Riusciremo mai in questo strambo Paese a forma di scarpa, a liberarci dall’ossessione del sottotitolo a tutti i costi? Ne dubito fortemente, se non altro ci pensa Netflix a sopperire ad un’altra italica mancanza, quella della distribuzione di certi titoli, con buona pace di Pedro Almodóvar e Christopher Nolan.
Se non bastasse
la locandina inutilmente ammiccante, ci mettiamo anche l’utilissimo
sottotitolo, che distrae dal titolo, la doppia X dei cromosomi, che come tante
puntate di “Siamo fatti così” ci insegnano, sono quelli femminili, perché
questo film, oltre ad essere un horror antologico dove ogni episodio è diretto da una
donna.
Parliamo subito
dell’elefante(ssa) al centro della stanza, non credo che l’Horror sia un genere
ad appannaggio esclusivamente maschile, non credo che nessun genere
cinematografico sia vincolato ai cromosomi di chi dirige, basta dire che due
degli horror più riusciti degli ultimi anni come Babadook e l’ottimo Raw,
sono stati diretti da due donne, volete sentire la mia? Non è questione di
sesso, ma di talento.
Elefante(ssa) al
centro della stanza, secondo estratto, “XX” mi ha attirato più per la sua
natura antologica, che per il sesso della sue registe, quando si tratta di
Horror (e non solo) sono per le pari opportunità, se sai raccontarmi una bella
storia di paura, con me sei sempre il benvenuto o la benvenuta, proprio per
questa ragione, trovo un po’ palloso il fatto che un antologico Horror con
quattro episodi diretti da solo donne, si traduca in un clamoroso tre su
quattro a tema maternità, eh che palle cacchio!
Tutto il discorso
sui generi e poi mi fate un film che per tre quarti parla di maternità, come a
ribadire un non detto per cui una regista donna possa solo trattare questo
tipo di tematiche, quindi mettiamola così: sono sicuro che qualcuno più
motivato di me potrebbe usare questo film come esempio di una Hollywood brutta,
sporca, cattiva e fallocentrica che impedisce a registe di talento di dirigere
produzioni di livello, però se poi tre corti su quattro sono a tema maternità,
sembra un po’ come continuare a fissarsi l’ombelico, oppure io e Roxanne
Benjamin non ci abbiamo capito niente di tutta l’operazione, io perché non
capisco l’universo femminile e la loro spiccata sensibilità si contrappone al
mio gretto materialismo maschilista (cit.) e Roxanne perché ha diretto un
segmento che è uno slasher veloce veloce e, quindi, si è tagliata fuori da sola
dal tema maternità.
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Gli intermezzi con le bambole per nulla inquietanti, no no. |
A fare da
collante ai quattro episodi, troviamo una presentazione con bambole animate in
stop-motion, appena appena inquietanti, diretta dalla specialista
dell’animazione a passo uno Sofìa Carrillo e se già pensate che le bambole di
loro possano essere spaventose, aspettare di vedere quelle della Carrillo, poi
ne riparliamo.
The Box
Diretto da Jovanka
Vuckovic, che al suo attivo ha parecchi cortometraggi e, per altro, si vede,
perché è quella che tra tutte sfrutta meglio il formato antologico, capace di
mantenere l’efficacia della storia, senza perdersi in lungaggini inutili.
La storia è
semplicissima: la mamma Natalie Brown (specialista, visto che fa la
madre-strigoi del piccolo cagacazzo protagonista anche in The Strain) sta tornando a casa con i
figli in metro, quando il piccoletto incuriosito da una scatola che un signore
tiene in braccio, deve per forza guardarci dentro. Ah, ma allora vedi che la
Brown deve per forza interpretare la parte della madre di un bambino
rompicoglioni?
Insomma, il bimbo
guarda dentro la scatola e quello che ci vede dentro lo turba così tanto che
decide di smettere di mangiare, anche se i giorni di susseguono scanditi da
scritte che appaiono a pieno schermo (come in Shinning, infatti il bambino si
chiama Danny) e le leccornie non mancano, oddio leccornie, abbiamo prima le
“Spaghetti Meatballs” il tipico piatto italiano (secondo gli americani), poi la
serata Thailandese a portar via e poi quella nduja e soppressata con cipolle
soffritte.
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Così impari a farti i fattacci tuoi la prossima volta! |
Qui si aprono
svariate possibili chiavi di lettura, dette anche METAFORONI, sì, perché
possiamo vederci l’ansia di una madre di perdere i figli, oppure il suo
sacrificio (rappresentato da un scena onirica granguignolesca che è anche la
più riuscita di tutta il film), ma anche l’ineluttabilità del caso, fate voi,
perché “The Box” è aperto a tutte queste interpretazioni e anche a molte altre
che sicuramente non ho notato, senza mai prendere veramente una direzione, se
non quella che mamma Natalie Brown è un po’ stronza, perché comunque mentre
vede il figlio deperire, continua a minimizzare e mangiare senza farsi troppi
problemi.
Risultato finale:
un ottimo inizio, una regia davvero buona, la scena più horror di tutto il
film, ma tutto questo serve a poco se poi quando tiri mandi la palla un metro
sopra il tabellone del canestro e poi, magari, qualcuna più espressiva di Natalie
Brown avrebbe aiutato.
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Sempre il ruolo della mamma modello le tocca poveretta. |
The
Birthday Cake
Il secondo
segmento devo dire che mi è piaciuto molto di più, anche se il tono più che
Horror è quello di una commedia nera (nerissima), tutta a tempo di musica, sarà
perché alla regia troviamo St. Vincent che io pensavo fosse il liceo di Lebron
James, in realtà è una musicista con il pallino della regia che qui esordisce
dietro la macchina da presa, infatti il risultato finale è qualcosa che sta tra
la video arte e il videoclip.
Mary è una mamma
molto protettiva, tutta presa dalla festa di compleanno della sua bimba, poco
importa che il marito abbia passato la notte fuori, anzi che sia tornato a casa
senza clamore, ma che sia pure morto per cause misteriose nel suo studio.
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Nessun panda è stato maltrattato durante la realizzazione di questo film. |
Malgrado la
presenza di dialoghi, il segmento potrebbe funzionare davvero come un video
musicale, sapete che altro funziona? Melanie Lynskey che da sola fa salire di
un paio di punti percentuali questo segmento. Oh, lo ammetto, sono di parte, perché
da quando l’ho riscoperta in I Don't Feel at Home in This World Anymore ora ne sono dipendente e la vorrei vedere in
tutti i film, anzi, ho scoperto che reciterà nella serie Kinghiana di prossima
uscita “Castle Rock” cosa che non può che rendermi felice.
Melanie Lynskey è
fantastica, capelli come una che è appena scesa dal letto (cosa che per altro
sarebbe nella storia), vestaglia con cui non ti fai vedere dagli ospiti, anche
se poi, per far passare una bella festa alla figlia, deve interagire con una
serie di personaggi, tra cui un Panda Rap che da solo vince tutto. Poi è
talmente brava che a St. Vincent basta un primo piano su di lei e farci capire
tutti i futuri traumi della bambina. Ridendo e scherzando, il segmento meno
Horror nell’immediato, ma quello più spaventoso sulla lunga distanza, se per spaventosi
intendete i traumi che solo una mamma può regalare.
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Melanie per quanto mi riguarda è l'MVP di tutto il film. |
Don't Fall
Roxanne Benjamin
è una specialista degli antologici horror, il suo nome compare in tutti i tre
film della serie V/H/S, ma anche in Southbound.
Qui Rossana Beniamino decide che delle maternità gli fotte sega, quindi
preferisce una storia di campeggiatori a cui manca il sale in zucca, alle prese
con un demone messo a protezione di una zona un tempo appartenuta ai nativi
americani, o forse a qualcuno che viveva lì ancora prima.
“Don’t Fall” è
facile, semplice e veloce, le creature mostruose sono ben fatte, il sangue non
manca e anche se a fine visione non ti resterà assolutamente nulla di questo
segmento, è quello più horror in senso classico, la manina della creatura che
spunta dal vetro del camper, insieme alla scena onirica di “The Box” è uno dei
momenti più riusciti di tutto il film.
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Aspirante carne da macello in arrivo! |
Her Only
Living Son
Karyn Kusama ci
racconta di mamma Cora (Christina Kirk) e del suo figliolo prossimo alla
maggiore età Andy (Kyle Allen) che si comporta in maniera sempre più strana,
ma non per via degli ormoni, sta di fatto che ogni sua bravata (grondante sangue)
viene giustificata anche a scuola, dove il ragazzo è tenuto in altissima
considerazione.
Potrei fare un paragone
con un titolo horror molto molto famoso, ma di fatto vi racconterei anche l’unico
colpo di scena di una episodio ben fatto, ben recitato, almeno fino al monologo
finale dove mi sono cadute, mi sono cadute… Vabbè, diciamo che mi sono cadute,
ecco.
Quello che posso
dirvi, senza rovinarvi la visione, è che il papà di Andy sta ad Hollywood (metaforone!)
e non si è mai curato di moglie e figlio (allarme metaforone! Correre ai bunker
di sicurezza!), quindi tutti si risolve con questa trovata che sgonfia tutte le
premesse, risultato: Karyn Kusama che della rosa di regista è sicuramente la più
famosa, continua la sua striscia di produzione ondivaghe inizia (Benissimo!) con
“Girfight” (2000), continuata (molto male!) con “Æon Flux” (2005), andata
avanti (disastrosamente) con “Jennifer's Body” (2009) e tornata in carreggiata
con “The Invitation” (2015).
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"Guardatelo dorme come un angioletto...". |
Insomma, dura un’ora
e venti, lo trovate su Netflix e c’è dentro Melanie Lynskey, se pensate che vi
cambierà la vita, o poterà giustizia nell’industria fallocentrica americana,
magari no, però se come me andate pazzi per gli antologici horror, potete guardarlo
anche se possedete il cromosoma Y.
Gli episodi che ho preferito sono stati il primo davvero inquietante e l'ultimo di Karyn Kusama .
RispondiEliminaSono lieto di sentire che anche tu sei un estimatore di Melanie Linskey.
Anche io ne sono rimasto affascinato dalla visione di I Don't Feel at Home in This World Anymore.
Da allora mi e' capitata di vederla in svariati film e quasi sempre la sua presenza buca lo schermo.
C
Il primo penso sia anche il più riuscito, così come quello di Karyn Kusama che ha solamente la sfiga di somigliare davvero tanto ad un horror storico molto molto famoso con lo stesso identico tema (hai già capito di chi parlo). Melanie Lynskey è l’equivalente cinematografico della compagna di scuola che non vedi più da allora, fantastica ora ho un altro motivo (oltre che affettivo) per guardare “Castle Rock” ;-) Cheers
EliminaChe Netflix distribuisca cose nuove, che sfuggono ai distributori italiani sempre attenti solo alle minchiate economiche, è cosa buona e giusta: magari se alzassero un po' il tiro sarebbe ancora meglio. Finora tutti i film targati Netflix che ho visto non mi hanno particolarmente convinto...
RispondiEliminaVero danno visibilità ad della roba che resterebbe nel sommerso, anche se qualche volta sarebbe meglio, mi ha stupito che un sacco di gente dopo aver visto roba tipo “iBoy” su Netflix si sia lamentata del fatto che facesse schifo, che pretendi da un film che si chiama “iBoy”? ;-)
EliminaOgni tanto però si trova anche roba che guarderei comunque, ad esempio “Okja” oppure “Hell or high water” ignorati dalle nostre sale, sono due ottimi film che mi sono goduto su Netflix. Ho la sensazione che piano piano quel tiro lo stiano alzando, ho almeno me lo auguro. Cheers
Io ho apprezzato pure l'action fantascientifico Spectral:tecnicamente molto buono e bel ritmo per tutta la durata.
EliminaSempre visto sul paginone, ma non mi sono mai deciso a cliccare, mi servono giornate da 36 ore! ;-) Cheers
EliminaLo stavo giusto per mettere ieri poi ho ripiegato sulla prima serie tv di GITS. Ne riparliamo.
RispondiEliminaNon è un film che cambia la vita, ma si lascia guardare, per distrarti dal Maggiore può aiutare ;-) Cheers
EliminaMi sa che lo recupero.
RispondiEliminaIl primo e l'ultimo sono nelle mie corde alla grande.
Dura poco, non ti cambia la vita ma si lascia guardare, primo e ultimo sono i migliori.
EliminaMa quello della festa di compleanno ha un umorismo nero da non sottovalutare ;-) Cheers
Sembra interessante, me lo segno per una eventuale visione prevacanze...
RispondiEliminaIl formato mi intriga sempre e poi un antologico è sempre una buona occasione per conoscere qualche regista nuovo ;-) Cheers
EliminaL'horror non è il mio genere favorito, non ho tempo manco per dormire e Netflix l'ho disdetto perché, non avendo tempo, gli ho letteralmente regalo i soldi per un anno. E quindi? Quindi il problema è che tu di qua, Lucius di là, il Doc Manhattan dall'altra parte, e chi più ne ha più ne metta, scovate di quelle chicche che ti viene voglia di recuperarle seduta stante! E le recensite pure in modo accattivante che pensi "Ma sono cogli@ne a non averlo ancora visto?".
RispondiEliminaVi voglio male!
Ahaha grazie mille gentilissimo, giuro che non sono pagato da Netflix, spero lo siamo i miei colleghi per i loro portafogli più che altro ;-)
EliminaIndipendentemente dai gusti, penso sia questione di abitudine, ho iniziato ad usare Netflix per le serie famose, per poi disdire l’abbonamento nei mesi in cui non usciva nulla di grosso. Almeno finché non ho iniziato ad usarlo come si deve, funziona un po’ come in biblioteca, non trovi tutte le ultime novità ma quello che capita, ormai per molti film vecchi faccio prima a cercarli su Netflix, tutto quello che mi fa risparmiare tempo e fatica è ben accetto ;-) Cheers
Nah, stavolta passo. Gli horror antologici sarebbero in teoria bellissimi ma non ne trovo uno passabile da secoli (giusto i due "ABCs of Death" li ho trovati appena simpatici, velo pietoso su tutto il resto).
RispondiEliminaNon che uno pretenda sempre "Creepshow", ma almeno "Body Bags"...
Comunque di film targati Netflix consiglio "Mascots" di quel geniaccio di Christopher Guest: viaggia su binari fin troppo sicuri ma fa il suo porco dovere e diverte non poco.
Un salutone.
“ABCs of Death" è uno dei più matti, se non ti urta la macchina da presa ballerina (e ti piace Gareth Evans) merita “V/H/S 2”. Certo che “Creepshow” e “Body Bags” erano su un altro livello, pare che debbano rifare “Tales from the crypt” come serie tv, speriamo bene.
EliminaSopporto poco le mascotte sportive, ma vado pazzo per “This is Spinal Tap” grazie per la dritta ;-) Cheers
Me lo passo volentieri, mi sembra inquietante per i miei gusti.
RispondiEliminaIn effetti ha i suoi momenti di sana inquietudine ;-) Cheers
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