giovedì 26 febbraio 2015

Autómata: I Robot del mulino bianco



Le scritte che scorrono sullo schermo ci aggiornano: nel futuro la temperatura globale è aumentata, la terrà è un deserto radioattivo, per tentare di cambiare il clima, l’umanità ha creato i Robot. I titoli di testa con la musica, mostrano ascesa, fallimento e caduta dei Robot nell'adempimento della loro impresa.

Il film si presenta come una pellicola post-apocalittica, al classico deserto, si aggiunge una variazione sul tema delle classiche tre leggi della robotica inventate da Asimov: I Robot di “Autómata” obbediscono a due leggi:
1.Non fare del male agli essere umani.
2.Non modificare te stesso o un altro Robot.

La seconda legge è la sicura che gli umani hanno imposto alle macchine, impedendogli di auto migliorarsi e quindi di superare i loro creatori. Questo prevede una certa coscienza da parte dei Robot, tenetela lì, perché ai fini della storia è importante…

Jacq Vaucan (Tonino Banderas, anche produttore del film) è un agente assicurativo della società che produce i Robot, il suo compito è verificare eventuali frodi e controllare che i Robot non si modifichino, superandoci in intelletto (per quello ci va anche poco, bisogna dirlo!).

Come potrete intuire facilmente, il personaggio di Banderas, dovrà fare i conti con il secondo punto della programmazione dei Robot. Tutta la prima parte del film è di ambientazione urbana, un Thriller con sfumature noir chiaramente ispirate a “Blade Runner” anche nell'estetica: neon, pioggia e cappotti lunghi fino alle caviglie.

Sushi. Così mi chiamava Melanie Griffith. Pesce freddo.
Gabe Ibáñez dimostra un certo gusto per la fantascienza anni Settanta e piuttosto che usare il budget per far esplodere cose a caso, preferisce utilizzare il genere come metafora dell’attualità, più "Soylent Green” (magari una volta di queste ne parliamo…) che il Michael Bay di “The Island” per capirci…

Antonio Banderas è carico come una molla, si vede che ci crede tantissimo nel progetto, ma soprattutto si diverte un sacco, stanco di parlare con una gallina posticcia, qui fa di tutto, persino insegnare a ballare ad un Robot. Essendo produttore tira dentro anche Melanie Griffith (ci ho messo un attimo a riconoscerla, ma quella sua vocina al miele è inconfondibile) peccato che resti sullo schermo pochissimo e il suo ruolo, per quel poco che si è visto, non sembrava la solita parte da scienziato dei film Sci-Fi.

Difficile non restare affascinati davanti ad un film esteticamente molto ben fatto: l’animazione dei Robot, gli effetti speciali, il loro design, formalmente è tutto molto bello, tanto da ricordare quasi le tavole dei fumetti di Moebius (a sort of…). Il problema è che la storia risulta un po’ risicata, o meglio, più interessata a filosofeggiare che a mostrare azione come detto poco fa.

"Oh raga! sembriamo la brutta copia dei Genesis"
Nella seconda metà, il film cambia direzione e location: l’azione (si fa per dire) si sposta negli spazi aperti e assolati del deserto. Nel mondo (dei Robot) di “Autómata” gli automi sono rottami, odiati dalla popolazione, per aver fallito la loro missione di macchine costruite per salvarci, diciamo che il metaforone Biblico tende a notarsi (giusto per dare due coordinate, il modello dei robot si chiama “Pilgrim 7000”, ho resto l’idea?).

Ci sono alcuni passaggi non proprio cartesiani, ad esempio, la pistola segnalatrice utilizzata da Jacq, da dove è uscita? Un secondo prima il protagonista era disarmato, bah!
In ogni caso il film riesce a non cadere nel trabocchetto facile di schierarsi, mostrando una fazione composta da soli buoni e un'altra da soli cattivi (umani o Robot che siano), i rapporti tra umani sanno un po’ di già visto e non sono gestiti propriamente al meglio. Nel finale, poi, quel poco di azione che c’è sfrutta il deserto come assist nel tentativo di risultare Western (Young Ones ci era riuscito un po’ meglio), ma come detto Gabe Ibáñez è più interessato al messaggio che all’azione spettacolare e fine a se stessa.

“Autómata” è un film che si incastra bene nel filone di pellicole Sci-Fi come “Moon” o “Disctrict 9”, non mi ha convinto pienamente, ma al suo interno è possibile notare un numero sufficientemente positivo di trovate, tale da renderlo un film gustoso per tutti gli appassionati di robotica classica.

"Non possiamo bimba, la gallina Rosita è gelosa"
Detta fuori dai denti: ho più aspettative per il prossimo film di Neill Blomkamp, Chappie (in uno strambo Paese a forma di scarpa si chiamerà “Humandroid​”, probabilmente per venire incontro ad una platea di fanatici del cellulare…), ma alla seconda visione ho apprezzato un po’ di più il film di Ibáñez, anche solo per vedere Banderas lontano da quel dannatissimo Mulino e da quella cacchio di gallina di plastica! 

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