giovedì 26 marzo 2015

Blackhat (2015): le parole NON sono importanti


Nel corso degli anni sono diventato un Manniano convinto, non è sempre stato così, anzi un tempo i film del regista di Chicago erano quelli che mi colpivano di più ad una seconda visione, per quello consiglio a tutti di rivedersi “Blackhat”, film che più guardo e meno capisco come mai non abbia potuto avere il successo che merita.

Certo essere stato distribuito di m… armellata e pubblicizzato peggio da parte della casa di produzione è la colpa principale, perché per quello che mi riguarda Michele Uomo qui non fa altro che portare avanti la sua poetica, il suo cinema del futuro, infatti di questo parla “Blackhat”, di un futuro che è già qui, utilizzando lo stesso gusto per le nuove tecnologia e lo stesso linguaggio tecnico già sfoggiato in Miami Vice, ma scavando ancora di più nei personaggi, quel fuoco che brucia sotto le cenere in cui le emozioni dei protagonisti non sono urlate, strappalacrime a tutti i costi come Hollywood ci ha insegnato (e abituato), qui il silenzio dello “show, don’t tell” vale spesso più di mille parole, alla fine anche uno come me che parla (poco) e scrive (tanto) può dirsi Manniano, alla fine anche io ho capito, la caparbietà è un valore, Michele Uomo probabilmente capirebbe e apprezzerebbe a sua volta.

"Chiunque non abbia capito è pregato di lasciare il set del mio film"

Il nuovo film di Uommo si chiama “Blackhat” una cosina costata 70 milioni di ex presidenti morti stampati su carta verde. Uscito a metà Gennaio in patria, ha portato a casa 18 milioni e mezzo sacchetti di patatine, praticamente un disastro colossale che ha imbarcato tutta l’acqua sollevata da American Sniper uscito in contemporanea.

Certo, un trailer che racconta tutta la trama, vendendo spudoratamente il film come un action tutta azione, farcito di scene di sesso bollente e  Chris Hemsworth con i pettorali al vento non ha proprio aiutato. Probabilmente la Universal Picture ha affidato la campagna di lancio ad un paio di interinali con il contratto in scadenza, anche perché ti devi impegnare per non riuscire a vendere il nuovo film del regista di Nemico Pubblico, con la colonna sonora di un premio Oscar e uno degli Avengers come protagonista.

Il film ha l’annoso problema di rendere appetibile un film che parla di cyber spionaggio, questo spiega come mai Chris Hemsworth, l’hacker Nick Hathaway, non ha propriamente il fisico del vostro amico Nerd che chiamate quando non funziona più il vostro PC. Anche perché sono sicuro che se tutti i tecnici di computer fossero fatti a forma di Thor, ci sarebbe un boom di signore con il pc non funzionante. Anche se questo dettaglio che ha fatto impazzire "Infernet", viene risolto da Mann in una scena (ovviamente senza dialoghi), Hemsworth prende una pistola, la smonta e rimonta in un secondo ed è chiari anche all'ultimo degli spettatori distratti, che il personaggio non abbia sempre e solo pasticciato con i computer. Ma sapete come funzionano i Social-Così no? Meglio ripetere la frasetta buffa che scrivono tutti, quindi stop! Hemsworth non credibile come esperto di computer, film da bocciare. Perché quando vi fanno vedere che so, Jessica Alba con gli occhiali, da considerarsi bruttina per convenzione cinematografica, quello è credibile? 

"Pronto? Le sono sparite le icone sul desktop? Arrivo subito Signora"

“Blackhat” è un film in cui per tutto il tempo il Wi-Fi funziona sempre (con cinque tacche) la gente digita velocissimo, mentre senza guardare la tastiera ti spiega come ha fatto a violare il mainframe del server, scrivendo il codice del malware uplodato via blutooth utilizzando un RAT. Però, poi, ti fa almeno la concessione di dirti che RAT sta per Remote Administration Toll e non per il protagonista di un fumetto di Leo Ortolani.

"Modifico il getaway, faccio refresh dei DNS, ping dell'IP, modifico la subnet, tutto chiaro no?

Il flop resta inspiegabile perché “Blackhat” è un grandissimo film, con un regista in stato di grazia che riprende il suo discorso cinematografico, ripartendo da Miami Vice dopo la pausa fatta di Fedora e Mitra Thompson di Nemico Pubblico. Per assurdo la trama è ancora più convenzionale di quella di “Miami Vice”, possiamo tranquillamente dire che incarna in sé il concetto di classico.

Quanti film avete visto nella vostra vita, in cui un poliziotto, fa squadra con un criminale, per acchiappare il cattivo di turno e mandargli a zampe all'aria il piano? Di solito tutto questo prevede un accordo di immunità, una bella di turno, rapporti di amicizia virile e onore da rispettare, magari una fuga o una vendetta. Se trovate una storia più classica di questa, sapete dove sono, venite a citofonare ore pasti (citofonare Cassidy). Inoltre lo abbiamo visto fin dai primi capitoli della rubrica, le trame di Mann sono tutte ultra convenzionali, se non addirittura canoniche, ma è il modo di raccontarle di Michele Uommo che le rende grande cinema.

"Hacker, accordo con gli sbirri, cattivone, Boom! Bang! quando iniziamo a girare?"

Letteralmente “Blackhat” è un film di mestiere, una di quelle pellicole fatte dal sarto per il regista a cui è stata assegnata, una storia che incarna già tutti i topoi del filmaker che per tutta la durata del film non fa altro che mettere in pratica i suoi manierismi (o Mann-ierismi, ah-ah). Il piccolissimo problema è che il regista in questione fa tutte queste cose sì, ma al massimo livello cinematografico possibile ad oggi nel 2015, brutto?

Michele Uommo dirige tutto con mano fermissima, fa zoomate che ti portano dentro la scena, proprio accanto ai protagonisti, ti esalta con un semplice campo e controcampo e quando mette su un'articolata scena d’azione, letteralmente ti stampa sulla poltrona lasciandoti giusto la forza di sussurrare «Wow!»

Resterete senza parole (specialmente se siete il proprietario della macchina).

Voi direte: "Sì, ma da un Cyber Thriller io voglio i tecnicismi e i rimandi alla situazione politica". Ci sono! Nel film trovate anche una (didascalica) battuta sull’11 Settembre e un incipit iniziale che ci mostra nel dettaglio, cosa accade ogni volta che qualcuno nel mondo, preme un tasto della tastiera, portandoci letteralmente dentro un pc, volando tra i cavi della fibra ottica, una roba che farà esaltare il vostro amico fanatico di computer (e magari frantumerà le balle a tutti gli altri). Poi il film prende “Armi e ritagli” (CIT.) e va a Giacarta, i protagonisti sono tutti bardati con dei bei giubbottini anti proiettile stilosi e ultra aderenti.

Collezione Primavera-Estate, in Kevlar con comode regolazioni

Che poi non ho mai capito perché nei film hanno tutti 'sti anti-proiettile aderenti, non dovrebbero essere corazzati per fermare le pallottole? Vabbè, diciamo che servono per tutelare gli attori dagli Stuntmen locali incuranti della propria vita, quelli che escono volando dai set dei film di Gareth Evans.

Il film poi vive di non detti, Mann da sempre tratta il pubblico come un essere pensante, quindi evita i classici momenti "spiegone", il passato del protagonista si intuisce anche quando utilizza il metodo collaudato in “The Wire” di “seguire i soldi”. Il film poi ha un buon ritmo, che sale di colpi seguendo i guai dei protagonisti, più si trovano nei casini più il senso di minaccia si fa apprimente (l'apice? Nella scena della metro capiscono di essere proprio nella m... armellata, perché Mann è il profeta delle scene in metro), il tutto con il ritmo che diventa sincopato e trascinante nel finale.

"Come hai fatto a fare tutti quei punti ad Angry Birds?"

Negli ultimi minuti il cambio di passo è netto: i dialoghi diventano secondari se non addirittura inutili, la colonna sonora prende prepotentemente il proscenio e il tutto vola ad un altro livello, tra gli sguardi dei personaggi, i grilletti premuti che generano esplosioni che sul grande schermo risultano maestosi e un cacciavite che silenzioso si fa strada in tutto il finale.

Potremmo stare qui a parlare del fatto che Chris Hemsworth non sia proprio un maestro di espressività, ma di fatto non avremmo davvero nulla di cui parlare, Hemsworth ha due espressioni: con il martello e senza (e mi rendo conto di avergli fatto un ENORME complimento). A livello di casting non è una scelta tanto differente dal Colin Farell di Miami Vice, l’Irlandese era supportato da una trama sostenuta da un romanticismo più smaccato, l’Australiano invece, è un altro dei tanti eroi “Manniani”, anche lui dedito alla sua professione, animato da sentimenti per la protagonista femminile (ennesima bellezza orientale della filmografia di Mann) interpretata da Tang Wei, attrice bravissima, qui perfetta per il ruolo.

"Ti presento Beretta, la sorella incazzata di Mjolnir"

Per tornare al biondo protagonista, possiamo dire che il fisico non propriamente da nerd serve a giustificare il fatto che sappia usare il ferro oltre che la tastiera, l’espressività, diciamo limitata, è sintomatica di un'emotività mai manifesta, il famoso fuoco che brucia sotto la cenere di cui sopra.
Basta guardare come Mann utilizza il suo protagonista che si sofferma furtivo ad ammirare i dettagli del corpo della donna amata. Non faceva la stessa cosa anche il Will Graham (William Petersen) di Manhunter? La poesia del non detto, un romanticismo da duri che si avvicina ai picchi poetici di John Woo, un altro che ha saputo far risuonare le 45 automatiche maestosamente al cinema.

Si vede il mestiere e il metodo del regista, uno stile immediatamente riconoscibile, ma è tutto spinto ai massimi livelli, delle scene d’azione non ho nemmeno voglia di parlare, perché solo quelle giustificano da sole la visione di TUTTO il film, ma è proprio il modo di fare cinema di Michele Uommo che è trascinante. Io ci sono arrivato tardi, ma ora lo so: in un film di Mann per prima cosa bisogna lasciarsi trasportare dalla storia, una volta pennellati i suoi personaggi maschili archetipici, la pellicola prosegue mostrandoci le loro azioni, mettendoli totalmente al centro della storia e portando lo spettatore in prima fila al centro dell’azione.

Prendete un fotogramma a caso di questo film e fatene un poster da appendervi in soggiorno.

Arriva un punto in cui i dialoghi sono inutili e la musica detta il ritmo di tutto. Il mio film ideale di Michael Mann ha quattro dialoghi nei primi minuti e poi è tutto girato di notte, in digitale, senza dialoghi, ma solo spari, metropolitane e motoscafi e, ovviamente, la musica più potente ed efficace di mille dialoghi.

Quando Mann inizierà a fregarsene degli incassi dei suoi film, farà solo pellicole così e saranno tutte una figata. Il pubblico, invece, dovrebbe smettere di pensare che la bellezza di un film sia misurabile in termini di incassi o numero di parole nei dialoghi. Il cinema, quando è fatto come si deve, non ha bisogno di parole, al massimo, ha bisogno di registi come Michael Mann.

Se non l’avete ancora fatto, correte a cercare l’ultimo cinema che ancora passa questo film, se poi sarete soli in sala, tanto meglio per voi. Se invece foste arrivati fuori tempo massimo, avete tempo di recuperare e rivalutare il film con comodo, con la rubrica dedicata a Michael Mann spero di aver fornito un servizio di pubblica utilità Manniana.

12 commenti:

  1. Non lo capiscono più questo modo di fare cinema dove le immagini bastano a loro stesse e siamo tutti felici e beati a guardare lo schermo senza sentirci sceneggiatori.

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    1. Mi limito ad aggiungere “Amen” ;-)
      Quando capita di poter vedere un film che ti dice tutto usando immagini, fotografia, musica, vedi proprio il cinema al suo meglio. Se tutti i Flop sono così, io voglio vedere solo più film che floppano malamente al botteghino in cui parlano pochissimo :D grazie per il commento!

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  2. "Ti presento Beretta, la sorella incazzata di Mjolnir" Questa è degna di Tarantino XDXD

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    1. Eh eh gracias! Avevo scritto un'altra didascalia ma non mi convinceva, poi mi è venuta in mente questa di getto ;-)

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  3. Questo film era stato distribuito non di merda, di più. Ho dovuto inseguirlo letteralmente, in tutta Torino lo davano in un solo cinema e neanche tutte le sere. Ma quanto ne è valsa la pena. Io amo Mann (anche se La Fortezza è abbastanza stupida), ma qui siamo proprio ad altissimi livelli. E le scene della sparatoria e quella finale da sole valgono qualsiasi biglietto/noleggio/abbonamento a Netflix

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    1. A me è successo lo stesso, per altro esiste una versione director's cut, spero prima o poi venga messa a disposizione almeno in home video. Cheers!

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  4. Quindi Ti piacciono Alì e Miami vice?

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  5. Un film che ho visto solo una volta, essendo anche uscito abbastanza recentemente, ma che pur essendo girato molto bene, come (quasi tutti i film di Uommo) non mi ha convinto completamente. Forse come dici giustamente merita una seconda visione, però ho trovato la trama un pò slegata a un certo punto e anche la scelta del protagonista che avrà fatto felici diverse signore, non l'ho apprezzata particolarmente, avrei onestamente optato per un Chris Pine, mi avrebbe convinto di più come nerd d'azione...
    In ogni caso resta comunque un buon film, avercene di questi tempi.
    La memoria poi mi gioca brutti scherzi, avrei detto che la protagonista era la Kreuk. Buon venerdì...

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    1. Beh nemmeno Chris Pine somiglia tanto agli smanettoni informatici che conosco io ;-) Spero che dopo questa rubrica, le tematiche care a Michele Uommo siano un po' più chiare, personalmente ogni volta che rivedo "Blackhat" lo trovo migliore, le critiche alla trama le comprendo sempre meno, buon venerdì anche a te ;-) Cheers

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  6. L'ho rivisto qualche mese fa, 3° o 4° visione, ma ci ho trovato molti più difetti che in passato. Diciamo che ho capito meglio cosa non funziona.
    C'è una cifra di scene che sono Manniane al 100%, magnifiche per gli occhi e per le orecchie MA al film manca qualcosa nel complesso.
    Il film si ripete in 2-3 passaggi e fatica nella parte centrale. Esempio: la sequenza dell'hacking ripetuta 2 volte, con tutte quelle lucine sfrigolanti che corrono lungo il cavo. Ok la 1°, poi anche no. Le scene nella centrale nucleare, ci sono situazioni/frasi già sentite in precedenza. La scena a letto con quelle due frasi lì buttate sul rapporto padre figlio, si vede che doveva essere una scena più lunga e più intima tagliata malamente. Anche l'apparizione del villain rimandata ad oltranza toglie parecchio, perchè qui Mann ha rinunciato ad una delle cose che sa fare meglio: creare pathos tra forze opposte che agiscono distanti e infine si scontrano. Il cattivo appare troppo tardi, ed è un personaggio vuoto e monodimensionale.

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    1. Vero, penso però che siano anche frutto dei rimaneggiamenti che Mann non ha gradito. Sulla questione del cattivo penso che il senso di minaccia stesso che grava sui protagonisti sia la nemesi principale, per quello il film funziona perché io quella “gravitas” sui protagonisti la avverto eccome. Cheers

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