giovedì 2 novembre 2017

Milano calibro 9 (1972): Davanti a un film così il cappello ti devi levare!


Il 2017 è stato funestato da fin troppi lutti cinematografici (e non solo) che in qualche modo, insieme agli altri blogger cinefili stiamo ancora cercando di omaggiare in maniera adeguata, per il grande Gastone Moschin potevo scegliere un solo film: “Milano calibro 9”.

Appena penso a Moschin a me viene in mente con addosso lo spolverino alla Frank Costello di “Le Samouraï” (1967) di Jean-Pierre Melville che è la fonte cinematografica da cui tanti grandi registi si sono abbeverati, qualche nome? Per gli Stati Uniti Walter Hill, per il Giappone Takeshi Kitano, per la Cina John Woo e per l’Italia… Fernando Di Leo... Degli applausi sarebbero graditi!

“Milano calibro 9” è il primo capitolo della “Trilogia del milieu” che si completa con “La mala ordina” (1972) e “Il boss” (1973), ma il materiale di partenza sono anche i racconti di Giorgio Scerbanenco, perché la base letteraria noir di questo film è molto importante.

Il titolo originale avrebbe dovuto essere “Da lunedì a lunedì”, titolo che, in seguito, lo stesso Di Leo ha riciclato per un romanzo noir scritto di suo pugno, lasciatemelo dire: meglio così perché “Milano calibro 9” è uno dei titoli più fighi vi possano venire in mente per un film!


No sul serio, i titoli dei poliziotteschi italiani non si battono.
Eppure, “Da lunedì a lunedì” avrebbe reso molto bene l’andamento del film, un periodo di tempo breve, ben scandito e destinato a terminare, proprio come quello che Ugo Piazza (Gastone Moschin) passa in carcere: tre anni a San Vittore passati senza mai dire mezza parola, senza mai tradire i suoi colleghi che, però, sono ancora convinti che quei trecentomila dollari (in banconote da dieci) spariti se li sia intascati proprio il buon Ugo che, infatti, appena uscito si ritrova ad attenderlo il faccione sghignazzante di Rocco Musco (Mario Adorf) scagnozzo dell’Americano (Lionel Stander) che gradirebbe riavere indietro i suoi soldi.

Da qui la vicenda viene scandita con puntuale regolarità, sulle note della trascinante e bellissima colonna sonora composta dal mitico Luis Enríquez Bacalov coadiuvato dal gruppo progressive degli Osanna che regalano sfumature Rock, non solo al tema principale, ma all’intera colonna sonora.

Ugo Piazza sarà pure un uomo libero, ma non lo è mai davvero, su di lui gli occhi non solo dell’Americano, ma anche del commissario di polizia (Frank Wolff) che aspetta solo un passo falso per risbatterlo dentro, per non dimenticare quell’ombra rosso vestita che segue Piazza per tutto il tempo, anche se Di Leo è bravissimo nel mostrarci, ma anche nel non lasciare troppo tempo allo spettatore di farsi domande, perché “Milano calibro 9” parte subito con il valzer dei personaggi che uno ad uno tornano nella vita di Ugo Piazza.

Un tripudio di giacche di pelle e spolverini beige che figata!
Un film parlato “Milano calibro 9”, molto parlato, in cui ogni personaggio è costruito così bene da calamitare l’attenzione del pubblico, tutti cesellati con dovizia seguendo i parametri imposti dal genere Noir, eppure incredibilmente memorabili, come il nostalgico Don Vincenzo di Ivo Garrani, un tempo potente padrino di Ugo Piazza, ora solo un vecchio cieco alla fine del suo tempo.

In un film in cui il “Buono” è un avanzo di galera con un'etica e un sogno (quello di scappare a Beirut con la sua bella), possono esserci solo tante sfumature di nero (o di noir fate voi), l’ultima rappresentata da quello che è davvero l’unico “Cattivo” a tutto tondo, in un carosello di personaggi che per definire buoni sul serio, bisognerebbe avere svariate fette di prosciutto sugli occhi. L’Americano di Lionel Stander non imita davvero nessuno dei grandi Boss visti al cinema, sembra più un padre particolarmente manesco che un vero Don Corleone.


"Mi farete un'offerta che non potrò rifiutare?" , "No, pensavamo di gonfiarti di botte e basta".
Ma tutti i personaggi che ruotano attorno a Ugo Piazza funzionano, a volte perché hanno punti in comune con l’etica del protagonista, come accade a Chino che ha la canottiera, il fisico e il volto spigoloso di un bravissimo Philippe Leroy, ma proprio come Ugo non avrà tanto tempo da passare su questo palcoscenico di personaggi, malgrado il suo preoccuparsi e continuo scalciare contro il destino.

"Basta mi avete stufato, io scappo a Mompracem non provate a seguirmi!".
Il personaggio che brilla più di tutti accanto a Ugo è la sua amata Nelly, ballerina e spogliarellista in un locale dove fanno bella mostra di loro le solite bottiglie con l’etichetta gialla e la scritta rossa J&B, abitudine tipica del nostro cinema di genere, che oltre a puntare al denaro per autoprodursi, ambiva anche ad essere nazionalpopolare nel senso per una volta migliore possibile del termine, o per lo meno come lo possiamo intendere in questo strambo Paese a forma di scarpa.

Notare l'angolo ardito dell'inquadr... Ma che parlo a fare, siete tutti distratti da altro!
Fernando Di Leo a Nelly regala un'entrata in scena che non si dimentica, non solo per l’inquadratura ardita, quanto più che altro al fatto che Barbara Bouchet qui è di una bellezza stordente, bionda, angelica e diabolica in parti uguali, algida e con gli occhi chiari proprio come Ugo Piazza, una specie di Penelope che ha aspettato il suo ritorno a casa, facendo e disfacendo tele e trame, ma non solo quello, ecco.

Basta guardare il personaggio della Bouchet quanta iconografia ha saputo inventare o rielaborare Fernando Di Leo in questo film, la casa milanese della bionda è una specie di esposizione di arredi di design che potrebbero risultare di moda ancora oggi, ad esempio il mio cane sopra quel tappetone peloso farebbe faville ne sono certo!


Si vede che a Milano hann un certo gusto per la roba alla moda.
Non sono uno di quelli che si gioca il nome Tarantino per certificare la bontà di un film, ma il grande rimestatore Quentin ha pescato a piene mani proprio da qui per dirigere la scena in cui Vincent Vega (John Travolta) arriva a casa di Mia Wallace (Uma Thurman) per portarla fuori a cena in “Pulp Fiction” (1994), l’appartamento è quasi lo stesso, il cappotto indossato dai due personaggi è identico, insomma se Tarantino omaggia è perché dell’iconografia da saccheggiare non manca. Nel mio piccolo, invece, il film lo omaggio in un altro modo...


Quelle poche pennellate di vera azione sono tutte piuttosto tese, portano “Milano calibro 9” in piena zona suspense, in particolare amo molto la scena dello scambio dei pacchi (bomba) alla stazione centrale di Milano, una scena coordinata molto bene che procede in crescendo con le note di Bacalov in sottofondo ed un finale beffardo, mi viene da dire molto italiano nel tipo di umorismo ("Guarda un po' dentro se c'è tutto" Boom! "C'era tutto").

Di Leo è bravissimo a tenere sempre sul filo lo spettatore, per farlo utilizza tutto, anche i lunghi dialoghi tra i due poliziotti che, a ben guardare, potrebbero essere l’unica parte del film che corre il rischio di allungare il brodo, eppure sono esplicativi del periodo storico, ma soprattutto della posizione politica dello stesso Di Leo, che non è timido nel mandarle da dire. Da una parte abbiamo il commissario di Frank Wolff, che per comodità chiameremo fascista, almeno a giudicare dalle frasi che non si tiene certo per sé, soprattutto quando fa a capocciate con il vicecommissario Mercuri interpretato da Luigi Pistilli, che sempre nell’ottica della comodità definiremo comunista, quando al suo responsabile chiede se la polizia ha mai manganellato i ricchi, oppure se il torto sta sempre dove stanno operai, studenti e terroni. Insomma, testimonianza di uno scontro tra fazioni mai davvero sopito, ma anche di un cinema orgoglioso di parlare come le persone che andavano in sala a vederlo. A proposito di parlare, che bello sentire Barbara Bouchet che dice cose come “Se il milanese ti ha tirato la ganciata”, trovate un doppiaggio moderno in cui qualcuno usa un termine del genere e vi offrirò una birra, o un J&B come preferite.


“Venga avanti, coglionazzo!”, "Guarda che quello è un altro film".
Il tempo che scorre inesorabile consuma tutti i personaggi e i loro drammi, che fanno la fine di quella sigaretta appoggiata su un tavolo a bruciare che è l’ultima immagine iconica di un film pieno di iconografia. Nel finale tutta la struttura del noir lascia il passo al disastro, più simile a come i destini prendano la via sbagliata più nella vita vera che al cinema, in cui tutto quello che può andare storto ci va e tu puoi anche essere scaltrissimo come Ugo Piazza, ma alla fine finirai fregato lo stesso.

In questo dramma tutti gli equilibri tra i personaggi saltano in aria con il tritolo, gli innamorati si prendono per il collo, quelli oculati perdono, coloro che vorrebbero vivere tranquilli finiscono la loro storia a revolverate e persino i più ostili critici si ritrovano a mostrare rispetto.

Tutto ruota proprio attorno ad Ugo Piazza, come detto algido, nordico, gli occhi chiari di Gastone Moschin sono quelli di un uomo braccato, che quasi sembra sapere di non avere più tempo, incredibile come uno come lui che arrivava da così tante commedie (devo citarvi quel capolavoro che è “Amici miei”?) qui funzioni alla perfezione anche nella parte di un buono, per quanto possano esserlo davvero i personaggi di questo film , che proprio per il suo essere tale in questa storia e in questo strambo Paese a forma di scarpa non può che finire male.


Certe facce appartengono di diritto al cinema.
Il massimo che potrà ottenere? Che qualcuno gli dirà bravo come lo si dice ai fessi che hanno ragione, quelli del vecchio proverbio. Proprio per questo Rocco Musco è forse il personaggio che funziona maggiormente in opposizione a Ugo Piazza. La prova dell’attore austriaco Mario Adorf è semplicemente perfetta, merito anche del suo doppiatore che ci regala il perfetto uomo del Sud, verace, tanto sguaiato quando Piazza è silenzioso e calcolatore, sembrano lo Yin e Yang e per questo nel finale in cui tutto va storto è proprio lui a riconoscere un suo simile e a concedere a Piazza il suo unico onore, lo fa a suo modo, urlando e strangolando: «Tu davanti ad uno come Ugo Piazza il cappello ti devi levare!!».

"Pronto? Ve lo siete levati il cappello? Non fatemi venire lì a controllare".
La formula del film è talmente efficace che lo stesso Fernando Di Leo ha provato a replicarla nel 1974 nel film “Diamanti sporchi di sangue”, però ambientato a Roma, oppure nel già citato “La mala ordina” (1972) che promuoveva il talento di Mario Adorf a protagonista. Eppure, “Milano calibro 9” ha un altro passo, vuoi anche perché Milano sembra nebbiosa anche con il sole, il perfetto sfondo di questo dramma nerissimo di personaggi con poco tempo e il destino già segnato.

Visto che anche io ormai sono giunto alla fine, concludo dicendo che davanti a quello che è giustamente considerato il poliziesco più famoso mai sfornato da questo cinema, dovremmo tutti seguire il consiglio di Rocco Musco, levarsi il cappello, perché davanti ad uno come Gastone Moschin il cappello ti devi levare!!




Questo post fa parte dell'omaggio tra Blogger cinefili per ricordare i (purtroppo) tanti attori e registi che ci hanno lasciato in questo 2017, qui trovate l'omaggio di Pietro Saba World e di La fabbrica dei sogni al grande Martin Landau, e il mio a Sam Shepard. Tenete d'occhio la blogosfera perché ne arriveranno ancora.

32 commenti:

  1. Grandissimo film è perfetto o ricordo di un attore che ci mancherà molto. Ho divorato tutti i film di Di Leo molti anni fa, quando ho cominciato a leggere gli articoli di nocturno a lui dedicati. mi hanno fatto scoprire un autore originale, coinvolgente, tutto un tipo di cinema che non siamo abituati ad associare all'italia.

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    1. Perdona i refusi, succede quando si vuole usare la maledetta dettatura vocale di google...

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    2. Anche io ho avuto un periodo in cui recuperavo tutti i suoi film che riuscivo a trovare e leggevo I pezzi su nocturno. Di Leo ha fatto ottimi film (sto pensando anche a roba tipo “Avere vent'anni”), abbiamo avuto alcuni registi, specialmente di genere (Mario Bava è un altro nome grosso grosso) che tutto il mondo ci invidia, poi mi sembrava proprio il titolo giusto per omaggiare Gastone Moschin. Cheers!

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    3. Figurati non ti preoccupare, un giorno scopriremo che google è un pezzo di Skynet ;-) Cheers

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  2. Questi film li ho intravisti da ragazzino e purtroppo è come non averli visti. Qualcuno l'ho recuperato vedendolo bene, e scoprendo davvero un genere italiano che non ha nulla da invidiare ad alcuna cinematografia estera. Questo in particolare non lo ricordo, ma non ho problemi a crederti sulla parola ^_^

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    1. Ti ringrazio per la fiducia, Di Leo ha fatto un sacco di film davvero ottimi, dici bene, cinema che tiene testa alle industrie cinematografiche straniere e che qualche volta ci invidiano, da tenersi stretto insomma ;-) Cheers

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  3. Avevo messo in conto di vederlo bene dopo la morte di Gastone Moschin. Ancora non l'ho visto! Dovrò tornare sul tuo post :)

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    1. Torna pure quando vuoi, tanto non scappa, abbiamo fatto la stessa pensata ad associare questo titolo come omaggio alla memoria di Gastone Moschin, buona ri-visione ;-) Cheers!

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  4. E' un genere di film che non ho mai davvero esplorato, anche perché sono sempre stato filo americano in quanto a film, comunque in effetti in confronto a certi film questa filmografia italiana è senza dubbio migliore ;)
    In ogni caso Gastone Moschin ha fatto grande il cinema italiano, per questo elogio eccezionale è questo qui :)

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    1. Anche io ho scoperto il filone italiano tardi (Sergio Leone a parte, con lui ci sono cresciuto) ma la mia passione per il film di genere non poteva certo esimersi, questo è uno dei titoli più famosi, un film che ancora merita. Ti ringrazio ci tenevo a questo omaggio. Cheers!

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  5. Bellisimo omaggio Cassidy! Complimenti anche per la ricerca delle fonti.
    Sono cresciuto a pane e poliziotteschi e questo CAPOLAVORO ITALIANO sta lassù in cima ai migliori assieme, per me, a "La Mala Ordina" (sempre di Di Leo) e "Il Trucido e lo Sbirro" di Lenzi (per aver introdotto il personaggio de Er Monnezza). A parte metto "Indagine su di un Cittadino..." perché, oltre a non essere un vero poliziottesco, è al di sopra di qualsiasi classifica. Uno dei migliori film italiani di tutti i tempi.
    Tornando a questo "La Mala Oridina", il trio Moschin-Adorf-Leroy sono dei fuoriclasse che si mangiano la scena ad ogni inquadratura e danno vita a tre personaggi meravigliosi. Nell'economia del film sarebbero i "buoni", i personaggi che in qualche modo incarnano dei valori anche se, in realtà, nel profondo, sono dei figli di putt@na. Assassini, stupratori, rapinatori e chi più ne ha più ne metta. Eppure, nonostante tutto si riesce ad empatizzare con Ugo Piazza pur sapendo che è un malvagio (qualcuno ha nominato Walter White? No? Mi pareva...).
    Mi fa una rabbia da morire che questo filone venga bollato con "fascista" e messo praticamente sotto silenzio e riesumato dai media solo quando qualche protagonista viene a mancare. Un film come "La Mala Ordina" ricco di tensione, doppi/tripli giochi, piani elaborati, personaggi iconici e scene cult (il balletto della Bouchet, a parte omaggiato/copiato a tutto spiano, è qualcosa di sensualissimo anche adesso!) non abbia il riconoscimento che merita. Se fosse stato girato da Lumet (Serpico), Siegel (Dirty Harry) o Hill (I Guerrieri della Notte) sarebbe osannato, incensato, celebrato e trasmesso a tutto spiano. Noi ce lo ritroviamo una volta l'anno alle 3 di notte in qualche canale regionale se ci va bene. Fortuna che tra i cinefili riusciamo a tenere vivo il ricordo di questo genere e di questi personaggi.
    E' uno spaccato dell'Italia degli anni '70 con le sue ipocrisie, le sue ideologie contrapposte, i suoi crimini e le sue paure. Enfatizzate per carità, ma l'Italia è stata anche quella. Perché nascondere certe pellicole? Solo perché ti sbattono in faccia come eravamo? E non sto parlando di politica (comunisti vs fascisti), di quella me ne sbatto altamente. Sto parlando dell'aria che si respirava carica di paure, tensioni e "cattiveria". Le bombe e gli attentati ce li abbiamo avuti anche noi 40 anni fa! I sequestri, le sparatorie, le violenze,... L'Italia era anche questa mostrata da Di Leo.
    Capolavoro del cinema italiano. Stop. E bravo ancora a Cassidy per il bellissimo e sentito post.

    P.S.: scusate l'enfasi ma è un genere a cui sono molto affezionato.

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    1. Sono io che ringrazio te per questa precisa disamina, non mi sembra un film schierato politicamente, al massimo un film in cui la posizione di Di Leo è chiara, dici bene è uno spaccato dell’Italia degli anni ’70 con personaggi che parlano come i loro spettatori. Ci sta anche il paragone con Walter White, nel senso di bastardo per cui si fa il tifo, anche se poi i paragoni tra lui e Ugo Piazza finiscono qui. Trovo affasciante come "Le Samouraï” di Melville abbia generato un onda anomala di omaggi che a loro volta sono diventati modelli di riferimento per altri film. Grazie ancora per l’accorato commento ;-) Cheers!

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  6. Per me un Punt'e Mes, non J&B :p
    CAPOLAVORO. Meno male che è rimasto Milano Calibro 9, così ho potuto intitolare la mia tesi di laurea Italia Calibro 9, mica cazzi :)
    Di Leo sublime, un noir-poliziottesco coi controcazzi. Moschin strepitoso.
    Personaggi davvero dell'epoca, come giustamente hai sottolineato tu, parlano come il pubblico.
    Altri tempi, oggi non si farebbe più una cosa così. Fotografavano il periodo, e sono eterni nonostante questo.

    Moz-

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    1. Hai fatto bene a scegliere proprio quel titolo, certe figoserie vanno omaggiate ;-)
      Oggi, specialmente nei film italiani, tutti i dialoghi sono eccessivamente impostati, anche se è una tendenza che piano piano stiamo perdendo (penso a roba tipo “Lo chiamavano Jeeg Robot”), Punt'e Mes in arrivo al tavolo, te lo faccio portare dalla bionda ;-) Cheers!

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    2. Vero, una tendenza... che torna al cinema di genere!^^

      Moz-

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    3. Sarebbe anche ora, lo abbiamo saputo fare per anni ;-) Cheers

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  7. Di Leo è uno dei miei registi preferiti e mi fa piacere vedere un suo film assurgere al rango di Classido. Spero che ci saranno altre assurgizioni (ok, mi fermo qui) :-))

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    1. Bongustaio ;-) Potrebbe anche accadere non lo escludo, questo non poteva mancare, è uno dei miei preferito di Di Leo, ma anche il primo titolo a cui ho pensato per rendere omaggio a Gastone Moschin. Cheers!

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  8. E' uno di quei film di cui ho sempre sentito parlare ma che non ho mai avuto modo di guardare. Mi sa che prima o poi bisognerà recuperare...

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    1. Vale la pena, anche per fare i conti con una bella fetta del nostro cinema ;-) Cheers

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  9. grande cassidy-

    grazie.

    secondome milano calibro 9 è uno dei più bei film di tutti i itempi nella storia del cinema.

    un capolavoro

    rdm

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    1. Grazie a te, prima o poi questo film era destinato a finire qui sopra, mi spiace che l'occasione sia delle meno felici. Ma é davvero un film clamoroso ;-) Cheers!

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  10. ci credi che ancora questo lo devo vedere? Ma prima o poi me lo guarderò xD

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    1. Vale la pena, anche solo per fare i conti con una fetta molto grossa del nostro cinema. Cheers!

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  11. Ancora un altro film da recuperare...Ma quante ne sai Cass? ;)

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    1. Vado a momenti ;-) Te lo consiglio, penso che potrebbe piacerti. Cheers!

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  12. Mai visti i poliziotteschi italiani,a casa mia non avevano successo,e dopo grande, la lista di roba più di mio interesse da recuperare si è fatta assolutamente ipertrofica XD
    Gastone lo ricordo solo in Amici miei!

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  13. gran film, ma porca di quella eva, io dopo aver visto "don camillo e i giovani d'oggi", gastone moschin non riesco più a prenderlo sul serio in ruoli impegnati.

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    1. Così a memoria, direi che mi manca, forse è meglio così ;-) Cheers

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  14. io sono un grandissimo appassionato della vira e delle opere di guareschi, ma quel film è poco sopra la mediocrità, appena meglio del remake con terence hill.

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