martedì 6 marzo 2018

Mute (2018): Berlin Runner (I figli dell’era silente)


Non sono uno di quelli che ama citare Quentin Tarantino per darsi un tono, ma il regista di Knoxville da grande conoscitore delle carriere di tanti suoi colleghi ha messo giù una teoria interessante.

Quella per cui quando un regista riesce finalmente a trovare i fondi per dirigere un titolo a cui tiene molto, il più delle volte viene fuori un mezzo disastro, oppure un grosso flop al botteghino, Tarantino parlava avendo in mente “Il falò delle vanità” (1990) di Brian De Palma, ma si potrebbe quasi dire lo stesso per Duncan Jones e la sua nuova fatica, “Mute” che a dispetto del titolo, sta facendo molto parlare di sé. Specialmente male.

Io sono figlio di un cantautore che sembra felice poi cambia umore.
In un anno l’avrò visto un paio d’ore, una volta ha detto anche il mio nome alla televisione.

Niente oggi sono di umore “Citazionariello”, tornano buone la parole di Caparezza quando in “Figli d’arte” riassumeva la condizione di tanti figli famosi, tra cui potrebbe annoverare anche Duncan Jones che immagino tutti sappiate essere il figlio di David Bowie.

Se pensate che il 2016 sia stato un anno di merda perché abbiamo dovuto salutare per sempre il Duca Bianco che è tornato sul suo pianeta (ciao David), provate a pensare di che materiale dev'essere stato il 2016 di Duncan, che oltre a perdere il padre, ha sbattuto il naso contro uno scoglio chiamato Warcraft, un disastro fantasy che sapeva tanto di clamorosa battuta di arresto per una carriera fino a quel momento promettente.

Meglio il freddo Berlinese in maglietta, pur di non dirigere mai più orchi dentuti in CGI.
Già non è semplice essere il figlio di uno degli artisti più unici della storia della musica, inoltre dopo l’ottimo esordio con “Moon” (2009) e il solido “Source Code” (2011), gli orchi dentuti di Warcraft non si potevano proprio guardare per più di una ragione. Quindi, il nostro Duncan è corso nuovamente tra le braccia amorevoli della fantascienza, un genere che pare molto più nelle sue corde, il risultato è “Mute”, una storia a cui Jones lavorava da 14 anni, dove ha riversato moltissimo di se stesso, basta dire che il film è dedicato alla memoria di suo padre e alla bambinaia che lo ha cresciuto, quindi tornano buone le parole di Caparezza.

Ora, se fossimo ad Hollywood, questa storia finirebbe con Duncan Jones che zittisce tutti, al grido di «MUTI!» con un film che ci lascia tutti senza parole come il protagonista, invece, eh... Invece ciccia, perché “Mute” non è proprio pesche e crema, purtroppo.

A ben guardarlo, è sicuramente un lavoro molto coerente, in questa Berlino futura dell’anno 2052, il protagonista Leo Beiler (Alexander Skarsgård) è muto fin dalla tenera età per colpa di un incidente, fa il barista in una discoteca e, a pensarci, è proprio il lavoro per lui visto che con la musica alta di solito nei locali si comunica a gesti. Quando la sua fidanzata dai capelli blu Naadirah (Seyneb Saleh) scompare, Leo s'improvvisa investigatore per ritrovarla ed è qui che incrocia la strada di due medici americani in fuga e in attesa di documenti nella città tedesca, il primo è Cactus (Paul Rudd con baffoni a manubrio cespugliosi) il secondo è Duck (l’ossigenato Justin Theroux). Il primo è un trafficone con delle brutte camice, il secondo per certi versi pure peggiore.

Il blu è un colore caldo (Questa la capiranno in dodici).
Nelle intenzioni di Jones, “Mute” è una specie di "sequel spirituale" del suo “Moon”, questo spiega anche in parte il piccolo cameo di Sam Rockwell, insomma Jones si lascia tentare dall’idea dell’ennessimo universo espanso cinematografico, per ora nessuno ha ancora avuto il coraggio di battezzarlo come “Duncanverso”, ma se dovesse prendere piede, ricordatevi dove lo avete letto per la prima volta, poi, semmai Jonsey, io e te aggiustiamo dopo.

A ben guardarlo, i segni di continuità del cinema di Jones non mancano, Leo è di nuovo un uomo “Rotto” un po’ come accadeva in “Source Code”, purtroppo il film ha diversi difetti, primo tra tutti una certa ambizione di fondo.

Sì, perché se “Moon” si rifaceva idealmente e con un dodicesimo del budget a “2001 Odissea nello spazio” (1968) di Stanley Kubrick, “Mute” ha l’insana idea di elaborare un altro titolone di fantascienza, ovvero Blade Runner di Ridley Scott. Il problema è che gli unici a fornire a Jones dei fondi per produrre la sua idea sono stati quelli di Netflix, ancora alla ricerca di una credibilità che quando si parla di produrre serie televisive hanno, per i film, decisamente meno.

Sushi. So hat meine Ex-Frau mich immer genannt. Kalter Fisch (speriamo di non aver insultato nessuno in tedesco!)
Ora, restatemi vicini che questo mio passaggio cerebrale è un po’ contorto. Se vedo un film in cui il protagonista è muto e con un'evidente connessione con l’elemento acquatico, ormai non posso non pensare al bellissimo La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro, dove il personaggio di Richard Jenkins sosteneva di essere nato troppo presto, oppure troppo tardi rispetto al suo tempo, ecco, si potrebbe quasi dire lo stesso di “Mute”.

Con un budget di una ventina di ex presidenti defunti stampati su carta verde, Jones non ha davvero i mezzi per rivaleggiare con il Ridley Scott dei tempi d’oro, il risultato finale è l’ennesimo futuro buio, piovoso e illuminato con i neon che ormai sa di fotocopia di “Blade Runner”, un tipo di iconografia che, per assurdo, non è stata ripresa nemmeno nel sequel ufficiale del film, ovvero Blade Runner 2(049), il che fa intuire che Denis Villeneuve sia un po’ più astuto, oppure meno votato al suicidio. Perché così facendo, rischi che il tuo film, sembri una puntata a caso della serie “Altered Carbon” prodotta proprio da Netflix, anche lei enormemente debitrice del look creato da Ridley Scott e per altro estremamente pallosa, mi sono smaronato dopo due episodi, ma i miei informatori mi confermano che andando avanti non migliora.

La locandina in stile "Casablanca" non è male, anche se un po' ambiziosa.
Dare un'ambientazione Berlinese al film, è un chiaro omaggio a papà David, una mossa molto azzeccata, in cui Jones s'impegna a creare un mondo credibile sfruttando i dettagli, i più gustosi sono i poster del campionato “8 Nation” di Rugby (che immagino nel 2052 prevederà anche la Germania, chissà se per allora l’Italia sarà riuscito a vincerne uno), oppure il drone volante per la consegna del cibo a casa, ecco quello farebbe comodo anche a me!

Purtroppo le trame del film sembrano fare costantemente a pugni e piano piano l’ambientazione futurista perde completamente di importanza ai fini della trama, resta giusto un tocco di colore che serve a mostrare personaggi vestiti in modo stravagante e la palma del peggio vestito la vince Dominic Monaghan, il Charlie di Lost, qui conciato in versione “Memorie di una Geisha”, una roba orribile, non fatemici pensare!

Il personaggio di Leo Beiler è interessante, funziona l’idea di farlo interpretare a quel cristone di Alexander Skarsgård, questo Amish che rifiuta la tecnologia in un mondo iper tecnologico, uno che usa ancora la carta e la matita, quando tutti digitano e “Spimpolano” schermi digitali, peccato che l’intuizione vada totalmente persa, oserei dire come lacrime nella pioggia, giusto per stare in tema.

Una sveglia analogica (rotta) in un mondo digitale.
Sì, perché svariati minuti vengono rosicchiati dal personaggio di Cactus, il medico ex militare, però, non risulta interessante come il barista muto e recalcitrante nei confronti della tecnologia, inoltre mi viene da pensare che sia stata una scelta voluta quella di Duncan Jones, di far interpretare un mansueto Amish ad uno Svedese alto 1.94, mentre affidare il ruolo dell’ex militare all’1 e 78 di Paul Rudd. Anche se sull’altezza non mi metterei a scherzare con Rudd che nei panni di Ant-Man ha dimostrato di poter cambiare statura a piacimento.

Quelli che risultano essere quasi due protagonisti alla pari, sono al centro di trame che non si amalgamano bene tra loro, quando poi la storia chiede al personaggio di Justin Theroux di salire di colpi, purtroppo risulta ben poco carismatico, o forse a quel punto ero io che non avevo più alcun interesse per questa indagine ben poco avvincente.

Lo ammetto candidamente: il momento in cui “Mute” ha perso tutto il mio interesse è stato quando Naadirah si è messa a scrivere un indirizzo sul libretto degli appunti del suo fidanzato Leo. Il classico momento da spettatore in cui hai voglia di urlare al protagonista: «Hello! Hello MacFly? C’è nessuno in casa? Passa con una matita sopra il foglio per ricalcare l’indirizzo scritto sulla pagina strappata hellooooooo».

Cosa che lo sveglissimo Leo, decide di fare solo dopo una quarantina buona di minuti, peccato che questa trovata usata e stra abusata nei classici Hard Boiled a cui avidentemente “Mute” s'ispira, ormai non abbia più senso, perché nel 1998 i Fratelli Coen hanno messo fine per sempre ad ogni discussione, quando hanno diretto “Il grande Lebowski” un film che metabolizzava così bene i classici Hard Boiled da poterli prendere in giro alla perfezione. Se vi ricordate come finiva la scena del taccuino ricalcato con una matita da Dude (o Drugo se preferite il doppiaggio italiano) in quel capolavoro, potete immaginare che risate mi sono fatto io guardando “Mute”.

"Amico mio, stai per entrare in una valle di lacrime. Smokey, segna zero" (Cit.)
Voi dite che vedo citazioni dove non ci sono? Forse, ma allora perché dopo la scena del taccuino, Duncan Jones mette Paul Rudd e Justin Theroux impegnati a parlare del più e del meno, proprio durante una partita di Bowling? Tana per Duncan!

Forse un giorno, quando la filmografia di Duncan Jones sarà lunga e piena di titoli, vedremo questo film come una nota in un grande pentagramma pieno di idee estremamente coerenti, ma per ora sembra un'indagine poco avvincente e una pellicola non completamente risucita, da uno come Duncan Jones mi aspetto di più di così.

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18 commenti:

  1. Per me grossa delusione. Lo aspettavo come il riscatto di Jones dopo la porcata di "Warcraft" (ho dormito della grossa per tre quarti di film!), l'ho recuperato immediatamente ed è stata... Una coltellata. Forse il fatto che sia una storia così caparbiamente voluta e in qualche modo personale gli ha fatto venire "l'ansia da prestazione" (Berlino e David Bowie. Serve davvero aggiungere altro?). Vabbè, ansia o non ansia le due storie parallele sono attaccate con lo sputo e non hanno alcun guizzo che ti faccia veramente sobbalzare dal divano. O riflettere. Il paragone con "Blade Runner" è automatico e probabilmente voluto e cercato, peccato che questo "Mute" ne esca con le ossa rotte. E pure di brutto! Peccato. Veramente peccato. Spero di sbagliarmi ma a sto punto non vorrei che "Moon" ci avesse illuso tutti.

    Ultima nota va a Paul Rudd. Se devo salvare qualcosa dalla pellicola salvo lui e il suo Cactus Bill. Decisamente "un figlio di..." che rimane impresso. Bravo lui. Da quando faceva il fidanzato di Phoebe in FRIENDS ne ha fatta di strada.

    P.S.: sul "blu colore caldo" forse qualcuno in più di 12. Anche se TUTTI abbiamo visto il film... Magari col dito premuto sul FFW per una buona parte. Porcelloni!

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    1. Concordo, “Moon” aveva come modello Kubrick, ma andava nella sua direzione usando un budget basso, qui invece la mossa di rifare “Blade Runner” non gli è venuta così bene, anzi, quando la città si vede che è Berlino e non la Los Angeles da discount di Scott, funziona tutto meglio. Forse ansia da prestazione non è un concetto sbagliato, anzi.

      Paul Rudd funziona, prendere un bastardo e renderlo praticamente il protagonista è una gran mossa, con un film più equilibrato, la sua prova sarebbe anche stata valutata meglio. Mi viene da pensare che il ruolo del fidanzato di Phoebe sia l’equivalente per un attore di recitare in “Law & Order”, una roba che hanno fatto tutti in carriera ;-)

      Si l’ho buttata lì, per fortuna ho dei lettori attentissimi, anche più di me. “La vita di Adele” nello stesso film mi è piaciuto, poi l’ho odiato, e poi nel finale mi è piaciuto tantissimo, Kechiche fa un cinema radicale che di solito mi piace, le scene zozze erano un gustoso extra. Cheers!

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  2. Ignoravo tutto del film, del figlio di Bowie, della sua carriera in picchiata e di tutto il resto. L'ho visto per puro caso e per pura inerzia sono arrivato a mezz'ora, odiandolo profondamente. Quando ho visto che durava più di due ore il tasto STOP è stata l'unica liberazione possibile.
    Dal 1982 TUTTI i futuri sono bbbui, quindi può darsi anche che non volesse citare Blade Runner ma qualsiasi altro film di fantascienza uscito nel frattempo. L'ambientazione berlinese temo non avesse alcuna radice autoriale: semplicemente negli ultimi anni la città tedesca probabilmente offre vantaggi - come tutte le location di moda dei decenni precedenti - e girarci diventa conveniente. "Mute" è girato negli stessi Studio Babelsberg di "Submergence" di Wenders, "Renegades", "Atomica Bionda", "La cura del benessere", "Captain America Civil War", "Point Break", "Hunger Games", "Il ponte delle spie", la serie "Homeland" e via dicendo, e solo per rimanere negli ultimi due anni! Chi vuole risparmiare duro va nell'Est Europa, chi vuole far finta di girare blockbuster si ferma a Berlino :-P
    Se tutta l'attenzione agli inutili particolari messa nel film fosse stata dirottata nel cercare anche una sceneggiatura forse sarebbe stato un prodotto diverso, magari addirittura con una trama e - voglio esagerare - con personaggi che dicessero qualcosa. Invece era troppo l'impegno nella tecnologia sterile e nella fotografia fighettosa per ricordarsi di cercare un motivo per girare il film. Forse in realtà ormai non è neanche prerogativa essenziale, basta il futuro bbbuio :-D
    Nel mio odio profondo per un film di cui ho visto solo mezz'ora - mezz'ora in più di quanto valesse la pena - spero che serva almeno a far capire al regista che è ora di cercarsi un'altra carriera. Proporrei il ramo ortofrutticolo, ma lì serve gente seria... :-P

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    1. Mentre ti leggevo pensavo proprio ad “Atomica bionda”, lì si sono inventati una trama per giustificare l’ambientazione Berlinese, qui invece ci sono ok i trascorsi paterni di Bowie Junior, ma soprattutto questioni più terra terra, questioni di pecunia.

      Concordo in pieno, troppa attenzione per i dettagli e la messa in scena, e poca per i personaggi che dovrebbero essere il cuore della storia, in pratica la negazione di “Moon”, che era asettico nei set, e viveva sui suoi personaggi. La piaga di tanti registi, brutto quando il tuo film migliore, è il primo che hai diretto. Cheers!

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  3. Ce l'ho in rampa di lancio.Ho visto i primi cinque minuti, mi state facendo passare la voglia di vederlo però...

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    1. Personalmente, ho tenuto alta l’attenzione per la prima mezz’ora, poi la storia va in calando, verso metà mi sono anche un po’ annoiato, e nel finale anche se la storia prova a rialzare la testa, ormai emotivamente ero altrove ma avevo iniziato a vederlo quindi volevo finire. Odio lasciare i film in sospeso, in particolare sul paginone di Netflix ;-) Cheers

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  4. Copio ed incollo il mio commento da un altro sito "atomico"
    Dai, troppo duro questa volta ;-)
    "un buon noir con tinte di fantascienza, con parecchi limiti (ma gli amish, Trinità mi insegna, non sono contro ogni forma di violenza o questo-come bud spencer-appartiene ad un'altra confessione? la repulsione anti-tecnologica viene superato in un attimo, etc...). Per contro mi è piaciuto molto il contrasto tra la purezza di Leo (assolutamente non stucchevole, cosa difficile da rappresentare) e la melmaggine dei due "amici" -bello pure come viene dipinto il loro "morbosetto" rapporto - americani ([SPOILER]
    ma sbaglio o sono la versione sotto anfetamina dei due medici di m.a.s.h?
    [/SPOILER])

    Le due storie sono attaccate un po' forzatamente, però mi sono divertito. finale un po' così e avrei usato di più in termini di sesso, carnazza e viulenza
    il 6 lo porta a casa, stiracchiato perché sono rigidino, ma magari ce ne fossero di più di pellicole così.
    Rudd da applausi (la [SPOILER]


    scena del cappuccino...me la voglio giocare la prossima volta che vado in qualche caffè hipster del piffero...

    [/SPOILER])"

    Eh si, al comparire del blocchetto, il pensiero corre immediatamente al drugantibus...

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    1. La scena del cappuccino non è niente male ;-) Bravo ad esserti ricordato di M.A.S.H. altra possibile strizzata d’occhio, quella su drugantibus è palese ;-) Cheers!

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  5. Non so se stasera riuscirò a guardarlo, ma ho intenzione di farlo da una settimana almeno. Sembra un film carino ma nulla più a quanto dici.
    Sul mio blog è misteriosamente scomparso un tuo commento, che ho nelle mail di notifica. BOHH

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    1. Speravo potesse essere un pochino meglio, ma sono curioso di conoscere il tuo parere. Sarà Blogger, ogni tanto fa questi scherzi, queste ultima due settimane non tanto, ma prima un sacco di commenti finivano nell’aera di quarantena senza ragione, considerando che non ho nessun filtro sulla moderazione. Cheers!

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  6. Moon e Source Code mi hanno tenuto incollato davanti alla tv dall'inizio alla fine, mi sa che con questo film non succede proprio :D

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    1. No con questo proprio no, questa è la delusione più grossa. Cheers!

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  7. Ne parlano tutti malissimo, quindi non vedo l'ora di vederlo! (scommetto che mi annoierò a morte :D)

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    1. Fammi sapere come ti sei trovato, io mi sono fidato del tuo giudizio su "Altered carbon" serie che ricordava pure troppo, questo film. Cheers!

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  8. Risposte
    1. Se proprio vuoi restare in linea con la filmografia di Duncan Jones, altrimenti è un film evitabile. Cheers

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  9. A me non è dispiaciuto

    Il vinile che leo ascolta in camera è la musica di eno e bowie(heroes)rivisitata da Philip glass

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    1. Giusto per mettere in chiaro i riferimenti dell'opera. Gran gusto musicale comunque ;-) Cheers

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