venerdì 31 agosto 2018

La leggenda del re pescatore (1991): Mi piace New York a giugno, e a voi?


“Hit the road Jack” è il pezzo di Ray Charles che risuona sempre negli stadi NBA quando un giocatore fa l’ultimo fallo a disposizione (il sesto) e per questo deve lasciare il campo, più o meno la condizione del nostro Terry prima di imbattersi nella sceneggiatura del film protagonista del nuovo capitolo della rubrica… Gilliamesque!

Facile valutare il talento di un regista quando ha per le mani il soggetto della vita e magari un budget illimitato, secondo me il vero banco di prova è il film su commissione, il manico (passatemi l’espressione) di un autore si vede nel momento in cui devi fare tuo materiale che all’apparenza non ha davvero niente a che spartire con il tuo cinema. Dopo il clamoroso tonfo al botteghino di Le avventure del barone di Munchausen, a Terry Gilliam viene proposto di tutto, anche cosette che lui platealmente schifa, tipo un seguito di Alien e, anche se vado matto per la saga aliena, devo dire che il modo in cui Gilliam giustifica le sue scelte è sempre uno spasso!

Ma la ricerca di Terry termina (oppure inizia visto il tema del film), quando s'imbatte nella sceneggiatura di “The Fisher King” scritta da Richard LaGravenese ed ispirata in parti uguali alla figura del re pescatore che compare varie volte nei racconti del ciclo arturiano, ma viene anche citato nel poema di T.S. Eliot “Le terre desolate”, insomma ancora una volta dopo averlo inseguito insieme ai Monty Python, Terry Gilliam si rimette in pista alla ricerca del Sacro Graal, probabilmente a colpi di noci di cocco.


Terry impegnato ad illustrare il funzionamento delle noci di cocco al suo protagonista.
Quindi, per la prima volta in carriera il buon Terry si ritrova a dirigere qualcosa che non solo non è stato scritto di suo pugno, ma porta la firma di uno come Richard LaGravenese, famoso per le sue storie amorose di persone ordinarie, tipo “I ponti di Madison County” (1995) anche noto come “Il film dove Clint Eastwood non spara a nessuno”, oppure “L'uomo che sussurrava ai cavalli” (1998). Come conciliare le trame di LaGravenese all’esplosivo estro creativo di un regista davvero visionario come Gilliam? Ci vuole qualche produttore che sappia il fatto suo, non uno a caso, una delle preferite della Bara Volante, la grande Debra Hill.

Storica collaboratrice di tanti capolavori di John Carpenter, Debra Hill si conferma la donna giusta al momento giusto, ancora oggi Gilliam va in giro a dire che un ambiente di lavoro ideale come quello che ha avuto sul set di “The Fisher King” lo deve ancora ritrovare... Ci credo! Considerando le sfighe che ha avuto in carriera, ritrovarsi coccolato e supportato dal talento della Hill dev'essere stato un sogno per lui.

“Io amo la Bara Volante! Il blog più bello del mondo!” , “Ma tu sei tutto matto”.
“La leggenda del re pescatore” (perché nei titoli italiani, una “Leggenda” non la si nega a nessuno) è l’occasione per Gilliam di dimostrare quello che sa fare, anche suonando lo spartito scritto da qualcun altro e, per essere uno storicamente etichettato come bersagliato da una sfiga cronica, qui ha la fortuna di avere degli ottimi musicisti, come Robin Williams, questa volta con la testa attaccata al collo, anche se non meno svalvolata di come lo abbiamo visto in Munchausen. Trama e poi andiamo nel dettaglio!

"Excalibur!", "BRAVO!", "Grazie" (cit.)
“Hit the road Jack” è anche il pezzo con cui iniziano le trasmissioni radiofoniche di Jack Lucas (un Jeff Bridges da applausi) DJ di New York dalla parlantina svelta, uno alla Howard Stern per capirci, un divo con tutti i capricci che ne conseguono, decisamente in rampa di lancio e con un’altissima considerazione di sé, dettaglio che Gilliam sottolinea con un’inquadratura dall’alto tutta matta, sulla sua enorme limo, unica auto nera in mezzo ad un’infinità di modesti taxi gialli.

Come nella canzone di Ray Charles, a Jack viene consigliato di alzare i tacchi quando un mitomane prende alla lettera una sua tirata cinica e fa fuori a colpi di fucile sette persone in un ristorante alla moda, Hit the road Jack and don't come back, no more no more no more no more. Tre anni dopo Jack lavora come commesso nel video noleggio (in cui fa bella mostra di se anche la locandina di Munchausen) della sua fidanzata, Anne Napolitano (Mercedes Ruehl), lavora, oddio, più che altro si autocommisera e passa il suo tempo a girovagare sbronzo per la New York.

Paura e delirio a New York.
Almeno fino alla sera in cui per poco non viene trasformato in un arrosticino da due gentiluomini (per non dire stronzi) che scambiandolo per un senzatetto vorrebbero ripulire la città con benzina e fiammiferi. Per poco, perché a salvarlo arriva Parry (Robin Williams), cavaliere quello sì, in scintillante armatura, magari anche no, visto che vive di quello che trova ospite di un sottoscala.

Per casi come questi si utilizza l’espressione, dalle stelle alle stalle, anzi, alle luride strade di New York che Gilliam riprende in un tripudio di inquadrature sghembe e angolazioni di macchina da presa dal basso come un postaccio, non dico proprio un girone infernale, ma un Purgatorio particolarmente sgradevole di sicuro. Un luogo che Parry chiama casa, perché sarà anche l’ultimo degli ultimi, ma il nostro ha una missione: ritrovare il Sacro Graal che lui sa trovarsi nella casa di un miliardario di Manhattan. Lo sa perché, beh, lo ha visto fotografato in una rivista e poi glielo hanno detto gli gnomi. Sapete come funziona la fede, no? Ognuna parla con l’essere immaginario che preferisce, non formalizziamoci!

“Mork chiama Orson, rispondi Orson, Mork chiama Orson!”.
Per Parry, il nostro Jack è l’eletto destinato a trovare il Sacro Graal, mentre Jack vorrebbe solo sparire, ma cambierà presto idea afflitto dal senso di colpa quando scoprirà che Parry un tempo era uno stimato professore universitario studioso di storia di nome Henry Sagan che ha, diciamo, perso un po’ il boccino, quando sua moglie è stata brutalmente uccisa dall’ascoltatore radiofonico di Jack, otto milioni di persone nella Grande Mela e proprio quello a cui hai ucciso la moglie Jack, bella mira.

Jack e Parry sono due personaggi agli antipodi: lo studioso innamorato di sua moglie contro il DJ sguaiato ed egoista, a ben guardarli, però, hanno in comune almeno il fatto di essere rappresentanti di personaggi dell’immaginario. Jack Lucas è il bugiardo cronico, costantemente impegnato in atti di autoindulgenza per assolversi dai suoi peccati e non prendersi le proprie responsabilità, un burattino affascinato dal Paese dei balocchi della fama facile, in pratica è Pinocchio che oltre ad essere il primo film ad aver ispirato Gilliam da bambino, dopo averlo visto al cinema (storia vera) è anche il pupazzo di legno che Jack riceve in regalo da un ragazzino ricco, con cui Jeff Bridges ci regala un pezzo di bravura notevole, il suo monologo con Pinocchio è la confessione di un bugiardo, sarebbe anche malinconico se non fossero tutte delle gran balle, per giustificare la sua fuga da se stesso.

Un bugiardo che si confessa con un altro bugiardo (però di legno).
Allo stesso modo Parry è un personaggio in fuga, uno che come Sam Lowry ha abbracciato l’estrema forma di fantasia, ovvero la follia, per scappare dall’orrore, impazzito perché per sempre intrappolato in un mondo immaginario da lui stesso creato per non affrontare la realtà, in questo senso il Cavaliere Rosso che lo perseguita è un'ideale continuazione del Samurai contro cui Sam Lowry combatteva nei suoi sogni.

Al cavaliere nero rosso non gli devi caga’ er cazzo!
Parry è il re pescatore, nella scena dello “Spaccanuvole”, nudo a Central Park il personaggio confessa, il suo inconscio parla e ci racconta la storia del personaggio del ciclo arturiano e, fateci caso, per tutto il tempo del film Robin Williams recita con una mano fasciata, proprio come la mano bruciata del re della leggenda.

Proprio per aiutare Parry, Jack attraversa lo specchio come Alice e si ritrova dall’altra parte di quel muro invisibile che separa i ricchi dai poveri nella Grande Mela, a stretto contatto con le persone considerate invisibili, se non proprio sgradite della società, ben rappresentate dal veterano invalido con la faccia (e il vocione) di Tom Waits, uno che definisce se stesso una specie di semaforo morale, per tutti quelli che vivono la loro routine e pensando di passarsela male. Ed occhio a Tom Waits perché nei prossimi capitoli di questa rubrica tornerà a trovarci, qui, invece, posso dire che affidare all’autore di cosine come “Jersey Girl” questo ruolo da menestrello urbano decadente (e Gilliamesco) è un vero colpo di genio!

"Tom se ti do una monetina me la fai Picture in a Frame?".
Sì, perché provate a pensare a questo film nella mani di chiunque altro, un regista meno talentuoso e visionario avrebbe condito di moralismo i poveracci al centro della storia, tenendo New York come sfondo, mentre qui Gilliam trasforma la Grande Mela in un luogo che contribuisce al racconto, una città che può ricordarti che sei solo un numero con i suoi palazzi infiniti (rigorosamente inquadrati dal basso da Terry) o gli sterminati uffici tutti uguali dove lavora Lydia Sinclair (Amanda Plummer), ma anche un posto lurido e schifoso dove se vuoi un po’ di gioia è meglio che te la cerchi da solo, come fa, ad esempio, Parry che dove noi vediamo degrado, lui vede la gioia e lo splendore, proprio come la vede in Lydia, una che, diciamocelo, risulta piuttosto ordinaria se non proprio anonima, ma per Parry sarà la donna angelica che Jill Layton era per Sam Lowry in Brazil e la distanza tra i due personaggi si riduce ancora perché se Sam si limitava a canticchiare “Aquarela do Brasil”, Parry canta proprio, anzi, chiede a tutti quelli che incontra di cantare, sempre lo stesso pezzo “How About You?” di Harry Nilsson che con la sua prima strofa «I like New York in June, how about you?» sembra dedicata proprio alla città.

Terry Gilliam non le manda a dire, basta guardare com'è rappresentato Central Park, prima della cura del sindaco, lo sceriffo Rudolph Giuliani, un posticino dove se ti va bene, ti rapinano solo, mentre per Parry è il posto migliore per ehm, tornare a contatto con la natura. Gilliam è bravissimo a tirare fuori momenti Gilliameschi da una trama che, in mano ad un regista diverso, sarebbe stata una storia di amore e redenzione ben più canonica e banale, basta guardare la scena della stazione (chiusa per riprendere le scene dalle cinque alle otto del mattino, con buona pace dei pendolari) in cui il via vai di persone diventa un enorme valzer di coppie che ballano, il primo momento in cui Jack (e noi spettatori), inizia a vedere il mondo come lo vede Perry.

"Ti viene data solo una piccola scintilla di follia. Non devi perderla" (Robin Williams)
Purtroppo, abbiamo anche l’altra faccia della medaglia: le sortite del terribile Cavaliere Rosso che perseguita Parry, sono grandiose perché il cavaliere con le sue fiamme è una visione che riassume alla grande la potenza visiva del cinema di Gilliam, ma è anche un momento drammatico, perché diventa metafora della condizione di Parry che torna a perseguitarlo.

In questo senso, amo moltissimo il modo in cui “La leggenda del re pescatore” riesca a menare il can per l’aia in modo controllato, mentre lo stai guardano pensi: "Hey, ma scusate: questo film non parlava di due strambi cavalieri, due Don Chisciotte e Sancho Panza in salsa “Knickerbocker” alla ricerca del Graal? Allora perché stiamo qui a vedere Jack e Anne che cercando di organizzare un appuntamento tra Parry e Lydia?". Proprio qui sta il bello: più la storia va alla deriva abbracciando anche momenti da commedia romantica del tutto riusciti, più ci affezioniamo ai personaggi, dimostrando un altro grande talento di Gilliam, quello di saper tirare fuori il meglio dai suoi attori.

Lilli e il vagabondo mangiavano spaghetti stando più composti a tavola di questi due.
Jeff Bridges (che, per altro, qui sfoggia la stessa maglietta da Baseball che userà anche ne “il grande Lebowski) semplicemente giganteggia nei panni dell’eroe contro voglia Gilliamesco ed ogni tanto si prende il film con un paio di monologhi, su Robin Williams tenetemi l’icona aperta che più tardi ci parliamo, mentre Amanda Plummer è bravissima nell’interpretare una chiusa nel suo guscio come Lydia. Meglio di lei, a mio avviso e non solo mio visto che per questo film si è portata a casa un Oscar come miglior attrice non protagonista, è Mercedes Ruehl, la sua Anne Napolitano è la tipica Newyorkese un po’ incazzata da cui emergono le origini italiane, classico caso di “Puoi avere di meglio di quello lì”, ma anche di, per dirla alla Kevin Smith Silent Bob: «Da' retta, il mondo è pieno di belle donne, ma non tutte ti portano le lasagne da casa, più che altro ti fanno le corna e basta», che poi è quello che vorresti dire a Jack per tutto il tempo del film, o almeno nei momenti in cui non si chiama gli schiaffi, sto scemo!

Ammettetelo, adesso la volete anche voi una maglietta così.
Gilliam allunga il brodo con un piano sequenza statico al ristorante cinese che serve a farci affezionare ai personaggi e alla loro tenerezza e quando come Parry abbassiamo la guardia SBAM! Fa tornare il Cavaliere Rosso e la scena diventa uno schiaffo in faccia anche grazie al talento di Robin Williams (l’icona lasciata aperta, è ora di chiuderla), straziante il modo in cui Williams chiede al Cavaliere di lasciargli almeno il ricordo di una serata felice, mentre quello lo colpisce con tutto quello che ha, facendo rivivere a Parry (e a noi spettatori) il dramma della morte della moglie, in una delle scene con più sangue mai vista in un film di Gilliam che ancora una volta ci arrotola il tappeto da sotto i piedi sovrapponendo realtà e finzione, le maniche della giacca palesemente troppo larga per Parry, diventano quelle della sua camicia di forza, per Gilliam l’immaginazione, è sempre la più potente della forze in gioco, quella capace di alterare anche la realtà.

La stessa reazione del pubblico, quando il film svolta ancora una volta.
Anzi, così potete che alla fine Jack dovrà diventare per forza l’eletto che troverà il Sacro Graal salvando tutti, la villa del miliardario è a tutti gli effetti un castello da espugnare per Jack in versione cavaliere, un luogo dove realtà e finzione non sono più distinguibili (la visione dell’assassino della moglie di Parry, ad esempio, che rappresenta il senso di colpa che Jack deve affrontare), poco importa che la Sacra coppa sia più che altro una coppa sì, ma con tanto di targa premio celebrativa, perché alla fine salva davvero Parry, magari non nel modo esplicito con cui salvava Henry Jones Senior, però porta la salvezza a tutti, a Lydia che riabbraccia Parry ormai in pace con se stesso e il suo brutto passato, a Anne che caparbia non smette di sperare e alla fine ritrova un Jack finalmente maturo, ex burattino di legno propenso alla bugia, finalmente un bambino (grande) vero e anzi, a ben guardare, si salva persino il miliardario aspirante suicida che non tira i calzini proprio grazie alla sortita di Jack.

Ad un occhio distratto, il finale di “The Fisher King” potrebbe sembrare una concessione di Gilliam al classico “E vissero tutti felici e contenti” che piace tanto ad Hollywood, ma in realtà è solo un altro dei finali apparentemente ottimisti di Gilliam. Sì, perché la New York dove vivono, amano e rubano sacre reliquie i protagonisti non è cambiata di un millimetro, è lo stesso postaccio ingrato nei confronti dei più deboli, ma in questa mancanza di indulgenza finale, Terry ribadisce ancora una volta il mantra della sua missione: l’immaginazione vince su ogni altra cosa, coloro capaci di abbracciare la fantasia e di conseguenza in grado di provare empatia verso il prossimo sono i veri re (pescatori) di questa storia. Una salvezza che Gilliam non idealizza, perché comunque il mondo resta un luogo crudele, però ora che abbiamo imparato gli uni dagli altri e ci conosciamo, potremmo quasi essere amici. Non quella cazzata di “L’amore trionfa e ci salverà tutti”, ma va, però almeno la fantasia, qualcuno ben disposto a farsi una cantata lo può anche trovare, ed ora forza tutti insieme!

I like New York in June, how about you?
I like a Gershwin tune, how about you?
I love a fireside when a storm is due
I like potato chips, moonlight, motor trips, how about you?


“Fuori la voce lettori, tanto è un blog, non vi sente nessuno”.
Settimana prossima, nuovo capitolo della rubrica in arrivo, per altro, con un argomento che mi sta molto a cuore… Le scimmie!

28 commenti:

  1. Next: the twelve monkeys? Great!
    Gran bel film, questo. E gran bel pezzo! Sulle didascalie ti sei superato!

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    1. Prossima settimana abbiamo delle scimmie da scioccare, Peter Gabriel insegna ;-) Me lo sono rivisto con gran gusto e sono felice ti sia piaciuto il post, le didascalie sono venute fuori da sole con un soggetto (e dei soggetti!) così. Cheers

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  2. Carabara, immagino che te ne sarai già accorto, considerata la tua passione per il regista Brazileiro, ma a beneficio di tutti gli altri zilioni di frequentatori del tuo blog tento una sintesi di quanto mi disse Terry qualche tempo fa mentre cercava i soldi per produrre la storia di 101 scimmie che rapinano Vegas per avere il soldi necessari a comperare tante macchine da scrivere sufficienti per riscrivere tutti i volumi della biblio del Congresso ( " ho avuto l'idea leggendo lo Animal Man di Grant Morrison..." ).
    Per farla breve ( è tardi, lo so ) Terry ritiene che TBBT sia nata da una costola del suo Fisher King: Leonard è Jeff , Sheldon è Robin , Penny è Mercedes ed Amy Farrah è Amanda ( " Michael Jeter è stato frazionato in Raj e quel tale che gestisce una fumetteria " cioé Stuart ndr ).
    Non sarebbe la prima volta naturalmente : Hitch era convinto che 007 fosse una costola del suo Intrigo Internazionale.
    Una idea è sempre un seme.
    Ciao ciao

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    1. Mi hai appena resto molto più guardabile TBBT, se concedessero a Terry un dollaro ad ogni episodio in modo da evitare la causa legale, avremmo già due o tre film di Gilliam in più, o forse nemmeno mezzo, il ragazzo ha una fantasia costosa ;-) Cheers!

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  3. Bravo Cassidy, molto meglio la tua recensione del ricordo del film, che ho visto quando ero un ragazzetto, l'ho visto con superficialità e per questo non avevo un bel ricordo.

    Credo che il finale si possa descrivere benissimo con le celebri parole di Calvino, riconoscere cio' che non è inferno, in mezzo all'inferno, e farlo durare.

    Comunque Jeff Bridges veramente sontuoso!

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    1. Grazie mille, fin troppo gentile! Ti consiglio di dargli una nuova possibilità, chiaro il fatto che si tratta di un film che cambia genere due o tre volte in corsa d’opera, il bello è vedere proprio come lo fa. Per il resto, io sono una capra, al massimo conosco Calvin & Hobbes, ma la tua citazione a Calvino mi sembra la chiusura perfetta per il film.

      Goffredo Ponti è uno dei miei attori preferiti, in carriera ha svariati titoli di assoluto culto, tipo questo ;-) Cheers

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  4. Che sei andato a tirarmi fuori!!!!
    Per anni ho consumato la videocassetta di questo film a forza di vederlo: storia giusta, attori giusti, stile giusto. E c'era pure Tom Waits! Risultato pieno! Non so poi perché per i successivi vent'anni non l'ho più rivisto, dovrei provvedere...
    Aspetta un attimo... Gilliam preso in considerazione per il seguito di Alien??? Questa non la sapevo: devo subito informarmi ;-)
    E comunque Debra Hill davvero meriterebbe molta più notorietà!

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    1. Tom Waits è la ciliegina sulla torta, direi che Waits migliora quasi qualunque cosa ;-) Si, ti avevo mandato una mail in merito, ma sono sicuro che le tue fonti siano migliori delle mie.

      Debra Hill andava contro il cliché del produttore in giacca a cravatta che dice solo: “No, no, tagliare, costa troppo!”. Era una davvero interessata alla fase creativa, una che si sporcava le mani (non ha caso le ha prestate per il primo omicidio di Michael Myers), non stupisce che due insofferenti ad Hollywood e ai regolamenti in generale, si siano trovati alla grande a lavorare con lei, oggi senza nemmeno metterci d’accordo, ne abbiamo scritto entrambi ;-) Cheers

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    2. Ahhh è vero, me l'avevi segnalato! Capoccia mia, non mi segno niente perché tanto "poi me lo ricordo" e infatti poi mi scordo tutto! Ho ancora un sacco di tue segnalazioni da "evadere" e devo decidermi :-P

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    3. La tua memoria è prodigiosa sulla lunga distanza, se un maratoneta mnemonico ;-) Vai tranquillo, da fare non manca mai! Cheers

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  5. L'ho visto tempo fa ma ricordo un gran bel film :) E poi quanto ci manca Robin Williams?

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    1. Posso assicurarti che migliora, le ultime due volte che me lo sono rivisti, ho notato dei dettagli che non avevi visto prima. Robin Williams manca, questo è uno dei suoi ruoli che preferisco in assoluto, ma il problema è più profondo, Hollywood ha spazzato via i ruoli per i comici alla Williams, sto pensando anche in parte a Jim Carrey, eppure quanti bei film di Robin Williams ricordiamo tutti? Non pochi. Cheers

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  6. Film molto sottovalutato nelle carriere di Gilliam, Williams e Bridges. Invece per me è una gara di bravura tra i due attori ed è anche per questa pellicola che Robin è diventato uno dei miei attori preferiti (p.s. per Cassidy: è da mesi che ho un guest-post abbozzato su Williams ma non ho mai tempo per finirlo!).

    Stesso discorso per quanto riguarda Gilliam. Nessuno cita mai o si ricorda de “La Leggenda” forse perché è lontano dalle sue tematiche classiche. E invece è con il materiale fuori dalla propria “comfort zone” che si riconoscono i fuoriclasse. E qui Terry fa vedere a tutti di che pasta è fatto. Mi ricordo che per la prima volta lo vidi con la scuola. Mi folgorò!

    Ultima nota per Cassidy. Mi piace molto come scrivi, mi piace il tuo blog e le tue rubriche. Ma quest’ultima avventura con protagonista Gilliam è a man basse la mia preferita. Bravo!

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    1. Quando vuoi, tanto io non scappo e di certo non ti vengo a rompere le scatole per le scadenze, se ti viene voglia di completarlo, sai dove trovarmi ;-) te la butto lì, “The Fisher King” sta a Gilliam come “Starman” sta a Carpenter, e guarda caso hanno un attore in comune, per me è sui titoli su commissione che si vede l’autore vero.

      Ti ringrazio moltissimo capo, qui ci sta tutto: Bro-Fist! :-D Cheers

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  7. L'ho visto da adulto nel mio periodo Terrycentrico, e forse è stata una fortuna.
    L'avessi visto da imberbe forse non lo avrei apprezzato a dovere.

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    1. Non lo so, a me il cinema sghembo di Gilliam mi ha sempre preso al cuore, però hai ragione, perché questo film richiede un certo grado di coinvolgimento con i personaggi e le loro sfighe, devi aver perso qualcuno a qualcosa per capire meglio Jack e Parry. Siccome è un film che promette il Sacro Graal e i cavalieri, da bambino si potrebbe restare delusi, dico potrebbe perché a me è sempre bastato veder entrare il cavaliere rosso in scena per restare incantato ;-) Cheers

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  8. film meraviglioso, lo adoro, un cult assoluto per me, Robin Williams al top xD

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    1. Lo penso anche io, sicuramente una delle sue prestazioni migliori, Gilliam invece è una garanzia ;-) Cheers

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  9. Anche se su commissione un grande Gilliam, senz'altro, e quanto e perché lo sia -grande- è spiegato a dovere nel tuo post... qui poi è in coppia nientemeno che con Debra Hill, per la serie quando due talenti VERI si incontrano (con ottimi attori protagonisti al loro servizio, per di più) facendo faville ;-)
    P.S. Mi spiace che Terry proprio non ne voglia sapere di supereroi... un Deadpool diretto da lui potrebbe essere un qualcosa di davvero interessante, secondo me ;.)

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    1. Non è un caso se Debra Hill è così ben considerata, talenti "Ribelli" come Carpenter e Giliam ne hanno sempre parlato benissimo, e poi cavaolo, se tutti i film su commissione fossero così, ci sarebbe da metterci la firma! :-D Si un peccato, "Watchemn" sarebbe stato perfetto ad esempio, Gilliam avrebbe reso gli eroi davvero sgangherati ;-) Cheers

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  10. Lo devo decisamente recuperare, sembra proprio un film che potrei adorare.
    A proposito del grande Robin, che ne pensi dell'uomo bicentenario?

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    1. Me lo sono rivisti qualche mesetto fa, lo passavano in tv, un po' melenso ma molto caruccio. Questo è altamente consigliato, penso proprio che potrebbe piacerti ;-) Cheers

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  11. Emergo (brevemente?) dalla sconnessione, sono indietro con la lettura di tutti i blog, per non parlare del mio.
    Attendevo questo pezzo perché questo film ce l'ho davvero nel cuore. Un film incantante. E Mercedes Ruehl mi è piaciuta tantissimo qua!
    P.S.(Eliot): Il titolo dovrebbe essere "La terra desolata" (al singolare) - ricordi di liceo...

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    1. Oh grazie, vado a correggere! Felicissimo di rileggerti, spero in una riemersione completa, che detta così sembri l’Ottobre Rosso ;-) Mercedes Ruehl è davvero bravissima, in un cast di nomi più celebri si mangia lo schermo. Cheers!

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  12. Lo vidi penso alla prima TV e dal titolo e dalla pubblicità lo scambiai per un mezzo film fantasy! A metà mi stava annoiando e lo lasciai. XD Rivisto 10 anni e passa dopo mi è proprio piaciuto, anche perché ho capito che non è un fantasy XD. Per il buon Robin uscì lo stesso anno di Hook. Pellicola molto riflessiva e delicata con due protagonisti davvero amabili così come le loro controparti femminili.
    A proposito di Debra Hill, non capisco perché in tempo di "Metoo" non vengano ricordate lei e Gale Ann Hurd! Mah!

    ""anche noto come “Il film dove Clint Eastwood non spara a nessuno”"

    Ah, ah! lol

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    1. Perché non é quello il titolo giusto di quel film? Non credo centri Metoo, credo che sia il buon vecchio: Sei bravo nel tuo lavoro? Lo fai con impegno, passione, tirandoti su le maniche senza rompere tanto il cazzo? Verrai superato a destra da gente con metà del tuo talento più brava a vendersi. Carpenter ha in parte lo stesso problema, Gale Ann idem. Cheers!

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  13. Splendida recensione per un film incredibile, io ogni volta che lo riguardo mi ri-stupisco di quanto sia grande Terry Gilliam, davvero un genio! Peccato che ci sia stata solo Debra Hill a coccolarlo e a farlo lavorare bene, visto che sono vent'anni che soffre le pene dell'inferno per fare film!

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    1. Mille grazie! Debra Hill è stata mitica e mai abbastanza citata per i suoi meriti. Questo film lo trovo quasi commovente nei suoi momenti tristi e in quelli gioiosi, puro Gilliam ;-) Cheers

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