martedì 23 ottobre 2018

Mississippi Burning (1988): In quale stato devi tirare indietro l’orologio di un secolo?

Eeeh! Ehhhh! Belli voi! Facile voler bene a Gene Hackman per film come “Il braccio violento della legge” (1971, sempre sia lodato!), ma personalmente ho un culto per il vecchio Eugenio per un sacco di titoli, tra i quali “Il più bel film della storia del cinema” che per tutti gli altri s'intitola Hoosiers - Colpo vincente. Insomma, visto che ormai si è ritirato dalla recitazione l’unico modo per vedere Hackman in azione è in qualche suo vecchio film, per fortuna qualche compleanno servirà a riportare Eugenio Mazzatore in auge, almeno qui sulla Bara Volante.

Il 1988 è stata un’annata piena di titoli mica da ridere, cioè, almeno uno parecchio da ridere, però avete capito, no? Non sono mancati titoli che ancora oggi vengono ricordati come dei grandi classici, vediamo se un po’ alla volta troverò il modo di presentarli qui sulla Bara, ma siccome sono un essere contorto che fa tutte le cose alla sua maniera (quella peggiore) partiamo da “Mississippi Burning”, per due ragioni: la prima, sbaglio sempre a scrivere “Mississippi” mi scappa sempre qualche lettera di troppo oppure in meno, quindi se scrivo un post su “Mississippi Burning” di sicuro alla fine lo saprò scrivere giusto, la tecnica Bart Simpson funziona sempre. Seconda ragione, forse un po’ più seria: passano gli anni, ma questo film continua a restare purtroppo sempre attuale.

Qualche anno fa alla macchinetta del caffè con una mia collega, mi sono ritrovato a dire che alcuni discorsi di Mario Borghezio, sembravano quelli del sindaco Tilman di questo film, per altro, paragonando Borghezio a R. Lee Ermey, ho fatto un gran complimento al primo e un brutto insulto al secondo, da parte mia posso discolparmi dicendo che questa è l’unica mia frase scritta o pronunciata su Borghezio che non preveda insulti e bestemmie che non vi riporto perché metti che poi la Disney si compra anche questo blog? Non voglio mica farmi licenziare dal mio stesso blog io, tzè!

“A chi cazzo mi hai paragonato soldato! Io ti faccio sputare l’anima! Giù e fammene venti!”.
Quando passavano in tv “Mississippi Burning” era sempre una tappa obbligata, uno di quei film “Importanti”, che allora non sapevo neanche davvero il perché tipo “Il colore viola” (1985) di Spielberg, da guardare con su la faccia seria come se stessi davvero capendo tutto tutto. In realtà, non capivo poi davvero tutto, però sapevo che c’erano dei poliziotti, uno era Eugenio Mazzatore e l’altro uno con gli occhiali e la faccia strana, capivo che l’indagine era roba grossa, che i cattivi erano particolarmente stronzi e il clima rovente come quello del Mississippi, stato americano che forse oggi imparerò a scrivere con tutte le lettere al suo posto, insomma: mi piaceva quella roba.

Negli anni me lo sono rivisto alcune volte, non molte, ma qualcuna sì, come ho fatto qualche giorno fa, con il tempo e le visioni i volti che popolano il film mi sono diventati familiari (tipo, Willem Dafooooe) così come il suo regista, Alan Parker, uno che mi ha preso a sberle con “Fuga di mezzanotte” (1978), “Pink Floyd The Wall” (1982) ed esaltato con un mio cult personale “The Commitments” (1991).

Oddio adesso continuerò a ripetere Willem Dafooooe per ore! Willem Dafooooooooooe.
“Mississippi Burning” è ispirato all'assassinio degli attivisti per i diritti civili del Mississippi, avvenuto nella contea di Neshoba, appunto nel Mississippi (oh, se non imparo questa volta non imparo più!) nella notte tra il 21 e il 22 giugno del 1964. Ed il 1964 è proprio l’anno in cui il film è ambientato, quindi questo già mette sul tavolo la prima caratteristica del film di Alan Parker, sì, perché gli Americani come tutti, hanno tanti difetti, ma anche la caratteristica di utilizzare il cinema per elaborare la loro storia anche recente, alla base di questa pellicola la volontà chiara di guardare al proprio passato recente, con lo spirito critico di chi sa benissimo che tra il 1964 e il 1988 qualcosa è cambiato, ma non poi così tanto. Che poi, è più o meno come rivedere un film come questo datato 1988 oggi, nell’anno 2018 e poi guardarsi intorno e capire che sì, tutto bello, ma davvero i progressi fatti non sono poi stati così tanti, anzi oggi più che mai sembrano pochissimi.

Alan Parker mette subito in chiaro l’aria che tira fin dai titoli di testa: fontanelle per l’acqua separate, “White” da una parte e “Coloured” dall’altra, basta questo per capire che sono già stati gentili a scrivere così e non una parola che inizia per “N” che fa incazzare Spike Lee (e non solo).

Prima scena del film, e poi ditemi che i primi cinque minuti non sono importanti.
Poi, giusto per stare tranquilli, si parte con un inseguimento in auto e due attivisti con un ragazzo di colore vengono fermati dall’accento sudista di quel mito di Michael Rooker che, però, nel 1988 non era ancora così particolarmente famoso, malgrado il botto di quella bombetta di “Henry, pioggia di sangue” (1986), quindi accettava piccolo ruoli, pensate che in Nico gli è andata pure peggio, lo si vede per circa tre secondi. Il problema per i tre ragazzi in auto? Che Rooker qui somiglia più a quello di “Henry” che a quello di Nico. BANG! La frittata è fatta, tocca mandar giù qualcuno ad indagare.

Siccome la questione razziale è un tema caldo, l’FBI non bada a spese e manda due “Strambi sbirri”, la solita coppia male assortita di agenti che per una volta è a ruoli invertiti, perché quello più alto in grado è l’agente speciale Alan Ward (Willem Dafoe) giovane, ma non inesperto, però molto scalpitante per risolvere il caso il più in fretta possibile e senza scatenare un vespaio, o almeno, uno più grosso, l’altro, invece, è l’anziano, il veterano che, però, deve prendere ordini l’agente Rupert Anderson che ha la faccia stropicciata di Gene Hackman e penso sia l’agente EFFE BI AI meno ordinato mai visto al cinema, camiciotto e cravatta, sembra più Sipowicz di “New York Police Department” che il vostro classico agente del Bureau stirato e inamidato. Uno dai metodi grezzi ma efficaci, farlo interpretare a quello che ha vinto l’Oscar per “Il braccio violento della legge” è un’ottima intuizione, se hai Eugenio Mazzatore, ti porti dietro tutto il suo bagaglio di personaggi, tutta roba che tornerà buona nel finale.

“La camicia a maniche corte non è consentita” , “Tanto non frega a nessuno, qui al massimo indossano cappucci bianchi”.
Anderson canticchia irriverente la canzoncina del Ku Klux Klan, sostiene che una risata a volte è tutto quello che ti resta e ci regala il primo di tanti dialoghi tiratissimi e ben scritto di questo film: «In quale stato devi tirare indietro l’orologio di un secolo? Il Mississippi».

“Dai ammettilo, è una grande battuta. Lo so che vuoi ridere ti vedo sotto quegli zigomi a punta”.
I due sbirri seminano subito lo scompiglio, si fanno notare quando si siedono accanto ad un ragazzo di colore nell’area del ristorante a loro dedicata facendo fin troppe domande e fanno subito “amicizia” con la fauna locale, qui davvero le facce da cinema si sprecano.

Il vicesceriffo Clinton Pell ha le occhiaie e la faccia rassicurante di Brad Dourif, fresco fresco dall’aver prestato la sua voce a Chucky, la bambola assassina, no giusto per farvi capire che soggettini si trovano davanti i nostri due sbirri. Pell è spavaldo e viscido in parti uguali, uno così stronzo che ti fa pensare: "Ma come cacchio fa un bastardo del genere a stare con una caruccia come sua moglie?", per altro interpretata da Frances McDormand, al suo primo film non diretta dai Fratelli Coen, a vederla così, viene da pensare che la Sig.ra Pell dopo il gran casino di questo film, sia invecchiata per diventare l’incazzata protagonista di Tre manifesti a Ebbing,Missouri.

“Di solito stai dall’altra parte della lama, non è vero… Chucky?”.
Una menzione speciale la merita l’adorabile sindaco Tilman, un R. Lee Ermey che dopo aver cazziato in malo modo (e con ogni parolaccia possibile) il soldato Palla di lardo in “Full Metal Jacket” (1987) è venuto direttamente qui per continuare l’opera. La sua visione di come le persone di colore dovrebbero stare al loro posto in questa porzione di America che espone fiera la bandiera a stelle e strisce, ma con accanto SEMPRE quella confederata, diventa difficilmente condivisibile, la bravura di Ermey sta nel non far mai sembrare il sindaco Tilman il “Cattivo cattivissimo”, quello che si deve opporre ai buoni e quindi posticcio, anzi per come parla risulta fin troppo realistico.

Il bello di “Mississippi Burning” è anche la sua notevole messa in scena: Alan Parker è bravissimo nel portare in scena un postaccio dove l’odio si annusa nell’aria, grazie all’ottima fotografia di Peter Biziou (premiato con un Oscar), ti basta guardare il film per sentirti i vestiti che ti si appicciano addosso dal caldo, ma dove comunque la temperatura è il minore dei problemi.

“È troppo sperare che ci sia un concerto di Marilyn Manson in città?”.
Alan Ward con il suo budget infinito non bada a spese, serve spazio per la base operativa? Lui compra un intero teatro! Servono persone per battere la palude alla ricerca dei corpi? Lui fa venire giù l’esercito della salvezza. Più cerca di usare la mano pesante, più il clima si fa pesante, infatti le chiese e i luoghi di ritrovo delle persone di colore vanno a fuoco con sinistra precisione e da questo nido di vespe, anzi di serpenti a sonagli non se ne esce, a loro modo i due agenti lo capiscono, Gene Hackman si esibisce in un «Quaggiù dicono che i serpenti a sonagli non si suicidano», mentre Willem Dafoe riassume l’aria che tira dicendo: «Ma cos'ha in corpo questa gente?». Si è capito che trovo i dialoghi del film una bomba?

Alla fine, però, un autore deve tenere sempre conto dell’elemento cinematografico, quindi Alan Parker e il suo sceneggiatore Chris Gerolmo, portano in scena quelle che potremmo etichettare come inesattezze storiche, ma che mi è chiarissimo essere concessioni alla settima arte, come, ad esempio, il fatto che il testimone chiave, quello che ha portato agli arresti dei colpevoli nella realtà sia rimasto senza identità (e ci credo! Se voleva continuare a vivere lì, le alternative erano poche), ma al cinema viene impersonato dal personaggio di Frances McDormand.

Frances strappata a forza da un set con i Coen ed uno con Raimi.
 Alan Parker intelligentissimo ci mostra la scena chiave in cui il “corteggiamento” (professionale, ma magari non solo quello) che sta alla base delle dinamiche tra la signora Pell e l’agente Anderson avviene in bella vista, ma non udito da nessuno. Parker inquadra i due personaggi dietro alla vetrina del negozio dove lavora la signora Pell, da spettatori capiamo cosa si stanno dicendo anche senza bisogno di sentire i dialoghi, il montaggio audio si concentra sulle urla e gli insulti che arrivano dalla strada, durante la parata pacifista della popolazione nera della città: narrare per immagini, è quello che dovrebbe sempre fare il cinema.

Una parola, due sillabe, lingua, bocca, mangiare! Hai fame Gene? Ho indovinato?
A questo punto lo scontro arriva anche per i due agenti dell’EFFE BI AI, proprio nel momento in cui la situazione tra bianchi e neri diventa una polveriera, persino il fino a quel momento pacifico pastore della comunità afroamericana, interpretato dal bravo Frankie Faison, sbraga malamente nel suo discorso mettendo in chiaro che arriva il momento in cui certe barbarie non sono più accettabili («Guardate la faccia di questo giovane e vedrete la faccia di un nero. Ma se guardate il sangue che viene versato è rosso è come il vostro! È proprio come il vostro!»).

Il bello di questa stramba coppia di agenti è il loro essere opposti nei metodi («Non mi metta sul suo piedistallo, signor Ward» , «E lei non mi trascini nelle sue fogne, signor Anderson»), ma quando il momento lo richiede persino l’integerrimo Ward capisce che «Questo barattolo di vermi sarà possibile aprirlo soltanto dall'interno» e da qui in poi “Mississippi Burning” diventa come un romanzo di Joe R. Lansdale quando i personaggi “Champion Joe” passano al contro attacco. Non importa più se sei bianco, nero o se vai in giro tutto ordinato e pettinato, conta solo fare la cosa giusta e per fare il bullo con i bulli torna buono avere Gene Hackman dalla tua.

“Sono qui per indossare il mio capello e dare calci nel culo. E ho già messo il cappello”.
Il monologo del nero, a libro paga per l’agente Anderson, che minaccia di tagliare i gioielli di famiglia al sindaco Tilman è la classica scena che ti fa fare “Gulp!” anche se il sindaco è un gran bastardo, per ritrovare qualcosa di tanto truculento ho dovuto aspettare di diventare un lettore dei fumetti di Garth Ennis, quando mette da parte il registro grottesco in favore di quello più realistico.

Una delle “Scene trauma” più sottovalutate della storia del cinema.
Quelli radunati all’agente Anderson sono una tale banda di bastardi che per darvi un’idea vi dirò solo che uno di loro (anche se si vede per circa mezzo secondo) è interpretato da Tobin Bell e quando tra i tuoi puoi contare il crudele Jigsaw, direi che sì, hai radunato una squadra che fa piuttosto paura!

"Salve, voglio fare un gioco con voi…".
Il finale del film, quello in cui i serpenti a sonagli iniziano a suicidarsi è piuttosto canonico, per me poteva anche concludersi con lo sguardo sornione di Eugenio Mazzatore che fa ruotare le manette davanti al naso di Michael Rooker, senza nemmeno bisogno di aggiungere altro per portarlo dietro le sbarre.

Provate a dire a chi non è piaciuto questo film? A Spike Lee, ovviamente, che da trent’anni muove sempre la stessa critica a tutti i film che trattano la questione razziale, ovvero: la mancanza di un personaggio di colore di rilievo. In questo caso è anche vero, ma è una critica da poco, perché l’intento di “Mississippi Burning” è diverso, una volontà di guardarsi indietro e capire che dal 1964 al 1988 non molto è cambiato, basta dire che nemmeno il successo di critica e pubblico di questo film è servito poi a tanto, la prima condanna per la morte dei tre attivisti è attivata solo nel 2000 (storia vera).

Faccia bianca, e cuore (incazzato) nero.
Quindi, per dirla come avrei detto da bambino: perché “Mississippi Burning” è un film “Importante”? Perché ho finalmente imparato a scrivere correttamente “Mississippi”? Anche, ma soprattutto per essere un costante “Memento”, siamo sicuri che sia davvero l’unico Paese del mondo dove bisogna tirare indietro l’orologio di un secolo? Non ne sono così convinto.

18 commenti:

  1. Porca pu..pazza! Che titolone da leccarsi i baffi hai uscito dal cilindro stamattina!? Se ti può consolare questo è anche un mio cult personale visto da giovincello non lo capii appieno (tipo la scena del racconto sulla tortura e sul taglio dei... Com'è che hai detto Cassidy? Ah sì, i "gioielli di famiglia"! "E' come ti immergessero in un fiume di sangue fino alla cintola". Da brividi.). Rivisto in età adulta è come se qualcuno per due ore ti prende a pungi sulla bocca dello stomaco. Colpi che tolgono il fiato ogni volta. Dai dialoghi duri e crudi, dalla mentalità dei bianchi del Mississippi, dalla chiusura mentale e dall'aretratezza,... Sembrano passati secoli e invece tutto è dannatamente e drammaticamente attualissimo.
    E' molto interessante, oltre all'inversione dei ruoli tra Hackman e Dafoe, anche il cliché del "poliziotto buono - poliziotto cattivo" che in questo "MIssissippi Burning" viene continuamente scompigliato.
    Alan Parker... Un altro che ne ha diretti pochi di memorabili! "Angel Heart" quante volte è stato trasmesso da Canale 5?!?!

    P.S.: sei riuscito a buttare un occhio al nuovo "Magnum P.I"? A me è parso una tamarrata assurda ma tutto sommato sono di gusti semplici e non mi è dispiaciuto. E la nuova Higgins c'ha un fisico scolpito da far paura! Complimenti al suo personal trainer che ha fatto un lavoro egregio.

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    1. Ero in vena ti titoloni stamattina, ogni tanto scendo dal letto così ;-) Alan Parker è uno che quando ci si mette regala discrete mazzate, “Fuga di mezzanotte” detiene saldamente il titolo dei calci in bocca, tallonato da “The Wall” ma in questo caso il disco ha il suo bel peso specifico. Direi che come cast in ogni ruolo “Mississippi burning” è ben coperto, ma i due sbirri atipici e gli ottimi dialoghi rendono tutto più realistico, andrebbe visto e rivisto per ricordarci come siamo messi. Male.

      Ho visto che esiste un nuovo Magnum senza baffi, e lo sto trattando come la serie su “Arma letale” o il mio MacGuyver, loro non intralciano la mia strada ed io non darò loro fastidio ;-) Questo strambo Paese a forma di scarpa è l’unico al mondo che non ha mai smesso di trasmettere le repliche di “Magnum P.I.”, non avevamo bisogno di un remake ;-) Cheers

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    2. P.S.
      Nuova Supercar, nuova Donna Bionica, nuovo MacGyver, nuovo Magnum P.I., nuove Charlie's Angels, nuovo Dallas: fa tutto la fine che fa il "nuovo", cioè dimenticato in un lampo.
      Arma Letale e Rush Hour: la dimostrazione che le nuove serie multietniche sono più vecchie degli originali. È la Sindrome di Shaft, personaggio che negli anni '70 spaccava perché era l'unico poliziotto nero nella New York bianca razzista, poi nel 2000 faceva le stesse identiche cose e parlava di razzismo in un distretto con un solo bianco. Sta' bono, Shaft, che so' tutti come te! :-D Arma letale e Rush Hour avevano senso all'epoca della loro uscita: una serie patinata oggi è solo imbarazzante :-P

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    3. L’esempio con “Shaft” è perfetto, il film con Samuel L. Jackson (se non ricordo male, per fortuna ho quasi rimosso) era imbarazzate, anche “Hazzard” sembrava una parodia del SNL. Oltre che fuori tempo massimo, qualcosa che nasce Telefilm non può diventare serie tv, eppure alcune di queste “novità” (virgolette obbligatorie) hanno successo, ci piace proprio crogiolarci nella malinconia evidentemente. Cheers!

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  2. Gran film e immenso Gene Hackman (Dafoe mi piace a fasi alterne, non in tutti i suoi lavori). Sempre attuale come tutti i capolavori. Come al solito hai "dato il bianco" con il tuo articolo, bravissimo.

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    1. Eugenio ad un certo punto si prende il film, Dafoe è un’ottima spalla, lo sapeva che di essere il secondo nome in cartellone, ma in generale è un attore che apprezzo. Ti ringrazio molto, qui si scrive con le maniche tirate su ;-) Cheers!

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  3. Un classico dimenticato: ottimamente diretto e grandiosamente interpretato. Mi lasciò a bocca aperta e se dovessi fare un confronto con quello di Lee, posso solo dire che quello si trovava a valle dell'odio questo invece di Parker è diretto alla fonte e lo so nota.

    Curiosità tra i membri del FBI si può notare pure la presenza di Tobin Bell.

    "Ti piace il baseball, vero, Anderson?" "Sì, tanto. Sapete... è la sola occasione in cui un negro può agitare un bastone verso un bianco senza rischiare la pelle."

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    1. La battuta sul baseball è una delle tante micidiali e ben scritte del film, che davvero è ricordato ma forse non abbastanza. Parker è davvero andato alla fonte, il sottotitolo (come al solito accessorio) italiano per una volta forse lo aveva capito. Cheers!

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  4. Io non reggo nemmeno gli smoothies - strano per un ex alpino - e quindi ammiro Alan che può assumere un treno di cocktail midnight express senza cambiare colore e senza camminare sui muri come suo fratello Peter, però è il momento migliore per chiedergli dei suoi film. Qualche tempo fa era nella città del panettone per discutere la possibilità di scrivere e girare una versione a la Lansdale dei lavori di Mark Twain e mi dispiace di dover ammettere che non vedremo mai il "suo" Hack & Finn in the Mississippi Marvellous Mojo, ma almeno ho potuto tornarmene a casa con alcune info sul suo film con Gene e Willem. Cito a memoria. " La Frances che alla fine decide di restarsene nel paesello circondata dai peones pieni di odio è una citazione del finale de Il Segreto di Luca di Ignazio Silone " e " il furto del mulo da parte del papi di Gene - un negro bianco che non tollera l'idea di essere peggio di un negro non bianco - è una citazione del punto di vista del Salieri nello Amadeus di Forman. Spero che Milos abbia apprezzato " e " la circostanza per cui il pulotto giovane e kennedyano ottiene un risultato solo quando segue la linea di Popeye è apparentemente una strizzatina d'occhio ai vigilantes di Bro Bronson e Eastwood ed in realtà un richiamo alla mia Fuga di Mezzanotte possibile solo quando si lascia la strada maestra e ci si arrangia ".
    Prendi colle pinze queste confidenze. Regge bene la bumba, ma aveva davvero esagerato. Ad un certo punto ha preso il pigiame rosso e blu di suo bro Petey e voleva flettere i muscoli e saltare nel vuoto...ciao ciao

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    1. Sarà stato morso da uno smoothie radioattivo? Il pulotto è davvero Kennedyano, e lo scontro ideologo tra loro tiene banco, non avevo pensato a Salieri, però è parecchio che non mi ripasso i dialoghi di “Amadeus”, dovrei rimediare, ma in effetti i metodi dei due poliziotti sono una variane del, da grandi poteri derivano grandi responsabilità, di suo Zio Ben, a questo punto sono una grande famiglia, May, Ben, Alan e Peter ;-) Cheers

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  5. Che gran filmone sei andato a ripescare: ma davvero sono passati 30 anni da quando lo vidi affittato dalla videoteca? Come passa il tempo...
    La scena della lametta mi è rimasta impressa: davvero da strizza assicurata. Grandi attori e grande sceneggiatura, davvero altri tempi.
    Ah, e purtroppo sono d'accordo: 1964, 1988, 2018... non sembra proprio cambiato molto...

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    1. Lo avevo lì da un pezzo, ma volevo proprio rivederlo, mi fa piacere sapere che la scena della lametta non ha traumatizzato solo me. Credo che lo stesso dialogo, in un film meno curato e meno realistico, o con attori meno in palla, sarebbe passato inosservato, qui invece è efficacissimo. Peccato che il messaggio non arrivi a certe orecchie, dopo 30 anni è ancora tutto uguale. Cheers!

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  6. Non l'ho mai visto, ma sembra più attuale che mai.. adoro Gene Hackman, è un vero peccato che si sia ritirato relativamente presto dalle scene, se penso che il vecchio Clint suo coetaneo è ancora attivo..

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    1. Caldamente consigliato! Davvero tra Gene Hackman e Sean Connery due dei miei preferiti hanno scelto il ritiro, il prossimo già annunciato sarà Robert Redford. Clint tiene botta perché la carriera di regista gli ha regalato una seconda giovinezza, almeno artistica. Però sul serio, il vecchio Eugenio è stato protagonista di tanti capolavori, e altrettanti se non di più, titoli ottimi a cui voglio molto bene, spero di riuscire a ripassare qualche altro suo titolo qui sopra ;-) Cheers

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  7. Ma io questo mai visto, mai beccato in tv, manco di notte... e tu dici che lo citi alla macchinetta del caffè?
    Esemplare l'uso che l'America fa del cinema, sempre apprezzato: parlano di loro anche dopo pochi anni. Un film, questo, da epoca d'oro. Devo recuperarlo, specie per il casssst.

    Moz-

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    1. Mi porti un bell'argomento, ho visto il film molte volte da bambino ma ricordo anche una vhs registrata dalla televisione, quindi le due cose potrebbero essere legate, in ogni caso molto consigliato merita la visione! Cheers

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  8. Questo fu uno dei film risalenti al periodo in cui Wilhelm Dafoe stava cercando di sfuggire allo stereotipo del cattivo al quale lo avevano relegato le sue prime pellicole e devo dire che davvero qui ci regala una interpretazione commovente. Dafoe non sempre è stato sfruttato appieno da Hollywood ma in questo caso è veramente al suo meglio.

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    1. Vero, in “Strade di fuoco” e “Vivere e morire a Los Angeles” era così cattivo che per recuperare ha dovuto fate il tenente buono di “Platoon”, lo sbirro Kennedyano qui e… Gesù per Scorsese! :-D Anche io penso che qui sia davvero bravo, anche a capire quando deve lasciare il passo al suo compare, una cosa non semplice, specialmente per un attore di Hollywood. Cheers!

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