosa gentile, ma che si potrebbe tradurre, birbantelli, ecco, traduciamola così, birbantelli.

Liberamente ispirato al romanzo "The Ronin" di Goan McLeod, "Frank Costello faccia d’angelo" non ha quasi nulla a che vedere con la vita del criminale Frank Costello, che infatti nella versione originale del film si chiama Jef Costello, ma soprattutto ha ancora meno a che spartire con il titolo originale voluto da Melville, “Le Samouraï” che ammettiamolo, oltre ad essere più figo, è decisamente più adatto al tema e al tono della pellicola.

No dai, questo titolo è molto più figo, non si discute.
La solitudine di un samurai, e una tigre nella giungla, proprio questo sembra Costello nella prima scena, macchina da presa fissa mentre sbuffa nuvolette di fumo in casa sua, silenzioso ma sempre attento e letale, come una tigre appunto, oppure un samurai.

Questo film è senza ombra di dubbio uno dei punti più alti della grande tradizione del “polar", il noir/poliziesco francese degli anni ’60, non potete mancarla questa tipologia di film, sono tutte storie di corruzione, crimini passionali, tradimenti, omicidi, il più delle volte narrati in prima persona, da protagonisti che fumano come se non ci fosse un domani (e tante volte, un domani non lo hanno davvero) mentre indossano cappotto e Borsalino.

“Fa freddo, hai lasciato la finestra aperta?”, “No, è che siamo molto polar bellezza”.
Il nostro Jef Frank, viene assoldato dalla criminalità Parigina per fare lavori di fino, si è fatto una reputazione perché è un tipo metodico al limite dell’ossessività, tenetemi l’icona aperta, più avanti ci torniamo. Ad interpretarlo è Alain Delon che si è fatto parecchio desiderare dal regista, i due non si mettevano d’accordo sul numero di primi piani che Delon pretendeva, ma in compenso ha ottenuto di infilare nel film la sua compagna di allora, Jane Lagrange, la biondina che contribuisce a dare un alibi a Costello (Storia vera).

Ma non ci sono dubbi che Melville faccia ruotare tutta la pellicola attorno al suo protagonista, i primi otto minuti del film, ma tendono quasi ad essere dieci se non contiamo un brevissimo scambio proprio con Jane Lagrange, fanno di “Le Samouraï” un film muto. Frank si prende cura dell’uccelletto che tiene nella gabbietta nel suo appartamento, esce per strada, ruba una Citroën DS usando un mazzo di chiavi che sembra quello del bidello della scuola, e si reca in uno locale di classe per concludere il suo lavoro, ovvero quello di uccidere il proprietario del night.

A vederlo in faccia solo la bella pianista (Cathy Rosier), che però incredibilmente, ma nemmeno poi tanto, nel confronto all’americana non indica il nostro Frank come colpevole, regalandogli di fatto la libertà. Ed ora lo dico senza paura di essere smentito, se Bryan Singer per il suo “I soliti sospetti” (1995) non è andato a rivedersi questo film, giuro che mi mangio il cappello.

"Keyser Söze mi spiccia casa."
Eppure Costello ha tutta Parigi addosso, la criminalità è convinta che lui abbia spifferato e gli manda contro un biondo killer (Jacques Leroy), mentre la polizia non molla e l’ispettore (François Périer) gli sguinzaglia dietro tutti gli uomini che ha, quindi il nostro Franky è un predestinato, la morte aleggia su di lui per tutto il tempo. Persino quando intreccia una storia d’amore con la bella pianista, che è di fatto una nera signora, con tanto di vestaglia nera, ora io ho qualche problema con gli ideogrammi giapponesi, ma se mai scoprissi che quello sulla schiena della ragazza vuol dire “Morte” o qualcosa del genere, il cerchio sarebbe davvero completo.

Corteggiare la nera signora, e non è tanto per dire!
Quindi anche questo samurai di Melville, come nella migliore tradizione dei samurai giapponesi è votato alla morte, il film invece è ultra cesellato, curatissimo nei dettagli a partire dalla fotografia di Henri Decaë, collaboratore storico di Melville e con le mani in pasta in molti dei film della Nouvelle Vague.

Ma perché un cagnaccio senza collare come me scrive di un film così? Perché “Le Samouraï” è essenzialmente il trionfo della narrazione portata avanti per immagini più che con le parole, in pratica del cinema d’azione nella sua forma più artistica, ma sempre di cinema d’azione si tratta.

“Frank Costello faccia d'angelo” è basato su un paio di sequenze magistrali, quella già citata del confronto all’americana ad esempio, è quella con più dialoghi di tutto il film, migliori di questa ci sono solo la fuga di Frank nella metropolitana di Parigi, scendendo e salendo tra i vagoni e lasciando con un palmo di naso tutta la polizia. Prova a farlo nella metropolitana di Torino una cosa così, una linea retta che va da un punto “A” ad un punto “B” e fine, non è un metrò, è il Brucomela di Gardaland.

“Prossima fermata Vinzaglio. Next stop Vinzaglio”.
Un tale trionfo di treni, vagoni e fermate deve aver per forza influenzato uno come Walter Hill, e di conseguenza Michael Mann, i due massimi cantori delle scene in metropolitana del cinema americano, e a dirla tutta, anche il fatto che i personaggi, ad esclusione del protagonista, non abbiano nemmeno un nome, ma vengano identificati dal ruolo, è qualcosa che Hill deve aver sottolineato sul suo taccuino di appunti.

Jean-Pierre Melville aggiunge momenti estremamente ricercati, volutamente diretti per risultare stilosissimi all’occhio della spettatore, su una trama che per sua stessa affermazione, era una cosina. Per Melville il romanzo originale era davvero una robetta di poco conto, a cui ha voluto aggiungere i suoi studi sulla schizofrenia per dare uno spessore e un’ulteriore chiave di lettura alla trama.

Vi ero debitore di un’icona lasciata aperta, la chiudiamo subito, il protagonista è anaffettivo, un po’ perché sembra intrappolato nella sua volontà di risultare “Bello bello in modo assurdo” (Cit.), infatti non a caso è interpretato da uno che per decenni è stato associato all’idea di uomo estremamente affascinante, ovvero Alain Delon. Ma soprattutto Costello è ossessivo, nei gesti con cui si prende cura del pennuto che tiene nella gabbietta in casa, ma soprattutto nel suo modo di sistemarsi il Borsalino sulla testa, lo stesso cappello che almeno in un’occasione gli salverà la pelle.

"Ora che ci penso, anche Zoolander mi spiccia casa."
Melville ci racconta un personaggio affetto da una lucidissima follia, votato alla sua missione, un suicidio rituale davvero degno di un samurai, un seppuku finale algido e stilosissimo. Avete presente quella sensazione di finale tragico dietro l’angolo, per dei personaggi fighi dentro i loro soprabiti? Ecco quello, un Milano Calibro 9 in versione espansa.

Peso sulla cultura popolare del film? Notevole, magari non direttamente, ma i registi che si sono abbeverati alla fonte di Melville sono tantini, a parte il solito Tarantino che spunta sempre in questo tipo di elenchi, qualcuno l’ho già citato, ma fatemi aggiungere anche William Friedkin, che anche lui secondo me si è ripassato questo film prima di sfornare una pietra miliare come "Il braccio violento della legge". A ben guardare, quella frase presa dal Bushidō può ricordare anche “Ghost Dog" (1999) di Jim Jarmush, ma il merito di Melville è quello di essere riuscito a tendere un ponte tra oriente e occidente che sembra dire: «Toninelli levati, ma levati proprio».

Stallo alla messicana francese.
Un francese, che ricordiamolo, sono i veri americani del mondo per attitudine, per creare il suo Samurai ha guardato ad oriente, l’oriente ha risposto, perché non avremmo avuto un solo film di John Woo senza Melville, e già solo per questo bisognerebbe ringraziarlo. Ma anche Johnnie To non è stato da meno, il suo “Vendicami” (2009) è quasi un remake di questo film, basta dire che per il ruolo di protagonista, To avrebbe voluto proprio Alain Delon, ma ha dovuto accontentarsi di Johnny Hallyday (storia vera).

Insomma, non so come si dica “pietra miliare” in francese, per farmi tradurre le scritte ad inizio film ho chiesto consulenza alla mia Wing-Woman (storia vera), ma questo film è decisamente una pietra miliare.

24 commenti:

  1. Si,una vera pietra miliare del cinema europeo, in quanto a Melville, effettivamente, pur essendo stato un grande cineasta il suo "non amore" per gli italiani era conosciuto e leggendario. A differenza di altri colleghi del tempo come André Hunebelle che in Italia e con gli italiani ci lavorava volentieri (ad esempio aveva un buon rapporto di amicizia con Gino Cervi). Più che altro pare che Melville non potesse sopportare che i poliziotteschi italici avessero più successo nel resto del mondo rispetto ai suoi polar. Per fortuna che invece Delon non abbia mai dimenticato che il suo successo iniziale fosse dovuto proprio agli italiani che lo fecero debuttare

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    1. Non ha aiutato nemmeno che sia finito a fare a capocciate con Gian Maria Volonté, sul set di “Le cercle rouge”. In effetti guardando questo film è impossibile non pensare ad una versione molto più di classe dei nostri poliziotteschi, senza nulla togliere ovviamente. Il titolo italiano poi sembra sottolineare e voler dire al pubblico di uno strambo Paese a forma di scarpa: Oh in questo film ci recita il “nostro” Delon! ;-) Cheers

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    2. Beh anche il povero Volonté era un altro che non era certo famoso per la sua pazienza e per il bel carattere (era però un poco migliorato con l'età).Diciamo che questo fa parte dello storico rapporto Amore-Odio che esiste anche nel Cinema tra Italia e Francia, poi dipende dalla sensibilità personale delle persone, anni fa su Nocturno lessi una testimonianza di un'attrice d'oltralpe (credo fosse Annie Belle, ma potrei ricordare male) che sosteneva di essersi sempre vergognata degli atteggiamenti capricciosi e snob di molti suoi colleghi e compatrioti francesi quando venivano a lavorare in Italia e di non aver mai condiviso i loro comportamenti,tipo il rifiutarsi di recitare ed interagire in italiano col resto della troupe (anche se magari conoscevano benissimo la nostra lingua, perfino se erano l'unico componente francese della crew) obbligando tutti gli altri a dover parlare in francese pur di poter girare senza problemi il film. Gente come Philippe Noiret, Annie Belle, lo stesso Delon invece non si sono mai fatti questo problema,anzi. Noiret, pur sostenendo di aver girato anche film brutti nel nostro paese (Le Massagiatrici),ha sempre ammesso che i film che gli hanno dato maggiore visibilità e successo internazionale sono stati i nostri (Amici Miei; Nuovo Cinema Paradiso, Il Postino.)

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    3. Per quello penso che i Francesi siano i veri americani del mondo, poi per fortuna è sempre una questione di persone (e di professionisti) in questo caso Noiret davvero qui da noi ha girato di tutto e di più, anzi penso che molti lo considerassero uno strano Italiano dal nome “Franzoso” ;-) Cheers!

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  2. JP Melville era una testa matta.

    Alain arrivava sempre senza avvertire quando era in zona per le pellicce Annabella. Si piazzava davanti al tv con una scodellona grande come un elmetto in un fumetto di Bonvi traboccante di tisana al finocchio e misticanza e rideva come un angelo davanti ad una antologia di vecchi shows con Topo Gigio e Memo Remigi che duettavano. Crepascola non riusciva a credere che l'attore feticcio di Visconti si sganasciasse come un cavallo davanti a versi immortali come " tu tu tu che razza di topo sei ? " ed ammetto che anche io mi chiedevo a quel punto se era vero che " Bebel " Belmondo passasse il fine settimana guardando maratone dei cartoni di Barbapapà. Sto divagando, scusa, come mi capita solo quando scrivo di qualsiasi argomento. Dicevo di Melville. Secondo Alain, il regista è scomparso mentre cercava di realizzare la " sua" versione della storia della balena bianca. Sarà stata tutta quella tisana, ma ecco una sintesi via Delon: il film inizia con Ismaele il samurai che di fronte al suo imperatore che gli chiede di eliminare un obeso pallidissimo signorotto locale ( qualche anno prima della versione di Miller del Kingpin dalla buccia candida nelle fogne ndr ) risponde solo con un gelido I Prefer Not To e continua con Ismaele che ripete il suo mantra mentre il suo signore e donno, sempre più contrariato, scatena il suo esercito di guerrieri nei loro carapaci stilosi. Melville non aveva intenzione di dare risposte. Forse la Balena Bianca era il papà di Ismaele . Forse era la Bianca Signora che tutti attende da qualche parte. Forse non esiste una risposta.
    Alain ha cercato per anni di polarizzare la attenzione dei suoi amici nel cinema nel tentativo di produrre il film - che nelle sue intenzioni si sarebbe dovuto chiamare Anna la Bella - con alcune varianti che ne avrebbero fatto una apologia del visone, ma i nostri cugini in questo periodo preferiscono staccare biglietti per cene in cui si dibatte del nome del nascituro e cose così e quindi nada de nada. So goes life. Ciao ciao

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    1. Le divagazioni sono il mio pane quotidiano e sono sempre ben accette ;-) Mi stai dicendo che “Ronin” di Miller in realtà arriva anche lui da qui? Non mi stupirei poi tanto, Frankuzzo sarebbe solo un altro di quelli che si è abbeverato alla fonte di Melville. Anzi, forse persino Melville, inteso come Herman lo ha fatto. Una cosa è certa, se ti chiami Melville sei un classico! ;-) Cheers

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  3. Se passi ai filmoni oni oni che hanno scritto le regole di un genere, qui sono fuochi d'artificio ogni settimana!! ^_^

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    1. Ogni tanto mi piace rivederlo questo film, e poi finirò per citarlo spesso in futuro, quindi tanto vale trattarlo come merita, con i guanti bianchi, tanto per stare in tema ;-) Anche perché con questo post ho dato un indizio gigante, se non proprio una pistola fumante, sulla direzione di volo di questa Bara nei prossimi mesi, spero che le scintille non saranno quelle dello schianto! :-P Cheers

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  4. Si, ciaone proprio! Filmone totale che come "Fuga da Alcatraz" è stato copiato/omaggiato da chiunque. E' da una vita che non me lo vedo e mi sa che è ora e tempo di porre rimedio.

    Gran post Capo!

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    1. Grazie capo gentilissimo! Prossimamente vedremo un po' di titoli che sono stati influenzati da questo filmone. Cheers!

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  5. Non lo conoscevo, sembra un film veramente interessante. Ottimo post come sempre.

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    1. Mille grazie! Ti assicuro che merita, un misto di sintesi e stile che fa ancora la sua porca figura. Cheers

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  6. In effetti ci avevo pensato anche io, l'inseguimento nel metrò ne "Il braccio violento della legge" ricorda quello nel film di Melville; e direi che pure il protagonista di "Driver l'imprendibile" ha molto in comune con Jef/Frank Costello, stessa attitudine silenziosa e stesso fatalismo.

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    1. Quei due film devono moltissimo a questo capolavoro di Melville, sono interpretazioni personali in cui il modello di riferimento è chiaro. Così come "The killer" di John Woo un altro che ha Melville nel cuore. Cheers!

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  7. Oh che bel post! Mi hai fatto venire voglia di immergermi in questo filone noir francese che devo rispolverare un po'!
    A giudicare dalle immagini è un po' monoespressivo Alain in questo film?!

    OT: giuro che mi ero convinta di aver letto un tuo post su Jumanji (2017), ma non c'è nel tuo blog! Possibile che mi sono sognata tutto?! Saranno le incoerenze delle comete...?

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    1. Si parecchio, non che sia mai stato uno dalle espressioni variegate, però almeno qui il ruolo lo richiede. I Polar sono tantissimi, si lasciano sempre guardare, anche a me mancano parecchi film dello stesso Melville, ma quelli che ho visto mi sono piaciuti tutti.

      Stranamente “Jumanji” mi manca qui sulla Bara, sia il primo che il seguito, che stranamente non ho trovato così pessimo, ok aveva dei difetti notevoli ma il cast salvava la situazione. Un giorno dovrei dedicarmi al gioco in scatola ;-) Cheers!

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  8. Le Samourai (mi rifiuto di usare il titolo imbecille italiano) è un polar fortemente stilizzato nelle immagini e nello stile di regia; l'omicidio è un rituale che il protagonista Frank Costello (Alain Delon, che non si può liquidare con inespressivo, ma uno che ha abbracciato una filosofia spirituale dell'omicidio, ma come li guarda certa gente i film...mah... vabbè tanto devo leggere che in Mad Max nessuno recita perchè non ci sono tanti dialoghi...le scemenze di internet) segue scrupolosamente e vi si attiene rigidamente; una concentrazione nella propria stanza, un'occhiata all'uccellino in gabbia, lo specchiarsi innanzi allo specchio ed indossare gli immancabili borsalino e impermeabile, girare in città andando dalla propria amante Jane Lagrange (Nathalie Delon, moglie dell'attore all'epoca) e poi in una picocla bisca per procurarsi un doppio alibi ed infine l'atto finale che trova il suo apogeo nell'omicidio.
    I primi 10 minuti dove il regista ci presenta questo meticoloso e calcolato rituale, ripetuto ossessivamente chissà quante volte dal protagonista precedenti volte, sono totalmente privi di qualsiasi dialogo, aumentando così la dose di fascino e ambiguità della figura del killer Frank Costello su cui indubbiamente poggia gran parte del peso del film. I protagonisti di Melville vivono la vita secondo una "spiritualità laica", di cui si fanno portatori sino all'ultimo istante della loro esistenza vista con sguardo straniante dallo spettatore e dagli altri personaggi. Un capolavoro assoluto del cinema, da 5 stelle.

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    1. Il titolo italiano è uno specchietto per le allodole, quello originale è quello giusto e anche molto, ma molto più figo ;-) Cinque alto per ignorare le “scemenze di internet” se ne leggono davvero troppe. Melville è da studiare, lo hanno studiato anche i maestri del cinema, cinque stelle, cinque bare, cinque birre, insomma voto massimo per un film seminale ;-) Cheers!

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    2. Se contiamo che in effetti il maestro "spirituale" di Melville era John Huston... quel suo Giungla d'Asfalto ha plasmato una marea di cineasti (se ne è ricordato pure Kubrick per il suo Rapina a Mano Armata, ne condivide pure il protagonista Hayden).
      Epigoni moderni di Melville... forse Refn e Takeshi Kitano, il Sonatine di quest'ultimo pur essendo personale, ha molto della spiritualità del cineasta francese, compreso il destino finale dei suoi personaggi che come Meville conduce ad un unico punto di arrivo... anche se Kitano è molto più pessimista, fatalista e determinista nella concezione dell'esistenza.

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    3. Decisamente, non dimentichiamo uno dei miei preferiti, Walter Hill, il suo "The Driver" è una dichiarazione d'amore a Melville scritta a suon di sgommate. Cheers!

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  9. ieri sera ho fatto vedere questo film, che definire capolavoro e' quasi riduttivo, a degli amici che, con mia grande soddisfazione sono rimasti a bocca aperta. per quanto riguarda il titolo,per me e' LE SAMOURAI E BASTA, HO ADDIRITTURA sostituito la locandina del mio prezioso dvd. concludo dicendo che quando vedo un film di MELVILLE PENSO A MANN, QUANDO VEDO UN FILM DI MANN PENSO A MELVILLE. SARA'.....UN SALUTO CASSIDY.RISALITO FINALMENTE A BORDO

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    1. Mann, Walter Hill, due che hanno imparato meglio di tutti la lezione di Mel ville, grazie Luigi! ;-) Cheers

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