Il cerchio si chiude, il grande zero si completa e anche
questo viaggio sta per arrivare alla fine, ma lasciate che vi dia ancora una
volta il benvenuto alla rubrica… Gilliamesque!
Malgrado le attenzioni sollevate con
Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo, Terry Gilliam
torna presto alla sua costante lotta contro i mulini a vento della produzione, mettere
insieme il budget per un nuovo progetto diventa sempre più complicato, anche se
(ovviamente) ad una mente vulcanica come la sua non mancano mai le idee, lo
spunto questa volta è il racconto breve scritto da Pat Rushin intitolato “The
call” che lo scrittore adatta insieme a Gilliam in una sceneggiatura per il
grande schermo dal titolo molto meno anonimo: The Zero Theorem.
Per la parte del protagonista, l’hacker complessato Qohen
Leth, Gilliam aveva in mente Billy Bob Thornton e, malgrado il supporto del
produttore Richard D. Zanuck, non si trova una quadra nemmeno economica, strano,
perché Zanuck è l’uomo dietro a tutti i film di Tim Burton dal 2001 in poi,
quindi se escludiamo l’ottimo “Big Fish” (2003), tutta roba che ha pure
incassato parecchio,
senza essere per forza memorabile, ecco.
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Immagino che le riunioni con i finanziatori di Gilliam non siano tanto diverse da così. |
Per trovare i fondi Gilliam si dedica ad un paio di
cortometraggi “The Legend of Hallowdega” (Short) e “The Wholly Family” (2010)
quest’ultimo girato in Italia e prodotto da una nota marca di pasta napoletana
(storia vera), insomma dovrebbe essere chiaro ormai che Terry pur di continuare
a sfornare la sua arte, non si fa davvero problemi, vorrei dire è di bocca
buona, e lavora pure per un piatto di pasta, caparbio come un vero Don
Chisciotte.
Il progetto torna in vita quando il figlio di Zanuck, Dean
eredita dal padre venuto a mancare nel 2012 i diritti del film e grazie al
coinvolgimento di un attore lanciatissimo come Christoph Waltz (anche in veste
di produttore) Gilliam torna in sella, ma prima bisogna ancora risolvere il
problema del costo. Girando in Inghilterra la pellicola verrebbe a costare
circa 20 milioni di Euro, ma spostando tutta la produzione in Romania, si
potrebbero contenere i costi arrivando a 9 milioni: tutti sull’aereo andiamo a
trovare Dracula!
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“Possiamo accendere il riscaldamento Terry?” , “No costa troppo, però se vuoi ho un fiammifero”. |
Ulteriormente maltrattato dalla nostra distribuzione che ha
deciso di farlo uscire in sala solo tre anni dopo, nel 2016, appesantito dal
sottotitolo “The Zero Theorem - Tutto è vanità” (ma perché!?), il film ha tutto
per farci cadere della trappola facile di etichettarlo frettolosamente come un
Brazil senza soldi, i punti in comune sono
moltissimi e tutti belli in mostra, mentre le differenze sono più difficili da
scovare anche se sostanziali, trama e cominciamo.
Qohen Leth (Christoph Waltz) è un hacker incredibilmente
tormentato a cui la grande compagnia Mancom, nella persona del mega direttore
galattico (Matt Damon con più strisce addosso di uno Juventino), assegna l’impossibile
compito di risolvere il Teorema Zero, un rebus che dovrebbe spiegare la vita, l’universo
e tutto quanto, ma che più che altro servirebbe a spiegare una volta per tutte
che tutto è stato generato dal caos e ad esso è destinato a ritornare, visto
che i sogni di Qohen sono costellati da un enorme buco nero in espansione che
lo minaccia.
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Crudelio Matt Da Mon. |
Per tutti Qohen Leth è l’uomo giusto per questo assurdo
compito, per tutti, tranne che per Qohen! Il suo nome ricorda quello di un
antico profeta ebraico che ha speso la vita a cercare il senso della vita, ma
che nessuno riesce a pronunciare, malgrado il povero Qohen caparbiamente, si
ostini a fare a tutti lo spelling.
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Nello spazio nessuno può sentirti calcorare i teoremi. |
Sì, perché Qohen è a tutti gli effetti un non personaggio, Christoph
Waltz è un attore che gigioneggia costantemente sopra le righe e qui, invece,
porta a casa il risultato grazie ad una prova incredibilmente misurata, in cui
si annulla, come fa con i capelli e le sopracciglia, rasati per dare (o meglio
togliere) forma a Qohen. Uno che soffre a uscire di casa affrontando il modo
esterno, quasi come se vivesse al limite dell’agorafobia, che odia la folla
perché è lui stesso molto affollato (tanto che parla di sé stesso in terza
persona), ma soprattutto vuole stare a casa, per essere presente e rispondere al
telefono. Sì, perché una volta Qohen ha ricevuto una chiamata interrotta
bruscamente che secondo lui gli avrebbe rivelato il significato della sua vita,
il suo posto nel mondo e da allora Qohen aspetta fiducioso e metodico la
rivelazione proveniente dalla cornetta.
Un uomo di fede come lo definisce il Direttore della Mancom,
tanto che vive in un vecchio monastero comprato per pochi spiccioli da un
gruppo di monaci, probabilmente fuggiti all’estero quando il loro culto è
decaduto in favore di roba più popolare come la chiesa di Batman redentore,
perché una
stoccata ironica alle religioni, da buon Monty Python Gilliam, non
la nega mai.
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Ma il prete di questa chiesa avrà anche la Bat-Mobile? |
Ma il mondo in cui vive Qohen Leth ti fa davvero voglia di
stare chiuso in casa, Gilliam lo mostra molto poco ma alla grande, strizzando i
centesimi del budget (una manciata di auto elettriche della Renault per
rappresentare il traffico del futuro) e riempiendo lo schermo di dettagli. In questo
(non tanto coraggioso) nuovo mondo, la pubblicità letteralmente t'insegue per
strada, se ti fermi in un parco, ti troverai davanti ad una parete di divieti,
vietato fumare, vietato fare rumore, vietato essere felici, un gran casino
colorato di cui Qohen non fa parte, infatti è l’unico che esce sempre vestito
di nero.
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Vietato divertirsi, vietato sostare, vietato prendere il sole, vietato leggere le didascalie. |
Malgrado il budget ridotto all’osso, il talento visivo di
Gilliam non è mai in discussione, i pochissimi sprazzi di scene girate in
esterno di “The Zero Theorem” ti danno proprio l’idea di un futuro distopico in
cui se non sei collegato, connesso e online non sei nessuno, anzi non esisti
proprio, un aggiornamento del futuro di
Brazil,
ai nostri tempi Smartphone-dipendenti che riesce ad essere dal punto di vista
visivo, il miglior adattamento per il grande schermo di uno dei miei fumetti
preferiti, “Transmetropolitan” di Warren Ellis e Darick Robertson.
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Chissà che Gilliam lo ha mai letto? |
Ma siccome i soldi sono pochissimi, il cervello vulcanico di
Gilliam deve arrangiarsi, Peter Stormare nella parte di uno dei dottori che
visitano il protagonista è stato sul set giusto il tempo di girare le sue
scene, così come Matt Damon e Tilda Swinton, la psicologa informatica, uno dei
tanti personaggi a cui la Swinton abbina ad un look esagerato (la scena in cui
fa Rap è uno spasso!) ad una prova solidissima, a lei Qohen si rivolge quando non
trova una soluzione per il rompicapo chiamato Teorema Zero.
Sì, perché il lavoro di Qohen non ha nessun senso, lo vediamo
impegnato in una roba che sembra una lunghissima partita di Minecraft, in cui
sposta cubi virtuali da una parte, ma tutto crolla dall’altra, con il compito
di base senza logica, di far quadrare un teorema che ha come unico postulato la
regola che zero deve valere 100%, cioè tutto, quindi anche arrivare a 97%
equivale ad una tragica sconfitta, ma com'è possibile che lo zero, il niente,
equivalga a tutto? Qui sta il (non) senso della crociata di Qohen, uno che
continuerà a provarci, che continuerà a rispondere al telefono nella speranza
di dare un senso a tutto, quando niente ha davvero senso.
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Ma io ho problemi a risolvere anche il Cubo di Rubik! |
Trovo brillante la soluzione scelta da Gilliam per mostrarci
l’assurdità di un mondo in cui Qohen non si riconosce, ad esempio invece di un
posto di lavoro classico, il personaggio ha una specie di poltrona da dentista
dotata di pedali, un joypad scippato a qualche consolle e temporizzato come Lino
Banfi in “Vieni avanti cretino” (1982) deve eseguire gesti assurdi, tipo
capovolgere una boccetta piena di liquido colorato che gli viene allungata da
una mano in stile famiglia Addams che ciccia fuori dal macchinario, ci credo
che poi Qohen vuol lavorare da casa, sta in un posto assurdo quasi quanto quello dove
lavoro io!
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"Grazie, la sua soddisfazione è il nostro miglior premio" (Cit.) |
Su un set in Romania, nemmeno fosse
l’ultimo dei film di Steven Seagal, Terry Gilliam trasforma il suo
film in una pellicola da interni, ironico che un film che parla della ricerca
del senso della vita, si riduca ad essere piccolo, piccolissimo, un valzer di
personaggi assurdi che piombano a casa di Qohen, come la ragazza che consegna
la pizza (Dana Rogoz), oppure l’uomo con il suo clone in miniatura, nemmeno
fosse una strofa di “Do the evolution” dei Pearl Jam.
Ma i personaggi chiave della vicenda sono due: il giovane
esperto di computer Bob (Lucas Hedges) talmente geniale che ha capito che non
vale perdere tempo con nomi e soprannomi e, quindi, chiama tutti Bob (come il senza
tetto pazzo di
L’esercito delle 12 scimmie), ma soprattutto la bella ed espansiva Bainsley (una Mélanie Thierry
davvero sexy) che sconvolge la vita del protagonista, come e forse pure di più
di quanto non facesse Jill Layton con Sam Lowry in
Brazil.
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Scusate non mi sento molto bene, farei un saltino a farmi visitare, vi lascio il blog. |
Ed è proprio qui che arriva l’ultima delle affinità con il
capolavoro Orwelliano di Gilliam, anche “The Zero Theorem” fa un riuscito
utilizzo della musica fuori contesto, un altro motivetto capace di entrarti in
testa declinato in versione agrodolce, “Creep” dei Radiohead, però nella
versione cantata da Karen Souza, lounge, quasi da piano bar, sensuale, ma
decadente, allegra nello spirito e triste nell’anima, il testo originale
di Thom Yorke è perfetto per descrivere Qohen Leth, uno che non appartiene a questo
mondo (What the hell am I doing here? I don't belong here), il suo amore per Bainsley
e il senso di inadeguatezza che ha nei confronti della bellissima ragazza (But
I'm a creep, I'm a weirdo).
Bainsley, poi, merita un discorso a parte. Mélanie Thierry
eredita il ruolo della donna angelicata che potrebbe salvare il protagonista,
tipico dei film di Gilliam, ma porta a undici, come l’amplificatore degli
Spinal Tap la componente sexy del suo personaggio. Da una parte abbiamo lei che
fa la panterona e sbatte le ciglia e lui, impacciatissimo, quasi nel panico, ogni
volta che la ragazza si avvicina, rilassato come un gatto che si appende al
bordo della vasca per non fare il bagno.
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La rilassatezza fatta persona. |
“The Zero Theorem” è un film ombelicale, che si accartoccia
su sé stesso, ha evidenti problemi di ritmo, il budget costringe Gilliam a
chiudere il suo protagonista in una sola location e la sceneggiatura di Pat
Rushin è fin troppo verbosa, superati i paragoni facili sembra davvero un
Brazil per i meno abbienti, ma è qui che
Terry ci chiede di fare uno sforzo e di seguire la sua storia. Perché nel mondo
in cui è ambientato il film niente ha più valore oppure senso, Batman è l’unico
profeta, il lavoro è più alienante che mai, le persone non hanno più tempo e
ancora meno fantasia, i rapporti umani sono al minimo sindacale e il sesso,
persino il sesso non è più una valvola di sfogo, o il modo per consolarsi e
trovare un minimo di calore umano, infatti per farlo si sta ognuno a casa sua, con addosso una tuta assurda e connessi solo attraverso la rete.
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Occhio con quei conetti Mélanie che mi accechi qualche lettore. |
Tutto tende così tanto verso il non senso, che non c’è
logica nell’affrontare il caos fuori dalla porta (Gilliam brillantemente, alza
il volume degli effetti sonori della strada rendendoli più fastidiosi, ogni
volta che Christoph Waltz apre la porta di casa), ma allo stesso tempo, ogni
esperienza può essere vissuta soltanto online, la vita vera non è più quella
che ti vivi, ma quella che condividi in rete, per questo Qohen e Bainsley
possono stare insieme solo nella spiaggetta tropicale, posticcia come un
vaso di fiori di plastica, che non è frutto della fantasia del protagonista, ma
della tecnologia. I due per fare sesso devono prima indossare una tuta ed
effettuare il log-in, un incubo di plastica che ha dentro di sé parti uguali di
Brazil e di
Videodrome dove diventa pure difficile non riconoscere qualcosa
dei nostri (strambi) tempi moderni.
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Un ristorante picnic in spiaggia al termine dell'Universo. |
Ma la differenza sostanziale sta nel fatto che in Brazil era
l’uomo a collassare, ad andare sotto (con perdite) contro un mondo dominato
dalla burocrazia e dall’assenza di immaginazione, mentre “The Zero Theorem” fa
un passo oltre, forse ancora più avvilente, in “The Zero Theorem” il mondo
collassa e l’uomo comunque sopravvive, perché trovare un senso alla vita è
impossibile quando un senso, un disegno, uno schema (anzi un teorema) non
esiste, ma tutto è assurdo come la burocrazia di un modulo 27b/6 e l’assenza di
fantasia ha fatto sì che tutto punti dritto verso il caos, rappresentato dal
buco nero pronto ad assorbire tutto.
Dopo essere stato paladino del
non sense con i Monty Python, aver fatto a
capocciate con burocrati portando avanti
una
crociata a favore dell’immaginario,
aver visto
film andare a picco e aver
affrontato ogni genere di sfighe (meglio note come “Negation of the pussy”)
possibili ed immaginabili, perdendo pure degli
amici per strada, Gilliam ci ricorda che l’universo tende verso il
caos, in questo gran casino senza senso, dove tutto va per aria (i ricordi di Qohen
svolazzano come i fogli nel finale di
Brazil),
l’unica cosa che si può fare è abbracciare il caos, come fa Terry Gilliam nella
vita e Qohen Leth qui, nella scena migliore del film, quando per la prima volta
sorride con il sorrisone di Christoph Waltz e si lancia nel vuoto.
Il finale è un altro dei lieti fine solo ad un’occhiata
distratta che popolano il cinema di Gilliam, Qohen è di nuovo sulla sua spiaggetta,
il suo piccolo posto caldo, ma solo, con il potere di far sorgere o tramontare il
sole a suo piacimento, come un regista con il suo direttore della fotografia
potrebbe fare su un set cinematografico.
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Acquarello del Brasile. |
“The Zero Theorem” ha troppi problemi di ritmo per essere
apprezzato da tutti ed è troppo nichilista per conquistare folle di cuori, una
riuscita critica al mondo moderno, ma anche lo sfogo di un regista a cui i
casini produttivi e il caos, stanno quasi togliendo la possibilità di fare l’unica
cosa che gli sta veramente a cuore, ovvero il cinema, l’unico (non) luogo dove
puoi davvero controllare il mondo che ti circonda. “The Zero Theorem” è la
storia di un tipo strano che non appartiene più al mondo (del cinema) e che
affronta il caos canticchiando un pezzo malinconico, ma con un gran sorriso
sulla faccia, il teorema di Gilliam per affrontare la vita, il cinema, l’universo
e tutto quanto.
Di solito termino le rubriche dalla Bara Volante con un
titolo moderno e controverso come potrebbe essere questo “The Zero Theorem”, ma
siccome Gilliam è sempre fuori dagli schemi, questa volta fa saltare anche i
miei, ci vediamo qui la settimana prossima per l’ultimo capitolo, un’attesa
durata 27 anni è finalmente terminata!
Un bellissimo film, Gilliam con quelle scenografie poi t'immerge proprio in questi mondi creati da lui, sono vere e proprie esperienze cinematografiche. Visto prima di Brazil ne è penso l'erede per certi punti di vista e per altri no.
RispondiEliminaMélanie Thierry 💛 mi sono innamorato di lei in questo film. La scena del buco nero mi è ancora indecifrabile dovrei rivedermelo!
Un film che richiede parecchie visioni, somiglia a Brazil ma se lo guardi bene è diverso dove conta, penso di averlo "capito" solo adesso per questa rubrica, mi è servito molto ripassare tutti i film di Gilliam prima di approvare a questo. Mélanie Thierry prima mi era indifferente, dopo questo film il cuorione ci sta tutto ;-) Cheers
EliminaIo me la ricordavo in Babylon A.D. di Kassovitz 😂😂😂 che tempi quelli!
EliminaOh mamma mia cosa mi hai ricordato, mi sembra l'altro ieri, ma in effetti è già passato un po' di tempo, gulp! ;-) Cheers
EliminaCredevo di essere il solo ad essermi goduto un sacco la visione di questo film, ma a quanto pare ero troppo pessimista. Siamo già in più di due ;-)
RispondiEliminaMi è piaciuto subito fin dalla prima visione, ma non faccio il "Grosso", per capirlo, o almeno per dargli un'interpretazione che trovo logica, ho dovuto vederlo più volte, è considerato un film minore, lo è, ma un film minore che mi piace, e non per forza poco ;-) Cheers
EliminaE, dalla recensione che ne hai fatto, mi par di capire che The Zero Theorem abbia un'alta probabilità di affascinare fin dalla prima visione pure il sottoscritto (nonché spingerlo ad affrontare la trafila delle visioni multiple per provare a dare un senso al tutto) ;-)
EliminaFammi sapere, secondo me è un buonissimo strambo film, sono curioso del tuo parere ;-) Cheers
EliminaLo vedrò prossimamente, spero non mi deluda ;)
RispondiEliminaÉ un film molto strano, non immediato, ma che può affascinare da subito, aspetto il tuo parere ;-) Cheers
EliminaTerry Gilliam dovrebbe seriamente prendere in considerazione l'idea di un film intitolato "The Negation of Pussy - A true true true story" ove convergere tutte le teorie della legge di Murphy e le sue esperienze di vita.
RispondiElimina"The zero theorem" mi era piaciuto assai; molto particolare e sicuramente vicino allo spirito di "Brasil"; ottima recensione, come sempre! In attesa dell'ultima fatica!
Oh sarebbe fantastico, e lui sarebbe l'uomo giusto per farlo ;-) Vero è un film che ha dentro buone dosi di "Brazil" ma non solo, ultima tappa del viaggio in arrivo a breve! Cheers
EliminaVisto, ricordo la solita meraviglia visiva di Gilliam, ma come dici tu in recensione ci sono problemi di ritmo e di poraccitudine. Adesso rimaniamo in attesa dell'ultimo capitolo!
RispondiEliminaPoi finchè non si trova il modo di dare un senso alla trama, il film rischia di passare ancora più inosservato, mi ha fatto bene rivederlo. Siamo pronti per l'ultimo capitolo, è già in rampa di lancio ;-) Cheers
EliminaArrivo in ritardo di qualche giorno ma arrivo. Sottolineo parola per parola questa bellissima recensione. Purtroppo i difetti ci sono e sono pure belli grossi e come te, ho dovuto rivederlo un paio di volte perché la prima visione mi aveva lasciato basito e mi era sembrato di guardare una poverata da SyFy Channel. Diciamo che mi aveva deluso parecchio. E invece sotto sotto si notano tutti i cliché classici del nostro Gilliam. Anche se il paragone tra "Brazil" e questo "The Zero Theorem" ci sta tutto e onestamente è difficile non accostare le due pellicole così simili. Non è tra le migliori opere dell'ex Python ma non è nemmeno tra le peggiori. Quel primato spetta ad altri ("I Fratelli Grimm" per me sono imbattibili...).
RispondiEliminaPer quanto mi riguarda lo speciale si ferma qua visto che non sono riuscito a vedere l'ultima fatica del nostro e a naso mi sa che non sarà una cosa immediata recuperarlo... Ottimo lavoro Capitan Cassidy! Sono curioso di vedere che altri specialoni saprai regalarci prossimamente. Mi piacciono queste iniziative perché mi permettono, per quanto possibile, recuperare vecchi film o scoprire punti di vista differenti. Quindi: grazie!
No, “I fratelli Grimm” per me resta molto peggio, questo ha un budget ridicolo, ma ha delle cose da dire, mi ha fatto bene rivederlo e avere l’occasione di scriverne, quindi sono io che ringrazio te per aver apprezzato lo speciale, che può contare ancora su un capitolo, e forse non solo uno, anche se sono già al lavoro sul prossimo speciale ;-) Cheers!
Eliminasolo a me il protagonista ricorda paro paro Ted Buckland di Scrubs?
RispondiEliminaOra non posso non immaginare tutto il film con Ted Buckland come protagonista, sarebbe una sostituzione perfetta, forse anche più malinconico ;-) Cheers
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