mercoledì 6 giugno 2018

La casa di carta - Stagione 1 & 2: Una serie valida quanto una banconota da tre Euro


Ho iniziato a farmi quest’idea in testa, lo so che il fatto che io pensi a qualcosa è già di suo una notizia, però fatemi contento e abbiate la pazienza necessaria per leggere due minuti della mia biliosa riflessione.


L’impressione che mi sono fatto è che se il cinema gioca sul sicuro, proponendo seguiti e remake degli stessi soggetti ultra noti presso il grande pubblico, le serie tv, invece, siano ancora il campo dove sperimentare quelle storie su cui al cinema nessuno punterebbe mai. Ad esempio, avete visto Happy? No, non lo ha visto nessuno finché non è entrato a far parte del palinsesto di Netflix, a quel punto è diventato la serie preferita di tutti, com'era inevitabile che fosse.

Il fumetto da cui è stata tratta Happy, poteva diventare comodamente un film di culto di un’ora e mezza, se qualcuno avesse avuto le palle di produrlo, invece è diventato una serie televisiva con l’obbligo di continuare. Qui arriviamo al problema: le serie tv per loro struttura, sparano in aria cercando di colpire un soggetto che piaccia al pubblico, ma non è per forza detto che quella storia possa continuare per tanti anni, o anche solo funzionare spalmata su tanti minuti, da questo punto di vista, sto aspettando la varco la seconda stagione di Tredici, perché voglio proprio mettere alla prova la mia (stramba) teoria.

Quindi, se da un lato abbiamo serie tv di ottima qualità che vengono chiuse, perché semplicemente non disponibili sulle grandi piattaforme di streaming, dall’altro abbiamo soggetti che potrebbero diventare ottimi film e che, invece, diventano serie tv, ma occhio che qui arriva il problema numero due.

Ammettiamolo, l’immagine promozionale è una bomba!
Sono solo io, oppure anche voi avete notato che qualunque stronzata che Netflix mette sul suo paginone centrale, viene vista da tipo... Chiunque? Che poi lo so, è l’intento di un canale di streaming, il problema è che avere a disposizione TUTTO, ci sta rendendo sempre più pigri nel cercare roba che sia davvero di qualità, a questo aggiungete il tam tam mediatico del passaparola e la frittata è fatta.

I rapinatori di “La casa de papel”, con i loro cappucci rossi e le loro maschere di gomma di Salvador Dalì, mi hanno attirato subito, un Heist movie in salsa spagnola? No, dai, da vedere! Eppure, ci ho messo parecchio prima di decidermi. Più o meno quando TUTTI hanno iniziato a dirmi che “La casa di carta” è come minimo un capolavoro, mi sono convinto.

Com’è andata? Ho divorato i primi tre episodi della prima stagione (faccio riferimento alla divisione in episodi fatta da Netflix), ma già dalla puntata 1x04 il mio entusiasmo è quasi del tutto terminato, mi sono ripreso giusto un po’ con “Bella ciao” e lasciatemi l’icona aperta su questo punto, poi mi sono trascinato con gran fatica fino al finale, anzi lo ammetto candidamente: per una buona porzione della stagione due mi sono fatto anche delle discrete ronfate (storia vera).

“Arrendetevi sono Morfeo! Siete tutti miei prigionieri!”.
Il soggetto, come dicevo, non è bello, è micidiale! Un tizio occhialuto che si fa chiamare “Il professore” (Álvaro Morte e qui mi viene voglia di citare i Monty Python, ma cercherò di trattenermi) raduna una banda di gatti senza collare notevole, per cinque mesi tra le campagne di Toledo, si allenano per mettere a punto un piano che il professore ha impiegato una vita intera per mettere a punto. Un piano che fin dal primo episodio ci viene venduto come perfetto, senza che poi la serie ci dimostri con i fatti che è davvero così, ma andiamo per gradi.

I rapinatori sono uno più spiantato dell’altro, ognuno scappa dai casini della sua vita e sono tutti stati scelti per svolgere una funzione, invece di avere i nomi dei colori come “Le Iene” di Tarantino "Il colpo della metropolitana" (The Taking of Pelham One Two Three, 1974), hanno nomi di città, la regola sarebbe quella di non avere nessun rapporto personale tra di loro, ma dopo un minuto di puntata scopriamo che è la prima (di tante) cazzate di questa serie, perché “Mosca” (Paco Tous) e “Denver” (Jaime Lorente) sono padre e figlio, quindi tanti saluti ai rapporti personali.

Anche un ottimo modo per ripassare un po’ di geografia ora che ci penso.
Tra i più coloriti del gruppo, di sicuro “Berlino” (Pedro Alonso) maniaco del controllo dai modi da serial killer, “Nairobi” (Alba Flores) esperta di banconote false e comica del gruppo, ah poi ci sono i miei preferiti “Olso” ed “Helsinki” che più o meno nella serie vengono caratterizzati così: sono quelli con la barba. Fine della caratterizzazione dei personaggi. Ah sì, poi ci viene accennato che uno dei due è gay, ma anche se ci avessero detto che è una fatina delle favole, non sarebbe cambiato una beneamata per il personaggio.

Quella forse più in vista di tutti però è “Tokyo”, forse per il semplice fatto che è interpretata da Úrsula Corberó che, poi, è quella con il compito di essere la gnocca di turno, niente da dire, compito che svolge alla grande, peccato che il suo personaggio sia una cagaminchia di prima categoria. Persino quando va tutto bene per i rapinatori, Tokyo trova sistematicamente dei modi stupidissimi per non rispettare le regole del professore mettendo in pericolo non solo tutta l’operazione, ma anche i suoi compagni, compreso “Rio” (Miguel Herrán) l’esperto di computer di cui è innamorata.

John Woo perdonali, perché non sanno quello che fanno.
Un personaggio davvero assurdo, sembra la “Bastian contraria” per il puro gusto di esserlo, non perché abbia delle vere motivazioni per farlo, ma direi che tutto questo rientra nei tanti passaggi a vuoto della sceneggiatura che tutto mi è sembrato, tranne al livello del capolavoro di cui ho sentito parlare in giro.

Di fondo, “La casa di carta” è un’idea davvero ottima, perché il piano del Professore non prevede di portare via tutti i soldi dei poveri contribuenti spagnoli, quanto piuttosto una missione con obbiettivi ben più alti: stampare 2400 milioni di Euro di bancone nuove di pacca, con cui fare un “Iniezione di liquidità” nelle tasche della banda. Ma per stampare tutti quei biglietti ci vuole del tempo ed è qui che il “Piano perfetto” dovrebbe rivelarsi tale, il Professore avrebbe già pianificato tutte le mosse della polizia e le relative contromosse, l’obbiettivo è quello di barricarsi dentro la zecca di Stato e far perdere più tempo possibile alla polizia, in modo da porte spingere le rotative al massimo e stampare il malloppone. Figo, no? Molto, peccato che la realizzazione, la scrittura e la recitazione non siano affatto all’altezza di una premessa così.

Su di lei, vi lascio nelle mani del massimo esperto mondiale del settore.
Per prima cosa, ho trovato ridicolo il fatto che la banda abbia fatto tutto sto casino, per stampare milioni di Euro in banconote da 50, perché non stamparli subito in banconote da 500 e risparmiare dieci volte il tempo necessario per farlo? Berlino in una riga di dialogo ci spiega che le banconote da 500 sono volgari e le usano solo i Russi in vacanza. Fine della spiegazione. No, ma sul serio gente, di cosa stiamo parlando?

“Ho avuto un’idea, stampiamo quella da 5 Euro e facciamo durare la serie dodici stagioni”.
L’idea di perdere tempo della banda, si riflette su noi spettatori, “La casa di carta” o come lo ha brillantemente etichettato la mia Wing-woman “la casa di carta da culo”, sembra una di quelle soap opera argentine per come è recitata (e pure scritta), i personaggi sono scritti con l’accetta e le svolte sono spesso grossolane e senza logica.

Tutto il passato dell’ispettrice Raquel Murillo (Itziar Ituño) la poliziotta a capo dell’operazione per sgominare la banda è scritto a tirar via, Raquel ci viene mostrata come una donna che deve sgomitare in un mondo di uomini, una che ancora vive nell’incubo di un ex marito violento e con il terrore che gli possa portare via la figlia. Proprio Raquel dovrebbe essere la sabbia nell’ingranaggio ben oliato messo su dal Professore che gioca al gatto con il topo via radio con lei, ma dall’altra parte se ne innamora.

Sono l’unico che trova Nairobi più sexy di Tokyo? Si vero? Ok la smetto.
Non aiuta nemmeno il fatto che Itziar Ituño sia tipo cento volte più carismatica di Álvaro Morte, che tutto sommato, ha il carisma di Topo Gigio (non so come si dica in Spagnolo, forse Rata Gigio), no sul serio: Salvador Martín il Professore, l’uomo senza passato e dalla doppia vita dovrebbe essere scritto e interpretato al livello del Walter White di “Breaking Bad”, dovrebbe essere un cattivo per cui fare il tifo, uno che con astuzia, voglia di farla sempre franca e carisma, si conquista il pubblico.

Sulla carta dovrebbe essere un "Gualtiero Blanco", in pratica è solo uno con gli occhiali.
Invece, il più delle volte il Professore riesce a fregare la polizia, ma la serie è scritta talmente male che più che per una sua manifesta superiorità intellettuale, sembra per stupidità da parte della polizia spagnola. E non fatemi nemmeno iniziare a parlare dell’odioso Arturo Román (Enrique Arce) personaggio che parte come uno stronzo che sfrutta tutti per arrivare ai suoi fini, si evolve in uno stronzo più grosso e termina il suo arco narrativo come un enorme stronzo urticante che non è chiaro perché sia protagonista di così tante scene, visto che bastardo era e bastardo rimane fino alla fine.

Inoltre, lo so di essere a mia volta un gran rompicoglioni, ma porco mondo! La voce narrante dovresti saperla usare, sapete come NON si usa la voce narrante? Non la si usa per descrivere scene che sono già state spiegate con i dialoghi e con le immagini. Sapete cosa fa la voce narrante in questa serie? Bravi! Sottolinea l’ovvio, ripete quello che abbiamo visto un minuto prima sullo schermo risultando odiosa e ridondante almeno quanto Arturo Román.

No sul serio, quanti scapperebbero davvero da una poliziotta così?
Quello che ho trovato ridicolo è il modo in cui, per gran parte di questa serie, nessuno muore. No, sul serio, ci saranno cinque o sei momenti in cui un personaggio chiave rischia la vita, oppure viene dato già per spacciato ed invece, come per “Magilla”, lo ritroviamo quasi sempre vivo e vegeto, questo anche a scanso della credibilità degli eventi e della storia. L’idea che mi sono fatto, mentre guardavo gli episodi, è che questa “Fiction” (nel senso più dispregiativo del termine) andasse in onda sull’equivalente spagnolo di Rai Due, quindi non potesse mostrare morti e violenza in prima serata, dopo una breve ricerca ho scoperto che in Spagna va in onda su Antenna 3, quindi ogni tanto qualche teoria l’azzecco pure io.

Alla faccia dei tanti cori di “Capolavorò” a me questa serie è sembrata poco più di uno sceneggiato tedesco con la differenza che per lo meno i Tedeschi le scene d’azione le sanno girare, mentre “La casa di carta” può vantare alcune delle scene d’azione più ridicole viste di recente in una produzione di tale visibilità.

Per questo colpo avremo bisogno di un piano e di una buona dose di… fortuna!
Non c’è un singolo attore in tutta la serie che abbia idea di come si tenga in mano un’arma, l’apice è Úrsula Corberó, ma lei è un caso a parte, ogni volta che viene inquadrata è così impegnata a spararsi le pose che più che davanti alla macchina da presa, sembra di stare guardando il suo profilo Instagram. Ma è proprio la qualità delle scene d’azione a far venir voglia di colpirsi il volto a ripetizione nell’universale gesto del Facciapalmo.

Era dai tempi dell’A-Team che non vedevo le scintille sulle pareti per simulare i proiettili esplosi e non mandati a segno e, allo stesso modo, i protagonisti, in faccia alla logica, riescono, se la trama lo richiede, a passare attraverso nuvole di proiettili senza nemmeno un graffio, anche se a sparargli addosso hanno tre (e dico TRE) cecchini e un’intera squadra di polizia in tenuta anti sommossa.

“Non ho idea di quello che sto facendo!” , “Tranquilla, anche il regista”.
Poi, io posso capire tutto, ma proprio tutto, la poca esperienza, i limiti del canale televisivo, però almeno abbiate il buon gusto, se state mettendo in scena uno spettacolo indecoroso come questo, di NON usare come sottofondo musicale alla scena di rapina andata a buon fine, l'Inno alla gioia di Beethoven, no sul serio? Sul serio pensate di potervi permettere di citare Trappola di cristallo ed uscirne impuniti? Vergogna, anzi, Vergüenza!

Ma dove “La casa di carta” manca il bersaglio di svariati metri, è quando cerca di giocarsi un sotto testo politico che sulla (casa di) carta, sarebbe anche molto interessante, peccato che sia realizzato in modo imbarazzante. Il Professore e i suoi si sono autonominati la resistenza, il loro piano è una stoccata al sistema capitalistico che rende schiavi tutti, motivo per cui, con adorabile accento spagnolo, i nostri rapinatori rosso vestiti (e mi rendo conto fare parte di un grande METAFORONE) cantano “Bella ciao”.

Pure la canzone ci hanno scippato.
Peccato che la grande critica al Capitalismo del Professore si riduca ad una linea di dialogo con lo spessore morale di un commento sul Faccialibro dei classici “Indignados” da Social-cosi, una roba del tipo: "Lo sai che il governo ha stampato dei soldi??? VERGONIAAAA condividi se sei indignato". No, sul serio, io vorrei stare esagerando, ma le motivazioni del personaggio sono più o meno di questa caratura ed è ancora più assurdo che sulla base di un discorsetto del genere, riesca anche a far cambiare bandiera a personaggi che fino ad un minuto prima sarebbero stati pronti a dare la vita per fermare il suo piano.

Cosa salvo di questa serie? Un cosa sola, così chiudo anche l’icona lasciata lassù aperta: salvo proprio “Bella ciao” che sarò pure di parte (e tranquilli, lo sono), per me dovrebbe essere l’inno nazionale di questo strambo Paese a forma di scarpa, altro che quella mazurca che dice “Siam pronti alla morte”, gli Italiani non sono pronti alla morte quasi per niente, se non quando le cose si fanno dannatamente serie e allora non si scherza più. Proprio per questo “Bella ciao” è un po’ troppo bella per fare la sua presenza in una serie scritta così male, poi apprezzo l’uso fuori contesto della musica, quindi siete perdonati amici spagnoli, ma il prossimo che viene a dirmi che questa serie è bella bellissima, lo costringo a vedere tutte le scene d’azione di “La casa di carta” in stile “Cura Ludovico” e con l’Inno alla gioia come sottofondo, ok?

28 commenti:

  1. Io l’avevo iniziato con una discreta fotta più o meno per gli stessi tuoi motivi (“Ah! Che capolavoro Zio! Miglior serie di sempre!”). Ed effettivamente i primi episodi sono tanta roba ma poi... Inchiodato all’eposodio 6 (o 7? O 8? Manco mi ricordo...) e non ho più voglia di continuare. Peccato...

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    1. I primi tre, quando alla fine del primo episodio sono già dentro la zecca di stato ho pensato che la serie avrebbe potuto essere davvero una bomba. Al questo episodio ero già spalmato tipo formaggio molle con il divano a fare da cracker.

      Per una volta, ci vorrebbero gli americani a rifare la serie sui loro canali, con i loro attori e magari qualcuno che sa come si dirige una scena d’azione. Oppure meglio, un film di due ore all’altezza del bel soggetto iniziale e morta lì. Cheers!

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  2. Io ho sempre detto che se mettessero Don Matteo o L'ispettore Barnaby su Netflix ci sarebbe gente che griderebbe al capolavoro :D IO sento parlare tutti de Sta casa de papel, la canzone è figa (non Bella ciao, un altra..) il resto non so!

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    1. Sai che credo che su Netflix “Don Matteo” ci sia sul serio? ;-) Forse la comodità di avere tutti gli episodi a portata di click ci ha resi pigri, ma la mia idea di una serie bella è una fatta diversa da questa “La casa de papel”, sono un cagaminchia lo so :-P Cheers

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  3. Guarda, stesso tuo pensiero: tutti a dirmi che è un capolavorò, eppure non mi sono ancora deciso a cominciarla. Forse il mio sesto senso del "non perdere tempo con cose così così quando ci sono tante cose belle che voglio vedere davvero" per una volta ha funzionato. Dopo la tua recensione, sono molto più convinto a non iniziarla nemmeno. Perché sprecare delle ore a vedere una serie, quando c'è Cassidy a farlo per me? ;-)

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    1. Offro un servizio di pubblica utilità ;-) Scherzi a parte, qui sopra trovi sempre il mio parere, argomentato il più possibile, se riesco ad evitare una “pallottola” a qualcuno ne sono ben felice! Cheers

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  4. Carabara, condivido in toto quanto dici della voice over che a volte pialla un film - probabilmente una delle ragioni del floppino del Lord Jim del 1965 anche se erano le parole di Jay Conrad - ed a volte lo rende music for the masses - è noto che il pubblico delle prime proiezioni di prova usciva da Blade Runner senza aver capito in toto il plot - e ti dico anche che sono abbastanza vecchio da aver letto comics con vignette in cui i personaggi sono curvi sotto la violenza di un temporale di scala William Turner e la dida recita: piove. Sono stato così provato da voices over come quella che hai descritto che da anni sto ritoccando il plot di una miniserie che credo e spero presto vedrai via una di quelle piattaforme che spacciano donmattei e Dalì di gomma perchè desidero che la mia" Casa di Carta di Riso di Bambola Gonfiabile " sia un successo ed un apripista. So che non ami gli spoilers e quindi ti anticipo solo qualche dettaglio: Barbie Ibsen si comporta come una svalvolata per far dimenticare al mondo un passato di professoressa del centro sperimentale di cinematografia di Nuova Tokio durante il quale ha imposto un modello culturale riassumibile nel motto " Pianta il chiodo fino a che la punta non ha trapassato il legno " ma un chierico matto di classe Rasputin la scopre e la ricatta perchè studi il modo di entrare in un casino di Nuova Las Vegas e sostituire tutte le monetine delle slot machines con monete di cioccolato e provocare una epidemia di diabete. La sua posse di disperati si fa chiamare Modena City Ramblas. Ciao ciao.

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    1. Ecco mi manca “Lord Jim”, dovrei proprio recuperarlo quello, mentre “Blade Runner” è sempre un ottimo esempio di “Voce narrante sì o voce narrante no”. Sarà quello? Sarà che abbiamo letto tanti fumetti, quindi sappiamo che la voce narrante è una cosa seria?

      Ma è già disponibile su Netflix? No perché mi sembra già un capolavoro, ma vero questa volta! Anche solo per i Modena City Ramblas e il diabete galoppante dato dalla febbre del gioco ;-) Cheers!

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  5. Ma infatti Cass....perchè mai ormai OGNI cosa deve per forza diventare una cavolo di serie TV???
    Non si potrebbe tornare al dono della sintesi e del non perdersi in cazzate del linguaggio puramente cinematografico??? Va beh che io in genere (con qualche eccezione ovviamente) detesto la serialità dei cosiddetti Show TV,ma che cavolo,il cinema che fine sta facendo???

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    1. Mi sembrava che “Happy!” fosse un esempio perfetto, ma anche questo “La casa di carta” avrebbe potuto diventare un heist movie come si deve (qualcuno ha detto “Inside man”?) senza perdersi in chiacchiere. Ha ragione Lucius, il cinema dal 2000 in poi è morto, ma temo che pure le serie tv stiano iniziando a non sentirsi troppo bene. Questa mia bislacca teoria sulle serie continua (in parte) prossimamente con un altro post a tema. Cheers!

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  6. Sono d'accordo su tutta la linea, anche sul maggior appeal di Nairobi. Con tutti quei plot twist alla come viene viene mi ha ricordato un po' la parte peggiore di Prison Break. Però lo ammetto, mi ha divertita parecchio, più involontariamente che altro, e mi ha dato una grande lezione: per le cose serie bisogna chiamare i serbi.

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    1. Da appassionato di basket so che con i serbi non si scherza, oh vero, la parte peggiore di “Prison Break” con i morti non morti (ma non zombie) che tornano e altri colpi di scena messi su a casaccio, il paragone ci sta tutto. Uh-uuhhh! Metto a referto un’altra partecipazione al club Nairobi > Tokyo, è un trionfo, per ora siamo ben in due! :-D Cheers

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  7. Concordo con StepHania, la serie mi ha intrattenuto parecchio al netto di ovvie forzature di trama, buchi di sceneggiatura e momenti morti, ha aiutato il fatto che molti dei rapinatori e altri attori recitino molto bene, Nairobi, Berlino, Denver sono carismatici da far paura e sì, confermo che Nairobi mi eccita più di Tokyo, la seconda è indubbiamente più bella, ma la prima è più sexy e molto più carismatica.

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    1. Nei primi tre episodi ero piuttosto galvanizzato, poi davvero mi ha smontato, ammetto di essermi fatto pure delle gran dormite, il che non è mai un male ;-) Tre! Ecco il terzo “Nairobi > Tokyo” siamo una folla ormai! E grazie perché hai anche argomentato la ragione del vantaggio, proprio per come la intendo io. Cheers

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  8. Beh.. grazie. Mi hai evitato di buttare via del tempo.... spiace non poter vedere Ursula Corberò ma ne posso fare una ragione. Comunque quando sento cantare dagli stranieri le nostre canzoni "popolari" a me di solito girano i maroni.

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    1. Prego figurati, proprio per quello ho inserito l’immagine “a posteriori” della Corberò, perché riassume non solo il suo contributo alla storia del piccolo schermo, ma anche la parte migliore della sua presenza in scena. Guarda all’inizio un po’ pure a me, mi sono ritrovato a pensare: «Ma tu guarda se dobbiamo farci scippare le nostre canzoni» Ma è durata poco, circa due secondi, poi mi sono fatto prendere, non dall’orgoglio nazionale (di cui sono geneticamente sprovvisto) quando dalla mistica del pezzo ;-) Cheers

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  9. Sembra incredibile, ma stavolta devo dare ragione all'italiano medio!
    Quando TUTTI mi dicono che una serie è bella di solito non la inizio nemmeno (tipo Camminamorti, Giocotrono, Housecards e via dicendo) e stavolta non ho fatto eccezione. Visto però che non avevo serie sottomano ho provato a vedere l'episodio pilota e manco lo ricordo. Solo dal secondo è incominciato a piacermi e alla fine mi ha incastrato: mi è sembrato di tornare alla prima stagione di Lost, quando non volevo andare a lavoro perché volevo rimanere a casa a guardare altri episodi!
    La serie mi ha tenuto inchiodato fino all'ultima puntata. I difetti che citi ci sono tutti, ma davvero non ci ho fatto caso. In mezzo al minestrone di tramette ovvie e banali che infestano la TV, coi suoi personaggi di cartone, qui siamo ad un livello davvero superiore.
    Per me il Professore è il personaggione dell'anno, e Berlino il cattivo definitivo: quello peggiore, quello che non lo sembra, quello che aiuta le vecchiette ad attraversare la strada prima di uccidere qualcuno.
    Mi manca da morire, e spero di poter beccare un'altra serie spagnola, visto che conosco pochissimo quella TV.

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    1. Sulla forza dei personaggi come il Professore e Berlino non ho dubbi, il problema è che mi hanno proprio tolto ogni fantasia, vederli recitare dei passaggi di trama a casaccio. Il discorso finale del Professore a Raquel avrebbe dovuto convincere anche me, della bontà della sua crociata, invece mi sono ritrovato a pensare: No sul serio? Questa è la tua spiegazione?

      Così come lo stesso Berlino, che ogni volta che fa una mossa che lo fa sembrare un Norman Stansfield, un attimo dopo fa una roba di pura scemenza, imputabile ad uno sceneggiatore scarso. Insomma non mi ha preso davvero mai, ed è un peccato, perché ci vedo una bella storia e dei bei personaggi, affogati dentro il pressapochismo. Cheers!

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  10. A me manca l'ultimo episodio della seconda stagione, ma non ho voglia di vederlo.
    Aspetto il tuo commento sulla seconda stagione di Tredici, che per me è un grossissimo Facepalm in ogni suo episodio.
    Bella Ciao è il punto più alto di questa serie insieme al ben di Dio di Tokyo, però ti confesso che la serie a me ha divertito anche per via del ritmo piuttosto serrato.
    Detto questo, i limiti che citi li trovo pertinenti ed oggettivi.
    Per me avrebbe dovuto durare una sola stagione.

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    1. Ho ancora i segni di dita in faccia per i tanti Facciapalmo, tranquillo, arrivo con il post a breve ;-) Concordo sugli apici della serie, l'idea del soggetto è ottima ma ha davvero troppi episodi per perdersi dentro se stessa. Cheers!

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  11. Passo al volo per farti gli applausi sull'inizio del post, non ce la faccio più a sentire gridare al miracolo alla prima cagata che mettono su Netflix, da 13 reasons why a The end of the fucking world a strangers things (che non è esattamente una cagata ma sicuramente non è un capolavorò). A questo punto o sei The Wire, anche se ormai quelli sembrano essere standard lontanissimi per la tv, o è meglio concentrarsi su un formato tipo la miniserie, così almeno non va tutto in vacca puntata dopo puntata. Infatti per ora per me la serie migliore di quest'anno è The terror, 10 puntate e stop

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    1. Oh cacchio, se dobbiamo parlare di capolavori, che siano dalle parti di "The Wire" altrimenti è come gridare al lupo al lupo, dopo un po' non ti crede più nessuno. Hai detto "The Terror"? Resta da queste parti ho due navi (incagliate) nel ghiaccio in arrivo ;-) Cheers

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  12. Ma poi perché bellaciao in una serie spagnola?
    Comunque ultimamente ne sento parlar male/tiepidamente (caso tuo), mentre prima sembrava la serie del secolo.
    Boh.

    Moz-

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    1. I protagonisti si auto definiscono la resistenza (contro ILSISTEMA, scritto così), quindi cantano una canzone di resistenza, è una delle poche cose logiche della serie ;-) Questa volta tocca a me fare quello che abbassa i toni, anzi i tonni ;-) Cheers

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  13. Sono a pochi episodi dalla fine della prima parte e devo dire che a me invece sta piacendo parecchio. Costruisce la tensione in maniera eccellente e trovo i personaggi interessantissimi. Vedremo poi come andrà avanti.

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    1. Credimi sono contento che ti stia piacendo, ma mi rendo conto che hanno attratto la mia attenzione più i fili che muovono il burattino piuttosto che il suo balletto, se mi passi l’ardita metafora. Cheers

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  14. Io non ho visto nemmeno una puntata, ma a volte devo fingere di averlo fatto perché amico di Poga, l'attore che fa Gandia e anche di uno degli scenografi e quindi quando mi menzionano cose della serie annuisco con espressione di chi la sa lunga e via.

    Trovo curioso che la serie abbia fatto molto più successo all'estero che in patria, in Italia per esempio fa proprio faville! E in Asia! Chissà perché...

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    1. Nessuno è profeta in patria dicono, o in Spagna in questo caso ;-) Cheers

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